Rubriche di
Patrizia Fontana Roca

 

COLLABORAZIONI

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RELIGIONE

 

 

 

https://www.giornaledipuglia.com/2022/04/luscita-delladdolorata-dal-santuario-di.html

 

 

L’USCITA DELL'ADDOLORATA DAL SANTUARIO DI SANT'ANTONIO DI BARI, DA' INIZIO AI RITI DELLA SETTIMANA SANTA

 

I riti della Settimana Santa barese iniziano il Venerdì precedente la Domenica delle Palme, detto anche di Passione, con la solenne processione della Vergine Addolorata in uscita alle ore 10 dal Santuario di Sant’Antonio di Bari per snodarsi lungo le vie della città fermandosi durante il percorso in alcune chiese del centro storico di Bari.

«Il mistero della Passione di Gesù e del dolore di Maria - scrive Anna Maria Tripputi - è uno degli eventi evangelici che si sono maggiormente radicati e diffusi nella devozione popolare, dando luogo a particolari esercizi di pietà e ad una memoria liturgica che ha interessato sia la Chiesa d’Oriente che quella di Occidente.

Lo straziante dolore della Madre che sembra cullare, come quando era bambino, il corpo sanguinante del Figlio appena deposto dalla croce è diventato, nell’immaginario collettivo, il prototipo di una universale materna sofferenza che non ha confini spaziali o temporali».


L’Addolorata, accompagnata dai fedeli e dalle bande che intonano musiche sacre e marce funebri, se ne va fra la gente che piange, con il fazzoletto bianco fra le mani ed il suo abito nero che rendono ancor più struggente il dolore.

Con l’occasione ricordo qualche notizia sulla storia del Convento-Parrocchia che ospita l’Addolorata. I padri Francescani vennero a Bari nel XVII secolo ed iniziarono la costruzione del Convento e della Chiesa nell’anno 1617 terminando i lavori nel 1622. In seguito al terremoto del 1831, per le gravi lesioni riportate, la chiesa crollò nel 1834. Negli anni 1836-1839 la chiesa venne riedificata ed ampliata e dedicata a Sant’Antonio di Padova.

Nel 1866, in seguito alle disposizioni relative alla soppressione degli ordini religiosi, il Convento fu occupato dalla truppe garibaldine ed adibito a caserma.

Nel 1887 nella Chiesa venne eretta la Vicaria Capitolare con il titolo di Sant’Antonio, rimasta in funzione fino al 1930. In quel periodo in tutto il quartiere non c’era alcuna chiesa secolare da destinare a parrocchia.

 

Nel 1956 l’Arcivescovo di Bari, Enrico Nicodemo, istituì una nuova Parrocchia e la Chiesa di Sant’Antonio divenne per la prima volta parrocchia, retta da padre Bernardo Elia.

Nel 1987 la zona absidale è stata dotata di un bellissimo Crocifisso ligneo del 1600 che la domina ed ai fianchi i mosaici che rappresentano i quattro evangelisti. Nel 1995 la grande statua in gesso di Sant’Antonio viene collocata nel vecchio Battistero, divenuto “Cappella del Santo”.

Il Santuario di Sant’Antonio ha ospitato fin dal 1925 la Pia Associazione di Sant’Antonio ed il 19 marzo 1931 fu dichiarata dall’arcivescovo Augusto Curi “Confraternita di Maria SS. della Pietà e di Sant’Antonio” e dal 10 gennaio 1962 elevata ad Arciconfraternita.

Nell’anno 2011, per iniziativa e sotto la guida di padre Giammaria Apollonio, parroco pro-tempore, la Chiesa è stata totalmente restaurata, tornando così a nuovo splendore.

L’8 dicembre 2015 la Chiesa di Sant’Antonio da Padova di Bari è stata elevata, dall’Arcivescovo di Bari-Bitonto, Monsignor Francesco Cacucci, al rango di Santuario.

Attualmente il Santuario è retto da padre Vito Dipinto.

 

 

https://www.giornaledipuglia.com/2022/03/al-via-i-riti-di-pasqua.html


 

AL VIA I RITI DI PASQUA

 

Secondo Giovanni Panza (1916-1994), per i baresi Pasqua è una delle grandi ricorrenze inserita tra “le feste terribele” (festività importanti), nel suo libro “La checine de nononne” (Schena Editore).

Il preludio alla settimana di Passione inizia il venerdì (detto di passione), precedente alla Domenica delle Palme con la processione dell’Addolorata che esce la mattina dal Santuario di Sant’Antonio e percorre le vie cittadine fino a raggiungere la città vecchia, quindi la Cattedrale per poi fare ritorno in serata al Santuario.

La Pasqua dei baresi si identifica in usanze antiche e consolidate che si ripetono resistendo al tempo e alla secolarizzazione della civiltà attuale. Tutti, credenti e non, il Giovedì Santo dopo le venti si dirigono a visitare i cosiddetti “Sepolcri” in almeno tre chiese della città, preferibilmente quelle del centro storico, per adorare il Santissimo, riunendo la famiglia che insieme a tante altre, sfila silenziosa, per le strade della città in religioso silenzio, in ossequio al Cristo.

 

 

Il Venerdì Santo la processione dei Misteri, si snoda nel pomeriggio per le vie principali della città, evento che resta magico e coinvolgente e testimonia il rispetto che suscita la Passione di Cristo. Quando passa la bellissima statua dell’Addolorata che piange Gesù, l’emozione è forte, nell’aria dolorosa della marcia funebre. Tutti Lo vedono adagiato in una bara di vetro, colma di fiori. Il culto è talmente vivo, che nelle Chiese antiche di Bari vecchia usano ancora disporre sul Sepolcro di Cristo semi di grano, di scagliola e di lenticchie, fatti germogliare al buio nelle case dal primo giorno della Quaresima.

 

Chi da piccolo, il giorno di Pasqua, non ha fatto le battaglie con le uova sode, accuratamente dipinte da nonne e zie? Le uova erano deposte sulla “scarcella” (scarcèdde = piccola borsa), in un cesto di vimini, fatto a mano. Ancora oggi il rito si ripete nelle case dei

baresi ai quali il dolce piace assai. Si tratta di una ciambella favolosa (impasto di farina, olio, uova, zucchero con sopra un numero dispari di uova sode). L’uovo, a Pasqua, è l’elemento gastronomico principe, lo troviamo nel “benedetto” (un antipasto tipico pasquale, composto da uova sode, soppressata, arancia tagliata a fette) e nel “verdetto” (un insieme di piselli, verdure amare e uova, miste alla carne d’agnello) e, di cioccolata, nel classico uovo di Pasqua.



 

Il Lunedì dell’Angelo o “Pasquetta”, le campagne dei dintorni baresi si riempiono di tavolini ricoperti di ogni “Ben di Dio”, in genere pizze salate, paste al forno, ecc. L’aria si riempie del buon odore dell’immancabile agnello alla brace. Le condizioni atmosferiche non costituiscono mai un problema: si deve uscire per forza, anche se si ritorna esausti dopo lunghe code in automobile. Ma il barese, si sa, è una buona forchetta e riassaporare i menu tradizionali è bello: è Pasqua.

I baresi tengono molto agli auguri di Buona Pasqua, sin dalla Domenica delle Palme che viene onorata dall’ulivo e dalla palma benedetta che viene posta accanto al Crocifisso o a qualsiasi immagine sacra della casa.

 

 

 

 

https://www.giornaledipuglia.com/2021/12/oggi-si-celebra-santa-lucia-patrona-di.html


 

OGGI SI CELEBRA SANTA LUCIA, PATRONA DI SIRACUSA

- Oggi si festeggia Lucia, vergine e martire, una tra le più popolari Sante del Medioevo la cui fama è molto diffusa e secondo il Messale Romano è una delle sette donne menzionate nel Canone Romano (la preghiera centrale della celebrazione eucaristica).

Nell’iconografia popolare Lucia è rappresentata con un piatto in mano nel quale sono posati i propri occhi in riferimento all’episodio in cui se li cavò per inviarli al suo pretendente. Lucia nacque a Siracusa verso la fine del III secolo, da una nobile famiglia siracusana e già promessa in sposa a un giovane del suo rango, quando avvenne l’episodio che le cambiò la vita. In seguito all’ammalarsi della madre, Eutichia, la accompagnò a Catania per chiedere a Sant’Agata la sua guarigione. Cosa che avvenne e, di ritorno da Siracusa, la giovane Lucia decise di consacrarsi interamente a Dio, rinunciando al matrimonio, mettendo in vendita la sua dote per donarne il ricavato ai poveri. Colui che l’aveva pretesa come sposa, si vendicò del rifiuto denunciando Lucia al locale tribunale dell’impero romano, con l’accusa che ella fosse “cristianissima”, poiché infieriva la crudele persecuzione anti-cristiana dell’imperatore Diocleziano. Allora il governatore ordina un gran fuoco di fascine e resina per incenerirla, ma Lucia lo sfida: “Pregherò il Signore nostro affinché questo fuoco non mi bruci” e così fu. Uscita indenne dalle fiamme, Lucia, secondo un’altra tradizione, fu pugnalata alla gola, come si può notare nell’immagine della Santa portata in processione a Siracusa.

Lucia, istintivamente amica di tutte le creature che soffrono, nata per affrontare i tempi opachi che viviamo e portare nuovi motivi di speranza, una martire cristiana vissuta all’epoca delle persecuzioni di Diocleziano e venerata a Siracusa ove c’è la sua tomba senza il suo corpo. Prima della riforma del calendario (1582), la sua commemorazione coincideva con il solstizio d’inverno (21 dicembre, giorno in cui le giornate iniziano ad allungarsi).
Santa Lucia, è Patrona di Siracusa e protettrice di ciechi, oculisti, elettricisti ed è invocata contro le malattie degli occhi.

Curiosità - Il suo corpo fu sepolto nelle Catacombe Cristiane di Siracusa, la sua terra d’origine, ma nel 1204 i Veneziani sbarcati a Siracusa s’impossessarono delle reliquie e le trasportarono a Venezia, dove viene nominata compatrona della città. Oggi il corpo della vergine e martire si trova nella Chiesa dei Santi Geremia e Lucia di Venezia.
In Scandinavia Santa Lucia è rappresentata come una donna in abito bianco, colore della purezza, e fascia rossa, colore del sangue del martirio, con una corona di candele sulla sua testa. Le candele simboleggiano il fuoco che ha rifiutato di prendere la vita di Santa Lucia quando è stata condannata al rogo. In Norvegia, Svezia e nelle regioni di lingua svedese della Finlandia si intonano canzoni, e le ragazze portano in processione biscotti e panini allo zafferano. Si dice che celebrare la giornata di Santa Lucia aiuterà a vivere le lunghe giornate invernali con sufficiente luce.
In Ungheria e in Croazia, una tradizione popolare nel giorno di Santa Lucia prevede di piantare chicchi di grano: questi, che il giorno di Natale saranno già alti, rappresentano la Natività. A Santa Lucia, una piccola isola dei Caraibi, il 13 dicembre si festeggia il santo patrono ed è festa nazionale. Durante la celebrazione vengono accese luci decorative nella capitale. Gli artigiani partecipano con lanterne decorate e la giornata si conclude con uno spettacolo pirotecnico.

 

 

https://www.giornaledipuglia.com/2021/11/labate-elia-nella-storia-della-basilica.html

 

 

 

L’ABATE ELIA NELLA STORIA DELLA BASILICA DI SAN NICOLA

 

La storia di Bari ha visto protagoniste molte persone e, tra queste, l’Abate Elia, primo Rettore della Basilica di San Nicola, colui che prese in consegna i resti del nostro protettore quando, i tre capitani, in assenza delle autorità, non sapevano a chi consegnare le preziose reliquie. Fu lui a mettere d’accordo l’Arcivescovo Ursone e il popolo che la pensavano diversamente sulla destinazione delle spoglie di San Nicola, custodirle in Cattedrale o in una nuova chiesa? Entrambi i contendenti furono d’accordo per la costruzione della Basilica sulle strutture del vecchio palazzo del governatore greco (il ‘catepano’). Fu sempre lui a tenere unita una città vivacissima, ma rissosa, tanto che un’assemblea cittadina nel 1095 decise che gli avrebbe obbedito in tutto senza discutere.


Nel 1071, Leucio, abate del monastero di San Benedetto, con l’assenso dei monaci, lo elesse suo successore. Il 9 maggio 1087 Alberto, Giannoccaro e Summissimo (i tre capitani della spedizione del 1087), gli consegnarono le reliquie di S. Nicola, affidandogli anche la costruzione della Basilica.

Alla morte di Ursone (14 febbraio 1089) fu eletto all’unanimità arcivescovo di Bari.

Il 30 settembre accoglieva a Bari il papa Urbano II e il giorno dopo ebbe luogo la reposizione delle ossa di S. Nicola sotto l’altare della cripta.

Il due ottobre successivo fu consacrato arcivescovo.

Sul finire del 1090 presenziava al rinvenimento del corpo di S. Sabino di Canosa sotto l’altare della Cattedrale di Bari.

Nel 1098, in occasione del Concilio di Bari, fece scolpire la bellissima cattedra che porta appunto il suo nome.

E, mentre realizzava tutto ciò, continuavano alacremente i lavori di costruzione e realizzazioni spirituali e temporali, il 23 maggio del 1105 chiudeva gli occhi nel Signore.

Fu sepolto sul pianerottolo della scalinata destra, subito prima di entrare in cripta. L’architettura della Basilica risente molto dell’influenza araba, soprattutto nella lavorazione di capitelli, finestre e rosoni.

 

Prima di entrare in cripta, qualche volta sarebbe opportuno fermarsi un po’ e ringraziare l’Abate Elia, le cui gesta, come ricorda padre Gerardo Cioffari O.P., storico della Basilica nicolaiana, vengono decantate nell’epigrafe:


Molto onore del mondo giace qui sepolto in pace.
I re sono stati privati d’un padre, le leggi d’un giudice.
Il tuo diadema o Bari, non è più.
Sappi che sei stata potente quando viveva il presule Elia.

In questo bel sepolcro è chiuso quell’inclito padre,
che ti ha ben governata e portata in alto.
E stato un buon protettore verso tutti,
verso gli illustri e gli umili, i vicini e i lontani.
Uguale a Salomone nella capacità di edificare,
simile ad Elia nel modo pio e santo di vivere.
Costruì questo tempio, che risplendette di luce e di oro.
Qui si addormentò, mentre lo spirito saliva fra le stelle.

 

I lavori per la costruzione della Basilica di San Nicola, voluta dall’Abate Elia per venerare le reliquie del Santo, giunte a Bari il 7 maggio 1087, iniziarono lo stesso anno e due anni dopo, nel 1089, era già pronta la cripta che fu consacrata da Papa Urbano II. In quell’occasione il Papa, oltre a deporre le reliquie di San Nicola sotto l’altare maggiore, consacrò Arcivescovo di Bari l’Abate benedettino Elia. La scelta del luogo per la costruzione cadde nell’area della Corte del Catapano, residenza dei governatori bizantini, segno del passaggio al periodo dei Normanni molto sensibili nell’incentivare la costruzione di chiese che cancellassero i riti d’Oriente. I lavori di costruzione furono seguiti dall’Abate Elia e dal suo successore l’Abate Eustazio. L’abate Elia è sepolto nella stessa basilica dove riposano anche alcuni marinai, autori della traslazione.

 

L’importanza storica della città di Bari e della Basilica di San Nicola ebbe riscontro nazionale, al punto che anche Dante (1265-1321), ricorda nella sua “Commedia” l’Italia Meridionale, Bari, l’opera e i miracoli di San Nicola:

 

E quel corno d’Ausonia, che s’imborga
di Bari, di Gaeta e di Catona
da dove Tronto e Verde in mare sgorga”.


(Paradiso VIII, 61-63).

 

Non a caso Dante, evocherà l’opera e i miracoli di San Nicola (in questo caso si riferiva alle tre fanciulle salvate dalla prostituzione):

 

Esso parlava ancor della larghezza
che fece Niccolao alle pulcelle,
per condurre ad onor lor giovinezza”.

 

(Purgatorio XX, 31-33)

 

 

https://www.ilgiornaleitaliano.com/2021/11/barletta-custode-delle-reliquie-della.html

 

 

 

 

BARLETTA, CUSTODE DELLE RELIQUIE DELLA PASSIONE DI CRISTO

 

 

La religione non sempre è relegata esclusivamente ad esigenze di culto e devozione, ma diventa spesso un importante veicolo di conoscenza del passato capace di innescare prospettive di sviluppo turistico oltre che culturale della popolazione.

Il CRSEC di Barletta ha pubblicato nel 2000 il volume “Barletta: Custode di insigni reliquie della Passione di Cristo”, il miglior modo per valorizzare, promuovere e tutelare il patrimonio che la storia ha lasciato alla comunità. Alcune chiese di questa Città, hanno il grande merito di custodire da secoli importanti reliquie, allorché i Patriarchi di Gerusalemme furono costretti ad abbandonare la Terra Santa. Il porto di Barletta era, infatti, luogo di transito dei Crociati.

La Basilica del Santo Sepolcro custodisce una croce patriarcale di metallo smaltato di Corinto coperto di lamine d’argento dorato. Su di essa vi sono incastonate 24 pietre turchine disposte due a due lungo la banda verticale e le due bande orizzontali. Su di essa è apposta una targhetta che riporta la seguente iscrizione «Lignus crucis D.N. Jesu Christi Anno Santo della Redenzione 1983-84. Benedetta e sigillata 25.3.1984».

La croce contiene tre pezzi della Vera Croce e nel 1659 subì una mutilazione: da uno dei tre pezzi della Croce Vera fu asportata una scheggia lunga 4 cm. Che fu donata dal Priorato di Barletta al viceré di Napoli, Gaspare di Bragamante, e a Guzman, conte di Pignorando, come attestato da due documenti del notaio Geronamo Spallucci del 1659. La preziosissima reliquia della Croce è molto venerata dai barlettani che in occasione di tristi eventi ne invocano la protezione.

Un’altra croce patriarcale contenente frammenti del Sacro Legno è custodita nella Chiesa di S. Maria Maggiore che è la Cattedrale di Barletta. Alta 42,5 cm, è artisticamente lavorata e arabescata e tempestata di pietre false e preziose. La sua provenienza è ignota, sebbene non manca un inventario del 1727, tuttora nella chiesa nazarena, dalla quale si apprende che la croce fu consegnata dalla Serenissima regina Giovanna di Gerusalemme all’Arcivescovo. Una terza croce patriarcale è custodita nella Chiesa e Monastero di San Ruggero (già S. Stefano). Una croce, non nota ai barlettani, della quale non si hanno notizie della sua provenienza al monastero di S. Ruggero. Le reliquie di San Giovanni Battista e di S. Leonardo, in essa custodite, fanno supporre che sia appartenuta ai Cavalieri dell’Ordine Teutonico ed a quelli dell’Ordine di S. Giovanni Gerosolimitano.

Infine, per quanto riguarda la terza reliquia, la Sacra Spina custodita nella Chiesa di S. Gaetano, si ipotizza, che furono i Trinitari nel sec. XIII a portare a Barletta la spina della Corona.

Delle tre croci che custodiscono il sacro legno, solo quella che si custodisce nella Basilica del Santo Sepolcro viene portata in processione la sera del Venerdì Santo e il 14 settembre. Inoltre la Sacra Spina viene portata in processione la sera della Domenica che precede quella delle Palme, rito che si fa risalire al tempo in cui i Trinitari risiedettero a Barletta e andando via dalla città, la tradizione fu portata avanti dai Confratelli della Congrega della SS. Trinità installatasi nella omonima Chiesa.

Con l’ultimo decennio del secondo millennio, la festa della Sacra Spina ha assunto la forma mistica della Via Crucis. Portata in processione sotto un baldacchino si ferma davanti a ciascuna delle 14 stazioni che raffigurano, com’è noto, i momenti della Passione di Nostro Signore.

 

 

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IL 4 DICEMBRE SI CELEBRA SANTA BARBARA, PATRONA DEI VIGILI DEL FUOCO

 

 

Dipinto di Salvatore Tricarico per onorare la Patrona del
Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco

 

Il 4 dicembre si commemora Santa Barbara, patrona degli architetti, minatori, moribondi, fucili, polvere da sparo e protettrice dei Vigili del Fuoco.
Nacque a Nicomedia, antica città dell’Anatolia, oggi Izmit in Turchia, nel 273, distinguendosi per l’impegno nello studio e per la riservatezza.
Tra il 286-287, come si legge su “Avvenire”, Barbara si trasferì presso la villa rustica di Scandriglia, in provincia di Rieti, al seguito del padre Dioscoro (o Dioscuro), collaboratore dell’imperatore Massimiano Erculeo. La conversione alla fede cristiana di Barbara provocò l’ira di Dioscoro. La ragazza fu così costretta a rifugiarsi in un bosco dopo aver distrutto gli dei nella villa del padre. Trovata, fu consegnata al prefetto Marciano. Durante il processo che iniziò il 2 dicembre 290, Barbara difese il proprio credo ed esortò Dioscoro, il prefetto ed i presenti a ripudiare la religione pagana per abbracciare la fede cristiana. Questo le costò dolorose torture. Il 4 dicembre, infine, fu decapitata con la spada dallo stesso padre che fu colpito però da un fulmine. La tradizione invoca Barbara contro i fulmini, il fuoco e la morte improvvisa. I suoi resti si trovano nella Cattedrale di Rieti.
Santa Barbara è la Santa che rappresenta la capacità di affrontare il pericolo con fede, coraggio e serenità anche quando non vi sono vie di scampo. È stata eletta, infatti, patrona dei Vigili del Fuoco, in quanto protettrice di coloro che si trovano in pericolo di morte improvvisa.

 

 

 

 

Santa Barbara, come detto, è particolarmente invocata contro la morte improvvisa, in seguito la sua protezione fu estesa a tutte le persone che erano esposte nel lavoro al pericolo di morte istantanea, come gli artificieri, gli artiglieri, i carpentieri, i minatori; oggi venerata anche come protettrice dei Vigili del Fuoco.

 

La leggenda vuole che il padre Dioscoro, che ha arricchito con particolari fantastici la vita della martire che hanno avuto un influsso sia sul culto come sull’iconografia. Dioscoro fece costruire una torre per rinchiudervi la bellissima figlia richiesta in sposa da moltissimi pretendenti. Ella, però, non aveva intenzione di sposarsi, ma di consacrarsi a Dio. Prima di entrare nella torre, non essendo ancora battezzata e volendo ricevere il sacramento della rigenerazione, si recò in una piscina d’acqua vicino alla torre e vi si immerse tre volte dicendo: “Battezzasi Barbara nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.

Il padre, pagano, venuto a conoscenza delle aspirazioni cristiane della figlia, decise di ucciderla, ma ella, passando miracolosamente fra le pareti della torre, riuscì a fuggire.

Nuovamente catturata, il padre la condusse davanti al magistrato, affinché fosse tormentata e uccisa crudelmente. Il prefetto Marciano cercò di convincere Barbara a recedere dal suo proposito; poi, visti inutili i tentativi, ordinò di tormentarla avvolgendole tutto il corpo in panni rozzi e ruvidi, tanto da farla sanguinare in ogni parte.

 

Durante la notte, continua il racconto, seguendo uno schema comune alle leggende agiografiche, Barbara ebbe una visione e fu completamente risanata. Il giorno seguente il prefetto la sottomise a nuove e più crudeli torture: sulle sue carni nuovamente dilaniate fece porre piastre di ferro rovente.

Una certa Giuliana, presente al supplizio, avendo manifestato sentimenti cristiani, venne associata al martirio: le fiamme, accese ai loro fianchi per tormentarle, si spensero quasi subito. Barbara, portata nuda per la città, ritornò miracolosamente vestita e sana, nonostante l’ordine di flagellazione. Il prefetto la condannò al taglio della testa; fu il padre stesso che eseguì la sentenza. Subito dopo un fuoco discese dal cielo e bruciò completamente il crudele padre, di cui non rimasero nemmeno le ceneri.

 

Il poeta e soldato Auro d’Alba di Schiavi di Abruzzo (CH), pseudonimo di Umberto Bottone (1888-1965), compose la “Preghiera dei Vigili del Fuoco” che ho tradotto in dialetto barese.

 

 

LE EDICOLE RELIGIOSE DEL CENTRO STORICO DI BARI

 


Michele Fanelli, presidente del Circolo Acli “Dalfino”, amante delle tradizioni popolari e del centro storico di Bari, ha pubblicato recentemente il volume “Santi dei vicoli e delle corti. Le Edicole religiose (L’Annicchie de Bare vecchie), Progedit Editore.

L’edicola religiosa è un piccolo spazio a forma di tempietto o nicchia (annicchie), ove è sistemata e custodita un’immagine sacra (affresco, bassorilievo, scultura, dipinto, oleografia, ecc.). Normalmente è collocata nei vicoli del centri storici, nei cortili dei palazzi, sulle facciate delle case o sopra le porte d’ingresso, come segno di protezione o “per grazia ricevuta”.

L’usanza di costruire edicole sacre viene da lontano. Risale addirittura all’epoca preistorica e si diffuse poi largamente in epoca romana, con una gran varietà di tempietti, urbani e rurali, dedicati alle divinità pagane. Pare che solo nell’XI-XII secolo i cristiani abbiano iniziato ad usare le edicole, forse per rendere più vivo il rapporto con i Santi. Particolarmente ricche sono le città come Roma e Napoli, ma anche la Puglia ha una buona raccolta e Bari possiede un altrettanto ricco patrimonio presente soprattutto nella città vecchia.

Nel centro storico barese si contano circa 240 edicole, in maggior parte dedicate alla Madonna Odegitria, ai Santi (con a capo San Nicola), al Crocifisso ed altri che testimoniano storie invisibili, difficili da scrivere ma semplici da raccontare. Se queste testimonianze rivelano la storia di una collettività ne consegue che esse costituiscono un patrimonio culturale del luogo e dell’umanità. Di qui l’impegno morale di salvaguardia e di recupero.

Fanelli accompagna i lettori nella storia della devozione per le Edicole religiose del centro storico di Bari, attraverso le corti ed i vicoli, illustrando il ricco museo all’aperto della nostra Bari, che rappresenta un patrimonio storico-culturale di Bari vecchia che, in molti casi, versa in uno stato di degrado e abbandono. Le Edicole, spesso sono “protette” e curate dagli abitanti della città vecchia ma non sufficienti a garantirne a l’integrità, la manutenzione, la conservazione e la valorizzazione.

Il volume si avvale delle presentazioni di Giuseppe Dalfino, Lorenzo Lionetti e Rossella Ressa, mentre le foto sono di Giulio Urbano.

 

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SANTI, TAUMATURGHI, RE E INTRUGLI. CURIOSITA' SUI SANTI MEDICI

- Qualche tempo fa partecipando ad una conferenza ho letto la seguente frase: «Coltivare le arti raffinate è giustamente considerata un’attività della massima importanza in ogni stato ben regolato; infatti, è universalmente riconosciuto che, a seconda se esse siano incoraggiate o disapprovate, i costumi del popolo diventano più civili”, perciò bisogna plaudire ad iniziative che danno la possibilità a molti di apprendere interessanti informazioni culturali».

Una conferenza sulla “terapia intellettuale” che il dott. Nico Veneziani, cardiologo, con la passione dell’arte e delle tradizioni popolari, ha “somministrato” qualche anno fa, all’uditorio, intrattenendolo con una interessante conversazione su Santi, Taumaturghi, Re e placebo. Nella letteratura medica anglosassone, alla fine del XVII secolo fu introdotto il termine “placebo” (io piacerò).

Era la prima parola di un salmo cantato nell’ufficio dei defunti: “Placebo Domino in regione vivorum” (Piacerò al Signore nella regione dei vivi). Successivamente il termine è stato impiegato a definire sostanze farmacologicamente inerti, somministrate per compiacere il paziente.

Egli parlò delle credenze popolari esistenti in varie regioni del mondo e che pian piano sono emigrate in occidente. Infatti, sappiamo che San Paolo, che durante un viaggio a Malta, (come si narra negli Atti degli Apostoli), fu attaccato da una vipera mentre attizzava il fuoco, senza avere alcun danno.

Successivamente si è saputo che a Malta i serpenti non sono velenosi. Quindi fenomeni di suggestione? Veneziani ha parlato, oltre che del potere taumaturgico dei Santi, anche di quello dei colori, dei metalli, della musica e della danza. Inoltre ha ricordato come la civiltà abbassa il livello di sopportazione del dolore.

Anche «Nell’Ayurveda, la scienza che considera la vita in modo olistico, cioè crede in una stretta relazione tra corpo, mente, anima e ambiente, si narra che strumenti musicali, specie i tamburi, spalmati di intrugli di cenere e polveri, se suonati esplicavano effetto contro calcolosi, coliche e avvelenamenti» (?).

Nella religione cristiana, ad esempio, molti sono i Santi cui riconosciamo il potere taumaturgico, da San Vito a San Biagio, ai Santi Medici, l’iconografia di questi ultimi ce ne mostra solo due: Cosma e Damiano, mentre in realtà furono cinque con Antimo, Euprepio e Leonzio. Si narra, infatti, che questi ultimi furono oscurati dalla fama dei primi due.

 

Anche San Nicola, taumaturgo per eccellenza, diventa riferimento importante per la vicenda dei tre bambini.

 

 

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SANTI, TAUMATURGHI, RE E INTRUGLI - CURIOSITA' SUI SANTI MEDICI

 

MIRACOLI E MAGIA

Questa nota non vuole assumere in nessun modo, la forma di apologia della magia e della superstizione, tutt’altro! Come si potrà leggere in seguito, essa rappresenta l’antitesi di ciò che il Vangelo proclama. Sappiamo, infatti, che in più occasioni e in maniera ufficiale, i vescovi hanno condannato le pratiche di magia e superstizioni. Tuttavia, ritengo che esse meritino attenzione per la loro valenza sociale e culturale in quanto sono manifestazioni (in forme sbagliate) di quel bisogno, scritto in ciascun uomo, di assoluto, di divino.

 

Se Sant’Agostino sosteneva che «L’uomo non trova pace sino a che non placa la propria sete in Dio», potremmo affermare che la magia e la superstizione rappresentano dei succedanei (nocivi e affatto dissetanti), di quell’acqua viva di cui ci parla l’Evangelista Giovanni nel capitolo 4.

 

Gesù come operatore di miracoli fu accostato ad Apollonio di Tiana, filosofo neopitagorico, nato qualche anno dopo, ed il suo biografo lo presenta come un asceta e capace di produrre miracoli. Ma Gesù non fu un «guaritore professionista né diede prescrizioni terapeutiche». Egli conferendo agli Apostoli il potere sui demoni e la possibilità di scacciarli affidava loro la missione di guarire sia il corpo che l’anima. Inoltre, se il miracolo, per essere ritenuto tale, deve accadere all’improvviso ed in pubblico, la magia, viceversa, deve essere eseguita segretamente.

In questo contesto il miracolo ha assunto altre connotazioni: innanzi tutto vanno distinti due significati: secondo il primo significato è “miracolo” tutto quello che noi possiamo attribuire direttamente a Dio, in un secondo significato, “tecnico”, diremmo noi, è miracolo un fatto che la scienza dimostra essere impossibile che accada secondo le leggi naturali. Vi è, tuttavia, da osservare che per la gente comune dei primi secoli cristiani, era arduo distinguere dove è presente l’intervento miracoloso e dove l’operazione magica.

 

Numerosi sono gli esempi riportati dalle leggende agiografiche in cui i cristiani destinati al martirio e i pagani si accusavano a vicenda di professare arti magiche. La resistenza fisica e l’indifferenza dimostrate dai martiri cristiani, durante le torture subite, dovettero sembrare ai pagani opera di magia. Sant’Ignazio di Antiochia, accusato di praticare arti magiche per non avvertire dolore, durante i supplizi, si difende affermando «Noi cristiani non siamo maghi, e anzi secondo la nostra consuetudine i maghi li consideriamo segni di morte». Negli scontri tra Santi e maghi, l’uomo di Dio è vincitore; ma per la mentalità di un pagano, di un ebreo, di chi professava una religione diversa, il Santo cristiano poteva apparire soltanto come un mago con poteri superiori.

Basta ricordarsi, infine, di alcune verità come le seguenti: il cristiano non grida con superbia attraverso formule, scongiuri e false preghiere, ma si rivolge a Dio con le parole che Gesù stesso gli ha insegnato, chiedendo che: «sia fatta la Sua volontà»; i doni carismatici possono venire solo da Dio e vengono elargiti in modo gratuito alle persone sante. Occorre pertanto abbandonarsi con fiducia nelle mani della Provvidenza per ciò che concerne il futuro e fuggire da ogni curiosità malsana.

Vito Lozito 1943-2004), nel suo libro “Agiografia, Magia, Superstizione” (Levante) scrive: «Simone è il tipico mago professionista avversato, nell’arco dei secoli, dai pensatori cristiani. Egli, infatti, osservando le guarigioni e gli esorcismi effettuati dall’apostolo Filippo, ne rimase meravigliato, si fece battezzare e chiese agli Apostoli che gli fossero resi noti i loro poteri, ritenuti da lui magici, previo pagamento, come, molto probabilmente, aveva fatto per le arti magiche, da lui precedentemente apprese». San Pietro, indignato, rifiutò e con disprezzo gli ingiunse di andar via».

Il termine magia deriva dal greco magheia, che significa scienza, saggezza. I Magi, ad esempio, erano antichi sacerdoti persiani. Anche il Nuovo Testamento parla di maghi e magia: i Magi, che secondo il racconto di Matteo, si recano alla ricerca del Bambino Gesù guidati dalla stella, non sono però maghi nell’accezione moderna del termine, ma piuttosto scienziati o sapienti.

 

Infatti, così scrive Matteo: «Quando Gesù fu nato a Betlemme di Giudea ai tempi di Re Erode, ecco apparire dall’Oriente a Gerusalemme alcuni Magi, i quali andavano chiedendo dove fosse nato il Re dei Giudei, perché – dicevano – avevano visto la sua stella al suo sorgere ed erano venuti ad adorarlo […]». Matteo (II, 1-2).

 

Ma cos’è la magia? È l’arte di dominare le forze occulte della natura e sottoporle al proprio potere. Essa è stata oggetto in varie culture e in diversi periodi storici di valutazioni opposte, ora considerata forma di conoscenza superiore, ora rifiutata come impostura e condannata dalle autorità civili e religiose. Nel pensiero greco antico, il termine indicava sia la teologia dei sacerdoti persiani, sia il complesso di teorie e pratiche collegate a realtà diverse da quelle oggetto della scienza filosofico-razionale. Ai maghi, sacerdoti dell’antica religione persiana, erano attribuite doti di astrologi, indovini e stregoni. In tempi moderni, con l’avvento di un ideale scientifico razionalistico, matematico e sperimentale, il termine magia assume spesso il significato deteriore di insieme di pratiche prive di fondamento, e quindi arbitrarie quando non fraudolente.

La magia è un fenomeno abbastanza diffuso nel mondo. In Italia c’è ancora chi timoroso e fiducioso si rivolge a maghi e fattucchiere per ottenere amuleti e portafortuna, oggetti che dovrebbero avere la prerogativa di allontanare la iella, la sfortuna o il malocchio. Ma questi oggetti, pur in commercio, sembrano funzionare di più se il loro potere, tutto da verificare, è attribuito e trasmesso da chi li prepara: maghi, stregoni e sciamani. Quest’ultimo personaggio, nelle religioni siberiane e nordamericane, sembra dotato di eccezionali poteri, che facendo da intermediario con il mondo celeste e infernale, guarisce le malattie e accompagna le anime nel regno dei morti.

 

Lo sciamano, secondo l’antropologo francese Claude Levi-Strauss, «…non è completamente privo di conoscenze positive e di tecniche sperimentali che possano spiegare in parte il suo successo; per il resto, disordini del tipo che oggi si chiamano “psicosomatici” e che rappresentano una gran parte delle malattie più diffuse nelle società a debole coefficiente di sicurezza, devono spesso cedere a una terapeutica psicologica. In complesso, è verosimile che i medici primitivi, come i loro colleghi civili, guariscano almeno una parte dei casi che curano e, che, senza questa efficacia relativa, le usanze magiche non avrebbero potuto conoscere la vasta diffusione che è loro propria, nel tempo e nello spazio».

Per il mondo antico la magia ha rappresentato un elemento di progresso, contribuendo a suscitare nell’uomo il desiderio di sfuggire ai propri limiti, stimolandolo alle successive scoperte. La magia a sua volta si divide in bianca, benefica, che soccorre e conforta, e nera, malefica, che essendo diabolica e nefasta, perverte e distrugge. Conseguentemente i maghi che esercitano la magia bianca, vengono accettati, ricercati e ben remunerati, mentre quelli che esercitano quella nera rappresentati dagli stregoni, sono meno consultati poiché molto temuti.

Capita di chiamare “uccello del malaugurio” una persona che porta cattive notizie. La frase deriva, forse, dall’antica tradizione etrusca o romana di trarre gli auspici dall’osservazione del volo degli uccelli. L’augure, infatti, era nell’antica Roma il sacerdote divinatore, che interpretava il modo di volare degli uccelli e ne traeva le previsioni. Il modo di dire potrebbe anche alludere alla superstizione popolare che ritiene di cattivo augurio il verso di certi uccelli come la civetta, il gufo, il corvo e la cornacchia, considerati annunciatori di disgrazie, per i loro versi lugubri e lamentosi.

Che differenza c’è tra magia e religione?

Nella credenza popolare la prima rappresenta un insieme di pratiche, la cui efficienza dipende dal mago o dallo stregone, ritenuto onnipotente (?), e quindi in grado di controllare le forze soprannaturali evocate con alcuni rituali.

 

La religione invece può solo rendere favorevole una volontà, riconosciuta superiore, sia nelle pratiche religiose sia dalle stesse persone che le compiono. Così il sacerdote prega le divinità e spera di essere esaudito, il mago invece compie direttamente le azioni, pronunciando incantesimi miranti ad ottenere l’effetto sperato.


E tra religione e superstizione?
Monsignor Giuseppe Maggioni, Delegato arcivescovile dal 1994 al 2008 per i Rapporti con i Nuovi Movimenti Religiosi per il Servizio per l’Ecumenismo e il Dialogo. dell’Arcidiocesi di Milano, sostiene che «l’atteggiamento di fede consiste nel rendere a Dio l’adorazione e l’obbedienza che gli sono dovute in modo adeguato, mentre la superstizione (da «super-stare») consiste nel prestare culto divino a chi non è dovuto o nel modo sbagliato. Il che stravolge le finalità della vera religiosità, che tende invece a lasciarsi istruire dalla sapienza di Dio per poter fare la sua volontà».

 

https://www.ilgiornaleitaliano.com/2021/10/miracoli-e-magia.html

MIRACOLI E MAGIA

Questa nota non vuole assumere in nessun modo, la forma di apologia della magia e della superstizione, tutt’altro! Come si potrà leggere in seguito, essa rappresenta l’antitesi di ciò che il Vangelo proclama. Sappiamo, infatti, che in più occasioni e in maniera ufficiale, i vescovi hanno condannato le pratiche di magia e superstizioni. Tuttavia, ritengo che esse meritino attenzione per la loro valenza sociale e culturale in quanto sono manifestazioni (in forme sbagliate) di quel bisogno, scritto in ciascun uomo, di assoluto, di divino.

 

Se Sant’Agostino sosteneva che «L’uomo non trova pace sino a che non placa la propria sete in Dio», potremmo affermare che la magia e la superstizione rappresentano dei succedanei (nocivi e affatto dissetanti), di quell’acqua viva di cui ci parla l’Evangelista Giovanni nel capitolo 4.

 

Gesù come operatore di miracoli fu accostato ad Apollonio di Tiana, filosofo neopitagorico, nato qualche anno dopo, ed il suo biografo lo presenta come un asceta e capace di produrre miracoli. Ma Gesù non fu un «guaritore professionista né diede prescrizioni terapeutiche». Egli conferendo agli Apostoli il potere sui demoni e la possibilità di scacciarli affidava loro la missione di guarire sia il corpo che l’anima. Inoltre, se il miracolo, per essere ritenuto tale, deve accadere all’improvviso ed in pubblico, la magia, viceversa, deve essere eseguita segretamente.

In questo contesto il miracolo ha assunto altre connotazioni: innanzi tutto vanno distinti due significati: secondo il primo significato è “miracolo” tutto quello che noi possiamo attribuire direttamente a Dio, in un secondo significato, “tecnico”, diremmo noi, è miracolo un fatto che la scienza dimostra essere impossibile che accada secondo le leggi naturali. Vi è, tuttavia, da osservare che per la gente comune dei primi secoli cristiani, era arduo distinguere dove è presente l’intervento miracoloso e dove l’operazione magica.

 

Numerosi sono gli esempi riportati dalle leggende agiografiche in cui i cristiani destinati al martirio e i pagani si accusavano a vicenda di professare arti magiche. La resistenza fisica e l’indifferenza dimostrate dai martiri cristiani, durante le torture subite, dovettero sembrare ai pagani opera di magia. Sant’Ignazio di Antiochia, accusato di praticare arti magiche per non avvertire dolore, durante i supplizi, si difende affermando «Noi cristiani non siamo maghi, e anzi secondo la nostra consuetudine i maghi li consideriamo segni di morte». Negli scontri tra Santi e maghi, l’uomo di Dio è vincitore; ma per la mentalità di un pagano, di un ebreo, di chi professava una religione diversa, il Santo cristiano poteva apparire soltanto come un mago con poteri superiori.

Basta ricordarsi, infine, di alcune verità come le seguenti: il cristiano non grida con superbia attraverso formule, scongiuri e false preghiere, ma si rivolge a Dio con le parole che Gesù stesso gli ha insegnato, chiedendo che: «sia fatta la Sua volontà»; i doni carismatici possono venire solo da Dio e vengono elargiti in modo gratuito alle persone sante. Occorre pertanto abbandonarsi con fiducia nelle mani della Provvidenza per ciò che concerne il futuro e fuggire da ogni curiosità malsana.

Vito Lozito 1943-2004), nel suo libro “Agiografia, Magia, Superstizione” (Levante) scrive: «Simone è il tipico mago professionista avversato, nell’arco dei secoli, dai pensatori cristiani. Egli, infatti, osservando le guarigioni e gli esorcismi effettuati dall’apostolo Filippo, ne rimase meravigliato, si fece battezzare e chiese agli Apostoli che gli fossero resi noti i loro poteri, ritenuti da lui magici, previo pagamento, come, molto probabilmente, aveva fatto per le arti magiche, da lui precedentemente apprese». San Pietro, indignato, rifiutò e con disprezzo gli ingiunse di andar via».

Il termine magia deriva dal greco magheia, che significa scienza, saggezza. I Magi, ad esempio, erano antichi sacerdoti persiani. Anche il Nuovo Testamento parla di maghi e magia: i Magi, che secondo il racconto di Matteo, si recano alla ricerca del Bambino Gesù guidati dalla stella, non sono però maghi nell’accezione moderna del termine, ma piuttosto scienziati o sapienti.

 

Infatti, così scrive Matteo: «Quando Gesù fu nato a Betlemme di Giudea ai tempi di Re Erode, ecco apparire dall’Oriente a Gerusalemme alcuni Magi, i quali andavano chiedendo dove fosse nato il Re dei Giudei, perché – dicevano – avevano visto la sua stella al suo sorgere ed erano venuti ad adorarlo […]». Matteo (II, 1-2).

 

Ma cos’è la magia? È l’arte di dominare le forze occulte della natura e sottoporle al proprio potere. Essa è stata oggetto in varie culture e in diversi periodi storici di valutazioni opposte, ora considerata forma di conoscenza superiore, ora rifiutata come impostura e condannata dalle autorità civili e religiose. Nel pensiero greco antico, il termine indicava sia la teologia dei sacerdoti persiani, sia il complesso di teorie e pratiche collegate a realtà diverse da quelle oggetto della scienza filosofico-razionale. Ai maghi, sacerdoti dell’antica religione persiana, erano attribuite doti di astrologi, indovini e stregoni. In tempi moderni, con l’avvento di un ideale scientifico razionalistico, matematico e sperimentale, il termine magia assume spesso il significato deteriore di insieme di pratiche prive di fondamento, e quindi arbitrarie quando non fraudolente.

La magia è un fenomeno abbastanza diffuso nel mondo. In Italia c’è ancora chi timoroso e fiducioso si rivolge a maghi e fattucchiere per ottenere amuleti e portafortuna, oggetti che dovrebbero avere la prerogativa di allontanare la iella, la sfortuna o il malocchio. Ma questi oggetti, pur in commercio, sembrano funzionare di più se il loro potere, tutto da verificare, è attribuito e trasmesso da chi li prepara: maghi, stregoni e sciamani. Quest’ultimo personaggio, nelle religioni siberiane e nordamericane, sembra dotato di eccezionali poteri, che facendo da intermediario con il mondo celeste e infernale, guarisce le malattie e accompagna le anime nel regno dei morti.

 

Lo sciamano, secondo l’antropologo francese Claude Levi-Strauss, «…non è completamente privo di conoscenze positive e di tecniche sperimentali che possano spiegare in parte il suo successo; per il resto, disordini del tipo che oggi si chiamano “psicosomatici” e che rappresentano una gran parte delle malattie più diffuse nelle società a debole coefficiente di sicurezza, devono spesso cedere a una terapeutica psicologica. In complesso, è verosimile che i medici primitivi, come i loro colleghi civili, guariscano almeno una parte dei casi che curano e, che, senza questa efficacia relativa, le usanze magiche non avrebbero potuto conoscere la vasta diffusione che è loro propria, nel tempo e nello spazio».

Per il mondo antico la magia ha rappresentato un elemento di progresso, contribuendo a suscitare nell’uomo il desiderio di sfuggire ai propri limiti, stimolandolo alle successive scoperte. La magia a sua volta si divide in bianca, benefica, che soccorre e conforta, e nera, malefica, che essendo diabolica e nefasta, perverte e distrugge. Conseguentemente i maghi che esercitano la magia bianca, vengono accettati, ricercati e ben remunerati, mentre quelli che esercitano quella nera rappresentati dagli stregoni, sono meno consultati poiché molto temuti.

Capita di chiamare “uccello del malaugurio” una persona che porta cattive notizie. La frase deriva, forse, dall’antica tradizione etrusca o romana di trarre gli auspici dall’osservazione del volo degli uccelli. L’augure, infatti, era nell’antica Roma il sacerdote divinatore, che interpretava il modo di volare degli uccelli e ne traeva le previsioni. Il modo di dire potrebbe anche alludere alla superstizione popolare che ritiene di cattivo augurio il verso di certi uccelli come la civetta, il gufo, il corvo e la cornacchia, considerati annunciatori di disgrazie, per i loro versi lugubri e lamentosi.

Che differenza c’è tra magia e religione?

Nella credenza popolare la prima rappresenta un insieme di pratiche, la cui efficienza dipende dal mago o dallo stregone, ritenuto onnipotente (?), e quindi in grado di controllare le forze soprannaturali evocate con alcuni rituali.

 

La religione invece può solo rendere favorevole una volontà, riconosciuta superiore, sia nelle pratiche religiose sia dalle stesse persone che le compiono. Così il sacerdote prega le divinità e spera di essere esaudito, il mago invece compie direttamente le azioni, pronunciando incantesimi miranti ad ottenere l’effetto sperato.


E tra religione e superstizione?
Monsignor Giuseppe Maggioni, Delegato arcivescovile dal 1994 al 2008 per i Rapporti con i Nuovi Movimenti Religiosi per il Servizio per l’Ecumenismo e il Dialogo. dell’Arcidiocesi di Milano, sostiene che «l’atteggiamento di fede consiste nel rendere a Dio l’adorazione e l’obbedienza che gli sono dovute in modo adeguato, mentre la superstizione (da «super-stare») consiste nel prestare culto divino a chi non è dovuto o nel modo sbagliato. Il che stravolge le finalità della vera religiosità, che tende invece a lasciarsi istruire dalla sapienza di Dio per poter fare la sua volontà».

 

https://www.giornaledipuglia.com/2021/09/atei-e-ateismo.html

ATEI E ATEISMO

L’ateismo è il non credere nell’esistenza di Dio o di ogni altra divinità per agnosticismo, scetticismo o indifferenza religiosa. Il termine, riferito all’atteggiamento di pensiero e di vita di chi non aderiva alle credenze religiose o alla filosofia ufficiale della propria comunità, fu spesso confuso con il materialismo, il panteismo, ecc.


Adriano Pessina, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore scrive sull’Osservatore Romano: «Che fine ha fatto l’ateismo contemporaneo? Se fino a qualche anno fa, complice la svolta filosofica moderna che rendeva dogmaticamente impossibile, per definizione, il discorso dedicato alle prove dell’esistenza di Dio, l’ateismo si presentava in primo luogo dentro lo spazio pragmatico dell’irreligiosità e dell’indifferenza, oggi assistiamo a una duplice svolta.

 

La prima riguarda la ripresa dell’ateismo teoretico alimentato dal riferimento al discorso scientifico. Dopo le stagioni classiche dei maestri del sospetto (Marx, Nietzsche, Freud), oggi è la volta del neodarwinismo e delle neuroscienze a fornire argomenti affinché si creda che Dio - che alcuni autori preferiscono scrivere con la D minuscola - non esiste. La seconda, più interessante, forse, è quella che si premura di affermare che l’ateismo può costituire una nuova forma di moralità.

Anche in questo caso si potrebbero trovare degli antecedenti storici, nell’epoca moderna, citando il dibattito tra Pascal e libertinismo erudito, o pensando al celebre pamphlet di Sartre sull’ateismo come umanesimo».


Maurizio Patriciello scrive su ‘Avvenire’ di giovedì 3 gennaio 2019, a proposito dell’udienza generale di Papa Francesco sul “Padre Nostro”, riflettendo sulla condizione del credente e dell’ateo: «Da sempre l’uomo si chiede chi è, da dove è sbucato, verso quale meta s’incammina. La storia del pensiero filosofico è affascinante. Come ha fatto Platone a non accorgersi degli errori che gli rinfaccia Aristotele? Ma tra l’antico maestro e il giovane discepolo chi aveva ragione? Da secoli è un continuo rincorrersi d’idee, teoremi, sistemi, visioni del mondo, della storia, dell’umanità. Visioni che poi si traducono in scelte politiche, gesti concreti, decisioni. C’è chi crede che il cielo è vuoto e chi, invece, dietro il creato scorge il Creatore.

 

Ognuno è libero di credere come meglio crede. I due si possono fare un grande bene o un grande male, dipende da loro. Gli atei non sono un corpo indissolubile. Alcuni vivono la loro situazione come un dramma, altri come una liberazione, altri senza porsi problemi. C’è chi si dice felicemente ateo e chi, invece, non può fare a meno di invidiare i credenti.

 

Nemmeno i credenti sono un blocco monolitico. Circoscrivendo il discorso ai cristiani, non possiamo non ricordare come ci siamo divisi nel corso dei secoli. Non è stato un bene. Purtroppo indietro non si torna, ma tutto ciò che può essere fatto per restringere l'orribile fossato va fatto. Verso tutti. Senza complessi d’inferiorità, senza sussulti di superiorità».

 

L’arcivescovo e teologo spagnolo Fernando Sebastián afferma nella sua ultima opera “La fe que nos salva” (Ediciones Sigueme), che “il problema numero uno della Chiesa di oggi è aiutare la gente a credere”. A suo parere, infatti, “Ieri l’ateismo era nella mente di alcuni filosofi.

 

Oggi l’ateismo lo abbiamo in casa, nei cugini, nipoti e vicini. L’ateismo ci coinvolge tutti e il vivere come se Dio non esistesse è diventato una sorta di ateismo per omissione”. Per Benedetto XVI questo impegno è necessario anche nella Chiesa, poiché “la sfida di una mentalità chiusa al trascendente obbliga anche gli stessi cristiani a tornare in modo più deciso alla centralità di Dio (…) Perciò non meno urgente è riproporre la questione di Dio anche nello stesso tessuto ecclesiale”.

 

Ma al di là della filosofia e della religione, vediamo i pareri di vari personaggi sull’ateismo.

 

Giovanni Papini (1881-1956), poeta e saggista. «Il diavolo non è ateo… Si potrebbe invece dire che Dio è ateo. La fede infatti presuppone un rapporto tra chi crede e l’oggetto del credere. Ma Dio è Colui che è… Egli ha la consapevolezza di sé, non già quel che noi chiamiamo fede o credenza. A Dio solo, appunto perché Dio, è concesso di essere ateo. Satana, invece, che è una creatura, è forzato a credere in Dio: è un teista. Può combatterlo, ma proprio per questo lo conosce e lo riconosce».

 

Joseph Joubert (1754-1824), filosofo: «Ci sono due sorte di ateismo: quello che tende a fare a meno dell’idea di Dio e quello che tende a non tener conto del suo intervento nelle cose del mondo. Più pericoloso il secondo».

 

Francesco Bacone (1561-1626), filosofo e uomo politico: «L’ateismo è più sulle labbra che nel cuore dell’uomo».

 

Pierre Reverdy (1889-1960), poeta e aforista francese: «L’ateismo è più sulle labbra che nel cuore dell’uomo».

 

Petre Tuţea (1902-1991), filosofo e scrittore: «Senza Dio l’uomo rimane un povero animale, razionale e parlante, che viene da nessuna parte e va non si sa dove».

 

Abramo Lincoln (1809-1865), avvocato, politico e presidente degli Stati Uniti d’America: «Io non posso comprendere che un uomo guardi la terra e sia ateo, ma non posso immaginare che guardi il cielo e dica che Dio non c’è».

 

A voi i commenti e le conclusioni.

 

 

https://www.giornaledipuglia.com/2021/03/la-chiesa-di-s-maria-di-loreto-mola-di.html

LA CHIESA DI S. MARIA DI LORETO A MOLA DI BARI





 

È stato pubblicato recentemente il volume di Vincenzo D’Acquaviva “La Chiesa di S. Maria di Loreto a Mola di Bari tra passato, presente e futuro” (Youcanprint).

“Un vero gioiello per la maestà delle linee, per il superbo campanile, lo splendore del rosone, il prezioso altare ligneo, l’ornato, le tele…”, così definito da Monsignor Domenico Padovano nella prefazione. Per essa, che rappresenta la Casa di Dio, dobbiamo avere la stessa cura e lo stesso rispetto che riserviamo per le nostre case.

Il volume di grande formato illustra e passa in rassegna le vicende storiche della Parrocchia, le vicissitudini del campanile, più volte colpito dai fulmini, dei lavori di restauro che si sono susseguiti nel tempo, al ruolo dei padri Vocazionisti, al ruolo delle Confraternite, ecc.

Non mancano i contributi del maestro Nicola Diomede, di Laura Spinelli (il campanile di Loreto), di Anna Aprile (il restauro della Chiesa di S. Maria di Loreto), di Pasquale Trizio a proposito della Cappella della Madonna delle Grazie, situata sulla strada tra Mola e Cozze, un tempo strada consolare.

“Le chiese - scrive Mons. Padovano - sono libri di pietra dalle pagine di sasso su cui è scritta la fede del popolo molese. Vanno custodite come patrimonio di cultura, di arte, di fede tramandata dai padri”. Bene ha fatto l’autore a ricordare ai molesi e agli appassionati di storia le vicende della Chiesa di S. Maria di Loreto nella quale, i marinai prima di avventurarsi in mare ed i contadini al termine della giornata di lavoro, si fermavano in preghiera.

Vincenzo D’Acquaviva autore di varie pubblicazioni tra cui: “Il sogno americano e… l’altra America (Ed. Giuseppe Laterza), “Il Mondo Nuovo” (Ed. Levante), e “La marineria molese del ’900” (Grafiche Vito Radio Editore), è stato corrispondente per molti anni della rivista “L’Idea Magazine” di Brooklyn, collabora dal 2016 col quotidiano “America Oggi”, in circolazione negli Stati Uniti d’America. Con questa pubblicazione, di grande formato e illustrata, è alla sua quarta esperienza editoriale.

Il testo è reperibile da “Amazon” e nelle librerie.

 

 

 

https://www.giornaledipuglia.com/2020/11/gli-insediamenti-francescani-bari.html

 

 

 

GLI INSEDIAMENTI FRANCESCANI A BARI

 

 

Il francescanesimo è il movimento iniziato da san Francesco d’Assisi, ispirato alla purezza evangelica, alla povertà e all’amore verso tutte le creature.

Il gruppo, costituitosi intorno a San Francesco a partire dagli anni 1208-1209, è segnalato nelle fonti quando ormai, ottenuta l’approvazione pontificia (1210), si era irrobustito numericamente, si era diffuso nelle varie regioni d’Italia, aveva organizzato una prima normativa e si era dato una denominazione definitiva e una struttura attraverso le riunioni capitolari annuali.


Dell’esperienza francescana in Puglia se ne discusse in un Convegno organizzato dalle Università di Bari e Lecce e dal Movimento francescano di Puglia, che si tenne a Bari-Foggia-Lecce dall’11 al 15 ottobre 1982 con il patrocinio del Ministero dei Beni Culturali e Ambien­tali e della Regione Puglia, nel quale tennero importanti relazioni i proff. C.D. Fonseca, rettore dell’Università della Basilicata, L. Pellegrini dell’Università di Chieti e Padre. Mariano da Alatri, presidente dell’Istituto Storico dei Cappuccini in Puglia e molti altri studiosi del fenomeno.




 

Di interesse letterario e storico-artistico le relazioni svolte dai proff. F. Tateo e G. B. Bronzini dell’Università di Bari e da P. Belli D’Elia, direttrice della Pinacoteca provinciale di Bari.

Ma quali furono gli insediamenti francescani in Bari? Damiana Iannone, li illustra in un “Quaderno Monografico del Comune di Bari “, (il n. 7, Mario Adda Editore), nel quale parla di chiese e case religiose dentro e fuori le mura.


I primi francescani che si insediarono a Bari furono i “conventuali” nell’anno 1300. Nella seconda metà del XIII secolo, grazie a elargizioni di sovrani angioini, si iniziò la costruzione, accanto al convento, della chiesa consacrata poi a San Francesco in cui venne incorporata la cappella di Santa Caterina, donata in precedenza dalla nobile famiglia barese dei Dottula. Al complesso fu dato il nome di “San Francesco della Scarpa”, per il fatto che i frati ospitati abbandonarono l’uso dei sandali a favore delle scarpe, ma secondo altri fu denominato “della scarpa” per distinguerlo dalla comunità dei conventuali da quella degli osservanti, insediatisi a Bari nel 1436 nel convento di San Pietro nei pressi dell’attuale porto. Questi ultimi portavano gli zoccoli ed erano detti “zoccolanti”.


Nei primi decenni del XV secolo un gentiluomo di Pisa, o secondo altri di Pesaro, tale Baldovino Carrettone, “per mostrarsi grato al Signore per le terrene comodità concessegli e per far cosa grata ai Baresi”, fondò sul mare “un bel convento di Frati dell’osservanza di San Francesco”, nei pressi della chiesa di San Pietro Maggiore, che secondo una remota tradizione, era stata eretta accanto allo “speco”, ove l’apostolo Pietro aveva celebrato la prima volta il santo sacrificio. La chiesa nonostante fosse stata ceduta ai francescani, continuò ad essere sotto la protezione della famiglia de’ Casamassimi. I frati dell’osservanza a causa della vetustà e della rovina della chiesa, grazie ai sussidi dell’università (l’amministrazione civica), ne fecero costruire un’altra “assai bella e capace”, successivamente denominata, insieme al convento, “S. Pietro delle Fosse”, per la presenza nelle vicinanze di fosse poi convertite in cisterne.

Successivamente seguirono la chiesa di Santa Chiara e quella di Santa Croce (fuori le mura). All’inizio del XVII secolo i frati minori riformati iniziarono la costruzione del convento e della chiesa, fuori le mura della città, verso la porta di mezzogiorno. Iniziata la costruzione nel 1617, il complesso fu terminato nel 1627, grazie all’università ed all’obolo dei cittadini, la chiesa fu dedicata a San Bernardino e successivamente a Sant’Antonio di Padova.

La posizione del Convento fu risparmiata dalla soppressione murattiana, molto frequentata dalla popolazione abitante nelle vicine campagne. La popolazione barese, particolarmente attaccata a quei frati, con una supplica sottoscritta da 141 ‘zelanti’, implorò al duca di Canzano, la grazia di non essere privati della chiesa e il ministro della Giustizia e del Culto dispose la conservazione del convento dei riformati, in luogo di quello degli osservanti che fu soppresso.

 

 

La chiesa, composta 7 altari, dispone tra le statue, di una grande e “buona” in cartapesta della Madonna dell’Assunta e una lignea “bona e moderna” della Madonna Addolorata, oltre al grande Crocifisso, molto venerato.

Dopo il crollo della chiesa seicentesca, la nuova chiesa dedicata a Sant’Antonio, venne benedetta il 18 maggio 1839 da p. Giuseppe Maria Giove, vescovo di Gallipoli e già ministro dell’Ordine della provincia di San Nicolò.

Nel 1925 venne fondata la Pia Associazione di S. Antonio, dichiarata poi Confraternita da papa Giovanni XXIII.

Nel 1936, in seguito al progetto della costruzione di un collegio missionario, fu necessario erigere una nuova facciata della chiesa con il relativo ampliamento dell’area interna della chiesa ed una sistemazione del sagrato.

Per i 50 anni della Parrocchia di Sant’Antonio di Padova, oggi Santuario, Paolo Malagrinò e Anna Maria Tripputi, pubblicarono nel 2006 il volumetto “Sant’Antonio mio benigno…”, nel quale si fa la storia della presenza francescana in Puglia, dei conventi e delle devozioni nella chiesa di Sant’Antonio. Il testo nell’appendice documentaria descrive anche l’Archivio e la biblioteca di San Bernardino e il patrimonio artistico del Convento.

Recentemente (8 dicembre 2015) la Chiesa di Sant’Antonio da Padova di Bari è stata elevata, dall’Arcivescovo di Bari-Bitonto, Monsignor Francesco Cacucci, alla funzione di Santuario. Oggi il Santuario è retto da padre Vito Dipinto.

 

 

 

https://www.giornaledipuglia.com/2020/09/arte-e-storia-di-alcune-cattedrali-di.html

 

 

 

 

ARTE E STORIA DI ALCUNE CATTEDRALI DI PUGLIA





Uno dei percorsi turistici possibili e imperdibili della Puglia è rappresentato dalle numerose Cattedrali, ove si snoda la storia della civiltà della Regione, attraverso l’edificio di culto che da sempre rappresenta il simbolo della sua identità ed il segno concreto della presenza divina.

La Puglia è una regione che ha un gran numero di cattedrali e basiliche nelle quali si identifica la forza e il ruolo del territorio. Svettanti campanili che altro non sono che punti di riferimento per il cittadino e il forestiero. La Puglia rappresenta il crocevia del Mediterraneo, si capisce quindi come le espressioni artistiche sono frutto dei vari “passaggi” di stranieri, anche illustri, che nel corso della storia si sono avvicendati su questa terra lasciando i segni della loro presenza. Basti ricordare Federico II di Svevia.

Stefania Mola, ha pubblicato, qualche tempo fa, per la serie “Puglia in tasca”, l’agile volumetto “Puglia. Le Cattedrali” (Adda Editore), dedicato alle numerose Cattedrali che si snodano in ogni parte della Puglia, comprese le Isole Tremiti, con le inconfondibili foto di Nicola Amato e Sergio Leonardi.

Sulle tracce di re, santi, mercanti, pellegrini e guerrieri, una delle tappe di grande interesse è rappresentata dal Gargano con la Montagna Sacra (Monte S. Angelo), dedicata a San Michele Arcangelo, polo di incontro tra le culture d’Oriente e d’Occidente, con il monumentale portale d’accesso e la scalinata che conduce alla Grotta.

 

Fu realizzato nel 1395 per desiderio di una principessa angioina.

Bari vanta la presenza della stupenda Basilica (XI secolo), dedicata ad un Santo mondiale, San Nicola.

Non è una Cattedrale, poiché non è sede vescovile, ma è uno dei più importanti Santuari della cristianità occidentale e meta di pellegrini provenienti da ogni angolo del mondo, soprattutto dalla Russia, ove San Nicola è considerato “il Santo”.

 

Solenne e severa nel cuore di Bari vecchia, a metà tra fortezza ed edificio di culto, sorge in un’area, vicinissima al mare, nel cuore di Bari vecchia, a metà tra fortezza ed edificio di culto, sorge in un’area, vicinissima al mare, detta “Cittadella Nicolaiana”.

Qui riposano le sue spoglie, un Santo ecumenico venerato con identico entusiasmo da Oriente e Occidente.

A Barletta (BAT), fa bella mostra di sé la Cattedrale di Santa Maria Maggiore, restaurata qualche lustro fa e restituita alla comunità barlettana. Tra le novità emerse dai lavori, il ritrovamento di almeno due edifici di culto più antichi con le loro preziose decorazioni.

L’edificazione della attuale Basilica iniziò intorno al 1140 e dopo il 1307 venne ampliata la zona del presbiterio, a tre navate, con la costruzione di un corpo aggiuntivo.


A Trani è presente la stupenda Cattedrale dedicata a San Nicola Pellegrino (XI secolo), che si leva altissima come una gigantesca nave arenata, dominando il centro antico della città.

La Chiesa ha preso il posto di una basilica più antica dedicata a Santa Maria.

La Cattedrale di Ruvo di Puglia, eretta tra XI e XII secolo nell’area di una più antica sede vescovile, si distingue per il singolare slancio della facciata, dagli spioventi particolarmente inclinati, aperta al centro con un ampio rosone e nella zona inferiore da tre portali.

Edificata secondo il modello della Basilica barese di San Nicola è dedicata a Santa Maria.

A Troia (FG) è presente la Cattedrale di Santa Maria Assunta, considerata uno dei capolavori dell’architettura romanica di Capitanata con il suo splendido rosone ad undici raggi del XIII secolo, vero e proprio fulcro della logica compositiva della facciata, esaltata dal raffinato lavoro di traforo.

Anche Bitonto (BA) è sede di una Cattedrale costruita tra XII-XIII secolo, dedicata a Santa Maria Assunta e San Valentino, costruita secondo il modello di quella di San Nicola di Bari.

A Ostuni (BR), la città bianca, fa bella mostra la straordinaria Cattedrale dall’elegante profilo ondulato, aperta da un monumentale rosone, eretta in pieno quattrocento e dedicata anche a Santa Maria Assunta.

Che dire della Basilica di Santa Caterina d’Alessandria di Galatina (LE), con i suoi meravigliosi affreschi che richiamano la più celebre Basilica di Assisi, uno dei più insigni monumenti dell’arte romanica pugliese e gotica in Puglia.

La Cattedrale di Otranto (LE), eretta ai margini della città antica, in passato roccaforte del potere bizantino.

 

Nota per il famoso mosaico pavimentale, un prezioso “tappeto” datato 1163 e firmato dal prete Pantaleone che ideò il disegno e diresse i lavori. Il Duomo è ricordato anche per la Cappella dei Martiri, che conserva le ossa di gran parte degli 800 martiri del 1480, proclamati Santi da Papa Francesco.

La Cappella è chiusa da un grande portale barocco e da una cancellata.

 

Le Cattedrali presentate sono solo un piccolissimo esempio degli importanti e numerosi edifici di culto di notevole interesse artistico e religioso che insistono nel territorio pugliese.

Non ci resta che una passeggiata in compagnia del testo di Stefania Mola, per scoprire i molteplici tesori di cui dispone la Regione Puglia.

 

 

 

 

https://www.giornaledipuglia.com/2020/06/celebrazione-eucaristica-per-i-50-anni.html

 

 

 

CELEBRAZIONE EUCARISTICA PER I 50 ANNI DI ORDINAZIONE DI PADRE GERARDO CIOFFARI




Questa sera alle ore 18,30, presso la Basilica di San Nicola in Bari, celebrazione eucaristica, in occasione del 50° Anniversario di ordinazione sacerdotale di padre Gerardo Cioffari o.p., presieduta da Monsignor Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari-Bitonto.

Per l’occasione, padre Cioffari, il superlativo storico della Basilica barese, ha inviato a conoscenti ed amici, un lavoro editoriale in PDF, fatto in tempo di Coronavirus: due volumi di fonti latine su San Nicola con commento (per ora), solo in italiano.

Trattasi della raccolta “De S. Nicolao. Scripta Latina Selecta” relativa ai secoli VII-XI e XII-XV, che l’instancabile storico della Basilica barese, intende mettere a disposizione degli studiosi una buona quantità di fonti latine su San Nicola, in gran parte già edite, anche se in pubblicazioni non sempre facili da reperire. Una parte consistente è tratta dalle edizioni dei Bollandisti nelle varie descrizioni dei Cataloghi di manoscritti della Biblioteche più note. Molti altri testi sono tratti da varie pubblicazioni piuttosto rare che padre Cioffari ha proceduto ad una personale trascrizione.

 

«L’interesse filologico, scrive padre Cioffari, non deve nuocere alla storia, continuando a fare rinvii per così dire “neutri”, perpetuando una confusione che non c’è più (quasi che la nostra conoscenza fosse rimasta al periodo pre-illuministico). Dato, invece, che si tratta di testi ben noti, grazie alla scoperta della Vita di Nicola di Sion da parte di Niccolò Carmine Falcone (1751), mi è sembrato inutile e fuorviante rinviare alle edizioni del Falcone o dell’Anrich, costringendo il lettore ad andare a verificare.

Essendo tali testi ben noti (anche in lingue moderne) e riferentisi a due epoche ben diverse (Costantino e Giustiniano), pur mantenendo la divisione in capitoli dell’Anrich, ho preferito rinviare direttamente al testo affinché il lettore percepisca subito a quale Nicola ci si sta riferendo, se al Nicola di Mira del tempo di Costantino o al Nicola, archimandrita del monastero di Sion e vescovo di Pinara, del tempo di Giustiniano.

Che per otto secoli tale confusione abbia prevalso nella devozione nicolaiana, non giustifica il fatto di volerla perpetuare. Quanto alla Traslazione ho riportato i testi baresi, veneziani, genovesi e beneventani, in modo da avere un quadro il più completo possibile. Non mancano i testi liturgici e l’innografia sviluppatasi fino all’XI secolo».

Rallegramenti vivissimi e auguri a padre Cioffari da parte del “Giornale di Puglia” e mio personale per l’onore della sua amicizia.

 

 

https://www.giornaledipuglia.com/2020/06/la-cattedrale-di-bari-in-un-volume-di.html

 

 

 

LA CATTEDRALE DI BARI IN UN VOLUME DI ROSSELLA MAURO

 

 

- Adda Editore ha di recente pubblicato l’agile volume di Rossella Mauro “Bari: La Cattedrale”, con le immagini di Nicola Amato.

Com’è noto la Cattedrale di Bari è una delle grandi opere romaniche sorte dopo l’anno mille. Essa rappresenta il simbolo della città medievale, l’edificio più importante dove si svolgevano cerimonie religiose, ma anche manifestazioni civili e politiche.

Secondo la tradizione Bari ebbe per primo Vescovo un discepolo di San Pietro, San Mauro, e fu elevata a metropoli delle Puglie sotto l’impero dei Greci. Pare indubbio che una chiesa episcopale sorgesse sullo stesso posto sin dal secolo VI, con a fianco il battistero, trasformato poi nell’ancora esistente costruzione cilindrica chiamata “Trulla”.




Sulla facciata si possono notare animali e creature fantastiche (il bestiario), caratteristica delle facciate delle chiese medievali. Essi rappresentano i custodi del luogo sacro, pronti a lottare per difendere il bene.

Il massimo Tempio di Bari, ultimo in ordine di tempo fra le cattedrali romaniche pugliesi, racchiude nell’eleganza e nell’aristocratica bellezza delle forme architettoniche l’intimo anelito dell’uomo medioevale che seppe coniugare spirito e arte. L’armonia che traspare dall’edificio in stile romanico pugliese riesce a rapire ancora oggi l’uomo moderno e lo invita alla preghiera e all’incontro con Dio.

 

Il grande edificio, uno dei monumenti più caratteristici e significativi di Bari, spicca tra le case della città vecchia e mostra immediatamente l’armoniosità della sua struttura. I due bracci della croce latina si incrociano imponenti e lo sguardo del viandante è subito rapito dal tiburio ottagonale (speciale copertura esterna di certe cupole), cinto da fini ricami di pietra, per poi elevarsi fino all’alto campanile.

 

La pubblicazione, che vanta le presentazioni di Monsignor Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari-Bitonto, e di Monsignor Francesco Lanzolla, parroco della Cattedrale, presenta la storia, la descrizione degli esterni (la trulla, il tiburio e il Palazzo Arcivescovile), la Cripta, con l’altare dedicato a San Sabino e la venerata icona della Madonna Odegitria.

 

Particolare attenzione è dedicata al sito archeologico il “Succorpo”, un tesoro che racchiude la storia più antica del monumento e permette di osservare strutture e resti archeologici relativi a 4 momenti storici: la fase romana, la fase paleocristiana, la fase medioevale e la fase moderna.

 

 

La curiosità. Il 21 giugno di ogni anno, giorno del solstizio d’estate, nella Cattedrale si verifica un evento straordinario: il sole che bacia la terra. In questo giorno, intorno alle ore 17,00 (ora legale), i raggi del sole provenienti dal rosone centrale con i suoi 18 petali, posizionato sulla facciata principale, vanno a combaciarsi esattamente sul corrispondente rosone in marmo delle stesse dimensioni, collocato sul pavimento della navata. L’effetto avviene solo una volta l’anno e soltanto in questo giorno.

 

 



L’eccezionale avvenimento è dovuto al movimento della Terra intorno al sole ed al fatto che il grande tempio sacro è stato costruito con l’abside rivolta verso l’Oriente. Secondo la tradizione, i primi cristiani pregavano indirizzandosi verso il punto in cui sorge il sole. Nel medioevo, infatti, l’uomo aveva uno stretto rapporto con la luce.

 

 

https://www.giornaledipuglia.com/2020/06/perche-nel-1098-si-tenne-bari-il.html

 

 

 

PERCHE' NEL 1098 SI TENNE A BARI IL CONCILIO?

Monsignor Mariano Magrassi (1930-2004), Arcivescovo di Bari-Bitonto e Delegato Pontificio della Basilica di San Nicola, indisse, nel 1998, le Celebrazioni per il IX Centenario del Concilio di Bari del 1098.

Il programma, promosso dall’Arcidiocesi Bari-Bitonto e dalla Basilica Pontificia di San Nicola, vide la partecipazione di Mons. Cosimo Damiano Fonseca, Mons. Luigi Stangarone, padre Gerardo Cioffari o.p., Mons. Gaetano Barracane e il Metropolita di Efeso, Mons. Khrysostomos Kostantinidis che presiedette la Divina Liturgia Bizantina. 

Il Concilio di Bari, voluto da Papa Urbano II (1040-1099), la cui attività era sorretta da una ferrea volontà e da una fede ardente, lo indussero ad affrontare sacrifici e pericoli nei suoi viaggi in Europa. Egli, infatti, programmava assemblee sinodali per sentire le opinioni del suo clero, per vagliare sentimenti altrui, per modellare i costumi secondo una morale cattolica perfetta, finalizzata a portare sia il mondo ecclesiastico che quello civile a un regime di vita, in cui fossero prevalenti i valori della pace, della concordia e della rettitudine.

L’azione, che si compì sotto la giurisdizione di Michele Cerulario, Patriarca di Costantinopoli (1043-1058), vide lo scisma della chiesa greca dalla latina, chiamato anche “Scisma d’Oriente”, che si propagò anche in Puglia, dove trovò ampi consensi tra il clero, per cui si rendeva necessario un Concilio in Puglia e proprio a Bari, per arrestare l’estensione dello scisma e tentare di riallacciare la pace tra le due Chiese, dove già esse s’incontravano ed anche per la conoscenza reciproca di usi e costumi.

Così Bari, città marittima più vicina al mondo orientale e ben conosciuta a Costantinopoli, era la più idonea ad ospitare un Concilio di pace religiosa, anche perché la nostra città era stata sede degli sviluppi della insurrezione cerulariana. Inoltre, Bari vantava il richiamo religioso per i Greci, per la presenza della Madonna dell’Odegitria, che significa “indicatrice della strada”, e il corpo di san Nicola, gelosamente custodito, che rappresentava un punto di attrazione per il Concilio finalizzato alla auspicata unione delle chiese.

Il Concilio si svolse nella Cripta Nicolaiana, fedele custode delle ossa di San Nicola e anche per impressionare favorevolmente i Padri del Concilio, con il suo aspetto severo, ispirato ad una grandiosità veramente maestosa.

Le conclusioni? Una smagliante e convincente dissertazione di sant’Anselmo, dopo accese discussioni, calmò gli animi e la tranquillità prevalse, i dibattiti presero toni sereni, l’impulsività orientale fece posto a una ragionata comprensione e i greci d’Italia votarono la completa adesione al dogma della chiesa latina, cattolica, apostolica, romana, e quindi alla perfetta unione con il Papa di Roma.

 

 

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I SANTI PATRONI DI BARI - STORIA E CURIOSITA'

 


 

È arcinoto che la Diocesi di Bari ha sempre venerato come patroni principali Maria Santissima di Costantinopoli o Odegitria, San Nicola e come patrono secondario San Sabino.

Grazie agli storici del tempo, Giulio Petroni e del canonico Niccolò Putignani ed altri, si sa che il 1° novembre 1630 si intuì la necessità di annoverare fra i celesti soccorritori anche Santa Teresa di Gesù e, nel verbale, risulta che l’arcivescovo della città, che era monsignor Ascanio Gesualdo, si adoperò attivamente per fare anteporre San Sabino a San Nicola nell’elenco dei protettori di Bari. Della scelta del monsignore non se ne avvidero i due sindaci, pur presenti insieme ad altre autorità.
Ne nacque un bel putiferio, quando i devoti a conoscenza del fatto, divulgarono la notizia ed il giorno successivo, il sindaco dei nobili, Ferdinando Doppula, e il rappresentante del ceto popolare, Ottavio Melioti, furono costretti a rivolgersi al regio giudice Nicola Antonio Traversa e al notaio Antonio Colajanni, insieme ai testimoni Orazio Visconte, Giuseppe Ventura, Nicola Fanelli, Nicola Donato Carducci, Asdrubale Avanzati, Giovanni di Giacomo Galeota, chierico Leonardo Corregia Penta, per fare verbalizzare le loro giustificazioni, facendo ammenda della loro imperdonabile disattenzione, chiedendo di riportare San Nicola al primo posto, come era sempre stato per centinaia d’anni.

Vediamo con l’aiuto di Vito Antonio Melchiorre (1922-2010), come sono andati i fatti nel tempo, tenendo conto che i patroni erano eletti in virtù delle calamità che sopravvenivano.

Il 23 giugno 1744 gli amministratori comunali dichiararono la Madonna Addolorata Patrona della città e si festeggiava la terza domenica di settembre, mentre l’arcivescovo Muzio Gaeta l’aveva riconosciuta patrona principale di Bari già dal 1709, con l’assenso pontificio.

Il 1° marzo 1751, a causa della caduta di fulmini, ci si affidò a Santa Irene, la cui capacità di allontanare le scariche elettriche era nota per cui il Decurionato il 16 maggio dello stesso anno, incluse la santa tra i Patroni di Bari, chiedendo l’assenso a papa Urbano VIII.

 

Il 7 marzo 1763, lo stesso Decurionato, stabilì di combattere “le miserie dei tempi correnti e le morti repentine”, e decise di affidarsi a San Gaetano da Thiene ed a Sant’Andrea Avellino. Il 18 maggio 1781 toccò a San Francesco d’Assisi, il 14 marzo 1782 a San Francesco di Paola e il 23 marzo 1784 a San Vincenzo de’ Paoli.

Un posto in prima fila era riservato sempre a San Nicola, anche se dal XVII secolo, a causa dei vari dissensi di natura giurisdizionale, fra il capitolo metropolitano e quello di San Nicola, si aggiunse San Sabino in opposizione a San Nicola.

Un altro episodio si verificò nel 1785, quando il priore di San Nicola, Antonio Pignatelli, si rivolse alla Reale Camera di Santa Chiara di Napoli, per denunciare l’operato di diversi vescovi della città per far prevalere San Sabino a San Nicola. La questione destò molto scalpore e nel segreto dell’urna elettorale si votò con il risultato di 24 voti a favore di San Nicola e 3 a favore di San Sabino.

La Sacra Congregazione dei Riti decretò, il 30 gennaio 1793, entrambi i potentissimi santi “patroni aeque principales” della città di Bari.

È il caso di ricordare che oggi sono considerati patroni della nostra città la Madonna di Costantinopoli o Odegitria, insieme a San Nicola, San Sabino e a Maria SS. Immacolata.


In ogni caso nella devozione dei baresi il favorito rimane San Nicola, che tutti ritengono essere l’unico protettore, anche se la Sacra Congregazione dei Riti ebbe a dichiarare, il 14 febbraio 1961, che San Nicola è quello principale e San Sabino quello minore. Quindi “Ubi maior minor cessat”.

 

 

 

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LA FEDE SECONDO PAPA FRANCESCO SI TRASMETTE SOLTANTO IN DIALETTO


 

Che il dialetto sia un elemento facilitante nella comunicazione è fuor di dubbio, come ha sottolineato Papa Francesco, e, l’Italia, che ne vanta in notevole varietà, è fra le nazioni europee che gode il privilegio di avere un elemento in più nella comunicazione, come sosteneva Gerhard Rohlfs (1892-1986), filologo, linguista e glottologo tedesco, soprannominato “l’archeologo delle parole”, che si occupò a fondo della situazione dialettale italiana.

È noto che il dialetto, patrimonio di cultura, storia e tradizioni, secondo alcuni, riveste scarsa importanza, mentre appare sempre più evidente come la somma dei valori umani e spirituali delle diverse località, delineano l’identità di una nazione. Il dialetto è anche una forma di linguaggio verbale più immediata al nostro parlare, funzionando come efficace rafforzamento del nostro eloquio.

Questi, forse, i motivi che hanno ispirato il Santo Padre a dichiarare che «La trasmissione della fede si può fare soltanto “in dialetto”, nel dialetto della famiglia, nel dialetto di papà e mamma, di nonno e nonna. Poi verranno i catechisti a sviluppare questa prima trasmissione, con idee, con spiegazioni».

Franco Lo Piparo, giornalista de “L’Osservatore Romano”, tenta di dare una spiegazione: «Trasmettere a un non ancora parlante la fede “in dialetto” potrebbe dunque voler dire proprio questo: fargli sentire, con parole che l’infante sa riconoscere, la fede come qualcosa di familiare. Il Battesimo “in dialetto” non sarebbe altro che il prolungamento affettivo e cognitivo della vita prima di nascere».
Nel febbraio 2004, Giovanni Paolo II, in occasione di un incontro con i Parroci della Capitale, disse salutandoli: “Volemose bene. Semo romani”, dimostrando che era riuscito ad apprendere i rudimenti della lingua cara al Belli ed a Trilussa.

Anche Papa Francesco, in occasione della “Giornata mondiale della lingua materna” ha evidenziato l’importanza della lingua appresa dalle madri, una lingua capace di resistere alle colonizzazioni ideologiche e di trasmettere la fede. La lingua materna - ha sottolineato Papa Francesco - è un baluardo contro le colonizzazioni ideologiche e culturali, contro il pensiero unico che vuole distruggere le diversità. “Uno degli indicatori di una colonizzazione culturale” - ha detto nella Messa a Santa Marta del 23 novembre 2017 - è “cancellare la storia” per togliere la libertà di pensiero. Come a dire: “La storia incomincia con me, incomincia adesso, con il racconto che io faccio adesso, non con la memoria che vi hanno trasmesso”. Conservare la lingua materna significa resistere a questa imposizione culturale: “Non c’è alcuna colonizzazione culturale che possa vincere il dialetto”. Il dialetto “ha radici storiche”.

Gli studiosi affermano che la parte del cervello che si forma per prima durante la gestazione è l’orecchio, per cui la prima voce che sentiamo è quella della mamma. Esperimenti hanno dimostrato che da subito siamo in grado di riconoscere la voce e quindi la lingua della madre, rispetto ad altre lingue. La prova è facilmente riscontrabile, se si fa attenzione, quando il neonato ciuccia, lo fa più intensamente e con maggiore frequenza quando è esposto alla voce materna piuttosto che a voci di altre persone o di altre lingue. Segno inequivocabile di riconoscimento della lingua materna.

Il giornalista Franco Lo Piparo ha scritto sull’Osservatore Romano, riportando le parole del Papa «La trasmissione della fede si può fare soltanto “in dialetto”». Gli infanti non parlano ma sanno distinguere le voci familiari della lingua materna da quelle di altre lingue. Trasmettere a un non ancora parlante la fede «in dialetto» potrebbe dunque voler dire proprio questo: fargli sentire, con parole che l’infante sa riconoscere, la fede come qualcosa di familiare. Il battesimo «in dialetto» non sarebbe altro che il prolungamento affettivo e cognitivo della vita prima di nascere.

D’altro canto che si può pregare anche in dialetto, e forse meglio, è testimoniato dalle numerose pubblicazioni che riportano, in vari dialetti, Vangeli e Preghiere. Per gli eventuali interessati ne cito solo alcune che hanno tradotto i testi originali utilizzando il dialetto barese.

Luigi Canonico, noto poeta dialettale barese, che ha pubblicato alcuni libri di poesie, proverbi ed altro, si è cimentato, con un’ardua e complessa opera, a tradurre in dialetto barese i Vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Il notevole lavoro fatto da Canonico si intitola «U Vangèle chendate da le quatte Evangeliste: Matté, Marche, Luche, Giuanne veldate a la barése», (Stampa Pressup, Roma).  Augusto Carbonara, invece, ha tradotto in dialetto barese il Vangelo dell’Evangelista Marco «U Vangele alla manere de Marche veldate a la barese» (Wip Edizioni). Infine, chi scrive, in collaborazione con Rosa Lettini Triggiani, ha pubblicato «Pregáme a la Barése» (Preghiamo in dialetto barese), Levante Editore, che presenta non solo le preghiere tradizionali del popolo cristiano (sempre con testo in italiano a fronte), ma anche il “Cantico delle Creature”, “I Comandamenti”, alcune preghiere a San Nicola, a Sant’Antonio, a San Pio, ecc.

In conclusione il Papa invita i cristiani di tutto il mondo a professare la fede «In dialetto» alla maniera in cui una mamma canta la ninna nanna al suo bambino. Proprio come ha fatto Maria. Per questo, Papa Francesco, si è raccomandato a trasmettere la fede “nel dialetto della famiglia”, “di mamma e papà, di nonno e nonna”. Un ‘dialetto’ indispensabile: Se a casa non si parla fra i genitori quella lingua dell’amore, la trasmissione non è tanto facile, non si potrà fare. Non dimenticatevi!

 

 

 

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L’ODEGITRA, "LA MADONNA TURCA CHE SEGNA LA VIA

 

 


In questi giorni, in occasione dell‘evento “Mediterraneo Frontiera di Pace” svoltosi a Bari, Mons. Francesco Cacucci, salutando il Papa, ha ricordato la Madonna Odegitria.

È il caso di ricordare che fra pochi giorni (primo martedì di marzo), si celebra la festività della Madonna di Costantinopoli o Odegitria, Patrona di Bari insieme a San Nicola, San Sabino e a Maria SS. Immacolata.

L’immagine della Madonna Odegitria, venerata nella Cattedrale di Bari, è un’opera cinquecentesca, realizzata su un modello più antico e ritoccata due secoli dopo. Il titolo di “Odegitria” è stato dato nel nostro secolo (anni ’30) e confermato in occasione della settimana “pro Oriente christiano”, svoltasi a Bari nel 1936. Il titolo precedente era “Madonna di Costantinopoli”, attestato per almeno quattro secoli ed il cui ricordo è ancora molto popolare, come testimoniano le edicole della città vecchia e venerata, ancora oggi, nelle Chiese dell’Arcidiocesi e della provincia.

L’icona veneratissima nella capitale stessa dell’Impero di Costantinopoli, secondo la tradizione, fu dipinta da San Luca. L’immagine, che prese il nome di Odegitria, dal luogo in cui era collocata, nel Monastero “delle guide” (ton Odegòn, “indicatrice della via”), andò distrutta nel 1453 durante la conquista turca.

Bari non poteva offrire un segno migliore delle sue connessioni con l’Impero bizantino di quello offerto dalla icona della sua Cattedrale, la “Madonna di Costantinopoli” conservata nella Cripta. Essa è forse la copia di una più antica eseguita, probabilmente, dal pittore Onofrio Palvisino da Monopoli nella prima metà del 1500. È celebrata anche nella nostra città (il primo martedì di marzo), lo stesso giorno in cui si festeggiava a Costantinopoli-

 

Ad alimentare diffusione e devozione dell’Odegitria hanno contribuito notevolmente le Confraternite della Chiesa di S. Maria Venerata di Triggiano, della collegiata di Bitritto, della stessa Cattedrale barese e successivamente della chiesa Matrice di Mola, Binetto e Carbonara, mentre fuori dall’Arcidiocesi, si ricorda a Gravina, Ruvo, Bitonto Bisceglie, Barletta, Corato e Spinazzola.

La Biblioteca Nazionale di Bari, secondo quanto sostiene Francesco Quarto, «...può essere indicata come il luogo presso cui sono conservate le principali testimonianze superstiti della tradizione documentaria e letteraria, manoscritta e a stampa, sulla vicenda della traslazione della icona raffigurante la Madonna col Bambino dalla città di Costantinopoli a Bari».

Padre Gerardo Cioffari o.p., storico della Basilica di San Nicola, ricorda che gli Arcivescovi di Bari fra l’XI e il XIII secolo facevano uso di sigilli di piombo, recanti l’immagine della Vergine Maria, in considerazione del ruolo particolarissimo della Vergine nella pietà cristiana. A Bari sono conservati solo 8 sigilli: quattro nell’Archivio della Basilica di San Nicola, degli arcivescovi Ursone (1078-1089), Elia (1089-1105), Risone (1112-1117), e Andrea (1215-1225), e quattro nell’Archivio Capitolare della Cattedrale utilizzati dagli arcivescovi Rainaldo (1171-1188) e Doferio (1188-1207).

Per coloro che volessero approfondire la materia in fatto di storia, arte e culto, si rimanda alla interessante pubblicazione “L’Odegitria della Cattedrale” a cura di Nicola Bux, edita nel 1995 da Edipuglia, contenente gli atti del Seminario di studio, nel quale per la prima volta, viene affrontata, da varie prospettive, l’analisi della Madre di Cristo, venerata nella Cattedrale barese.

Curiosità

“La cucina popolare barese - scrive Vito Maurogiovanni (1924-2009) - vuole per quel giorno pasta asciutta al sugo di cozze e spaghetti all’aglio e olio, cibi di buon sapore e di grande gusto. Perché anche queste cose sono dono di Dio e della Sua grande Madre” (Gazzetta del Mezzogiorno del 5 marzo 2001).

 

 

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PAPA FRANCESCO E' TORNATO NELLA CITTA' DI SAN NICOLA PER "MEDITERRANEO, FRONTIERA DI PACE"

 

È un vero privilegio aver accolto Sua Santità Papa Francesco, per la seconda volta a Bari, città di San Nicola, in occasione dell’evento “Mediterraneo Frontiera di Pace”, organizzato dalla CEI (Conferenza Episcopale Italiana), che ha registrato nella nostra città la presenza di oltre 60 Vescovi, riuniti nel Castello Normanno-Svevo, per discutere i problemi della pace.

Forse nessun santo della cristianità accomuna tanti fedeli come San Nicola. Il culto di San Nicola è certamente uno dei più diffusi al mondo. La figura di Nicola presenta una poliedricità di interessi e viene considerato uno dei santi più venerati sia in Occidente che in Oriente ed è ritenuto un Santo deciso ed energico e Papa Francesco sotto certi aspetti sta ripercorrendo le stesse orme.

Giovanni Paolo II definì San Nicola il santo “che ha illuminato il cuore di milioni di fedeli d’Oriente e d’Occidente” rappresentando, quindi, un simbolo di pace e riconciliazione fra gli uomini e l’unità nella chiesa.

Nico Veneziani, cardiologo con l’hobby dello studio delle tradizioni, ricorda in una sua pubblicazione come San Nicola è venerato in una vasta area da Oriente a Occidente e deve al mare la diffusione del suo culto nel mondo e nel Mediterraneo in particolare.

L’incontro di questi giorni a Bari è stato dedicato ai rapporti tra i Paesi che si affacciano nel Mediterraneo, dove il culto per San Nicola, santo ecumenico per eccellenza, è notevole. Bari, grazie alla presenza delle reliquie del Santo e della Basilica a Lui dedicata, è da sempre una tappa quasi obbligata nel flusso di pellegrini che dall’Europa centrosettentrionale si recavano in Terra Santa attraversando la Puglia, dando vita al Cammino dell’Angelo e di San Nicola, un itinerario medievale che si collegava a quello di Compostela.

 

 

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LA PREDICA DOMENICALE DOVREBBE ESSERE BREVE, CONCISA E CHIARA

 

 

 


 

L’omelia nella liturgia cattolica è l’esposizione e il commento di passi delle sacre Scritture e del Vangelo che il sacerdote tiene in Chiesa, oppure tratta argomenti di carattere liturgico o sociale. Un discorso solitamente di tono moraleggiante o ammonitore.

Molte volte il sacerdote non è all’altezza di un predicatore ed allora l’omelia risulta noiosa, ripetitiva e pedante. In sostanza l’omelia o la predica dovrebbe essere breve, concisa e chiara e, per fare ciò, servono predicatori che solitamente ascoltiamo solo in particolari periodi dell’anno liturgico come Pasqua, Natale e ricorrenze religiose particolari. Chi predica dicendo quello che gli viene in mente perde il filo del discorso e spesso non dice l’essenziale. A questo punto meglio leggere il commento al Vangelo che improvvisare.

Oggi le omelie sono presenti anche su internet per cui coloro che non sono in grado di predicare possono scaricare l’omelia di interesse e leggerla durante le funzioni religiose, evitando così di annoiare i fedeli.


Sapete cosa si faceva nell’antica Bari nei secoli scorsi? I Capitoli di San Nicola, della Cattedrale e dei maggiori luoghi di culto, data l’importanza delle loro chiese, in occasione di eventi importanti dell’anno liturgico, invitavano famosi predicatori per intrattenere i fedeli sui più svariati temi, facendo grandi sforzi per accaparrarsi i migliori oratori.
Ma per fare ciò era necessario contribuire con oboli ed elemosine per offrire l’ospitalità ai predicatori durante la loro permanenza, addirittura si pagava un canone alle chiese per riservarsi i posti migliori. Quest’ultima abitudine era delle più frequenti al punto che i banchi familiari per l’ascolto delle prediche erano oggetto di compravendita o di lasciti testamentari.

Nel verbale della riunione del Capitolo di San Nicola del 22 gennaio 1636, nella imminenza della Quaresima, l’Abate Coco fece presente la necessità di invitare per le prediche un frate cappuccino e come provvedere alla sua sistemazione. Si pensò, quindi, di rivolgersi a tale Marco Visconte, proprietario di un palazzo nei pressi della Basilica, mentre per il vitto ed altro fu messa a disposizione del procuratore dei Cappuccini una somma di 25 ducati che avrebbe elargito per le esigenze del predicatore, prelevandola da qualsiasi entrata disponibile.

 

 

 

https://www.giornaledipuglia.com/2019/11/san-pasquale-e-il-quartiere-intorno.html

 

 

 

SAN PASQUALE ED IL QUARTIERE INTORNO ALLA SUA CHIESA

 

 


Recentemente la Chiesa di San Pasquale di Bari ha festeggiato i suoi 100 anni e, per l’occasione, è stato pubblicato da Adda Editore il volume “San Pasquale - Il quartiere attorno alla sua Chiesa”.

La denominazione del quartiere deriva dalla piccola cappella rurale dedicata a San Pasquale Baylon, ancora presente e abbandonata su Via Fanelli, la cui zona si chiamava anticamente “Torre Vruongolo”, per poi trasferirsi nella nuova sede di via Carlo Pisacane angolo via Castromediano, i cui confini furono stabiliti con deliberazione del Consiglio Comunale del 14 maggio 1951, fissandoli tra via Salerno (oggi via Amendola), via Capruzzi, via Re David e strada privata Petrera.

Successivamente, Mariano Andrea Magrassi, Arcivescovo di Bari e Canosa, con decreto del 30 settembre 1980, modificò i confini parrocchiali di varie parrocchie, tra cui San Pasquale che così risultavano: a Sud tra Via Fiore, De Ruggiero e Ulpiani, mentre a Nord-Ovest i confini restavano invariati.

Il testo si avvale della collaborazione del parroco Sac. Candeloro Angelillo, è firmato da Nicola Martinelli, Giuseppe Carlone, Michele Di Cosmo e Sergio Bisciglia, e riporta le presentazioni di Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, e di Antonio De Caro, Sindaco di Bari.


Nella pubblicazione si parla della nascita della periferia, della formazione dei quartieri San Pasquale e Carrassi, del progetto e della costruzione della Chiesa omonima, dell’espansione della Bari contemporanea, dei quartieri meridionali nei piani regolatori della città di Bari, dell’espansione del quartiere San Pasquale, della ricostruzione della morfologia sociale, economica e fisica del quartiere osservando le “tracce” nello spazio e, infine, del sistema insediativo storico dei quartieri meridionali di Bari.

La Parrocchia di San Pasquale è impreziosita, come scrive Monsignor Cacucci, dal maestoso mosaico del “Dies Domini”, realizzato dal gesuita Marco Ivan Rupnik, rappresentato dal Cristo pantocratore che sovrasta l’intera opera. L’iconografia è ricchissima con l’Ultima Cena, San Pasquale, San Nicola, San Pio, San Sabino, l’Arcangelo Gabriele, La Vergine Maria, ecc.

Mi piace anche ricordare che sia sul Sagrato che all’interno della Chiesa, sono presenti anche opere della nota scultrice barese Anna Maria di Terlizzi, già docente di discipline plastiche presso gli Istituti d’Arte di Corato e di Bari, che è anche autrice della Cancellata della Parrocchia e del bassorilievo che l’arricchisce.

 


 

Il volume è riccamente illustrato, con foto del tempo e recenti, progetti, appendice documentaria, bibliografia e sitografia.

 

 

 

 

https://www.giornaledipuglia.com/2019/04/storia-dei-santini.html

 

 

 

STORIA DEI SANTINI

Per “Santino” si intende un cartoncino rettangolare stampato, riproducente la figura di un santo o altro soggetto sacro e sull’altro verso una preghiera o, per la prima Comunione, riporta il nome del comunicando con la data della cerimonia.

Santa Teresa d’Avila nel 1566 scriveva nel suo “Cammino di perfezione”: «Cercate di avere un’immagine oppure un dipinto di Nostro Signore e non accontentatevi di portarlo sul cuore, senza mai guardarlo, ma usatelo per “conversare” con Lui».

Il termine “Santino” appare per la prima volta nel 1736. Anche Niccolò Tommaseo nel suo “Dizionario della lingua italiana”, scritto dopo il 1854, propone la definizione di “Santino, immaginetta di Santo, stampata in legno o rame o sovente miniata”.

Per la Chiesa, l’immagine religiosa ha una triplice funzione; quella di ornamento di chiese e luoghi di culto, di insegnamento e di divulgazione e di incitamento alla pietà. La sua diffusione si sviluppò, adattandosi ai cambiamenti delle mentalità, del linguaggio e dei costumi, fra il XIV secolo e la prima metà del XX, proponendo principi di morale, di fede e di amore esaltanti la vita cristiana, adattando schemi che rappresentavano i grandi Misteri, diventando - nei momenti di necessità spirituale - mezzo di conforto, di colloquio con Dio e di intercessione presso i Santi.

La distribuzione delle immaginette avveniva durante le celebrazioni e ricorrenze religiose di un certo rilievo e diffuse nelle missioni presenti nei luoghi più sperduti del mondo. Generalmente venivano conservate nei messali, con sentimenti frammisti tra religiosità e scaramanzia, quasi come reliquie dalle potenti proprietà taumaturgiche. Con le nuove tecniche tipografiche i santini, a causa della divulgazione, venivano conservati non solo nei messali ma anche nei taschini delle giacche e nei portafogli, venivano incorniciati per tenerli sul comodino, sulle culle dei bambini, ecc. Grazie a questo piccolo mezzo i fedeli potevano ritrovare nella loro intimità, quella emozione provata nei momenti di maggiore partecipazione religiosa.

Gli autori si sono sbizzarriti nel produrre bellissime immagini di Angeli, Santi, Natività, Passione di Cristo, ornati con pizzi e nastrini, con lo scopo, forse, di riportare indietro nel tempo, alla mai dimenticata ingenuità dell’infanzia, facendo ricordare all’uomo il suo passato e rendergli, forse, un ulteriore colloquio con Dio.

Un capitolo a parte potrebbe essere riservato ai testi e preghiere riporli a cui sarebbe stata elargito un particolare privilegio, creando quindi un ininterrotto discorso tra terra e cielo e protraendo oltre latate sul retro delle immaginette, alcuni “propagandistici” e tendenti a “reclutare” aderenti alle varie Opere Pie o Associazioni religiose che, tramite una piccola offerta, davano la possibilità - ai vivi e persino ai defunti - di far parte di un più ampio consesso di fede vita gli umani legami. Attualmente i “santini”, non religiosi, vengono utilizzati con il nome di ‘figurine’ peri collezionare le immagini dei giocatori di calcio o per i candidati alle elezioni.

Oggi la frenesia della vita moderna e la mancanza di tempo non consente più di dedicarsi ai pizzi di carta ed ai ricami delle iconografie. Le immaginette odierne sono povere, si rifanno a quelle del passato ma senza il calore di una volta, forse inadatte a trasmettere messaggi che giungano fino all’anima, parlando di Fede, Speranza e Carità.

Probabilmente, per la legge del contrappasso, negli ultimi decenni è iniziata una vera e propria caccia ai santini del passato che, strappati all’indifferenza dei mercanti di carta, delle aste, dei messali di famiglia, sono riapparse negli album dei collezionisti, ancora cariche del primordiale fascino.
A Roma è operante una Associazione di Collezionisti di Immaginette Sacre, l’A.I.C.I.S. (Associazione Italiana Cultori Immaginette Sacre - Piazza Campitelli 9 - 00186 Roma info@aicis.org), che raccoglie cultori, studiosi, collezionisti ed anche coloro che si interessano all’argomento sotto il profilo storico, religioso, folcloristico, culturale e artistico.

Su internet è presente anche il sito www.cartantica.it, dedicato al collezionismo cartaceo, in particolar modo alle immaginette, con articoli relativi alle tematiche religiose.
Il sito, curato da Patrizia Roca, è ricchissimo di rubriche che trattano varie tematiche: dalla religiosità, alle immagini religiose, Medjugorje, Santi e Patroni, collezionismo, ecc., e si avvale di molti collaboratori volontari tra religiosi, laici, storici, giornalisti, ecc. che pubblicano articoli religiosi attinenti a numerosi argomenti e solo una visita del sito può dare l’idea dei temi trattati.
Mi piace essere tra i collaboratori del sito, per il quale scrivo note su vari argomenti come curiosità, folklore, Natale e Pasqua, San Nicola, ecc.

 

 

https://www.giornaledipuglia.com/2018/09/anche-bari-ha-avuto-il-suo-mose-e-la.html

ANCHE BARI HA AVUTO IL SUO MOSE' E LA SINAGOGA


 

Mosè, un rabbino nato a Bari e morto a Cordova intorno al 1065, è considerato un «grandissimo “barese” che ha del fantastico», come scrive Sorrenti nel suo libro “I Baresi” Tipografia Mare, 1980). Egli con altri rabbini partì da Bari intorno al 1027, per recarsi in Palestina (Cognetti cita il 956 ma è improbabile, poiché se così fosse, alla sua morte avrebbe avuto oltre 100 anni, cosa improbabile), ma durante il viaggio furono abbordati dai pirati del Califfo di Cordova Abd-el-Râmani III e così la nave barese fu preda di queste fameliche orde.

Il nostro Mosè fu venduto ed acquistato dalla comunità ebraica. Un giorno mentre rabbi Nathan, uno dei grandi sapienti di Cordova, spiegava il Talmud (una codificazione di leggi riguardante le decisioni degli studiosi sulle controversie legali con leggende, aneddoti e detti che illustrano la legge tradizionale), fu interrotto da un cencioso Mosè, il quale mise in dubbio quanto diceva Nathan e dette esaurienti spiegazioni del passo che si stava leggendo. Da quel momento Mosè divenne lui il capo della Sinagoga ed ebbe tanta fama e fortuna che non vi fu quesito che egli non risolvesse e per questo motivo Cordova divenne il massimo Centro della scienza ebraica d’Occidente.

Alla sua morte, il figlio Enoch prese il posto del padre, con il quale collaborò nell’attuazione del grande disegno, che si compì, di trasferire in Andalusia il metodo di studio in vigore sino ad allora in Mesopotamia. Spetta loro il merito di aver istituito in Spagna, forse uno dei più grand centri dell’ebraismo del mondo.

La storia dell’ebraismo barese (o pugliese) è ancora da scrivere, sottolinea Sorrenti, ma il nostro Mosè fu certamente uomo di primissima grandezza e la sua sapienza proverbiale è paragonabile a quella di Schiavo da Bari (1180-1266), un poeta che fu giudice. Considerata persona dotta e di buon senso, ricordato con una iscrizione sulla Trulla della Cattedrale di Bari, riuscì a far giungere il suo nome in ogni parte d’Italia, diventando così un simbolo della saggezza.

La fato mostra l’ingresso del palazzo Effrem De Angelis di Bari (oggi sede dell’Istituto di Scienze Religiose) con accanto alcuni ebrei in preghiera. Nel secolo scorso il palazzo era considerato uno dei simboli dell’antico ghetto ebraico che sorgeva nel centro storico di Bari.

Onofrio Gonnella, con la sua poesia “La Senagoghe”, ricorda e conferma nella nostra città la presenza del tempio ebraico.

 

LA SENAGOGHE*
di Onofrio Gonnella

Ce te ne va a la scole Corridone
do larghe Maurjielle a Santarese,
addò se note u core du barese
la viste s'addolcisce e l’imbressione.

Vite la Chiessia Maddre e u chernescione,
la cubbua, la terrazza tesa tese,
ormà da tanda tjiembe semme appese,
ca parle de la vecchia costruzzione.

U Trulle, u Cambanale e uarchetrave
l’andica Senagoghe, cu rosone,
la Currie, u Semmenarie e San Savine.

Ce vene nu pettore ca jè brave
so certe ca me pote da rascione
pu spunde ca v’avè da stì ruine.


* da “Bari nostra”, di O. Gonnella, Scuola Tip. Villaggio del Fanciullo, Bari 1951, pag. 18

 

 

https://www.giornaledipuglia.com/2018/08/a-capurso-ba-si-celebra-il-313.html

 



A CAPURSO (BA) SI CELEBRA IL 313° ANNIVERSARIO DEL RINVENIMENTO DELL'IMMAGINE DELLA MADONNA DEL POZZO


Si celebra quest’anno a Capurso (BA) il 313° anniversario del rinvenimento dell’immagine della Madonna del Pozzo e si rinnova l’appuntamento per la rievocazione di quello che è il punto focale della devozione Mariana della Città.

Il programma delle manifestazioni prevede:
Venerdì 24 agosto Ore 20.30 Dalla Cappella del Pozzo in largo Piscine:
Grande Processione con le fiaccole (aux flambeaux) che accompagna il quadro verso la piazza centrale di Capurso per l’inizio dei festeggiamenti in onore della Patrona.

Sabato 25 agosto Ore 21.30 sul sagrato della Basilica:
Solenne Celebrazione Eucaristica presieduta dal Ministro Provinciale dei Frati Minori di Puglia e Molise fra Alessandro Mastromatteo.
Ore 22.30 in Basilica:
Solenne incoronazione della statua della Madonna.

Domenica 26 agosto Solennità di Maria SS. del Pozzo
Ore 04.00 apertura della Basilica
Ore 04.30 Santa Messa e consegna delle “Chiavi” a Maria Porta del Cielo.
Ore 06.00 Arrivo dei pellegrini
Ore 09.00 sul sagrato della Basilica: Solenne Celebrazione Eucaristica presieduta da sua Ecc.za Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, con la partecipazione del Sindaco di Capurso Dott. Francesco Crudele, delle Autorità Civili e Militari e del Comitato Feste Patronali.
Ore 10.30 Processione della immagine lignea della Madonna.
Ore 22.30 Processione del Carro Trionfale.

Lunedì 27 agosto Ore 20.30 - Processione del quadro dalla piazza centrale di Capurso al Santuario.

Giovedì 30 agosto - 313° anniversario del Rinvenimento dell’affresco della Madonna  - Ore 20.30 Corteo storico dalla Cappella del Pozzo alla Basilica.

Domenica 2 settembre Ottava della festa patronale
Ore 19.00 sul sagrato della Basilica: Solenne Celebrazione Eucaristica presieduta dal Vicario Provinciale dei Frati Minori di Puglia e Molise fra Donato Sardella, con la partecipazione del Sindaco di Capurso Dott. Francesco Crudele, delle Autorità Civili e Militari e del Comitato Feste Patronali.
Ore 20.00 - Omaggio alla Protettrice di Capurso.

Oggi la Basilica è retta dai Frati Minori il cui padre guardiano della fraternità è fra Filippo D'Alessandro con il quale collaborano fra Fulgenzio Cordelli, fra Mimmo Lotito, fra Marcellino Chiechi, fra Mario Volpe e fra Gianluca Capitaneo. Le celebrazioni liturgiche religiose sono organizzate dagli stessi frati, mentre la festa esterna alla Basilica è programmata dal parroco territoriale della Chiesa Madre don Antonio Lobalsamo.

Nell’anno 1705, un sacerdote di Capurso, don Domenico Tanzella, che versava in gravissime condizioni, ebbe una visione: gli apparve la Madonna che promise la guarigione se avesse bevuto l’acqua del pozzo detto di “S. Maria” della zona “Piscine”, ed eretto un Convento del rigido Istituto di S. Pietro d’Alcantara.

I suoi familiari quando furono messi al corrente della visione, corsero al pozzo di “S. Maria” e portarono all’ammalato l’acqua richiesta. Dopo che il sacerdote bevve di quell’acqua, i congiunti constatarono la guarigione. Qualche giorno dopo, e precisamente Domenica 30 agosto 1705, il prete volle rendersi conto del perché quel pozzo fosse tanto caro alla Madre di Dio. Con suo fratello Lorenzo, con Michelangelo Portincasa e Giambattista Converso si recò al pozzo: scesero con una scaletta a pioli e qui si verifica una catena di prodigi. Secondo la tradizione popolare, nella difficoltà della discesa, le candele, che avevano tra le mani, caddero in una conca d’acqua laterale e continuarono tranquillamente ad ardere e a far luce. Spronati ed incuriositi maggiormente dal prodigio, camminando sulle pietre che ingombravano parte del fondo, i quattro videro sull’intonaco, dalla parte di mezzogiorno, una bellissima immagine della Madonna, di stile bizantino, che li guardava sorridente.

Dopo aver pregato, il Tanzella decise di farla distaccare dal muro per esporla alla venerazione dei fedeli in una nuova cappella che stava facendo costruire in onore di san Lorenzo. Da quel piccolo trono di gloria, la Madonna cominciò ad operare molti miracoli. La fama dei miracoli e, soprattutto, la guarigione del prete, si diffusero rapidamente in terra di Bari e oltre per cui folle di devoti si portarono ai piedi dell’immagine miracolosa.

Nel 1714, il sacerdote Tanzella, come voleva la Madonna, donò ai Frati Minori Scalzi (Alcantarini) la cappella e l’affresco ivi venerato. I frati, all’inizio del 1738 cominciarono a costruire il convento e la Basilica che fu aperta al culto la sera del 27 agosto 1778 con la collocazione della sacra immagine sull’Altare Maggiore che da quel momento diventa uno dei tanti grandiosi troni della Madre di Dio.

Ai suoi piedi, tra i tanti devoti, trovò rifugio e tanto amore un grande santo: Egidio da Taranto. Nato nel 1729, nel 1754 è accolto dai frati Minori Alcantarini. Dopo la Professione Solenne dei voti di obbedienza, povertà e castità, nel 1759, quando l’obbedienza lo trasferisce al convento di san Pasquale a Chiaia di Napoli, sosta in questo nostro Santuario per venerare l’immagine delle Vergine del Pozzo.

Egli, giunto a Napoli, fece conoscere, amare e pregare la Santa Vergine del Pozzo, mentre questuava o visitava le case dei poveri e bisognosi.

Nel 1850, dei tanti miracoli operati dalla Madonna alcuni furono presentati alla Santa Sede per chiedere l’incoronazione della miracolosa immagine. E il 20 maggio 1852, per volere del beato Pio IX, il Cardinale Mario Mattei, tra l’osanna dei cori, il suono dell’orchestra e l’applauso frenetico e incontenibile della folla, che gremiva e circondava la Basilica fino all’inverosimile, saliva devotamente i gradini del trono mariano, e con le mani tremanti, depose le due corone sul capo del Bambino Gesù e della Vergine.

A conclusione dei festeggiamenti, per ringraziare la Madonna di tanto grande onore concesso alla piccola Capurso, fu proclamata Celeste Patrona. Tale proclamazione fu confermata con pontificio Rescritto il 23 dicembre 1852.

 

Successivamente fu inviata a Roma la richiesta del Decreto pontificio che sancisse il Patrocinio di Maria Santissima su Capurso. Ma a causa della soppressione degli ordini religiosi del 1866, ciò non fu possibile. Tornati i frati Minori, nell’agosto del 1920, si inviò nuovamente, nel gennaio 1954, una nuova richiesta che venne accolta il 12 febbraio 1954 dal Beato Pio XII.

A questa felice conclusione si giunse grazie a fra Bernardino Laricchia, frate minore, cittadino di Capurso e cultore di storia locale, che, col consenso dei confratelli e delle autorità civili, si adoperò a preparare la documentazione da consegnare alla Santa Sede.

La data scelta per la lettura solenne del suddetto Decreto fu quella del 20 maggio, 102° Anniversario della Incoronazione. E infatti nella serata di quel solennissimo giorno, giunta la Processione del quadro sul sagrato della Basilica, alla presenza dell’ Arcivescovo di Bari Mons. Enrico Nicodemo, del vescovo di Molfetta Mons. Salvucci, del vescovo di Conversano Mons. Falconieri, del vescovo di San Marco Argentano e Bisignano (Cs) il Venerabile Mons. Castrillo, delle autorità tutte, data lettura del Decreto, il Sindaco di Capurso, Prof. Francesco Cardone, dopo un suo commovente discorso, donò alla Madonna un Cuore d’argento quale simbolo dell’amore di ogni capursese per la Celeste Patrona.

A ricordo del Decreto di Pio XII che sanciva la suddetta proclamazione e per il perpetuarsi di tanta devozione verso la Vergine Santissima, sessant’anni dopo, e precisamente l’8 dicembre 2014, Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, proclamò ufficialmente la città di Capurso “Civitas Mariae”, ovvero città dedicata al culto di Maria.

 

 

 

https://www.giornaledipuglia.com/2018/04/il-patriottismo-dei-frati-del-santuario.html

 

IL PATRIOTTISMO DEI FRATI DEL SANTUARIO DI SANT'ANTONIO

In occasione del cinquantenario (1956) dell’affidamento ai Frati Minori della Parrocchia alla Chiesa di Sant’Antonio di Bari, oggi Santuario, che ricade il 13 giugno, furono organizzate varie manifestazioni per ricordare l’importante evento, anche per la coincidenza con la festa del Santo.

Tra le iniziative culturali fu pubblicato il volumetto dedicato al Santo di Padova, “Sant’Antonio mio benigno…”, firmato da Paolo Malagrinò e Anna Maria Tripputi, nel quale si parla della presenza francescana in Puglia e di quella di San Francesco a B
Una fra le leggende più note è quella della tentatrice, che mette a confronto San Francesco e Federico II, il quale ultimo colpito dalla predica di Francesco che condanna l’immoralità e la corruzione, decide di metterlo alla prova e lo invita a cena al castello, preparandogli una trappola con l’aiuto dei cortigiani. Infatti, dopo un’abbondante cena fu condotto in una stanza e ad un tratto fecero comparire una bella fanciulla abbigliata con tutti i tranelli della seduzione, ma il Santo non cascò. Lo stesso Federico colpito dalla santità del Frate, abbracciandolo, gli chiese perdono per la sua nefandezza.

Il volume ricorda anche i conventi francescani a Bari, le devozioni nella chiesa di Sant’Antonio (Sant’Antonio, l’Addolorata e il Crocifisso), ed è arricchito da un’appendice documentaria che illustra l’Archivio, la biblioteca ed il patrimonio artistico del Convento e della Chiesa che fu inizialmente dedicata a San Bernardino da Siena.

Motivo di questa nota è finalizzata a far conoscere il patriottismo dei Frati del Convento di Sant’Antonio di Bari, riportata da Vito Antonio Melchiorre (1922-2010), nel numero 28 di “Nicolaus Studi storici” (anno XV, fasc. 1, 2004).

Nella seconda metà dell’ottocento in seguito all’insorgere dei moti (1848), i Frati si prodigarono con alto patriottismo fino al compimento dell’unità nazionale.
Risulta, infatti, dai racconti di Antonio Beatillo, che quando Ferdinando II, disattese la Costituzione del 1848, molti patrioti furono costretti a lasciare “le dolcezze del focolare domestico” per luoghi più sicuri e scelsero Bari, certi di trovare accoglienza nel Convento di Sant’Antonio, ove i Frati mettevano a repentaglio la propria vita per aiutarli.
Nel Convento rimasero nascosti per lungo tempo Giovanni Rossi da Trani, procuratore generale presso la Gran Corte Criminale di Lecce, Giuseppe Insanguine, Pietro Tinella (quest’ultimo penitenziere delle Cattedrale di Castellaneta) ed altri tre canonici. Nel 1859 raggiunsero il Convento il magistrato tranese Teobaldo Sorgente; Pietro Tisci, Angelo Gigante e Sergio Fontana da Molfetta; Tommaso Pantaleo, Gabriele Esperti e Paolo Veracino da Conversano; Camillo Morea e Domenico Buttiglione da Gioia del Colle; Giuseppe Bozzi, Domenico Sagarriga e Sante Noja da Bari e molti altri, che la polizia borbonica assediò giorno e notte nel convento, vietando a tutti di transitare nelle vicinanze.
Nel maggio 1860, fu accettato anche il patriota lucano Giacomo Albini, definito ’fratello della patria’ da Giuseppe Mazzini.

Il 21 ottobre 1860, giorno del plebiscito per l’annessione delle province meridionali, i frati vollero pubblicamente esternare i propri sentimenti di italianità, recandosi tutti insieme a deporre nell’urna la scheda col fatidico “si” e riscuotendo dimostrazioni di simpatia mentre entravano nella Chiesa di San Ferdinando, ove era situato l’unico seggio elettorale della città.

Attualmente il Convento-Parrocchia di Sant’Antonio di Padova è stato elevato al rango di Santuario, retto da padre Vito Dipinto, o.f.m., ed è anche sede della Confraternita di Maria SS. della Pietà e di Sant’Antonio di Padova, decretato da padre Fedele Brandonisio il 19 marzo 1931.

 

 

http://www.giornaledipuglia.com/2018/02/oggi-ricorre-la-candelora-festa-delle.html

 

CHIESA

OGGI RICORRE LA CANDELORA, FESTA DELLE LUCI E BENEDIZIONE DELLE CANDELE

La Candelora, cosiddetta per la distribuzione delle candele benedette, cade 40 giorni dopo Natale. La benedizione delle candele fu introdotta dal clero franco-germanico nei secoli IX-X. La festività viene detta anche Festa della Purificazione di Maria, poiché secondo le usanze ebraiche, una donna era considerata impura dopo il parto di un maschio. L’impurità durava 40 giorni, che nel caso di Maria terminavano proprio il 2 febbraio.

La Candelora o Festa delle Luci, ebbe origine in Oriente con il nome greco di ‘Ipapánte’, cioè ‘Incontro’. Nel secolo VI si estese all’Occidente con sviluppi originali: a Roma con carattere più penitenziale e in Gallia con la solenne benedizione e processione delle candele popolarmente nota come la ‘candelora, e nel Martirologio Romano rappresenta la Presentazione del Signore. Gesù fu condotto da Maria e Giuseppe al Tempio, sia per adempiere la legge mosaica, sia soprattutto per incontrare il suo popolo credente ed esultante, luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo di Israele.

La festività odierna, di cui abbiamo la prima testimonianza nel secolo IV a Gerusalemme, venne denominata fino alla recente riforma del calendario festa della Purificazione della SS. Vergine Maria, in ricordo del momento della storia della sacra Famiglia, narrato al capitolo 2 del Vangelo di Luca, in cui Maria, in ottemperanza alla legge, si recò al Tempio di Gerusalemme, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, per offrire il suo primogenito e compiere il rito legale della sua purificazione. Questo atto di obbedienza al quale Gesù e Maria erano tenuti, costituisce pure una lezione di umiltà.

Non stupisce quindi che alla festa odierna si sia dato un tempo tale risalto da indurre l’imperatore Giustiniano a decretare il 2 febbraio giorno festivo in tutto l’impero d’Oriente. Roma adottò la festività verso la metà del VII secolo; papa Sergio I (687-701) istituì la più antica delle processioni penitenziali romane, che partiva dalla chiesa di S. Adriano al Foro e si concludeva a S. Maria Maggiore. Il rito della benedizione delle candele, di cui si ha testimonianza già nel X secolo, si ispira alle parole di Simeone: “I miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti”. Da questo significativo rito è derivato il nome popolare di festa della “candelora”.

Ed ora qualche proverbio sulla Candelora e sulle candele: “Per la Candelora dell’inverno semo fora, ma se piove e tira vento dell’inverno siamo dentro”; “Alla Candelora metà paglia e metà fieno” = collocandosi a metà del periodo invernale è il momento nel quale si misurano le provviste per il bestiame; “La candela fa luce anche se il cieco non la vede” = chi è buono e virtuoso lo è anche se gli altri non se n’accorgono; “Accendere una candela ai santi e una al diavolo” = cercare favori di tutti, anche di persone in contrasto tra loro; “Attaccarsi anche al fumo delle candele” = essere estremamente avaro, avido, venale; “Il gioco (non) vale la candela” = il risultato che si può raggiungere (non) è tale da giustificare la fatica che occorre per ottenerlo; “Reggere il moccolo” = favorire una relazione amorosa.

 

 

http://www.giornaledipuglia.com/2017/09/il-convento-la-chiesa-e-la.html

IL CONVENTO, LA CHIESA E LA CONFRATERNITA DEL CARMINE DI NARDO', IN UNA CHICCA DI MARCELLO GABALLO

 

Per la collana “Quaderni degli Archivi Diocesani di Nardò-Gallipoli”, diretta da Mons. Giuliano Santantonio, direttore dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi Nardò-Gallipoli, è stato pubblicato recentemente il supplemento VIII.

Il testo, di grande formato dal titolo “Decor Carmeli – Il Convento, la Chiesa e la Confraternita del Carmine di Nardò” è stato curato da Marcello Gaballo, medico, presidente della Fondazione Terra d’Otranto e già Ispettore onorario dei monumenti (Mario Congedo Editore), e vuole essere un ‘monumento’ dedicato alla chiesa della B.V. Maria del Carmelo di Nardò e all’attiguo convento, ma anche alla Confraternita dell’Annunziata e del Carmine, senza la quale, la chiesa, abbattuta nel 1528 per esigenze belliche, non sarebbe stata più ricostruita. Nardò è una città del Salento risalente all’anno 1000, edificata dai Messapi. Nardò si chiama così perché la etimologia della parola di origine illirica significa acqua. In greco Nerìton; in latino Neritum o Neretum.

Tra i pregi del volume, va sottolineata, oltre alla rigorosità scientifica e alla ricchezza dei contributi, l’ampio apparato fotografico che mostra l’intero patrimonio esistente e custodito nella chiesa.  Per non parlare dell’aspetto folkloristico-devozionale, che, anche se apparentemente di seconda importanza dal punto di vista storico-artistico, rappresenta il sentire popolare proprio di chi in questa chiesa ha trovato il suo riferimento principale.

Il curatore, con un lavoro certosino, ha realizzato un progetto ambizioso che il sacro tempio meritava, per essere una delle chiese più note e frequentate dalla popolazione ed oggi meta preferita dei tanti turisti che stanno riscoprendo la città.

I numerosi e interessanti contributi dell’illustratissimo volume, registra la collaborazione di Armando Polito, Giuliano Santantonio, Fabrizio Suppressa, Paolo Giuri, Marino Caringella, Daniela De Lorenzis, Maura Sorrone, Marco Carratta, Alessio Palumbo, Pierpaolo Ingusci, Matteo Romano, Elsa Martinelli, Cosimo Rizzo, Marcello Semeraro, Maria Grazia Presicce, Annamaria Falconieri, Cosimo Rizzo, Marcello Semeraro, Maria Grazia Presicce, Alessandra Greco, Maria Domenica Manieri Elia e di tanti altri che non appaiono nel testo, ma che Marcello Gaballo, cita e ringrazia nella sua nota, oltre, ovviamente, al notevole contributo personale.

Le materie trattate, numerose anch’esse: dalle origini della chiesa e del convento, al terremoto del 1743, all’architettura e alle opere presenti nella chiesa del Carmine, alle regole della Confraternita dell’Annunziata di Nardò, del reliquiario conteso e ad un evento funesto relativo all’incendio della statua della Vergine. La pubblicazione tratta anche di Araldica Carmelitana a Nardò, degli Inni Sacri in onore della B.V. del Carmelo, dell’intervento miracoloso della Vergine del Carmine, raccontata in un’antica romanza in vernacolo di Nardò. Non mancano neanche pianete, reliquiari e arredi liturgici, la cronologia del Convento (1568-2017), la cronistoria del convento e la cronotassi dei priori e di alcune cariche della Confraternita dell’Annunziata e dell’Unione Maria SS. del Carmine. Questi solo alcuni degli argomenti trattati nel volume.

“Finalmente – il Carmine – scrive Giovanni Maglio, priore -  appare in tutta la sua ricchezza, perfettamente visibile attraverso i percorsi dettagliati, proposti nel testo, e chiaramente illustrati, suscitando altre emozioni e nuovi sentimenti che spingono ad amarlo sempre ed ancora di più”.

Un volume-documento che non dovrebbe mancare nelle biblioteche civili ed ecclesiastiche, degli studiosi della materia ed anche in quelle dei privati neretini che intendono meglio conoscere la storia della propria città.

Una nutrita bibliografia e sitografia, corredate da un elenco di articoli di riviste e periodici, di cataloghi di mostre e di archivi consultati, completa il pregiato volume. Da non perdere...

 

 

http://www.giornaledipuglia.com/2017/08/la-festa-della-madonna-del-pozzo-di.html


La festa della Madonna del Pozzo di Capurso
venerdì, agosto 25, 2017

 

In occasione del 312° anniversario del rinvenimento dell’immagine della Madonna del Pozzo, si rinnova l’appuntamento con la rievocazione di quello che è il punto focale della devozione Mariana capursese.

Domenica 27 agosto 2017, solennità della Madonna del Pozzo, Madre e Regina di Misericordia e Patrona di Capurso (Bari) si svolgeranno diversi eventi a partire dall’apertura della Basilica (ore 4), recitazione del Santo Rosario e consegna delle “Chiavi” a Maria Porta del Cielo (ore 5,30), quindi accoglienza dei pellegrini.

Ore 9 - Solenne Celebrazione Eucaristica presieduta da Sua Ecc.za Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo Metropolita di Bari-Bitonto, con la partecipazione del Sindaco di Capurso, Francesco Crudele, del Comitato Feste Patronali e delle Autorità Civili e Militari. Ore 10,30 processione dei pellegrini che accompagnano la statua della Madonna per le vie di Capurso. Ore 21,30 tradizionale Processione del Carro trionfale.

Oggi la Basilica e retta dai Frati Minori il cui padre guardiano della fraternità è fra Filippo D'Alessandro con il quale collaborano fra Fulgenzio Cordelli, fra Mimmo Lotito, fra Marcellino Chiechi, fra Mario Volpe e fra Gianluca Capitaneo. Le celebrazioni liturgiche religiose sono organizzate dagli stessi frati, mentre la festa esterna alla Basilica è programmata dal parroco territoriale della Chiesa Madre don Antonio Lobalsamo.

Come è noto, un Decreto del 12 febbraio 1954 di Papa Pio XII, attestava la elezione della Madonna a Patrona di Capurso e confermava l’elezione della Beata Vergine Maria con il titolo di “Vergine del Pozzo” e “Primaria Patrona celeste della città di Capurso con tutti i privilegi liturgici annessi”. Ma quel che più è da mettere in evidenza non è solo il fatto che sia Patrona di Capurso, ma che questa casa di Maria, questo Pozzo, questa città accolga ancora oggi tanti devoti, in cerca di Maria per andare incontro a Cristo da ogni luogo.

Ed ora qualche notizia sulla storia della Madonna del Pozzo, ripresa dal sito web “Santi e Beati”. Nell’estate del 1705 a Capurso, un sacerdote, certo don Domenico Tanzella, versava in gravissime condizioni di salute, avendo i medici diagnosticato un male inguaribile. Una notte imprecisata di quell’anno, la Madonna apparve all’agonizzante sacerdote, promettendogli il recupero «della salute primiera» qualora avesse bevuto l’acqua del pozzo detto di “Santa Maria”, sito in località Piscino, ad un mezzo miglio dall’abitato e fatto voto di erigere una Chiesa, a lei dedicata, con annesso convento dei frati francescani. Il Tanzella, all’indomani, con grande fatica, confidando nelle parole della Vergine, si portò al pozzo dove bevve l’acqua, riacquistando, miracolosamente ed istantaneamente, la piena salute.

L’ultima domenica di agosto di quell’anno, 30 agosto 1705, egli, al fine di meglio adempiere al voto, accompagnato da suo fratello, Lorenzo e da due amici, Michelangelo Portincasa e dal pittore locale Giovanni Battista Converso, si recò a visitare il pozzo di “Santa Maria”, al fine di rendersi meglio conto del miracolo.

Il pio sacerdote ed i suoi amici caddero in ginocchio e contemplarono a lungo la venerata immagine, rischiarata dalla tremolante luce delle candele che continuavano ad ardere nell’acqua. Quando il Tanzella ebbe terminato di pregare, decise di far staccare la delicatissima immagine dal muro, onde poterla esporre alla pubblica venerazione dei fedeli. Ed ecco verificarsi un nuovo prodigio: l’immagine della Vergine col Bambino, staccandosi miracolosamente dalla parete del pozzo, prima galleggiò sull’acqua e pochi istanti dopo andò a consegnarsi nelle braccia del sacerdote. Questi, commosso, si affrettò a risalire con la preziosa icona tra le braccia, depositandola provvisoriamente nella sagrestia della chiesa che stava costruendo a sue spese.

Tra i primi miracolati si ricorda una certa Caterina, moglie di Oronzo Maffiola, da lungo tempo impossibilitata a camminare, tanto che era conosciuta con il soprannome di “Caterina la storpia”. Appresa la notizia della prodigiosa guarigione del sacerdote e del rinvenimento miracoloso dell’Icona, si recò con fede nella piccola sacrestia dove era esposta l’immagine della Madonna per implorare la grazia della guarigione. Improvvisamente avvertì una nuova vigoria nelle gambe, si poté alzare in piedi, muovendo i primi passi e trovandosi totalmente guarita.

Il pittore G. B. Converso era impegnato in quel periodo ad affrescare l’allora cappella inaugurata dal pio sacerdote, dove si custodiva l’immagine della Madonna del Pozzo. Fu allora che il pittore - come racconta M. Mariella nel suo libro “Il santuario di Capurso” - “spinto da necessità o ingordigia di ricchezze decise di rubare i tre donativi che la Madonna aveva ricevuti alcuni giorni prima”. Si trattava di doni in oro che i miracolati avevano offerto alla Vergine in segno di devozione. Mariella continua: “Non appena il pittore ebbe rubato i monili, il cielo si oscurò e il giorno si mutò repentinamente in notte fonda”. Il Converso fu il primo sospettato del furto e fu, dunque, imprigionato. Solo successivamente confessò il reato riconsegnando l’oro. “Ed ecco il prodigio! … il cielo si rasserenò, i fulmini si dispersero e i tuoni cessarono come per incanto”.

Il 5 novembre 1737 gli Alcantarini (Frati minori scalzi), col beneplacito dell’Arcivescovo di Bari, Mons. Gaeta II, fecero il loro ingresso in Capurso e furono immessi dal Vicario Generale nel pieno, pacifico e definitivo possesso della cappella e dei beni ad essa connessi. Subito dopo si solennizzò la posa della prima pietra del convento, su progetto dell’architetto G. Sforza di Bari. Gli interessati avevano in animo di costruire chiesa e convento sul pozzo del miracoloso rinvenimento, ma, non avendo ottenuto il terreno appartenente al Capitolo di Capurso, ripiegarono sul fondo offerto da Lorenzo Tanzella, sempre sulla via di Noicattaro, ma più vicino al paese.
Nel febbraio 1739 già funzionava una comunità francescana con sette religiosi, dediti al servizio della cappella di S. Maria del Pozzo. La fabbrica del Convento fu completata nell’ottobre 1746. Tutto il prospetto risulta ben armonizzato con la facciata della Basilica, essendo stato arricchito di un colonnato superiore, su disegno dell’arch. Angelo Pesce di Casamassima (1847-48). In un ampio vano del piano terra (il vasto refettorio dei religiosi) fu allestita una chiesetta provvisoria, che ospitò la prodigiosa immagine della Madonna del Pozzo dal 24 agosto 1748 al 27 agosto 1778.

Il Papa Pio VII con due Rescritti del 1809 arricchì la Chiesa di S. Maria del Pozzo di indulgenze plenarie e parziali. Gregorio XIV, oltre alle indulgenze, dichiarava l’Altare maggiore “privilegiato quotidiano perpetuo”.

Il culmine della devozione alla Vergine del Pozzo si ebbe allorché, da Gaeta, con un motu proprio del 18 maggio 1849, il Beato Pio IX approvava l’Ufficio e la Messa speciale di Maria SS. del Pozzo. Non solo, ma acconsentì all’incoronazione in oro della miracolosa immagine trovata nel pozzo e designò per la cerimonia il card. Mario Mattei, arciprete della Patriarcale Basilica Vaticana. Il prelato, giunto a Capurso, dopo un triduo di preparazione, il 20 maggio 1852, depose sul capo della Vergine e del Bambino le corone d’oro. Quando ripartì per Roma, donò al Santuario il magnifico calice dorato che ancora oggi si conserva tra gli oggetti preziosi. Infine lo stesso card. Mattei volle che la copia ad olio di Maria SS. del Pozzo, destinata al Capitolo Vaticano, fosse collocata non nella sagrestia, ma sull’altare principale della Cappella privata del Palazzo Arcipretale: fatto unico, nella storia delle immagini incoronate in oro.

Il 13 giugno dello stesso anno la Vergine del Pozzo fu solennemente proclamata “Primaria patrona celeste di Capurso”, elezione che fu approvata e confermata con rescritto pontificio del 23 dicembre 1852. Con Breve papale dell’anno successivo, il Beato Pio IX elevò il Santuario all’onore di Basilica Minore e l’aggregò con tutti i privilegi, indulti ed indulgenze alla Patriarcale Arcibasilica Lateranense. Nel 1853 fu proclamata Reale Basilica dal Re Ferdinando II di Borbone.

Ancora oggi la Vergine del Pozzo attira al suo Santuario schiere innumerevoli di devoti, specialmente nell’ultima domenica di agosto di ogni anno, festa solenne della Madonna. Numerosissimi sono anche i miracoli e le grazie ottenute per intercessione di Maria, soprattutto a favore dei bambini, come testimoniano i numerosi ex voto presenti nel Santuario.

 

 

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QUALCHE RIFLESSIONE SULLA CROCE

 

È notorio che la Crocifissione di Gesù è un evento, come si legge nei Vangeli, che insieme alla Resurrezione rappresenta l’avvenimento più importante della religione cristiana.

«Tra le figure geometriche, la Croce è il terzo simbolo fondamentale, attestato fin dall’antichità più remota. Essa stabilisce relazioni con gli altri simboli: l’intersezione delle rette coincide con il Centro; si inscrive nel Cerchio, divide in quattro segmenti; genera il Quadrato e il Triangolo quando le sue estremità sono collegate tra loro da rette. Il significato della Croce rispetto alla Terra è quello di rappresentare gli aspetti dinamici, contrapponendosi al significato del Quadrato che rappresenta la Terra nei suoi aspetti statici. La Croce diretta verso i punti cardinali è base dei simboli d’orientamento: del soggetto in rapporto a sé stesso; del soggetto in rapporto ai punti cardinali terreni (orientamento spaziale, che si articola sull’asse Est-Ovest); del soggetto in rapporto ai punti cardinali celesti (orientamento temporale, che si articola sugli assi Sud-Nord e Basso-Alto, indicanti l’asse di rotazione del mondo)».

La Croce simboleggia l’uomo con le braccia aperte, in posizione di abbandono, ma nel contempo anche l’albero cosmico che sostiene il mondo. La sua struttura evoca la divisione del Paradiso terrestre in quattro parti e dell’anno in quattro stagioni. La croce ha rappresentato anche uno strumento di tortura, il più infamante, dal momento che, nell’epoca in cui era usata, chi veniva crocifisso era cosciente fino alla fine.                                                                  

Gli Orientali celebrano la Croce con una solennità paragonabile a quella della Pasqua. L’uso liturgico che vuole la Croce presso l’altare quando si celebra la Messa, rappresenta un richiamo alla figura biblica del serpente di rame che Mosè innalzò nel deserto: guardandolo, gli Ebrei morsicati dai serpenti erano guariti. Per l’Islam la croce ha invece un significato sapienziale. Simbolo delle due direzioni dell’essere (verticale) e del fare (orizzontale), l’una dell’Anima l’altra della psiche e della materia. Il centro è il Cuore. La psiche si manifesta nel mondano, nel corporeo, nella dimensione orizzontale dell’agire, della parola ma fa anche da ponte con l’Anima Divina nell’atto della introversione, della contemplazione, del sentimento che si raccoglie ricettivo sul mistero dell’Essere.

Per San Bonaventura «La croce è un albero di bellezza, consacrato dal sangue di Cristo, esso è colmo di tutti i frutti».

Il 3 maggio la Chiesa ricorda il ritrovamento della Croce, mentre il 14 settembre celebra l’esaltazione. Sant’Elena, madre di Costantino il Grande, nel 327, durante un pellegrinaggio ai luoghi santi di Palestina, fece ritrovare a Macario, Vescovo di Gerusalemme, la vera Croce di Cristo, una parte della quale si conserva nella Basilica di “Santa Croce in Gerusalemme” in Roma, da lei fatta costruire.   .                                                                            

Nell’Angelus del 15 settembre 2002, Giovanni Paolo II così si espresse sul significato della Croce: «Il Cristianesimo ha nella Croce il suo simbolo principale. Dovunque il Vangelo ha posto radici, la Croce sta ad indicare la presenza dei cristiani. Nelle chiese e nelle case, negli ospedali, nelle scuole e nei cimiteri, la Croce è diventata il segno per eccellenza di una cultura che attinge dal messaggio di Cristo verità e libertà, fiducia e speranza. Nel processo di secolarizzazione, che contraddistingue gran parte del mondo contemporaneo, è quanto mai importante che i credenti fissino lo sguardo su questo segno centrale della Rivelazione e ne colgano il significato originario e autentico».        

«La croce - sempre secondo Giovanni Paolo II - è il segno della più profonda umiliazione di Cristo. Agli occhi del popolo di quel tempo costituiva il segno di una morte infamante. Solo gli schiavi potevano essere puniti con una morte simile, non gli uomini liberi. Cristo, invece, accetta volentieri questa morte, la morte sulla croce. Eppure questa morte diviene il principio della risurrezione. Nella risurrezione il servo crocifisso di Jahvè viene innalzato: egli viene innalzato su tutto il creato». (Halifax 14 settembre 1984).

Papa Giovanni XXIII, nel suo “Breviario” (Garzanti, 1966), a proposito dell’esaltazione della Croce, scrive che «Gesù Cristo, dalla sua Croce purifica, dà forza, trasforma le energie nascoste e male indirizzate dalle esiziali concupiscenze e le ordina alla vita spirituale, al dominio di sé. Cerchiamo dunque Gesù che ci dà esempio di umiltà, dolcezza, bontà; che si prodigò per la nostra salvezza e il nostro bene. Al termine della vita si apre la porta dell’eternità: senza la Croce non si entra».

Infine una riflessione di San Giovanni Crisostomo:
«La Croce, nonostante gli uomini, si è affermata su tutto l’universo e ha attirato a sé tutti gli uomini. Molti hanno tentato di sopprimere il nome del Crocifisso, ma hanno ottenuto l’effetto contrario. Questo nome rifiorì sempre di più e si sviluppò con progresso crescente. I nemici invece sono periti e caduti in rovina. Erano vivi che facevano la guerra a un morto, e ciononostante non hanno potuto vincere»
e non vinceranno mai.

 

 

http://www.giornaledipuglia.com/2016/12/la-chiesa-di-san-gregorio-di-bari.html

 

 

Sui muri perimetrali vi sono undici iscrizioni funebri che indicano come la chiesa di S. Gregorio fosse amata dalla gente del luogo. Diversi di questi nomi rievocano, infatti, i cognomi baresi più caratteristici, come Melipezza e Meliciacca, oltre al nobile Bisanzio Patrizio e al popolare Giovanni Cacatorta. La chiesa fu gestita dalla Cattedrale fino al 22 novembre 1308 allorché, dietro suggerimento del re, l’arcivescovo Romualdo Grisone la donava alla Basilica. Un’iscrizione del 1308 sulla facciata interna a sud dell’edificio informa che, per un certo periodo, la chiesa venne utilizzata come luogo di sepoltura dai membri della Confraternita di San Gregorio, ospitati nella chiesa dal 1497.

La chiesa ha conservato perfettamente la sua veste romanica, con la facciata tripartita corrispondente alle tre navate interne, nonostante abbia subito le vicissitudini dei “restauri in stile” di metà ’900 che hanno cancellato i rimaneggiamenti del Seicento e del Settecento. Alla chiesa di San Gregorio appartiene anche la serie di “Misteri” della Passione, statue in legno e cartapesta che vengono portate in processione ad anni alterni il Venerdì Santo (soprannominati in dialetto barese ‘vendelùse’, ovvero “suscitatori di vento”). Nel 1928 la chiesa fu liberata degli edifici addossati che la collegavano posteriormente alla Torre delle Milizie, mentre con ulteriori e più radicali restauri nel 1937 l’architetto Schettini la liberava dei suddetti altari, ridando alla chiesa la sua struttura originaria.

 

 

http://www.giornaledipuglia.com/2016/11/teresa-gentile-e-lenciclica-laudato-sii.html

 

Home » Attualità , Chiesa »TERESA GENTILE E L'ENCICLICA "LAUDATO SII""


11/09/2016 09:00:00 AM

 

Teresa Gentile, giornalista, scrittrice e poetessa, animatrice del Salotto Culturale “Palazzo Recupero” di Martina Franca (TA), ha avuto la brillante idea di invitare amici e frequentatori del “Salotto”, a leggere l’Enciclica di Papa Francesco «Laudato sii» ed a scrivere poesie e disegni sull’argomento.
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La risposta è stata corale e Teresa Gentile ha curato, con la generosità e la nobiltà d’animo che la distingue, a pubblicare e diffondere gratuitamente, il volumetto “Laudato sii”, come messaggio d’amore universale, ispirandosi al “Cantico delle Creature” di San Francesco d’Assisi.

Anche Papa Francesco si è ispirato al nome del Santo di Assisi nel momento della sua elezione a Vescovo di Roma. Infatti, San Francesco è considerato «esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità».

Scrive Gentile nella prefazione «Questo testo sarà il nostro tangibile “Laudato sii” al Signore per il meraviglioso talento che ci ha donato e che a noi, con umiltà, spetta tener vivo e proiettare verso un futuro migliore, creando emozioni condivise, perché realmente la bellezza possa salvare l’umanità, ritenuta intelligente, da una immotivata autodistruzione».

Gli autori (bambini e adulti) delle varie poesie e dei vari disegni sono numerosi, con in testa Ana Stoppa, la nota ambientalista brasiliana, amante della natura, che ha creato un “ponte” culturale tra Brasile e Italia, anzi Martina Franca, e che Teresa Gentile ha puntualmente riportato nella sua pubblicazione.

Scrive la poetessa Flora De Vergori, presente nella raccolta: «Questo “albero” piantato nell’animo di ciascuno di noi, ha aperto le braccia alla poesia e a tutte quelle manifestazioni dell’arte attraverso cui poeti ed artisti hanno espresso il “grido” di aiuto che si leva da nostra Madre Terra a causa della disarmonia che l’uomo spesso provoca nel meraviglioso dono a noi del creato …».

Anche il dialetto fa capolino nella raccolta di Gentile con la traduzione nella parlata martinese del “Cantico delle Creature”, con la preghiera “Vergine Immacolata aiutami Tu”, di Cinzia Castellana, e “San Francesco d’Assisi” di Giovanni Nardelli, (noti poeti dialettali), che arricchiscono il testo, tutto da leggere e meditare.

Mi spiace non poter citare tutti gli autori, ma l’applauso va a tutti, citati e non citati e un battimano infinito a Teresa Gentile che si è resa promotrice di questa raccolta di pensieri e opere artistiche, finalizzate alla salute dell’anima e dell’ambiente.

 

 

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A PROPOSITO DI SANTINI


9/07/2016 10:14:00 AM

Il “santino” è un cartoncino rettangolare stampato, che riproduce su un lato la figura di un santo o altro soggetto sacro, e sull'altro reca il più delle volte, una preghiera o una formula di invocazione o il ricordo di un avvenimento religioso. L’immaginetta può essere diffusa anche in occasione di prime comunioni, cresime, consacrazioni di sacerdoti o suore, ecc.

Santa Teresa d’Avila nel 1566 scriveva nel suo “Cammino di perfezione”: «Cercate di avere un’immagine oppure un dipinto di Nostro Signore e non accontentatevi di portarlo sul cuore, senza mai guardarlo, ma usatelo per “conversare” con Lui». Forse questa l’origine dei “Santini” o delle immaginette.

Per la Chiesa, l’immagine religiosa ha una triplice funzione; quella di ornamento di chiese e luoghi di culto, di insegnamento e di divulgazione e incitamento alla pietà. La sua diffusione si sviluppò, adattandosi ai cambiamenti delle mentalità, del linguaggio e dei costumi, fra il XIV secolo e la prima metà del XX, proponendo principi di morale, di fede e di amore esaltanti la vita cristiana, adattando schemi che rappresentavano i grandi Misteri, diventando - nei momenti di necessità spirituale - mezzo di conforto, di colloquio con Dio e di intercessione presso i Santi.

La distribuzione delle immaginette avveniva durante le celebrazioni e ricorrenze religiose di un certo rilievo e diffuse nelle missioni presenti nei luoghi più sperduti del mondo. Generalmente venivano conservate nei messali, con sentimenti frammisti tra religiosità e scaramanzia, quasi come reliquie dalle potenti proprietà taumaturgiche. Con le nuove tecniche tipografiche i santini, a causa della divulgazione, venivano conservati non solo nei messali ma anche nei taschini delle giacche e nei portafogli, venivano incorniciati per tenerli sul comodino, sulle culle dei bambini, ecc. Grazie a questo piccolo mezzo i fedeli potevano ritrovare nella loro intimità, quella emozione provata nei momenti di maggiore partecipazione religiosa.

Un capitolo a parte potrebbe essere riservato ai testi e preghiere riportate sul retro delle immaginette, alcuni “propagandistici” e tendenti a “reclutare” aderenti alle varie Opere Pie o Confraternite religiose che, tramite una piccola offerta, davano la possibilità di far parte di un più ampio consesso di fedeli a cui sarebbe stata elargito un particolare privilegio, creando quindi un ininterrotto discorso tra terra e cielo e protraendo oltre la vita gli umani legami.

Oggi la frenesia della vita moderna e la mancanza di tempo non consente più di dedicarsi ai pizzi ed ai ricami delle iconografie. Le immaginette odierne sono povere, si rifanno a quelle del passato ma senza il calore di una volta, forse inadatte a trasmettere messaggi che giungano fino all’anima, parlando di Fede, Speranza e Carità.

Probabilmente, per la legge del contrappasso, negli ultimi decenni è iniziata una vera e propria caccia ai santini del passato che, strappati all’indifferenza dei mercanti di carta, delle aste, dei messali di famiglia, sono riapparse negli album dei collezionisti, ancora cariche del primordiale fascino. A Roma è operante una Associazione di Cultori di Immaginette Sacre, l’A.I.C.I.S. (Piazza Campitelli 9 - 00186 Roma - RM)) che raccoglie cultori, studiosi, collezionisti ed anche coloro che si interessano all’argomento sotto il profilo storico, religioso, folcloristico, culturale e artistico.

Oggi le immagini sacre non si contano dal momento che il martirologio romano conta più di 7000 Santi e Beati e quindi molti si sono cimentati allo studio e alla collezione dei “Santini”.

Il repertorio di elementi simbolici che compaiono nelle immaginette è molto vasto e, spesso, la caratteristica raffigurata, che a molti sfugge, ha la sua motivazione come il significato dell’iconografia, il giorno della festa, la riproduzione dell’immagine del Santo e tante altre informazioni.

Vediamo così, ad esempio che San Biagio, protettore della gola, si festeggia il 3 febbraio, San Rocco che protegge dalla lebbra, il 16 agosto, Sant’Antonio Abate, protettore degli animali, il 17 gennaio, San Nicola, patrono di Bari e protettore di numerose categorie (ladri compresi), il 6 dicembre, Santa Lucia, protettrice della vista il 13 dicembre, e così via. E, permettetemi di ricordare anche San Vittorio, unico santo con questo nome, che significa vincitore.

In Inghilterra fu portato dalla celebre regina Vittoria il cui nome segnò un’epoca, quella “vittoriana”. È invocato contro il fulmine, la grandine e gli spiriti maligni e si festeggia il 21 maggio.

È il caso di segnalare un interessante sito internet www.cartantica.it, abilmente curato da Patrizia Roca, sul quale ho l’onore di pubblicare alcune mie note, che testimonia l’importanza che hanno assunto le immaginette sacre in Italia e nel mondo.

 

Articolo comparso anche sulla rivista di Roma “Abitare a Roma”

 

 

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BARLETTA CUSTODE DI NOTEVOLI RELIQUIE DELLA PASSIONE DI CRISTO


3/07/2016 09:36:00 AM Attualità, Bat, Cultura e Spettacoli

 

Le reliquie sono resti corporali od oggetti d’uso (parti del corpo, oggetti, vesti o utensili) di persone d’importanza religiosa, custoditi e venerati in luoghi sacri. La religione non sempre è relegata esclusivamente ad esigenze di culto e devozione, ma diventa spesso un importante veicolo di conoscenza del passato capace di innescare prospettive di sviluppo turistico e culturale della popolazione.

Giuseppe Doronzo pubblicò qualche anno fa, per il CRSEC di Barletta, il volume dedicato alle reliquie della Passione di Cristo, presenti a Barletta. Il miglior modo per valorizzare, promuovere e tutelare il patrimonio che la storia ha lasciato alla comunità.

Barletta per la sua posizione geografica ha conosciuto varie civiltà: i Longobardi, i Bizantini, i Normanni, gli Svevi. Federico II nel 1228 radunò un solenne Parlamento per la VI Crociata in Terra Santa.
Per questi motivi alcune chiese di Barletta hanno, infatti, il grande merito di custodire da secoli importanti reliquie, abbandonate dai Patriarchi di Gerusalemme, quando furono costretti ad abbandonare la Terra Santa. Il porto di Barletta era, infatti, luogo di transito dei Crociati.

La Basilica del Santo Sepolcro custodisce una croce patriarcale di metallo smaltato di Corinto coperto di lamine d’argento dorato. Su di essa vi sono incastonate 24 pietre turchine disposte due a due lungo la banda verticale e le due bande orizzontali. Su di essa è apposta una targhetta che riporta la seguente iscrizione “Lignum crucis D.N. Jesu Christi Anno Santo della Redenzione 1983-84. Benedetta e sigillata 25.3.1984”.
La croce contiene tre pezzi della Vera Croce e nel 1659 subì una mutilazione: da uno dei tre pezzi della Croce Vera fu asportata una scheggia lunga 4 cm che fu donata dal Priorato di Barletta al viceré di Napoli, Gaspare di Bragamante, e a Guzman, conte di Pignorando, come attestato da due documenti del notaio Geronamo Spallucci del 1659.La preziosissima reliquia della Croce è molto venerata dai barlettani che in occasione di tristi eventi ne invocano la protezione.

Un’altra croce patriarcale contenente frammenti del Sacro Legno è custodita nella Chiesa di S. Maria Maggiore che è la Cattedrale di Barletta. Alta 42,5 cm. è artisticamente lavorata e arabescata e tempestata di pietre false e preziose. La sua provenienza è ignota, sebbene non manca un inventario del 1727, tuttora nella chiesa nazarena, dalla quale si apprende che la croce fu consegnata dalla Serenissima regina Giovanna di Gerusalemme all’Arcivescovo.

Una terza croce patriarcale è custodita nella Chiesa e Monastero di San Ruggero (già S. Stefano). Una croce, non nota ai barlettani, della quale non si hanno notizie della sua provenienza al monastero di S. Ruggero. Le reliquie di San Giovanni Battista e di S. Leonardo, in essa custodite, fanno supporre che sia appartenuta ai Cavalieri dell’Ordine Teutonico ed a quelli dell’Ordine di S. Giovanni Gerosolimitano.
Infine, per quanto riguarda la terza reliquia, la Sacra Spina, custodita nella Chiesa di S. Gaetano, si ipotizza, che furono i Trinitari nel sec. XIII a portare a Barletta la spina della Corona.

Delle tre croci, che custodiscono il sacro legno, solo quella che si conserva nella Basilica del Santo Sepolcro viene portata in processione la sera del Venerdì Santo e il 14 settembre. Mentre la Sacra Spina viene portata in processione la sera della domenica che precede quella delle Palme, rito che si fa risalire al tempo in cui i Trinitari risiedettero a Barletta e andando via dalla città, la tradizione fu portata avanti dai Confratelli della Congrega della SS. Trinità installatasi nella omonima Chiesa. Con l’ultimo decennio del secondo millennio, la festa della Sacra Spina ha assunto la forma mistica della Via Crucis. Portata in processione sotto un baldacchino si ferma davanti a ciascuna delle 14 stazioni che raffigurano, com’è noto, i tristi momenti della Passione di Nostro Signore.

 

 

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BARI, ALLA CHIESA DI SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, ARTE MONUMENTALE BIZANTINA SOTTO I RIFLETTORI
3/18/2016 09:38:00 AM Attualità, Bari, Territorio

 

Nell’ambito delle attività culturali dell’Associazione Italo-Ellenica “Pitagora” di Bari, presieduta da Sarina Elefteria Garufi, Monsignor Antonio Magnocavallo, parroco della Chiesa di San Giovanni Crisostomo (XIII sec.), ha tenuto una dotta conferenza sull’Arte Monumentale Bizantina e la sua evoluzione nel tempo.

La Parrocchia di San Giovanni Crisostomo di Bari, retta dallo stesso Monsignor Magnocavallo, con le funzioni religiose in rito bizantino, contribuisce a rafforzare il legame tra Oriente Occidente, associando anche attivit à culturali finalizzate all’impegno speciale nei rapporti con l’Ortodossia.
Dopo i saluti della Signora Sarina Elefteria Garufi, la parola è passata al prof. Antonio Calisi, docente di religione e iconografo, che ha presentato l’illustre conferenziere, e moderato l’incontro, alla fine del quale vi è stato un ampio dibattito.

È stato evidenziato come l’arte bizantina, sorta fin dalla sua nascita dal cristianesimo, arricchita dalle difficili ricerche dogmatiche dei concili, purificata dalla persecuzione iconoclastica, è divenuta prolungamento dell’incarnazione. In questa dinamica l’immagine è intesa come trascrizione della rivelazione operatasi nel Verbo e consegnata nei Vangeli in un linguaggio più immediato e visivo, facilmente accessibile alle masse dei fedeli.

L’evoluzione significativa si ebbe sotto il regno di Giustiniano. È stato, tuttavia, sotto la dinastia macedone che struttura e decorazione hanno costituito un tutto unico, spirituale nel carattere, sacro nell’essenza. Questa forma è divenuta canonica per gli edifici sacri eretti in seguito.

L’espressione artistica della civiltà che si sviluppò nell’impero romano d’oriente, con centro Costantinopoli tra il sec. VI ed il sec. XV, è stata senza dubbio la più alta e la più raffinata. Fu il linguaggio figurativo di una società aulica, che ha ereditato e tramandato ininterrottamente insieme con le forme del cerimoniale monarchico, il patrimonio formale ed iconografico del cristianesimo primitivo.

 

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SALVIAMO LE EDICOLE VOTIVE DEL CENTRO STORICO DI BARI


5/04/2016 05:23:00 PM

 

L’edicola religiosa altro non è che un piccolo spazio a forma di tempietto o nicchia, ove è sistemata e custodita un’immagine sacra (affresco, bassorilievo, scultura, dipinto, oleografia, ecc.). Normalmente è collocata nei vicoli del centri storici, nei cortili dei palazzi, sulle facciate delle case o sopra le porte d’ingresso, come segno di protezione o “per grazia ricevuta”

L’usanza di costruire edicole sacre viene da lontano. Risale addirittura all’epoca preistorica, e si diffuse poi largamente in epoca romana, con una gran varietà di tempietti, urbani e rurali, dedicati alle divinità pagane. Pare che solo nell’XI-XII secolo i cristiani abbiano iniziato ad usare le edicole, forse per rendere più vivo il rapporto con il Santo. /Particolarmente ricche sono le città come Roma e Napoli, ma anche la Puglia ha una buona raccolta e Bari possiede un altrettanto ricco patrimonio presente soprattutto nella città vecchia.

Recentemente è stata inaugurata una immagine dell’Odegitria nell’omonima piazza di Bari dove si affaccia la Cattedrale. A Costantinopoli, terra dalla quale pare proviene, non c’è più traccia di quella Madonna, che invece è presente con tutte le sue tradizioni e devozioni nella nostra città.

Nella Bari vecchia si contano circa 250 edicole, dedicate alla Madonna, San Nicola, Crocifisso ed altri e, grazie all’iniziativa di Nicola Cortone e Nino Lavermicocca, sono state riscoperte e riportate nella collana “Santi di Strada” (Ed. B.A. Graphis-Pagina), dando la possibilità a molti di venirne a conoscenza e di valorizzarle. Le edicole religiose testimoniano storie invisibili, difficili da scrivere ma semplici da raccontare. Se queste testimonianze rivelano la storia di una collettività ne consegue che esse costituiscono un patrimonio culturale del luogo e dell’umanità. Di qui l’impegno morale di salvaguardia e di recupero.

Le edicole religiose formano un vero e proprio reticolato religioso, una sorta di “segnaletica” per i devoti. Il ruolo principale di questi “tempietti” era di proteggere il luogo sul quale erano edificati. Esse rappresentavano una vera e propria segnaletica. Venivano impiegate ad esempio per segnare i limiti di un fondo o delimitare le tappe di una processione o per delineare il percorso verso un Santuario. Quasi sempre queste costruzioni nascono come opere di devozione dei privati, e spesso sono state edificate per adempiere ad un “voto”. La maggior parte si trovano in luoghi pubblici, ma non mancano esempi eretti in luoghi privati.

Nell’antichità le sorgenti, i crocevia e i luoghi in cui era avvenuto un evento prodigioso erano considerati sacri ed erano segnati da tempietti. Con il cristianesimo questi si sono trasformati in oggetti di devozione verso varie figure divine come santi locali, la Madonna, il Cristo… Questi piccoli elementi architettonici sparsi per il nostro territorio prendono il nome di edicole votive. Sono vere e proprie forme di arte popolare, espressione di una religiosità radicata e diffusa che continua nel tempo. Nelle città e nei borghi si presentano sotto forma di nicchie sui muri esterni delle abitazioni, mentre lungo le strade hanno una struttura diversa con base a forma di parallelepipedo. Quasi tutte custodiscono al loro interno vari oggetti, come raffigurazioni sacre, rosari, fiori, ceri…

Spesso le edicole sono opere d’arte sistemate come oggetti preziosi soprattutto su vecchie costruzioni ed affidate in larga parte alla custodia e alla manutenzione di privati che se ne assumono volontariamente anche le relative spese.

Vito Signorile, direttore artistico del Teatro Abeliano di Bari, ha lanciato un’iniziativa, in favore della baresità, del dialetto barese e delle edicole votive del Centro Storico, in segno di riconoscenza verso Bari ed i baresi. Signorile ha pensato bene di fare un “oMaggio” a Bari” in collaborazione con la Commissione Culture, presieduta da Giuseppe Cascella, e l’Assessorato alle Culture del Comune di Bari, retto da Silvio Maselli, con idee e iniziative meritevoli di attenzione e collaborazione.

Signorile alla luce di quanto sopra ha proposto un progetto “inclusivo” che spinga a nuove abitudini e nuovi metodi di collaborazione, non solo da parte dei cittadini, ma soprattutto da parte delle Istituzioni, Ditte, Società, Associazioni culturali, Banche, operatori turistici, ecc., illustrando loro l’iniziativa, finalizzata soprattutto a rilanciare Bari e le sue tradizioni, il suo dialetto, il salvataggio, il restauro e la manutenzione delle edicole votive, attraverso la sponsorizzazione e l’organizzazione di eventi, i cui ricavati saranno devoluti a favore di tali iniziative.

Tutti sono invitati a collaborare ed “a dare una mano” per la riuscita dell’iniziativa nel solo interesse della Città di Bari e dei suoi cittadini. Non si chiedono soldi, ma impegno a sponsorizzare direttamente restauri e manutenzioni.

 

 

 

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BASILICA, SANTUARIO, CATTEDRALE: DIFFERENZE E CURIOSITA'


1/09/2016 06:00:00 PM Attualità, Bari, Cultura e Spettacoli

 

Recentemente (8 dicembre 2015) la Chiesa di Sant’Antonio da Padova di Bari è stata elevata, dall’Arcivescovo di Bari-Bitonto, Monsignor Francesco Cacucci, alla funzione di Santuario. Vediamo in dettaglio quali sono le differenze tra parrocchia, santuario, basilica e cattedrale.

La Parrocchia è la chiesa in cui il parroco esercita le funzioni pastorali e, solitamente, è la più piccola circoscrizione territoriale di una diocesi.

Il Santuario è il luogo di devozione legato a eventi o manifestazioni miracolose della Madonna, dei Santi o dei Martiri o anche parte della chiesa dove sono conservate reliquie o immagini ritenute miracolose, oggetto di particolare venerazione o meta di pellegrinaggi.

Per Basilica (casa del re o del Signore) si intende una chiesa cristiana, il cui tipo architettonico è costituito da un edificio a sviluppo longitudinale, diviso da colonne e pilastri in tre o cinque navate. Infatti il nome deriva dal latino basilëca e dal greco basilikö.

Per quanto riguarda le basiliche, esse sono considerate tutte “minori” ad eccezione delle quattro Basiliche di Roma, definite “maggiori”: San Pietro, San Paolo fuori le Mura, San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore.

La Cattedrale rappresenta la sede vescovile ed è la sede della cattedra del Vescovo, ove esercita il suo magistero e apostolato. Nella nostra città la Cattedrale è retta dall’Arcivescovo della Diocesi di Bari-Bitonto Monsignor Francesco Cacucci.
La Cattedrale di Bari è una delle grandi opere romaniche sorte dopo l’anno mille, essa rappresentava il simbolo della città medievale, l’edificio più importante dove si svolgevano cerimonie religiose, ma anche manifestazioni civili e politiche.

Secondo la tradizione Bari ebbe per primo Vescovo un discepolo di San Pietro, San Mauro, ed assurse a metropoli delle Puglie sotto l’impero dei Greci. Per tale motivo si rendeva necessaria una chiesa episcopale degna del suo lustro. Pare indubbio che una chiesa episcopale sorgesse sullo stesso posto sin dal secolo VI, con a fianco il battistero, trasformato poi nell’ancora esistente Trulla.

A Bari si contano i seguenti Santuari: Santuario-Basilica Pontificia di San Nicola; Santuario Santa Maria Odegitria (Cattedrale); Santuario Santa Fara; Santuario S. Maria di Buterrito (Ceglie del Campo) e, ultima in ordine di tempo quella di Sant’Antonio da Padova. Mentre l’unica Basilica di Bari è quella dedicata a San Nicola.

La Basilica di San Nicola, retta da padre Ciro Capotosto.o.p., merita qualche notizia in più. Essa fu costruita nell’ambito della Corte del Catapano, residenza del governatore bizantino e che rivela la sua storia già dall’architettura esterna, che appare più come una fortezza che una chiesa, anche se nel periodo normanno fu usata proprio come ‘fortezza difensiva’. È dotata di quattro cortili interni, anticamente chiusi e riservati al clero della Basilica che a sua volta li metteva a disposizione dei commercianti in occasione delle fiere nicolaiane di maggio e dicembre. Anche altre chiese, compresa quella di San Gregorio, facevano parte della Corte del Catapano.

Una delle parti più interessanti è rappresentata dalla Cripta, la chiesa sotterranea in corrispondenza del presbiterio e del transetto, che certamente fu la prima parte portata a termine, e che oggi ospita la tomba di San Nicola. Severa e sobria come un’ara pagana – scrive padre Gerardo Cioffari – fu ben presto rivestita d’argento, assumendo la sua conformazione definitiva nel 1319 con la copertura (altare d’argento e cielo della cappella) donato dallo zar di Serbia Uroš II Milutin (1282-1321).

Anche la cappella orientale, riservata agli ortodossi affinché potessero celebrare la loro liturgia, concretizza a sua volta il discorso della vocazione ecumenica di Bari e San Nicola.
Infine la Cappella delle Reliquie (o del SS. Sacramento) è stata creata a seguito della nascita del Museo Nicolaiano che ha ospitato tutti i preziosi della ex Sala del Tesoro, ad eccezione dei reliquari.

 

 

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GLI ANIMALI NELLA BIBBIA

12/30/2015 05:11:00 PM Attualità, Cultura e Spettacoli

 

La Bibbia, che com’è noto, è il complesso dei libri composti da vari autori in tempi diversi, e richiamano, tra l’altro, un gran numero di animali. Solitamente il riferimento è al bue e l’asinello, ma in realtà sono più numerosi e così troviamo la colomba, il cervo, il cavallo, la capra, il cane, il cammello, l’agnello, il gallo, il leone, il lupo, l’orso, il passero e tanti altri.

Ovviamente non si vuole fare un rassegna di tutti gli animali elencati nella Bibbia ma citare alcune caratteristiche e il significato di alcuni di essi nell’ampio panorama delle scritture sacre.

L’agnello, mite e innocente, rappresenta il piccolo del gregge, bisognoso di ogni cura, riveste anche il ruolo sacrificale, oltre alla sua importanza centrale nella celebrazione della Pasqua.

La colomba bella e pura, è un volatile utile per l’offerta sacrificale. Alla colomba si collegano tre significati simbolici: l’amore, la pace e lo Spirito Santo. L’esempio della colomba è indicato da Cristo quando consiglia di essere prudenti come serpenti e innocenti come colombe.

Il passero fragile e indifeso, la cui carne era un cibo prezioso per i poveri, poiché poco costoso. Il volo del passero diventa anche allegoria del viaggio del pellegrino e del gioco dei fanciulli.

Il cane, fedele amico dell’uomo, era utilizzato, come oggi, a guardia di greggi e per la caccia, spesso gruppi di randagi, per la fame, diventavano pericolosi e il loro morso poteva procurare la rabbia. Per tale ragione troviamo espressioni di disdegno per l’animale ed anche proverbi che connotano disprezzo verso il simbolismo canino. Infatti il Cristianesimo lo vedeva come essere immondo, personificazione del demonio e della lascivia.

Il cammello, adatto nel deserto, animale di grande resistenza, può restare senza mangiare e bere per diversi giorni. A questa simbologia si raffigurano i re Magi.

Il cervo, bello e agile, insieme allo stambecco, al daino, all’antilope e al camoscio, è annoverato tra gli animali puri e la sua carne è ritenuta prelibata. Dotato di grande sensibilità ed eleganza, in caso di pericolo, si rifugia in luoghi solitari e tranquilli. Il cervo ha sempre attirato l’attenzione degli uomini: si trova raffigurato su pareti di caverne preistoriche ed è protagonista di miti greci e latini.

Il gallo, intelligente e aggressivo, è dotato di cresta, bargigli e coda piumata. Tra le caratteristiche vi è il canto che annuncia il giorno ed è menzionato durante l’ultima Cena nella predizione del rinnegamento di Simon Pietro.

Il cavallo, nobile e forte, la cui figura è collegata alla potenza militare dell’Egitto. Oltre al significato reale, il cavallo è associato al simbolismo apocalittico del carro di fuoco che rapisce il profeta Elia.

La capra, fonte di cibo, infatti la sua importanza è attribuita al latte e alla carne. A differenza delle capre, i capri (maschile) sono ritenuti animali che amano la lotta e la loro immagine è collegata ai governanti, come simbolo di potere e arroganza. La capra ha una familiarità antichissima con l’uomo, al quale ha fornito il prezioso alimento che è il latte. Pare che l’umore mutevole della capra abbia dato origine al sostantivo "capriccio".

Il lupo, considerato il principe nero del bosco, è menzionato nella Bibbia in riferimento alle pecore. Infatti la sua attenzione è rivolta soprattutto ad agnelli e capre, che esso attacca e sbrana con ferocia. È un predatore abile e implacabile. Il lupo, a differenza della volpe, non gode di alcuna simpatia.

Il leone, re degli animali, dal portamento maestoso, è l’animale più selvaggio citato nella Bibbia. Solo pochi riuscirono nell’impresa di vincere i leoni. Oltre alla descrizione realistica si aggiunge la valenza simbolica del “ruggito del leone” simbolo di guerra e di violenza.

L’orso, che stanziava nei territori collinari e boscosi della Palestina, apparentemente mansueto, quando è affamato diventa feroce. Nella ricerca di cibo simboleggia l’avidità degli uomini e raffigura, con il leone e il leopardo, il potere vorace della bestia apocalittica. Alla simbologia negativa si contrappone l’immagine positiva dell’orsa con i suoi piccoli, segno della ‘pace’ messianica.

Infine, l’asino e il bue, legati soprattutto alla simbologia del presepe, sono animali umili e lavoratori. L’asino, bestia intelligente, si è fatto cattivo nome per eccessiva bontà. L’asino accompagna sempre Gesù, Giuseppe e Maria nella fuga in Egitto e porta anche Cristo a Gerusalemme. La carne dell’asino non poteva essere mangiata perché ritenuta impura, mentre quella del bue era commestibile.
Al bue, utilizzato nella trebbiatura, la legge proibiva di mettere la ‘museruola’ poiché il suo lavoro era considerato il più faticoso. Un senso di rispetto verso gli animali ‘lavoratori’.

.Alcune notizie e le immagini sono state riprese dal periodico religioso “La Domenica” (Edizioni San Paolo).

 

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domenica, settembre 27, 2015 Cultura e Spettacoli

IL DECRETO DEL SANT'UFFICIO CONTRO IL COMUNISMO

Com’è noto il comunismo è una dottrina che, sulla base delle formulazioni teoriche di  Karl Marx (1818-1883) e Friedrich Engels (1820-1895) , prevedeva un sistema sociale nel quale sia i mezzi di produzione sia i mezzi di consumo sono sottratti alla proprietà privata e trasformati in proprietà comune, mentre la gestione e la distribuzione dei beni veniva  esercitata collettivamente nell’interesse e con la piena partecipazione di tutti i suoi membri. Comunismo è anche l’insieme dei movimenti e dei sistemi politici che hanno fatto propria tale dottrina e delle forze che ne fanno parte.

Il socialismo invece è un ordine politico in grado di eliminare o almeno ridurre le disuguaglianze sociali attraverso una qualche forma di socializzazione dei mezzi di produzione e correttivi applicati al meccanismo di distribuzione delle risorse economiche.
Il 1°luglio 1949, il Sant’Uffizio  emanava un decreto contro il comunismo. L’ordinanza in questione dichiarava che «il comunismo… è materialista e anticristano… i dirigenti si dimostrano ostili a Dio, alla vera Religione e alla Chiesa di Cristo».

Tra gli altri divieti vi era quello che dichiarava illecito “iscriversi a partiti comunisti, perché il comunismo… è materialista e anticristiano”. Inoltre dichiarava che era gravemente illecito e peccato mortale “pubblicare, diffondere o leggere libri, periodici, giornali o fogli volanti, che sostenevano la dottrina o la prassi del comunismo”.  Coloro che erano consapevolmente e liberamente iscritti, appoggiavano, pubblicavano, diffondevano o leggevano pubblicazioni che sostenevano la dottrina non erano ammessi ai SS. Sacramenti.

Il Decreto prevedeva, tra l’altro, che i fedeli che professavano, difendevano o si facevano propagandisti della dottrina del comunismo, incorrevano nella scomunica. Anche i giornalai erano inclusi tra coloro che diffondevano pubblicazioni comuniste, mentre i comunisti formali e notori non potevano né cresimarsi, né comunicarsi, se prima non si riconciliavano con la Chiesa.

Curiosità - A tal proposito mi piace citare un fatto di cronaca che fece molto scalpore. L’8 maggio 1960, durante la processione di San Nicola a Bari, si verificò un episodio che ebbe vasta eco non solo a Bari ma anche in Italia. Da un microfono, nelle vicinanze del Molo San Nicola in una giornata piovosa, l’Arcivescovo pro tempore mons. Enrico Nicodemo (1906-1973), quando la processione giunse al termine con la presenza del Sindaco socialista on. avv. Giuseppe Papalia (1897-1964) e relativa giunta, proveniva un richiamo: la partecipazione del Sindaco e dei membri della Giunta social-comunista alla messa in Piazza Mercantile e alla Processione, non solo non è stata richiesta  ma non è neanche  gradita… come è stato fatto sapere al Sindaco in via confidenziale… L’Arcivescovo , inoltre, con una pubblica dichiarazione evidenziava «l’incompatibilità della presenza del Sindaco e della Giunta social-comunista alle cerimonie sacre».

L’alto prelato si richiamò al decreto del Sant’Uffizio del 1° luglio 1949 contro il comunismo, di cui sopra. Ma con il suo pontificato S.S. Giovanni XXIII chiedeva una maggiore attenzione della Chiesa agli uffici religiosi e una minore intromissione nella politica.

 

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I DOMENICANI NELLA STORIA


11/18/2015 07:09:00 PM Attualità, Chiesa, Cultura e Spettacoli

 

Nella storia dei Domenicani si riflette l’affascinante passato che si realizza e s’incarna in personalità estremamente diverse, da San Tommaso d’Aquino (1225-1274), a Meister Eckhart (1260-1327), da Caterina da Siena (1347-1380) a Vincenzo Ferreri (1350-1419), da Tomás de Torquemada (1420-1498), a Girolamo Savonarola (1452-1498), per fermarci al Medioevo.

Il voluminoso fascicolo, di cui è autore p. Gerardo Cioffari o.p., è totalmente dedicato ai “Domenicani nella storia” ovvero la storia dell’Ordine attraverso i suoi protagonisti che oltre a non essere pochi sono anche importanti. Il fascicolo si riferisce al medioevo.

Incontriamo così San Domenico, canonico, predicatore e fondatore dell’Ordine; San Vincenzo Ferreri, il predicatore instancabile o Fra Giovanni da Fiesole (1395-1455), meglio noto come Beato Angelico, al secolo Guidolino di Pietro (1395-1455).

San Domenico, al secolo Domenico di Guzman, canonico della Cattedrale di Osma, era nato a Caleruega (Spagna) tra il 1171 e il 1175 in una nobile famiglia locale. Giordano di Sassonia nel suo “Libretto sui primi tempi dell’Ordine dei Predicatori”, così scriveva «Scosso dalla miseria dei poveri e divorato dalla compassione, risolvette con un unico gesto di obbedire ai consigli evangelici e di alleviare nel modo che gli era possibile la miseria dei poveri che morivano.
E vendette i libri che possedeva, libri a lui indispensabili».

La fisionomia spirituale di San Domenico è inconfondibile. Egli stesso negli anni duri dell’apostolato albigese si era definito: “umile ministro della predicazione”. Dalle lunghe notti passate in chiesa accanto all’altare e da una tenerissima devozione verso Maria, aveva conosciuto la misericordia di Dio e “a quale prezzo siamo stati redenti”, per questo cercherà di testimoniare l’amore di Dio dinanzi ai fratelli.
te la predicazione che scaturisce dalla contemplazione.

Anche San Tommaso d’Aquino, che nonostante l’opposizione della famiglia, nel 1244 entrò nell’Ordine domenicano studiando quindi a Parigi ed a Colonia.E dal momento che egli era generoso a mettere a disposizione dell’Ordine i suoi talenti, allo stesso modo l’Ordine lo sosteneva assegnandogli tre ed anche quattro segretari perché scrivessero sotto dettatura.

Le donne hanno avuto un ruolo importante nelle storia dei domenicani, anzi sono entrate nella storia domenicana ancora prima degli uomini. Nasce in Francia la prima comunità femminile che accoglieva le donne che avevano abbandonato gli Albigesi (seguaci dell’eresia Albigese).

Infatti, istituirono una comunità che costituì una vera e propria “stazione missionaria” in appoggio ai predicatori. Registriamo così la presenza di S. Caterina da Siena (1347-1380), penultima di 25 figli che, nonostante la sua scelta non era condivisa dai genitori, entrò nell’Ordine. Il carisma che lei emanava era così forte che, nonostante la giovane età, molti senesi, anche appartenenti a famiglie altolocate, cominciarono a frequentarla ed a chiederle consigli. S. Caterina è ricordata come consolatrice dei condannati per il celebre episodio di Niccolò Toldo, il nobile perugino condannato a morte per aver cospirato contro la sicurezza dello stato e che vede Caterina riuscire a fargli superare la disperazione e fargli affrontare la morte in grazia di Dio.

Cioffari, ricorda anche la questione dei Domenicani ed i Templari, un ordine cavalleresco tra il militare ed il monastico, fondato verso il 1119 da alcuni crociati che si erano stabiliti presso il Tempio di Salomone allo scopo di proteggere i pellegrini cristiani. Ben presto quell’ideale attrasse molti adepti e in pochi decenni non solo riuscirono a costruire fortezze inespugnabili, ma anche a raccogliervi ingenti tesori, al punto da destare l’interesse del Re di Francia che ipotizzò di sopprimere i Templari con accuse infamanti per impadronirsi dei loro beni.

In ogni caso la storia dell’Ordine ha avuto molte lacune. Molti frati che hanno compiuto pregevoli opere sono rimasti sconosciuti, come fra Beniamino, studioso di grosso calibro, al quale l’arcivescovo di Novgorod pensò di far coordinare la divisione del lavoro, per la traduzione della Bibbia in russo.

L’autore, nella premessa, sottolinea come nella storia dei Domenicani si riflette l’affascinante storia dello spirito umano, che si realizza e s’incarna in personalità estremamente diverse, da San Tommaso d’Aquino a Santa Caterina, a San Vincenzo Ferreri, da Torquemada a Savonarola - tanto per rimanere nel medioevo - ed in questo spirito ha scritto il passato dell’Ordine. È sua convinzione che si può comprendere meglio lo spirito dell’Ordine attraverso gli uomini che l’hanno incarnato, che non attraverso le regole rimaste sulla carta.

Le notizie su esposte sono state riprese dal fascicolo n. 1, anno XVI della rivista “Nicolaus – Studi storici”, diretta da padre Gerardo Cioffari o.p. (responsabile Giovanni Cavalli), edita dal Centro Studi Nicolaiani per i tipi di Levante Editori di Bari, al quale rimando per gli approfondimenti.

 

 

http://www.giornaledipuglia.com/2014/07/libri-adele-pulice-e-il-suo-erranti-in.html

 

Libri: Adele Pulice e il suo «Erranti in preghiera»

 

Per i tipi di Levante Editori è stato pubblicato nella collana “La Puglia nei docuenti” il vume di Adele Pulice “Erranti in preghiera” (Culti e canti popolari religiosi in Terra di Bari e di Foggia).

Adele Pulice, già docente di Lettere, attiva nella vita culturale del territorio ed esperta di storia locale relativa a usi e costumi del popolo pugliese, è autrice di varie pubblicazioni, frutto delle sue particolari ricerche e questa volta ha posto il suo obiettivo su un particolare tema quello degli “erranti in preghiera”, tra i quali sono riconosciuti pellegrini, chierici, studenti, viandanti, mercanti, re e papi che “erravano” per i luoghi santi in cerca di un contatto fisico e spirituale con il santo preferito per chiedere grazie e protezioni.

Un notevole lavoro quello presentato dall’autrice per mezzo del quale ci dà l’opportunità di leggere documenti, testimonianze scritte e orali attraverso le quali consente al lettore di conoscere lo sviluppo della tradizione culturale religiosa riguardante i principali santi e patroni che, per la loro miracolosità, hanno avuto ed hanno un culto molto diffuso come San Nicola, San Michele, i Santi medici, San Pio, tutti Santi che veneriamo in Puglia rispettivamente a Bari, Monte Sant’Angelo, Bitonto e San Giovanni Rotondo.

Tra le tante informazioni che Adele Pulice propone, mi piace sottolineare le affinità di culto tra San Nicola e San Michele, entrambi venerati in Oriente e in Occidente, i quali entrano in tenzone con il diavolo, San Michele lotta per strappargli l’anima dei suoi devoti, mentre San Nicola beffa il diavolo con scherzi e tranelli. Non va dimenticato che San Nicola è protettore delle ragazze da marito, della sterilità femminile e dei naviganti.

Il testo che si divide in 14 capitoli dedicati al culto dei Santi, ai viaggiatori pellegrini, al culto di San Nicola, San Michele, Santi Medici Cosma e Damiano, San Pio, nonché a quello Mariano, alle icone delle Madonne venute dall’Oriente cristiano, alle Madonne del Mare ed ai canti religiosi.

La conclusione è affidata a Carlotta De Matteo che tratta del virtuoso percorso dell’anima, mentre il disegno di copertina “L’errante” è di Rosalba Fantastico di Kastron. Il volume è anche corredato da numerose immagini della collezione di Vito Lozito.

Il prof. Domenico Colonna scrive in IV di copertina che «Adele Pulice contribuisce a far conoscere questa realtà, fissando quei ricordi che ancora permangono e che sono necessari alla memoria individuale e collettiva; così pure a presentarne aspetti non privi di originalità, utili per ulteriori approfondimenti»

Consentitemi ora una piccola azione ricognitiva, che considero doverosa, verso delle persone cui voglio ed ho voluto bene.

La signora Pulice è stata la moglie del prof. Vito Lozito (scomparso nel 2007), grande amico da me conosciuto a casa Levante. Gianni Cavalli, il cuore palpitante di Levante, di solito conduce una vita spartana, concedendosi pochi minuti di svago, quasi sia un peccato trascurare il lavoro. Inizia il discorso dicendo hai sette minuti di tempo per cui... in questo modo frena ogni tua iniziativa, a meno che non vai a trovarlo di domenica mattina, giorno in cui i minuti concessi sono dieci.
Una domenica di non pochi anni fa Gianni mi ha presentato il prof. Vito Lozito e siamo rimasti amabilmente a parlare di storia, cucina, santi, miracoli e donne fino alle tredici. L’amabilità, l’affabilità, la simpatia, il calore umano del professore avevano fatto breccia nella ‘scorza’ di Gianni, tanto da fargli dimenticare l’appuntamento con l’orologio.

 

Di vivace intelligenza Lozito sfoderava battute che ti spiazzavano, ma lui subito si rendeva conto che forse aveva ‘osato’ troppo e con grande tatto si rifugiava in una risata accomodante. Santo Spirito deve molto a quest'uomo, che ha dedicato al centro costiero in terra di Bari un libro che è un’autentica perla di bellezze senza tempo.

Lozito dava grande importanza alle attenzioni che la moglie aveva per lui e una volta mi ha raccontato che quando aveva lezioni all’Università Adele gli preparava un piccolo pranzo che consumava nella pausa.
Ditemi voi se questo non è un canto popolare, pregno di quell’amore familiare che ha guidato il nostro Paese verso quella ripresa economica che ci ha consentito una vita più agiata. Il grande uomo quasi sempre è sorretto dal profondo amore di una grande donna. La prof. Pulice, con questo libro, si è confermata grande donna, ma anche scrittrice attenta e generosa


venerdì 25 luglio 2014

 

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IL PRIMO NOVEMBRE E' LA FESTA DI TUTTI

Il primo novembre ricorre un appuntamento importante per la Chiesa Cattolica, la festività di «Tutti i Santi», in occasione della quale si onorano non soltanto i Santi iscritti nel martirologio romano, ma tutti i giusti di ogni lingua, di la gloria del Paradiso.
Una ricorrenza importante per la Chiesa che celebra tanti uomini e donne che hanno dato tutto per la fede e sono diventati per noi “modelli di vita e insieme potenti intercessori”.
Come e quando fu istituita la festa? Proviene dalla Chiesa Orientale ed accolta a Roma quando Papa Bonifacio IV trasformò il Pantheon, dedicato a tutti gli dei dell’antico Olimpo, in una Chiesa in onore della Beata Vergine Maria e di tutti i Martiri.
Ciò avveniva il 13 maggio del 609 e Alcuino, un inglese di York, maestro di Carlomagno, fu uno dei propagatori della festa, anche perché segnava l’inizio della stagione invernale. Gregorio III, poi, consacrò nella Basilica di San Pietro un oratorio al Salvatore, a sua Madre Santissima, agli apostoli, ai confessori e a tutti i giusti.
Con ciò veniva istituita la Festa di tutti i Santi indistintamente e Papa Gregorio IV stabilì la data del 1° novembre.

Lo spazio disponibile consente di ricordarne solo qualcuno, tra i più noti, che si sono particolarmente “distinti” prima nella vita terrena e poi in quella celeste. Iniziamo dal nostro San Nicola, vescovo, patrono dei bambini, Santo per tutte le latitudini, che presenta un grosso “catalogo” di miracoli: calma una furiosa tempesta, scongiura una carestia, resuscita tre bambini che un oste cattivo aveva messo in salamoia, salva tre ragazze dalla prostituzione, facendo trovare loro tre borse di monete che diventarono la loro dote matrimoniale e tanti altri.

Di questo Santo noi baresi sappiamo quasi tutto, senza dimenticare che è un Santo ecumenico ed è il più venerato in Russia.

Sant’Antonio Abate o del deserto, vissuto oltre cento anni, ottanta dei quali trascorsi nel deserto in prossimità del Mar Rosso.
La notizia della sua scelta si diffonde ugualmente dappertutto, nonostante la scarsità dei mezzi di informazione dell’epoca.
Da ogni parte d’Oriente le folle accorrono a lui per avere conforto, guarire dalle malattie e, perché no, invocarlo per trovare marito.

San Giuseppe, patrono dei lavoratori e dei papà, che nelle iconografie è rappresentato come un vecchio, in realtà era un uomo giovane, fidanzato con Maria, la madre di Gesù.
Il fidanzamento a quei tempi durava un anno e successivamente iniziava la vita coniugale, ma prima delle nozze Maria rimase incinta e Giuseppe pensò di sciogliere il matrimonio per non esporre la fidanzata alla lapidazione.
Ma, un Angelo lo avverte in sogno: «Non temere di prendere con te Maria, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» e così Giuseppe divenne padre di Gesù.

Santa Rosa da Lima, al secolo Isabella Flores y de Oliva (Isabelita), la prima Santa del Nuovo Mondo, nacque a Lima nel 1586 da genitori spagnoli trapiantati in Perù e dal momento che appariva di straordinaria bellezza, la madre un giorno le disse«Sei bella come una rosa» e da quel giorno non fu più Isabelita ma Rosa, come il più bel fiore del Perù. Canonizzata nel 1671, è venerata non solo come Patrona della sua patria, ma anche di tutta l’America Latina e delle Isole Filippine.

Ciò che stupisce nella vicenda umana di questa Santa, morta a soli 31 anni, è un inconcepibile desiderio di sofferenza. A un esame superficiale potrebbe emergere dalla sua singolare personalità una componente masochistica.
Ma questo mondo, apparentemente infelicitante, racchiude in sé, come una botte colma di buon vino frizzante, il segreto della gioia autentica. In Perù non vi erano conventi e Isabella Flores impose a se stessa una regola di vita austera, secondo le proprie vedute.

San Rocco di Montpellier, un Santo di casa nostra, viene infatti festeggiato in molte località pugliesi, il cui culto risale alle pestilenze del XVII secolo.
Le fonti su di lui sono poco precise e rese più oscure dalla leggenda. In pellegrinaggio diretto a Roma, dopo aver donato tutti sui beni ai poveri, si sarebbe fermato ad Acquapendente, dedicandosi all’assistenza degli ammalati di peste e facendo guarigioni miracolose che diffusero la sua fama. Invocato nelle campagne contro le malattie del bestiame e le catastrofi naturali, il suo culto si diffuse straordinariamente nell’Italia del Nord, legato in particolare al suo ruolo di protettore contro la peste.



 

E, dal momento che il mio nome è Vittorio, consentitemi di ricordarne il Santo. San Vittorio non ha lasciato molte notizie di sé, si sa solo che ha subito il martirio a Cesarea di Cappadocia e che era un romano. Il “Martirologio Romano”, lo ricorda il 21 maggio, insieme ad altri due martiri, Polieuto e Donato, che si celebrano nello stesso giorno.
Altro non si sa. Comunque il gruppo lo si ritrova sempre nei martirologi storici occidentali.
La mancanza di notizie, contrariamente alle regole, non l’ha messo nel dimenticatoio della storia, egli è certamente più nominato nei secoli successivi, di quanto non fosse nominato e conosciuto in vita.
Vittorio è l’unico Santo con questo nome, proviene dal latino Victorius variante di Victor (vincitore). In Inghilterra fu portato dalla celebre regina Vittoria il cui nome segnò anche un’epoca ed uno stile (vittoriani). È invocato contro il fulmine, la grandine e gli spiriti maligni.

Non mi resta che augurare a tutti buon onomastico.

 

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3 SETTEMBRE 2013
Bari, solenne Triduo in onore di Maria Santissima Addolorata

 


La Vergine Addolorata ha da sempre un culto particolare.
La devozione ha fissato simbolicamente i sette dolori, corrispondenti ad altri sette episodi evangelici: profezia del vecchio Simeone, la fuga in Egitto, lo smarrimento di Gesù a Gerusalemme, il viaggio di Gesù al Golgota, la Crocifissione, la deposizione dalla Croce e la sepoltura.
La memoria della Vergine Addolorata ci fa rivivere il momento decisivo della storia della salvezza ed a venerare la Madre associata alla passione del figlio sulla Croce. La sua maternità assume sul calvario dimensioni universali.
Questa memoria di origine devozionale fu introdotta nel calendario romano da papa Pio VII nel 1814 e fissata al 15 settembre da San Pio X nel 1913.

Dal 12 al 15 settembre si svolgerà presso la Parrocchia di Sant’Antonio di Bari, in collaborazione con l’Arciconfraternita di Maria SS.ma della Pietà e di Sant’Antonio, il solenne Triduo in onore della Beata Vergine Maria Addolorata, animato dal diacono fra Maurizio Mastronardi, ofm, secondo il seguente programma:

12 settembre ore 19, celebrazione eucaristica e benedizione dei nuovi Confratelli;
13 settembre ore 19, celebrazione eucaristica in memoria di tutti i Confratelli defunti;
14 settembre ore 19, celebrazione eucaristica e benedizione dei portatori; 5 settembre: SS.Messe ore 7.30, 9, 10.30, 12, 19 e 21;
15 settembre ore 19: Solenne celebrazione eucaristica presieduta da padre Miki Mangialardi, guardiano, parroco e assistente spirituale dell’Arciconfraternita.
A seguire la fiaccolata con il simulacro della Vergine Addolorata.

Qualche notizia sulla storia del Convento-Parrocchia di Sant’Antonio. I padri Francescani vennero a Bari nel XVII secolo ed iniziarono la costruzione del Convento e della Chiesa nell’anno 1617 ultimando i lavori nel 1622. In seguito ad un terremoto del 1831, per le gravi lesioni riportate, la chiesa crollò nel 1834.
Negli anni 1836-1839 la chiesa venne riedificata ed ampliata e dedicata a Sant’Antonio di Padova.
Nel 1866, in seguito alle disposizioni relative alla soppressione degli ordini religiosi, il Convento fu occupato dalla truppe garibaldine ed adibito a caserma.
Nel 1887 nella Chiesa venne eretta la Vicaria Capitolare con il titolo di Sant’Antonio, rimasta in funzione fino al 1930. In quel periodo in tutto il quartiere non c’era alcuna chiesa secolare da destinare a parrocchia.
Il 21 maggio 1936 fu posta la prima pietra per la costruzione del Convento e nel 1937 i lavori per l’ampliamento della Chiesa, il Battistero ed il nuovo Convento che terminarono dopo tre anni.
Nel 1956 l’arcivescovo Enrico Nicodemo istituì una nuova Parrocchia e la chiesa di Sant’Antonio divenne per la prima volta parrocchia, retta da padre Bernardo Elia.
Nel 1987 la zona absidale è stata dotata di un bellissimo Crocifisso ligneo che la domina ed ai fianchi i mosaici che rappresentano i quattro evangelisti.
Nel 1995 la grande statua in gesso di Sant’Antonio viene collocata nel vecchio Battistero, divenuto “Cappella del Santo”. La Chiesa di Sant’Antonio ospita fin dal 1925 la Pia Associazione di Sant’Antonio ed il 19 marzo 1931 fu dichiarata dall’arcivescovo Augusto Curi Confraternita di Maria SS. della Pietà e di Sant’Antonio e dal 10 gennaio 1962 elevata ad Arciconfraternita.
Nell’anno 2011, a cura del Parroco pro-tempore padre Giammaria Apollonio, la Chiesa è stata totalmente restaurata tornando così a nuovo splendore.

http://www.giornaledipuglia.com/2013/09/bari-solenne-triduo-in-onore-di-maria.html

 

 

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IL VANGELO DI MARCO TRADOTTO IN DIALETTO BARESE DA AUGUSTO CARBONARA

 



Com’è noto San Marco è uno dei quattro evangelisti che Augusto Carbonara ha voluto tradurre in dialetto barese e darlo alle stampe per la Wip Edizioni «U Vangele alla manere de Marche veldate alla barese» (pagine 152 - € 10).
Il Vangelo, che significa letteralmente “buona novella”, rappresenta il messaggio di redenzione e, più ampiamente, l’annuncio della parola di Cristo e dei valori cristiani. Carbonara, ingegnere barese, esperto di costruzioni idrauliche, ha ricoperto per lunghi anni il ruolo di
funzionario dell’Acquedotto Pugliese, ha affrontato il difficile compito di tradurre nella nostra lingua madre il Vangelo di Marco, il cui originale è datato intorno agli anni 70 d.C., dando soprattutto ai baresi la possibilità di gustare nel proprio dialetto i vari episodi della vita di Gesù.
In sostanza l’autore, che conosce molte lingue e dialetti, non si è limitato a tradurre sic et simpliciter la buona novella di Marco, ma è andato oltre attraverso la sua passione e competenza, avvicinandosi il più possibile al testo originale, che nel libro è riportato in latino.
Il volume in elegante veste editoriale si avvale della prefazione di Mons. Luigi Stangarone e della postfazione di Nicola Sbisà, il quale ultimo sottolinea che uno dei problemi che molti pongono all’attenzione è quello della grafia del dialetto barese. Sbisà evidenzia che «Più d’uno, anche in tempi recenti, si è paludato del ruolo di depositario della verità! Non esiste peraltro un insieme di regole chiare, indiscutibili e definitive cui fare riferimento». Non si può che concordare pienamente.

Infine, scrive ancora Sbisà, «Una lettura del testo, si rivela efficace e, soprattutto comprensibile. Il testo reso in barese conserva con la sua semplice immediatezza, la sua ispirata capacità di rendere ammaliante il racconto del quale la fede illumina anche i minimi particolari».
Scrive Carbonara, nella presentazione, che «Il dialetto barese è stato sempre trascritto in modo differente dai vari autori ognuno dei quali ha adoperato le proprie regole. Molti avvertono la necessità di soluzioni condivise, ma i buoni propositi vanno a rilento. In attesa di un accordo, ho adoperato le regole più comunemente accettate specie dagli autori più antichi».
La bella copertina, che rappresenta la nostra Bari con in primo piano il Leone di San Marco, ed i disegni all’interno del testo, sono opera di Elena Carbonara (1929-2012), sorella dell’autore, mentre nella quarta di copertina è riportata la riproduzione di un quadro ad olio “Mater amabilis”, opera del pittore Giuseppe De Mattia (1803-1895), bisnonno dell’autore, che è presente con sei grandi tele nella Chiesa dedicata alla Madonna della Lama di Noicattaro.
Un ottimo lavoro quello di Carbonara dal quale si attendono ora gli altri tre Vangeli tradotti nella nostra lingua madre.


- See more at:
http://www.giornaledipuglia.com/2013/07/il-vangelo-di-marco-tradottoin. html#sthash.QcDBHDeh.dpuf

 

(da http://www.giornaledipuglia.com/2013/07/il-vangelo-di-marco-tradotto-in.html
26 LUGLIO 2013)

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I GIORNI DELLA FESTA TRA MITI E RITI PUGLIESI IN UN LIBRO

 



In ogni angolo d’Italia numerose sono le comunità grandi e piccole che organizzano nel corso dell’anno feste e sagre di ogni genere: religiose, laiche, tradizionali, tutte manifestazioni che danno, sotto certi aspetti, una identità alle nostre città ed al nostro Paese. Pietro Sisto, docente di Letteratura italiana e di Storia del libro e dell’editoria nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bari, ha pubblicato recentemente per i tipi della Progedit, il bel volume “I giorni della festa – Miti e riti pugliesi tra memoria e realtà” (pagg. 208, € 27), che raccoglie opportunamente modificati, integrati ed illustrati, una serie di articoli apparsi sulle pagine culturali della “Gazzetta del Mezzogiorno”. L’autore accompagna i suoi lettori in una interessante lettura-passeggiata tra i miti ed i riti che si svolgono nella nostra bella Regione attraverso una serie di feste, per lo più religiose, senza trascurare quelle laiche. Sisto in sostanza si sofferma sul significato e sul ruolo ricoperto nella società tradizionale e in quella odierna dalle feste, esaminate non solo come veri e propri beni culturali immateriali da conoscere e tutelare, ma anche
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come interessanti testimonianze della complessa, contraddittoria transizione dal mondo pagano a quello cristiano e cattolico. Sisto da esperto della materia illustra in una serie di capitoli il corteo delle festività che scorrono durante l’anno: da Natale alle “Fanove” di Castellana, a Sant’Antonio Abate, protettore degli animali, al Carnevale, ai colori ed ai suoni della Pasqua, agli amori e i canti del calendimaggio (cantate di maggio), al culto Mariano nelle grotte e nei boschi, alle feste dell’Ascensione e del Corpus Domini, della magica notte di San Giovanni e così via. Insomma l’autore descrive con competenza l’antica vocazione della gente del Sud finalizzata a trasformare vicoli, strade e piazze dei paesi in grandi palcoscenici illuminati sia dal sole che da migliaia di lampadine iridescenti, animati da un ‘esercito’ di personaggi multicolori che avanzano sulla scena tra uniformi, gioielli preziosi e poveri ex voto. Ma la storia non finisce qui, si parla anche dell’arte della pirotecnia, dei palloni aerostatici, di San Rocco, la peste e il colera, del culto dei morti e della notte di Halloween, di Santa Lucia dei tarocchi e dei calendarietti dei barbieri. Un viaggio nel tempo che aiuta il lettore a comprendere la realtà della Puglia, nella quale nei giorni di festa continuano a sfilare Santi e Madonne, Confraternite e bande in un irripetibile spettacolo di luci, suoni, colori e sapori. Una miscela di sacro e profano. Completa il volume una simpatica Antologia con varie curiosità (lettera al Papa sulla riforma delle feste, la Settimana Santa a Trani, l’Ascensione ed il Corpus Domini a Putignano, la festa della Madonna della Scala a Massafra), una bibliografia ed un indice della numerose immagini presenti nel testo. Una bella ed utile strenna per Natale

 

(da http://www.giornaledipuglia.com/2012/12/i-giorni-della-festa-tra-miti-e-riti.htm )l

 

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IL SANTUARIO DI POMPEI E' LEGATO AD UNA DONNA DEL SUD

 

Come è noto il Santuario della Madonna di Pompei sorge nell’attuale Piazza Bartolo Longo, una vasta area che un tempo era denominata Campo Pompeiano e fu feudo di Luigi Caracciolo prima e di Ferdinando d’Aragona dopo.
Ada Ignazzi, diplomata presso l’Istituto Statale d’Arte di Bari, interessata ad ogni forma artistica e culturale, risiede a Monopoli, dove ha svolto molte attività in ambito scolastico e amministrativo. È particolarmente interessata alla storia ed ai temi che riguardano la carità nel Mezzogiorno, specie ad opera di donne impegnate nel sociale. E, dal momento che la storia delle donne del sud Italia, è quasi tutta da scrivere, l’autrice, con il volume “Marianna Farnararo Contessa De Fusco – Cofondatrice del Santuario di Pompei”, pubblicata qualche anno fa dalle Edizioni Giuseppe Laterza di Bari (pag. 204, euro 20,00), ha voluto dare il suo contributo finalizzato a far conoscere la storia di una donna che, insieme al Beato Bartolo Longo, ha fondato il Santuario della Beata Vergine di Pompei. Infatti ai lati della navata centrale, sono collocate le due statue bronzee dei Fondatori Bartolo Longo e la Contessa De Fusco.   

La Puglia, e in particolare Monopoli (Ba), ha dato i natali a Marianna Farnararo, Contessa De Fusco, educata alla misericordia verso i poveri. All’età di 14 anni segue la famiglia nel trasferimento a Napoli convolando a nozze con il Conte Albenzio De Fusco di Lèttere. Dal matrimonio nascono cinque figli, ma dopo 12 anni rimane vedova, ereditando alcuni terreni nella valle di Pompei che, a causa della cattiva gestione del patrimonio, è costretta ad affrontare notevoli difficoltà economiche nei primi anni della vedovanza. Ma, l’amicizia con Caterina Volpicelli, oggi Beata, favorisce il maggior avvicinamento alla religione, dedicandosi così ad azioni di volontariato religioso e sociale per i quali si meritò l’appellativo di “apostolo della sua parrocchia”.
Nella casa della Volpicelli, Marianna conosce l’avvocato Bartolo Longo, anch’egli pugliese di Latiano (Br), al quale affida l’amministrazione del suo patrimonio, lo sposa successivamente, dedicandosi entrambi alla costruzione di una nuova chiesa e successivamente alla realizzazione del Tempio dedicato alla Vergine del Rosario ed alla realizzazione di opere sociali ad esso collegate.
Ada Ignazzi auspica che la lettura del volume susciti interesse nella gente di Monopoli e negli studiosi di storia locale, dal momento che il suo obiettivo è quello di far conoscere ai monopolitani l’operato di una concittadina di ieri, di una donna laica che ha precorso i tempi andando molto oltre i confini della sua città.     

Foto Vittorio Polito

 

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GLI SCRITTI SPIRITUALI DI UNA SERVA DI DIO: SUOR TERESA GIMMA

Le Edizioni San Paolo hanno pubblicato recentemente il primo volume “Un cammino di Santità”, scritti spirituali di una Serva di Dio relativi al periodo 1898-1920 a cura di Giuseppe Micunco (pagine 616 - € 33).
Ancora una Suora protagonista di un cammino di santità nella città di Bari, Suor Teresa di Gesù Gimma, che per  un disegno provvidenziale di Dio la vede in un breve periodo insieme a Suor Teodora Fracasso (Beata Elia di San Clemente).
Suor Teresa di Gesù Gimma (1880-1948), entrata a 18 anni nel Carmelo “San Giuseppe”, fonda a Bari nel 1920 il nuovo Carmelo “Santa Teresa”, di cui è priora fino al 1931. Dopo un breve periodo trascorso a Roma, rientra a Bari nel suo Carmelo. Muore nel 1948 lasciando una chiara fama di santità. Attualmente è in corso la causa di beatificazione.
Giuseppe Micunco, che ha curato con competenza scientifica la raccolta degli scritti spirituali di Suor Teresa di Gesù, regala all’Ordine Carmelitano un prezioso dono al fine di far conoscere più dettagliatamente la preziosa eredità spirituale lasciata a tutto il popolo di Dio.
Il volume presenta nel dettaglio il profilo spirituale di Teresa Gimma, firmata da Monsignor Vito Angiuli, Vescovo di Ugento–Santa Maria di Leuca; un’ampia ed approfondita introduzione, quindi in dettaglio la rassegna degli scritti e le lettere di Suor Teresa raccolti dal curatore.
Nella raccolta degli scritti di Suor Teresa si legge una curiosità, anzi una profezia: è stato trovato un biglietto indirizzato a Suor Teodora Fracasso (Beata Elia di San Clemente), nel quale si legge: “Continuate sempre col medesimo fervore amando Gesù e vi farete Santa”, riconoscendo subito in essa i germi di santità.
Monsignor Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, che firma la presentazione, auspica che “Questa pubblicazione riporti all’attenzione della città di Bari una luminosa figura di donna e di consacrata, che ha segnato la storia cittadina con una scelta di vita radicale e controcorrente e che il monastero da lei fondato, dove sono conservate le sue spoglie mortali, diventi un punto di riferimento per tutti coloro che, credenti o non credenti, desiderano sperimentare il mistero ineffabile di Dio attraverso la contemplazione, il silenzio, la preghiera”.

 

 

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Dal Giornale di Puglia - Il quotidiano online di Cronaca Pugliese

 

 

FESTA DI MARIA SANTISSIMA ADDOLORATA A BARI

Dal 9 al 15 settembre si svolgerà presso la Parrocchia di Sant’Antonio di Bari la festa di Maria Santissima Addolorata in collaborazione con l’Arciconfraternita Maria SS. della Pietà e di Sant’Antonio, secondo il seguente calendario:

9 settembre ore 19: benedizione del nuovo abito della Madonna e Celebrazione Eucaristica presieduta dal padre Provinciale p. Giuseppe Tomiri;
12-13 e 14 settembre - Triduo Solenne animato da p. Antonio Narici o.f.m.;
15 settembre: Celebrazione della Solennità di Maria Santissima Addolorata:
ore 19 - Solenne concelebrazione Eucaristica presieduta da p. Giammaria Apollonio;
ore 20,30 - Processione sul piazzale della Chiesa del Simulacro della Vergine Addolorata ed a seguire lancio di palloni aerostatici e spettacolo di fuochi pirotecnici.

Qualche notizia sulla storia del Convento-Parrocchia di Sant’Antonio.
I padri Francescani vennero a Bari nel XVII secolo ed iniziarono la costruzione del Convento e della Chiesa nell’anno 1617 ultimando i lavori nel 1622. In seguito ad un terremoto del 1831, per le gravi lesioni riportate la chiesa crollò nel 1834. Negli anni 1836-1839 la chiesa venne riedificata ed ampliata e dedicata a Sant’Antonio di Padova.
Nel 1866, in seguito alle disposizioni relative alla soppressione degli ordini religiosi, il Convento fu occupato dalla truppe garibaldine ed adibito a caserma. Nel 1887 nella Chiesa venne eretta la Vicaria Capitolare con il titolo di Sant’Antonio, rimasta in funzione fino al 1930.
In quel periodo in tutto il quartiere non c’era alcuna chiesa secolare da destinare a parrocchia. Il 21 maggio 1936 fu posta la prima pietra per la costruzione del Convento e nel 1937 i lavori per l’ampliamento della Chiesa, il Battistero ed il nuovo Convento che terminarono dopo tre anni. Nel 1956 l’arcivescovo Enrico Nicodemo istituì una nuova Parrocchia e la chiesa di Sant’Antonio divenne per la prima volta parrocchia, retta da padre Bernardo Elia.
Nel 1987 la zona absidale è stata dotata di un bellissimo Crocifisso ligneo che la domina ed ai fianchi i mosaici che rappresentano i quattro evangelisti. Nel 1995 la grande statua in gesso di Sant’Antonio viene collocata nel vecchio Battistero, divenuto “Cappella del Santo”. La Chiesa di Sant’Antonio ha ospitato fin dal 1925 la Pia Associazione di Sant’Antonio ed il 19 marzo 1931 fu dichiarata dall’arcivescovo Augusto Curi Confraternita di Maria SS. della Pietà e di Sant’Antonio e dal 10 gennaio 1962 elevata ad Arciconfraternita. Nell’anno 2011 la Chiesa è stata totalmente restaurata tornando così a nuovo splendore.

di Vittorio Polito

 

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ANCHE IN DIALETTO BARESE SI PUO' PREGARE


di Felice Di Maggio

La Levante Editori di Bari ha pubblicato in questi giorni il tascabile di Vittorio Polito e Rosa Lettini Triggiani, «Pregáme a la barése - Preghiamo in dialetto barese» (Levante Editori, Bari, pag. 96 - € 10).
È notorio che la preghiera è un atto di fede con cui il cristiano si mette in  intimo rapporto con Dio, con la Madonna e con i Santi e poiché la preghiera sgorga dal cuore si può esprimere in vari modi: a voce alta, nel proprio intimo ed anche in dialetto, poiché più facilmente si trovano le giuste espressioni.

Vittorio Polito, giornalista e scrittore, e Rosa Lettini Triggiani, scrittrice ed interprete in lingua ed in dialetto barese di varie commedie di Domenico Triggiani, hanno avuto la brillante idea di tradurre in dialetto barese alcune delle principali preghiere del cristiano.

Nel volumetto sono pubblicate, come detto, le più comuni preghiere del cristiano, liberamente tradotte in dialetto barese, con traduzione a fronte: dal segno della croce, al “Gloria a Dio nell’alto dei Cieli”, al “Credo”, al “Santo Rosario”, ecc., insieme ad alcune altre preghiere dedicate alla Madonna Odegitria, a San Nicola, a San Pio ed a Sant’Antonio e, completato, con “I dieci Comandamenti” ed il “Cantico delle creature” di San Francesco.
Gli autori hanno aggiunto anche alcuni componimenti dialettali a soggetto religioso dei poeti Peppino Franco, Giuseppe Gioia e Giovanni Panza.

Il pocket si avvale della presentazione di padre Lorenzo Lorusso, priore della Basilica di San Nicola di Bari, il quale nel sottolineare che «Si può pregare in diverse lingue ed anche in dialetto barese», ricorda che tutte le preghiere manifestano i vari modi per invocare Dio, la Vergine e i Santi che sono semplificati nella lode, nel ringraziamento, nella supplica, nell’intercessione, nella fiducia. «Nella preghiera – scrive ancora padre Lorusso – si trova il coraggio per andare avanti, nonostante i momenti di incomprensione, di abbandono e di apparente fallimento. Come in Gesù il suo stare in preghiera col Padre e il suo essere tra le folle non sono fatti distinti, ma momenti che si compenetrano in un solo movimento, anche noi preghiamo senza dimenticare i fratelli».



Una interessante idea quella degli autori che hanno voluto contribuire con il loro “Pregáme a la barése”, ad ampliare le pubblicazioni del panorama dialettale nostrano in maniera semplice e simpatica, invitando contestualmente i fedeli a rivolgere ai Santi le loro preghiere “a modo loro” ed anche in dialetto barese.
Il volume, da non perdere, si completa e arricchisce con una serie di immagini religiose ed alcune foto del centro storico barese.

 

 

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RICOSTRUIRE UN PASSATO DI FEDE E DI AVVERSIONE AL CULTO

         È stato presentato nel foyer del Teatro Petruzzelli di Bari il volume di Antonio CalisiMonachesimo ed iconoclastia” (Nicholaus società editrice – pagg. 97 - € 16) . Antonio Calisi, giornalista pubblicista, direttore della rivista ecumenica “Tempi di unità”, si dedica all’ecumenismo, all’arte bizantina ed alla storia del cristianesimo antico. Il monachesimo consiste nell’abbandono della vita sociale per professare la propria religione nell’ascesi, nella solitudine o nella vita religiosa comunitaria, mentre l’iconoclastia rappresenta la dottrina e le azioni di coloro che nell’Impero bizantino, nei secoli VIII e IX, avversarono il culto religioso e l’uso delle immagini sacre.
L’autore in questo volume espone ampiamente la profonda crisi creatasi nel secolo VIII a causa dello sviluppo della venerazione delle icone, seguita con molta attenzione dai teologi e da quanti, all’epoca, si reputavano tali. Numerose le cause: contese tra Chiesa e Stato, centro e provincie, vertice e gruppi della popolazione di base, corte ed esercito da una parte e monaci dall’altra, un fronte conflittuale che si spostava continuamente. Le motivazioni, spesso anche economiche, contribuirono a provocare ed accentuare l’evolversi della contesa. Solo nel marzo 1843 a Costantinopoli, l’imperatrice Teodora convocherà un Sinodo che riproporrà i canoni dei sette Concili ecumenici precedenti e dichiarerà legittimo il culto delle icone. Il volume si divide in due capitoli essenziali: il primo dedicato al contributo teologico, canonico e patristico dei monaci al Concilio di Nicea II nel 787, mentre il secondo è dedicato al contributo del monachesimo dopo il Concilio di Nicea.
         Il testo è dotato di un interessante appendice che contiene 4 documenti con l’elenco completo dei presbiteri, diaconi, igumeni e monaci presenti al Concilio, l’apporto dei monaci che si espressero a sostegno del magistero proposto nelle lettere di Adriano, la lista degli igumeni e dei monaci rappresentanti dei loro vescovi presenti alla VII sessione e la lista degli igumeni e dei monaci rappresentanti dei loro vescovi firmatari della dichiarazione finale.
         Donato Giordano O.S.B. Oliv., che firma la presentazione, scrive che il lavoro di Antonio Calisi è stato condotto con buona capacità di ricerca e di analisi critica del materiale reperito, dimostrando di conoscere bene la materia trattata e gli argomenti ad essa correlati, che fanno apprezzare anche l’originalità dell’argomento, messo a fuoco in modo monografico.
        

da Barisera del 20 febbraio 2012, pag. 14

 

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IL CONGRESSO EUCARISTICO DI BARI

Pubblicati dalla Levante Editore gli Atti del XXIV Congresso Eucaristico Nazionale di Bari

Sono stati pubblicati, a cura di Vito Angiuli, Giuseppe Micunco e Gabriella Roncati, in una elegante e imponente pubblicazione della Levante Editori di Bari, gli “Atti del XXIV Congresso Eucaristico Nazionale”, svoltosi a Bari dal 21 al 29 maggio 2005, “Senza la Domenica non possiamo vivere” (640 pagine).
Dell’importante assise congressuale sono riportati nel volume gli atti, le celebrazioni e le manifestazioni, dalla solenne apertura presieduta dal cardinale Camillo Ruini, inviato speciale del Santo Padre il Papa Giovanni Paolo II, fino alla celebrazione eucaristica conclusiva presieduta dal nuovo Pontefice Sua Santità Benedetto XVI, venuto a Bari alla sua prima uscita dopo l’elezione.
Il volume riporta la cronaca, giorno per giorno, i testi delle omelie tenute nelle diverse celebrazioni eucaristiche, quelli delle relazioni, degli interventi nelle varie tavole rotonde e nei laboratori e delle testimonianze; sono inserite anche le manifestazioni religiose (veglia di preghiera ecumenica, processione del Corpus Domini, Via Crucis) e culturali (rappresentazione teatrale sui Martiri di Abitene di Vito Maurogiovanni, (“Il primo giorno dopo il sabato”), a cura della Scuola Diocesana di Teatro con la regia di don Antonio Eboli; serata di riflessione e di festa ‘Notte di luce aspettando la Domenica’); importanti iniziative come il ‘Villaggio giovani’ e il ‘Family fest’.
I documenti: dalla sintesi del primo incontro con il Comitato Centrale, alla programmazione triennale, al sussidio liturgico-pastorale in preparazione dell’Avvento-Natale; al messaggio alle famiglie di mons. Angelo Comastri e mons. Francesco Cacucci, i comunicati stampa, le relazioni.
Sono riportati i saluti delle autorità civili e religiose per la solenne apertura del Congresso (mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto; On. Pierferdinando Casini, Presidente della Camera dei Deputati; Michele Emiliano, Sindaco di Bari; monizione del Cardinale Camillo Ruini).
Il volume è arricchito con la cronaca ed i documenti della giornata più importante del Congresso (Domenica 29 maggio), che nella Spianata di Marisabella, per la celebrazione eucaristica di chiusura, ha visto la partecipazione di Sua Santità Benedetto XVI (omelia e preghiera dell’Angelus). Il Santo Padre nell’omelia ha evidenziato, tra l’altro, che «Questo Congresso Eucaristico, ha inteso ripresentare la domenica come ‘Pasqua settimanale’, espressione dell’identità della comunità cristiana e centro della sua vita e della sua missione».

Monsignor Francesco Cacucci, nel suo indirizzo di saluto al Santo Padre ed ai presenti, ha sottolineato che «Senza la fede nel Cristo morto e risorto, senza l’incontro con Lui, nella celebrazione eucaristica domenicale, senza la Chiesa non possiamo né essere, né dirci, né vivere da cristiani».
L’interessante edizione contiene una ricca appendice iconografica con le foto di Vincenzo Catalano, Mimmo Guglielmi, Romano Siciliani, Osservatore Romano, Ufficio Stampa del XXIV Congresso Eucaristico Nazionale, Giancarlo Giuliani, Periodici San Paolo, Roberto Malfatto, le cronache di Francesco Mastrandrea, il logo di Stefano Valentini, autore anche del progetto grafico, e Fabrizio Cristiani. Molte delle magnifiche immagini vedono protagonisti i giovani, i quali ci invitano a rispettare le regole basilari del vivere civile senza le quali, non solo la Domenica ‘non possiamo vivere’.

Di notevole spessore culturale e cristiano, del resto perfettamente in linea con tutto quello che il nostro Arcivescovo ha creato e realizzato in questi anni, sono gli ultimi due capoversi della presentazione al libro che, riportiamo integralmente, perché sembrano un saluto ed un accommiatarsi dalla comunità.


«Un particolare pensiero devo infine rivolgere ai fratelli rappresentanti delle altre confessioni cristiane, per la loro presenza, per il contributo di idee, per i momenti di preghiera vissuti insieme. La paterna celeste intercessione di san Nicola conceda alla chiara e riconosciuta vocazione ecumenica della città di Bari di crescere e progredire secondo le vie che lo Spirito vorrà indicare. Questi Atti vogliono essere una ‘memoria’ da custodire nella fedeltà e nella fecondità».
Ancora una volta sono bastate poche parole tipo memoria, fedeltà e fecondità per far si che chi scrive si sentisse parte integrante di un progetto più ampio e vasto; di un disegno avente come fine quella fratellanza, che mi sia consentito con indomito orgoglio di vecchio barese, testimoniata ampiamente nei miei libri, che la nostra città, al pari della nostra regione, non ha mai lesinato verso il prossimo, anteponendo sempre il cuore alla ‘ragion di Stato’.
Se non fosse per la speranza, dove sarebbe il futuro?

(Pubblicato su il giornale di Puglia, il quotidiano Online di Cronaca Pugliese del 6 settembre 2011)

http://www.giornaledipuglia.com/2011/09/pubblicati-dalla-levante-editori-gli.html

 

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IL SOLSTIZIO D’ESTATE NELLA CATTEDRALE DI BARI

 

 

Il 21 giugno, giorno del solstizio d’estate, nella Cattedrale di Bari i baresi hanno assistito ad un eccezionale evento: il sole che bacia la terra. Alle ore 17,10 i raggi del sole provenienti dal rosone centrale con i suoi 18 petali o raggi, posizionato sulla facciata principale, vanno a combaciarsi esattamente sul corrispondente rosone in marmo delle stesse dimensioni, collocato sul pavimento della navata. L’effetto avviene solo una volta l’anno e soltanto in questo giorno.
L’eccezionale avvenimento, che a causa del maltempo per due anni non si è realizzato, è dovuto al movimento della Terra intorno al sole ed al fatto che il grande tempio sacro è stato costruito con l’abside rivolto verso l’Oriente. Secondo la tradizione, i primi cristiani pregavano indirizzandosi verso il punto in cui sorge il sole. Nel medioevo, infatti, l’uomo ha avuto uno stretto rapporto con la luce.
La Cattedrale di Bari, definita da Mons. Francesco Cacucci “lo scrigno della fede”, è una delle grandi opere romaniche sorte dopo l’anno mille. Essa rappresentava il simbolo della città medievale, l’edificio più importante dove si svolgevano cerimonie religiose, ma anche manifestazioni civili e politiche. Un monumento che grazie alla fede dei nostri padri ha saputo custodire e testimoniare per secoli la sua bellezza artistica.
Il cammino del sole nella Cattedrale di Bari, quest’anno ha avuto come tema “Come luce”, presentato da Don Franco Lanzolla, parroco della Cattedrale, a cui è seguito lo spettacolo di danza e musiche. “Come luce” è una proposta di testi, musiche, danze e canti che accompagna il contemplare e l’interpretare dell’evento del solstizio d’estate nella Cattedrale di Bari, attraverso l’incontro tra luce e colori.
La pienezza della co-incidenza è, infatti, il punto centrale del momento artistico che partendo dal mito della caverna di Platone, dove l’uomo credeva realtà le ombre, avendo il sole alle spalle, si passa all’incontro con la luce ed al suo dialogo con l’uomo che, attraverso questa relazione, impara a conoscerla ed a conoscersi.
Il momento centrale, quello che segna l’incontro tra la luce e la Terra, è visto come incarnazione di Cristo che “Come Luce” è venuto nel mondo (Gv 12) ed è un mistero che non può separarsi da quello della morte e resurrezione.
I testi quest’anno sono di Giulio Meiattini del monastero Madonna della Scala di Noci e del sacerdote Giorgio Mazzanti di Firenze. Le voci recitanti: Alessandro Piscitelli e Mari Galeone; voce solista del soprano Maria Luisa Dituri, accompagnamento al piano di Vincenzo Cicchelli, coreografia e danza di Carla Caporusso, regia di Marilena Bertossi.
Le musiche: sonata “Chiaro di luna” di Ludwig van Beethoven, intermezzo musicale da “La Cavalleria Rusticana” di Pietro Mascagni e “A Chloris” di Reynaldo Hahn).

 

 

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LA FESTA DELLA MADONNA DEGLI ANGELI A QUASANO (Bari)

         Per la collana “La Puglia nei documenti”, l’Editore Levante di Bari ha pubblicato un agile volume di Vincenzo D’Urso e A. Viviana Tedone, “Quasano – La festa della Madonna degli Angeli” (pagine 142 15).
Quasano è una borgata di villeggiatura in provincia di Bari, sulla bassa Murgia barese, in territorio di Toritto, protetta dalla Madonna degli Angeli, che si festeggia la terza domenica di giugno. L’evento viene ricordato anche all’estero, in occasione del quale si incontrano i nostri emigrati per un momento socialità.
Gli autori hanno voluto ricordare la loro frazione e la Madonna degli Angeli, quale simbolo della tradizione locale, attraverso un “viaggio” tra religiosità, tradizioni e territorio, ricorrendo alle testimonianze degli anziani, la vera memoria storica del paese, e consultando i vari documenti presenti in archivi e biblioteche. Base importante, scrivono gli autori, sono stati gli scritti di don Salvatore D’Innocenzo, di Nicola Carlucci e di altri collaboratori (Vincenzo D’Urso, Lina Fariello, Antonio Devito).
Il volume percorre  un po’ la storia di Quasano, attraverso il territorio, la festa della Madonna, il quadro e le Chiese, i doni fatti alla Vergine, gli ex voto, le consuetudini e le tradizioni della civiltà contadina, il pane benedetto, la musica ed i carri. Nelle appendici, si parla della festa della Madonna all’estero, di Quasano e del suo paesaggio, delle tradizioni e dei piatti tipici.
Nel 1867, vista la grande affluenza di fedeli e l’insufficienza di spazi nella vecchia cappella, si dette inizio alla costruzione di una nuova Chiesa, più grande, grazie alle generose offerte dei popolo di Toritto. A distanza di tre anni fu celebrata la prima messa da don Beniamino Simonetti nella nuova Chiesa, realizzata al centro di Quasano. All’interno troneggia ancora oggi la statua della Madonna degli Angeli, donata dai torittesi residenti all’estero.
La preparazione spirituale alla festa inizia sette sabati prima della data stabilità per i festeggiamenti. Per l’occasione si effettua un pellegrinaggio a piedi, percorrendo i 12 chilometri che separano Toritto da Quasano.
Il volume è ampiamente illustrato e documentato e si avvale della prefazione di Saverio Muschitelli, presidente delegato del Comitato delle Feste, del saluto del parroco, don Marino Cutrone, e della presentazione del sindaco di Toritto, Michele Geronimo, il quale invita tutti a leggere il volume, «regalo al nostro spirito ed alla nostra ragione, che vogliono continuare a sentirsi partecipi di una storia, di un sentimento collettivo ai quali ogni essere dovrebbe aspirare».

 

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UNA NUOVA CATTEDRALE IN SIRIA

 

Mentre divampa l’ondata delle proteste nel mondo arabo, una nuova Cattedrale, progettata da Nunzia Piarulliè stata aperta il 15 gennaio scorso al culto, nella zona universitaria della grande città di Aleppo, in Siria, alla presenza di Sua Eminenza il Cardinale Leonardo Sandri e del Vicario Apostolico, S.E. monsignor Giuseppe Nazzaro, ofm, vescovo di Aleppo. La Cattedrale è dedicata a Gesù Bambino, mentre l’altare è stato consacrato al Beato Emanuele Ruiz, ofm, e compagni Martiri di Damasco (1860).
 La Siria oggi rappresenta una delle zone più tranquille ed equilibrate del mondo arabo, si potrebbe definire la Svizzera orientale, poiché regna un perfetto equilibrio tra tutte le forze religiose che convivono nella città più popolosa al nord del Paese. Infatti Aleppo è abitata da varie etnie: arabi, turchi, armeni e, inoltre, si mescolano diverse religioni che quindi la rendono molto "colorata" per la diversità di usi e costumi che si trovano in questa grande città.
Per l’occasione è stato letto il messaggio del Santo Padre, Benedetto XVI che, oltre a congratularsi con lo stesso monsignor Nazzaro, per aver “unito le loro forze per offrire a Dio una casa degna di lui, dove si invocherà il suo nome implorando la sua misericordia”. Il Santo Padre, nel suo messaggio, ha auspicato anche “che tutta la comunità cattolica di Siria possa offrire al Paese un apprezzabile contributo per la sua elevazione morale e sociale, in autentico spirito ecumenico e interreligioso”.
Nella sua omelia il cardinale Sandri ha messo in risalto due messaggi del recente Sinodo per le Chiese Orientali: comunione e testimonianza. Due impegni inscindibili per tutti, soprattutto per i laici, chiamati a viverli in famiglia, nel lavoro, nel mondo educativo, assistenziale e sociale, sottolineando l’essenzialità del ruolo della famiglia nella comunità parrocchiale per trasmettere la fede alle giovani generazioni e per coltivare le vocazioni al matrimonio-sacramento, alla vita sacerdotale, religiosa e missionaria. Il cardinale ha parlato del ruolo del Vescovo e dell’unità dei cristiani, evidenziando che “La Chiesa rileva il suo nome dalla ‘cattedra episcopale’ e quindi i fedeli devono sempre restare uniti al Vescovo che è sacerdote, maestro e guida secondo il mandato del Buon Pastore.
Hanno preso parte alla sacra liturgia, diretta da padre Hanna Jallouf, oltre a Vescovi cattolici, ortodossi, autorità civili e militari, l’Ambasciatore d’Italia in Siria, il Cardinale Leonardo Sandri, S.E. il Vicario Apostolico Monsignor Giuseppe Nazzaro, S.E. Mons. Mario Zenari, Nunzio Apostolico in Siria, S.E. Mons. Armando Bortolaso, Vicario Apostolico Emerito di Aleppo dei Latini, Mons. Maurizio Malvestiti, sottosegretario della Congregazione per la Chiese Orientali, Mons. Matthew Amponsah-Saamoa, segretario della Nunziatura Apostolica di Damasco.

 

 

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LA MADONNA DEL POZZO DI CAPURSO (BA) IN “VISITA” ALLA PARROCCHIA DI SANT’ANTONIO DI BARI

 

 

Durante il mese di settembre la Parrocchia di S. Antonio di Bari è impegnata ad onorare Maria Vergine Addolorata.
Quest’anno l’evento si impreziosisce con la “visita” della Madonna del Pozzo di Capurso, che sosterà dal 22 al 26 settembre nella predetta Chiesa


La manifestazione religiosa è stata fortemente voluta dal parroco padre Mario Volpe, cresciuto sotto il manto della Madonna di Capurso, ove è scaturita la sua vocazione sacerdotale ed il suo amore verso la Madre celeste.  L’evento è organizzato in collaborazione con il superiore del Convento, padre Giammaria Apollonio.

Le origini della Madonna del Pozzo, protettrice di Capurso, vengono da lontano. Nel 1705 un prete di Capurso, don Domenico Tanzella, versava in gravi condizioni per una malattia incurabile, quando gli apparve la Madonna che promise la guarigione a condizione di bere l’acqua di un Pozzo detto di S. Maria e far erigere una Cappella per poi far costruire un Convento  per l’Istituto di S. Pietro d’Alcantara. Fu così che si scoprì quel pozzo dall’acqua miracolosa.
Oggi il Santuario di Capurso è sede di pellegrinaggi provenienti da tutta Italia, e qualcuno anche dall’estero. Quest’anno, e per la seconda volta, la Parrocchia di S. Antonio, per iniziativa di padre Mario, ha organizzato una marcia notturna verso il Santuario di Capurso alla quale hanno partecipato 25 persone.
Alle solenni cerimonie religiose di Bari, si affiancherà una “Mostra Filatelica Mariana”, che si svolgerà dal 21 settembre al 4 ottobre, ove saranno esposti francobolli di Italia, Vaticano, Repubblica di San Marino e Sovrano Ordine Militare di Malta, in occasione della quale, le Poste Italiane hanno concesso un annullo speciale che sarà attivato domenica 26 settembre, dalle 8 alle 13 presso la stessa Parrocchia.
Dall’anno 2005, la venerata statua è portata in pellegrinaggio nelle sedi ove sono presenti i Conventi dei Frati Minori e le Arciconfraternite di Maria SS. della Pietà e S. Antonio per cui, dopo Bari, l’onore di ospitare la Madre celeste toccherà a Gioia del Colle, Palagianello, Massafra e Acquaviva delle Fonti, ove sono previsti solenni festeggiamenti.

 

PROGRAMMA
22 settembre
ore 18: arrivo e accoglienza della Madonna in Piazza Carabellese (Madonnella) e processione verso la parrocchia di S. Antonio
ore 19: concelebrazione eucaristica presieduta dal Rettore del Santuario di Capurso, padre Francesco Piciocco
ore 20,30 veglia mariana
23 settembre
Ore 17,30: omaggio floreale dei bambini
“   18: rosario, litanie, concelebrazione eucaristica presieduta da don Vito Spinelli con la partecipazione delle Confraternite della Madonna del Pozzo di S. Marco dei veneziani e dell’Arciconfraternita di Maria SS. della Pietà e S. Antonio
Ore 20,30 incontro mariano con i giovani animato da Don Sergio Biancofiore
24 settembre
Ore 18: rosario, litanie. Concelebrazione eucaristica dei sacerdoti della Seconda Vicaria presieduta da don Vito Marziliano
ore 20,30: incontro mariano con le famiglie animato da don Franco Lanzolla, parroco della Cattedrale di Bari
25 settembre
Ore 18: rosario, litanie. Concelebrazione eucaristica per gli ammalati presieduta da mons. Domenico Ciavarella, vicario generale dell’Arcidiocesi Bari-Bitonto
ore 20,30: rosario, litanie. Santa Messa e Supplica presieduta da p. Mario Volpe, parroco di S. Antonio
26 settembre
Ore 7,30 - 9 – 10,30 – 12: SS. Messe. La S. Messa delle 10,30 sarà presieduta da p. Pietro Carfagna, Ministro Provinciale dei Frati Minori
Ore 8-13 annullo postale speciale per la Mostra filatelica Mariana
Ore 17: Rosario. Solenne saluto dell’Angelo per il congedo della Madonna del Pozzo la cui statua viene consegnata alla comunità parrocchiale di S. Lucia di Gioia del Colle.

 

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da Barisera 7 dicembre 2009, pag. 21

Nicola Neri - Guglielmo degli Imperi
Levante Editori, Bari
pagg. 276, € 22,00

 

LE MEMORIE DI GUGLIELMO DEGLI IMPERI

 

         È da qualche giorno nelle librerie il volume di Nicola Neri “Guglielmo degli Imperi” (Levante Editori).
         L’autore, docente di storia delle relazioni internazionali nell’Università di Bari, svolge ricerche nel campo del potere marittimo, della sicurezza nel Mediterraneo e, più in generale della storia dell’imperialismo.
         Ci stiamo avvicinando pian piano ai 150 anni dell’Unità d’Italia. Poco più di due decenni dalla sua nascita, questo Paese, che in qualche modo si sentiva vocato ad una politica di grandezza, iniziava la sua politica coloniale, che sarebbe terminata solo molti decenni dopo, con la sconfitta nel secondo conflitto mondiale. Ma ben prima della nascita dell’Italia unita, molti erano gli italiani che esploravano, combattevano, commerciavano o evangelizzavano la terra d’Africa.
Tra questi ultimi vi era il cappuccino piemontese, cardinale Massaja, del quale quest’anno ricorre il bicentenario della nascita, che fu inviato missionario a metà dell’800 nelle terre pagane dell’alta Etiopia, tra i Galla, e che giunse a diventare consigliere del re Menelik, il futuro vincitore di Adua.
Nicola Neri, attraverso lettere e memorie, ha raccolto nel suo volume, numerose testimonianze, e le ha fatte dialogare con i resoconti dei viaggiatori inglesi e francesi che all’epoca percorrevano le stesse terre ed incontravano gli stessi popoli.
Ne nasce un documento, non solo utile per una lettura avvincente della vita di un grande missionario e di un grande italiano, ma riporta anche alcune importanti pagine di storia italiana e africana.

 

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“DAL BUIO ALLA LUCE”, LA STORIA MILLENARIA DI BARI


Per la Collana “Didattica e Manualistica”, diretta da Francesco De Martino, la Levante Editori ha pubblicato l’agile volume di Michele Cassano “Dal buio alla luce – Bari 1156-1292”.
Michele Cassano, sacrista della Cattedrale di Bari, appassionato di fotografia, ha al suo attivo diverse pubblicazioni sulla “Cattedra del Vescovo”.   

Questa volta la sua attenzione l’ha rivolta verso alcune delle numerose vicende della storia millenaria di Bari. Si narra infatti della Bari medievale, del cibo dei baresi, dei normanni, dell’elezione degli arcivescovi, che nel periodo bizantino era considerato anche il gradimento del popolo, possibilmente “ab omni populo”, cioè da tutto il popolo. Cassano tratta anche di Rainaldo, arcivescovo di Bari, di Guglielmo II, di Federico II, della storia di San Francesco che lo vide transitare da Bari di ritorno dall’Egitto, della consacrazione dell’altare della Cattedrale, della Fiera di S. Angelo voluta per solennizzare la nuova  ricostruzione e consacrazione della Cattedrale avvenuta il 4 ottobre del 1292 e tante altre storie, scritte e presentate in maniera molto semplice e chiara, adatta a qualsiasi lettore.

Padre Gerardo Cioffari o.p., che firma la presentazione, sottolinea tra l’altro che Cassano nel suo libro coglie degli aspetti che lo storico accademico solitamente omette, mentre l’autore ha un grande vantaggio e cioè che la sua “memoria” ha in suo favore la baresità, confluendo in lui l’impegno per la ricerca documentata e il calore della passione per riportare alla luce la vicenda civile ed ecclesiale barese.
Ciliegina sulla torta, le belle, delicate e coloratissime illustrazioni di Marialuisa Sabato, pittrice e scrittrice di libri per bambini, autrice di “Filastorie in salsa rap” e “Le avventure di Rimafacile e Sapientona” (entrambi di Levante Editori), che danno al volume di Cassano un meritato valore aggiunto.


Da Barisera 9 novembre 2009, pag. 22
Michele Cassano
Dal buio alla luce
Bari 1156-1292
Levante Editori, Bari
pagg. 78, € 10

 

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DISCIPLINA PER NUOVE NOZZE NELLA CHIESA
GRECO-ORTODOSSA


A partire dal Concilio Vaticano II è iniziata una nuova stagione nei rapporti ecumenici tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa e ciò ha favorito la reciproca conoscenza delle due diverse tradizioni. Nel clima del risveglio ecumenico del dopo Concilio nacque a Bari l’Istituto di Teologia Ecumenico- patristica Greco–Bizantina San Nicola. Nella ormai pluridecennale attività di questo Istituto è stata svolta un’apprezzata opera di ricerca e di didattica. Da quest’anno l’Istituto si è dotato di una collana editoriale, Analecta Nicolaiana, che intende presentare al grande pubblico gli esiti migliori della ricerca che esso promuove. Questa iniziativa che arricchisce il panorama culturale della città di Bari, la rende, ove ce ne fosse bisogno, un punto di riferimento nei rapporti ecumenici tra le Chiese di Occidente e di Oriente.
Il volume di Andrea Palmieri, che da oltre un anno vive ad Atene, per approfondire i suoi studi di teologia orientale e di greco, pubblicato dalla Ecumenica Editrice di Bari (pagg. 174, euro 15), è uno studio sul rito utilizzato nella Chiesa ortodossa per la benedizione delle seconde nozze, dopo morte del coniuge o dopo divorzio. Anche chi non è molto addentro alle questioni teologiche, può subito rendersi conto dell’importanza del tema. È noto infatti che la disciplina della Chiesa cattolica nei confronti dei divorziati risposati è molto rigida. Ad essi non solo non è concesso un nuovo matrimonio religioso, ma sono anche esclusi dalla comunione eucaristica per tutto il tempo che dura la loro nuova convivenza coniugale. Non mancano casi di cristiani cattolici divorziati risposati che vivono con sofferenza questo divieto. Si tratta, solo per fare alcuni esempi, di chi ha subito il divorzio per colpe dell’altro coniuge o di chi ha riscoperto la propria fede dopo essersi risposato civilmente. Nella Chiesa ortodossa invece non accade nulla di tutto ciò. La Chiesa ortodossa infatti in alcune determinate situazioni riconosce la fine del precedente matrimonio e permette di passare a nuove nozze.
Il rito con cui vengono benedette le seconde nozze è, secondo l’autore, la chiave per capire come l’intera disciplina su divorzio e nuove nozze è percepita nell’esperienza ecclesiale e nella riflessione teologica ortodossa. Per questo motivo l’intera ricerca si concentra su questo tema. Il rito viene studiato innanzitutto su un piano storico, mettendo in rilievo molte cose poco conosciute o sconosciute, analizzandone con accuratezza le fonti documentarie e portando in luce le varie forme assunte nel corso dei secoli fino al rito diventato canonico. Grandissima attenzione viene poi dedicata allo studio della trama concettuale delle varie forme rituali e in particolare alla rilevazione dei contenuti teologici prospettati dall’uso liturgico della Scrittura. Si giunge così ad alcune conclusioni interessanti e significative: l’impossibilità di dare una semplice lettura penitenziale del rito oggi canonico e la fondatezza della coscienza ortodossa del carattere sacramentale delle seconde nozze.
L’autore, sacerdote dal 1996, laureato in teologia morale presso l’Università Gregoriana di Roma, all’inizio della sua ricerca, dichiara di non essere mosso da preoccupazioni pastorali legate alla problematica cattolica dei divorziati risposati. Tuttavia al termine della lunga ricerca afferma che non è possibile immaginare un’assunzione del rito ortodosso nella disciplina cattolica. I motivi che impediscono una simile soluzione sono la diversa interpretazione che la Chiesa ortodossa dà al principio di indissolubilità (dire che un matrimonio non deve essere sciolto non esclude che in alcuni casi possa essere sciolto), e la particolare concezione ortodossa della condizione dell’uomo sospeso in una continua tensione tra la chiamata a raggiungere l’ideale ed il peso della realtà in cui è immerso. Nonostante queste considerazioni riteniamo che le conclusioni a cui è giunto l’Autore, forse anche al di là delle sue intenzioni, se bisogna attenersi a quanto scrive, possano offrire un contributo alla discussione oggi assai viva se esista o no la possibilità anche per i cattolici di pensare a nozze ecclesiastiche successive a matrimoni falliti. Per sostenere questo nostro giudizio, ci limiteremo a fare riferimento a quanto detto a proposito della sacramentalità delle seconde nozze ortodosse. La tesi dell’Autore è che, secondo il pensare ortodosso, le seconde nozze siano una specie di sacramento di grado inferiore, un vero matrimonio, ma non sullo stesso pieno del primo matrimonio. Una simile affermazione, avanzata dall’Autore quasi sottovoce, consapevole delle conseguenze enormi che da essa potrebbero scaturire, andrebbe a nostro parere ulteriormente approfondita ed esplicitata.
In conclusione possiamo tranquillamente affermare di trovarci di fronte ad un saggio di grande valore, destinato principalmente a esperti di teologia, di diritto canonico, di storia bizantina, di studiosi della materia, ma anche a chiunque sia attratto dal fascino e dalla ricchezza dei riti e della cultura ortodossa.

Vittorio Polito
Felice Di Maggio

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LA COLLEGIATA DI BITRITTO
STORIA DI UNA PARROCCHIA MERIDIONALE



Per la collana “La Puglia nei documenti”, coordinata e diretta da Irene Cavalli, è stato pubblicato per i tipi di Levante Editori di Bari, il corposo volume di Sigismondo Mangialardi “La Collegiata di Bitritto” ovvero storia di una parrocchia meridionale pagg. 452, euro 28).
Il termine collegiata oggi può significare poco, e apparire come anacronistico; quando invece se ne ripercorrono le vicende, si appura quanto sia stata forte la sua incidenza nell’economia, nella vita sociale e nella cultura di una popolazione.
Ogniqualvolta a Bitritto (BA) si parla di collegiata o di Chiesa Madre, il riferimento è alla Chiesa posta nel centro storico dedicata a Santa Maria di Costantinopoli. Storicamente, invece, il riferimento è all’antica chiesetta ubicata sulla via per Loseto (V. foto 1), dedicata alla Madonna del Carmine e comunemente chiamata “Sant’Angelo”. Tale denominazione ha origine dall’arcangelo Michele primo protettore del paese e titolare della chiesa (V. foto 2).
L’autore, per tutti don Giosy, ordinato sacerdote nella stessa Collegiata di cui parla nel suo libro, dal 1996 è parroco della parrocchia Immacolata di Modugno.
Mangialardi in sostanza fa una ricostruzione storica ed edile delle tre chiese, ma unica collegiata, che nel corso dei secoli si sono succedute, con l’intento di non dare un ordine alle pietre, ma piuttosto a conferire un volto a quanti nel silenzio del lavoro umile dei campi hanno da sempre formato la comunità bitrittese. I volti dei sacerdoti impegnati nel ministero pastorale; i vescovi baresi detentori per secoli del potere spirituale e temporale del paese; le confraternite, prime forme di associazionismo laicale; i deputati della fabbrica e le maestranze occupate nella costruzione della nuova collegiata, non esenti da liti e controversie, rappresentano i protagonisti della ricerca.
Lo studio, che non ha presunzione di completezza, vuole essere solo un ulteriore contributo alla storia della comunità bitrittese, ed ha come termine l’Unità d’Italia, tappa in cui verrà soppresso il Capitolo collegiale e la parrocchia subirà una trasformazione sociale ed ecclesiastica.
Monsignor Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, scrive nella presentazione: «Le abbondanti fonti utilizzate nella ricerca offrono uno spaccato vivo e reale, dove la collegiata appare come parte integrante del tessuto sociale del paese, ruolo tanto più rafforzato dall’essere l’unica Parrocchia». Ed ancora esprime «Un plauso a don Giosy Mangialardi, per aver consentito un viaggio così denso e affascinante nel cuore di un autentico monumento di fede e di storia del paese di Bitritto. È un ulteriore segno dell’attenzione crescente dei nostri sacerdoti alla storia locale delle nostre cittadine».
Il Sindaco di Bitritto, insieme all’Assessore alla Cultura, sono grati a Don Giosy che, con la sua appassionante fatica letteraria, consentirà a quanti si accosteranno alla lettura di questa opera, di scorgere per la prima volta problematiche legate alla Chiesa Matrice ed alla realtà religiosa tanto cara alla Comunità bitrittese.
Le fonti archivistiche consultate sono state numerose: dall’archivio di Napoli a quello segreto del Vaticano, a quello di Bari, a quello parrocchiale e diocesano, ma fonte privilegiata sono stati gli atti notarili, che rimangono ancora un’inedita ricchezza da esplorare.
La pubblicazione è corredata da una serie di foto a colori e documenti che hanno consentito a Mangialardi di scrivere la storia di una parrocchia meridionale in provincia di Bari.

L'Antica Collegiata Sant'Angelo, oggi Chiesa della Madonna del Carmine

Chiesa matrice, interno, altare di San Michele



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MONSIGNOR FRANCESCO CACUCCI E LA SVOLTA MISTAGOGICA


 

Per commemorare la ricorrenza del XX anno di Episcopato (13 giugno 2007), Monsignor Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, ha pubblicato per Levante Editori - Bari, il volume “Colligite fragmenta”, a cura di Mons. Vito Angiuli, provicario generale dell’Arcidiocesi Bari-Bitonto.
Monsignor Cacucci è stato vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Bari-Bitonto (1987-1993), arcivescovo di Otranto (1993-1999) e, da settembre 1999, Arcivescovo di Bari-Bitonto.
È autore di numerose pubblicazioni finalizzate a illustrare e proporre la “svolta mistagogica”, ovvero comunicare la fede in un mondo che cambia.
Mons. Domenico Ciavarella – vicario generale dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto - che firma la presentazione – sottolinea che il vescovo, costituito pastore del gregge, svolge il suo ministero a favore della Chiesa, sentendosi guida e parte del popolo di Dio.
L’elegante e discreta pubblicazione riporta la raccolta di alcuni articoli di Mons. Cacucci, affinché siano di aiuto a comprendere l’indirizzo pastorale che egli ha dato alla Chiesa locale anche con la divulgazione del documento “La mistagogia. Una scelta pastorale”.
Nell’antica religione greca, la mistagogia era l’iniziazione ai misteri e per estensione si può dire che è la persona che per la sua saggezza viene considerata un maestro di vita o di pensiero. E Monsignor Cacucci, come si legge nell’introduzione firmata da Mons. Vito Angiuli, fa suo l’invito che Gesù rivolse ai discepoli dopo che tutti coloro che l’avevano seguito nel deserto furono saziati.
I doni di Dio, sovrabbondanti, saziano la fame dell’uomo e manifestano la ricchezza della sua grazia. Non devono però essere sciupati o andare dispersi, ma devono essere raccolti e custoditi con cura perché possano portare frutti abbondanti.
Oggi questo imperativo si fa ancora più pressante. Si vive, infatti, in una situazione di frammentazione, di smarrimento delle radici cristiane, di offuscamento della speranza. Tutto ciò richiede che la comunità cristiana non disperda i doni ricevuti da Dio, ma sappia concentrarsi sull’essenziale, celebrando e annunciando il mistero della fede in modo nuovo e coinvolgente. È imperativo “fare sintesi” tra le dimensioni costitutive dell’esperienza cristiana e viverle in unità. «È un compito non facile – scrive mons. Cacucci -. Siamo nell’epoca della frammentazione. Con una sorta di “pietas” è necessario “collidere fragmenta” (raccogliere i frammenti), perché i frammenti non diventino cocci e vadano dispersi nella “spazzatura”, secondo un’espressione ricorrente».
Questo, in sostanza, è il nucleo fondamentale della “scelta mistagogica” che la Chiesa di Bari-Bitonto persegue come obiettivo fondamentale del suo impegno pastorale e che ultimamente, scrive ancora mons. Vito Angiuli, ha trovato un’autorevole conferma nell’esortazione apostolica post-sinodale di Benedetto XVI Sacramentum caritatis.

Mons. Francesco Cacucci

L'Arcivescovo con Papa Benedetto XVI

Il volume è stato pubblicato per commemorare, come già detto, il XX anno di episcopato dell’Arcivescovo Cacucci e la cerimonia avverrà non a caso, ma per un provvidenziale disegno di Dio, proprio nella Cattedrale di Bari, ove lo stesso 13 giugno 1987 Mons. Mariano Magrassi lo ordinò vescovo, mentre era in corso la IV Sessione Plenaria della Commissione Teologica Mista per il Dialogo Ufficiale tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa.

«La Chiesa di Bari-Bitonto - scrive Mons. Ciavarella - intende così esprimere al suo pastore il più sentito ringraziamento per la sua guida paterna e illuminata e confermare la volontà di far tesoro del suo alto magistero episcopale».
All’interno di ogni capitolo, gli articoli sono disposti secondo l’ordine cronologico con l’intento di favorire una lettura diacronica e consentire il rilevamento della persistenza e dello sviluppo delle idee da uno scritto all’altro.
In appendice il profilo biografico di Mons. Cacucci, tutti gli scritti, in verità numerosi, e gli indici delle scritture e dei nomi. La copertina è di Stefano Valentini di Roma.



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LA CATTEDRALE DI BARI



La Cattedrale di Bari è una delle grandi opere romaniche sorte dopo l’anno mille, essa rappresentava il simbolo della città medievale, l’edificio più importante dove si svolgevano cerimonie religiose, ma anche manifestazioni civili e politiche.
Secondo la tradizione Bari ebbe per primo Vescovo un discepolo di San Pietro, San Mauro, assurse a metropoli delle Puglie sotto l’impero dei Greci. Per tale motivo si rendeva necessaria una chiesa episcopale degna del suo lustro. Pare indubbio che una chiesa episcopale sorgesse sullo stesso posto sin dal secolo VI, con a fianco il battistero, trasformato poi nell’ancora esistente Trulla.
Sulla facciata si possono notare animali e creature fantastiche, caratteristica delle facciate delle chiese medievali. Essi rappresentavano i custodi del luogo sacro, pronti a lottare per difendere il bene.
In occasione del Congresso Eucaristico Nazionale svoltosi a Bari nell’anno 2005, è stato pubblicato, a cura di Fernando Russo, un accurato volume “La Cattedrale di Bari” (FMR Editrice), con testi di Gianni Guadalupi e Fernando Russo e riccamente illustrato con foto di Luciano Romano:
Nella elegante e preziosa pubblicazione che mostra le millenarie immagini scolpite nella pietra, si fa un po’ la storia della grande Cattedrale dedicata a San Sabino e alla Madonna di Costantinopoli (Odegitria), definita dall’Arcivescovo di Bari, Francesco Cacucci, che firma la prefazione, “lo scrigno della fede”.
Scrive l’Arcivescovo nella prefazione: “La Cattedrale, scrigno prezioso che sempre affascina tutti per la sua bellezza artistica, non è un museo! Tutto nella Cattedrale è in funzione della crescita di fede, speranza e carità della comunità cristiana, e questa è meravigliosamente simbolizzata dall’edificio”.
Il volume grazie ai contributi di Gianni Guadalupi, che delinea il contesto storico in cui la Cattedrale è stata costruita, e dell’architetto Fernando Russo che accompagna il lettore in un un’accurata e coinvolgente visita guidata della chiesa, contribuirà certamente a farla riscoprire e amare da tutti. Il campanile, la cupola, il timpano e il bel rosone del transetto meridionale, ora splendidamente illuminati, faranno da guida con il loro affascinante chiarore.
Nel volume si parla anche del Museo diocesano il cui testo è firmato dal direttore don Gaetano Barracano. Un’appendice riporta in lingua inglese un ampio riassunto.
Monsignor Cacucci, conclude la sua prefazione con l’auspicio che chi entra nella Cattedrale di Bari, affascinato dalla bellezza e dall’arte, possa giungere a pregare e ad adorare; e a chi vi entra per pregare e per adorare, possa essere aiutato in questo dalla bellezza e dall’arte.


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L’ANNUARIO 2007 DELL’ARCIDIOCESI DI BARI-BITONTO


 

In occasione della festa di San Sabino, compatrono della città di Bari, è stato presentato da Monsignor Francesco Cacucci, arcivescovo metropolita di Bari-Bitonto, l’Annuario 2007 relativo alla stessa Arcidiocesi (Edizioni Litopress).
Il volume, che si presenta in elegante veste editoriale, è stato curato dal sociologo Antonio Ciaula, ed è finalizzato a far conoscere la chiesa diocesana e di rendere pubblico quello che di per sé è tale.
Dal momento che la pubblicazione mancava da circa 8 anni ha reso più ardua e impegnativa la ricognizione delle informazioni, che comunque si è riferita a definizioni canoniche e univoche del nuovo “Codice di Diritto Canonico”, frutto del Concilio Vaticano II.
L’attuale edizione dell’Annuario pubblica foto, cartine territoriali e tematiche che aiutano a meglio conoscere la Chiesa particolare di Bari-Bitonto e riporta moltissimi dati relativi alla Curia Romana, alle istituzioni ecclesiastiche, alle Basiliche e Santuari, Chiese e Parrocchie, Centri, Istituti, Fondazioni, Confraternite, Cappellanie, Ordini religiosi, attraverso una serie di schede sinottiche che riportano storia, titoli, indirizzi, codici fiscali, feste delle comunità parrocchiali, numeri telefonici, ubicazione, associazioni laicali presenti, nome dei parroci, e-mail. Insomma, un’utilissima guida per tutti coloro, ecclesiastici, studiosi e curiosi che intendono informarsi sulle attività pastorali dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto magistralmente guidata da Monsignor Francesco Cacucci
Tra le curiosità notiamo che primo parroco della Parrocchia del Buon Pastore di Bari fu nominato proprio Don Franco Cacucci, oggi Arcivescovo di Bari-Bitonto.
Va sottolineato l’uso pastorale oltre che istituzionale dell’Annuario che si pone come un utile contributo per la crescita della comunità ecclesiale ed anche ottimo strumento per il governo pastorale e l’organizzazione dei molteplici compiti della comunità cristiana di cui parlava Giovanni Paolo II.
Alla realizzazione dell’opera hanno collaborato, oltre a quanti istituzionalmente preposti, anche Giulia Ciaula, Teresa Mariani, Antonio Sorrentino e Patrizio Tarantino.
Per quanto riguarda le numerose foto, i riferimenti sono all’interno della pubblicazione.

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VITO TANEBURGO, CUSTODE DELL’EUCARISTIA




È stato pubblicato in questi giorni un volume commemorativo di Pietro Addante di Triggiano (BA) “Vito Taneburgo il sacrestano di Triggiano – Il custode dell’Eucaristia”, (Levante Editori, pagg. 288, euro, 12,00).
Addante, sacerdote, saggista, laureato in teologia e pluripremiato per la cultura, ricorda in questo volume quella che è stata la vita di Vito Taneburgo, scomparso nel 2003. Un sacrestano di Triggiano (BA) che, dopo aver messo ordine alle cose della chiesa, rimaneva in meditazione, seduto tra i banchi davanti all’altare del Santissimo o dell’Eucaristia della grande Chiesa Matrice che molti chiamano “il Cappellone”.
L’autore parla del cammino umano e spirituale di questo insolito personaggio, molto amato e stimato, innamorato di Gesù e della Madonna, insomma un uomo dalle nobili e rare virtù. Il popolo dice: “Era come un Santo”.
I triggianesi lo chiamano e lo ricordano come “Vito il sacrestano”, una sentinella vigile a colloquio con Dio, custode santo dell’Eucaristia e della Casa di Dio.
Le pagine che ha scritto Addante vogliono affidare ai triggianesi, e non solo, la santità religiosa di un uomo di Dio che ha offerto a Dio ed ai fratelli la sua vita. Egli resta memoria storica viva e faro evangelico della civiltà dell’amore.
Monsignor Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari–Bitonto, che presenta il volume, sostiene che “Coloro che avranno fra le mani il lavoro di Addante ripercorreranno un tratto di storia della comunità e potranno ringraziare il Signore che non fa mancare alla sua Chiesa testimonianze vive di fede e di umanità”.

Settembre 2000 - Festa della madonna della Croce. Vito davanti all'altare maggiore della chiesa Santa Maria Veterana, dopo lasanta messa, riceve in
dono dall'Arcivescovo mons. Francesco Cacucci,
un quadro raffigurante l'antico affresco della
Madonna, che ha dato origine alla devozione dei nostri padri a questa festività patronale.

 

Settembre 1987 - festa della Madonna della Croce.
Vito seduto ai piedi della madonna, con il volto soddisfatto, circondato dai responsabili del comitato della festa.



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LA PUGLIA E I POPOLI D’ORIENTE


Per la “Bibliotechina di Tersite”, edita da Levante Editori, è stato pubblicato il volume n. 19 di Michele Loconsole “La Puglia e l’Oriente”, con prefazione di Franco Cardini (pag. 132, euro 9,00).
Michele Loconsole, dottore in Teologia ecumenica, docente di Religione cattolica e giornalista, con questo pamphlet intende proporre al lettore nuovi percorsi, itinerari e sentieri finalizzati a scoprire aspetti poco conosciuti della plurisecolare cultura pugliese. Una “lettura”, quindi, desiderosa di interpellare, scrutare e riscoprire l’originaria natura dell’identità pugliese.
La Puglia, terra di passaggio, di raccordo e di frontiera tra imperi, regni e diocesi è stata meta di non pochi popoli (romani, goti, longobardi, franchi, normanni, svevi, francesi, aragonesi, spagnoli, austriaci, borboni), alcuni dei quali non sono stati solo conquistatori ma anche portatori di civiltà, di commerci, di culture e di tradizioni.
L’autore nella pubblicazione tratta numerosi interessanti argomenti tra i quali: gli ebrei e la Puglia in età antica e medievale, la cultura greca e la Puglia bizantina, l’Islam e la Puglia, le masserie di Puglia, San Nicola, Santo d’oriente e d’occidente.
Franco Cardini che firma la prefazione sostiene, tra l’altro, che si tratta di un libro che “…non è una storia di Puglia, né una guida a un viaggio in Puglia: ma potrebb’essere entrambe queste cose. Leggendo questo libro sono riemersi soprattutto i colori. Il bianco delle case – quello della calce e quello della ‘pietra di Puglia’, così simile alla ‘pietra di Giudea’ in cui è completamente costruita Gerusalemme – il rosso dei pomodori a seccare, il verde-oro dell’olio d’oliva che ha la stessa tonalità della splendida corazza della sacra cetonia, il ‘moscon d’oro’, come lo chiamano in Toscana, il misterioso scarabeo egizio”.
Insomma, un libro interessante, ricco di storiche curiosità culturali in cui l’autore sottolinea come la storia se ben compresa può costituire un ottimo passaporto per un futuro più consapevole e radioso. Inoltre, ricorda che investire maggiori risorse nel turismo soprattutto di tipo religioso, culturale e scolastico potrà essere la vera scommessa per l’avvenire della Puglia, diversamente significherà continuare a confinare la regione al ruolo marginale di “periferia del nuovo impero”, l’Eurasia.
La copertina riporta l’immagine del Santuario della Madonna della Scala di Noci, opera del maestro Carlo Fusca.

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CONVERSANO, SEDE DI UNA PAGINA DEL POTERE DELLA CHIESA


 

Conversano, ridente cittadina della provincia di Bari, forte del suo senso civico e soprattutto culturale, meta di studi, ricca di opere d’arte e di storia, è oggetto del recente corposo volume di Mons. Sante Montanaro, “Vescovi, Badesse e Conti di Conversano a difesa del proprio potere” (Levante Editori – pag. 718, euro 50,00).
Montanaro, un canonico novantenne nato a Casamassima (BA), autore di numerose altre opere tra cui “Pio XII Vescovo di Roma”, “Rivoluzione francese a Roma”, e la voluminosa opera in 4 volumi “Casamassima nella storia dei tempi”, risiede a Roma per via dei numerosi incarichi ecclesiastici presso la Santa Sede.
L’autore si è cimentato in un lungo e qualificato studio delle controversie giurisdizionali avvenute a Conversano tra il 1659 e il 1665, avvolte tra misteri e nebbie, e che hanno avuto come protagonista il Vescovo pro-tempore mons. Giuseppe Palermo, del quale il novantenne sacerdote ha ritenuto offrire notizie il più possibile oggettive e complete sulle sue origini, della sua nobile famiglia, sulla sua formazione umana e culturale, sul suo carattere piuttosto deciso, sulle frequenze e amicizie romane, sul suo inserimento nella Corte Pontificia, sulla sua attività pastorale, sulle sue sofferenze a causa di avversari potenti e senza scrupoli e sulle reali minacce sulla sua stessa esistenza fisica.
Attraverso questo filo conduttore Montanaro scrive dei centri di potere di Conversano, del primo Sinodo Diocesano, dei Monasteri Benedettini, dell’Abbazia Nullius di San Benedetto e delle Badesse Mitrate cistercensi per finire con la storia e i risvolti dolorosi delle liti giurisdizionali avvenute tra i vescovi di Conversano, il Capitolo di Castellana e le Abbadesse del Monastero di San Benedetto.
A completamento dell’operazione Montanaro scrive anche qualche nota a proposito di maschilismo e femminismo, che non sono affatto problemi attuali, ma che l’attento studioso ha trovato tracce nel corso delle sue ricerche e che evidenziano l’attualità e la contestualità del lavoro.
Purtroppo il Monastero di San Benedetto insieme alle Abbadesse Mitrate non esistono più. Le uniche testimonianze rimaste sono rappresentate dalla mitra, dal pastorale e dai guanti, segni di un potere spirituale in altri tempi gloriosi, nonché dal pensiero di un autorevole benedettino, padre Giovanni Mongelli che scrisse: “…il singolarissimo Monastero benedettino di Conversano fu una eloquente pagina del libro della Chiesa e dell’esercizio del suo potere”.
Il volume è corredato da citazioni bibliografiche e dall’elencazione delle fonti manoscritte nonché ben illustrato da foto, documenti e da un glossario molto utile ai lettori.

Conversano: Monastero e chiesa di San Benedetto

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(da Conversano, città d'Arte: arte, Cultura e Tradizione, a cura di "Quadri e quadri" e di"Studio 5")

Tony Prayer:
Un Abate Benedettino riceve il Capitolo e il Clero di Castellana, all'ingresso del Monastero di San Benedetto

(Acquerello acrilico 35x50)


Tra le numerosissime illustrazioni sono da evidenziare, oltre la copertina, i dieci acquerelli acrilici con cui il Maestro Tony Prayer, che vive e opera a Conversano, ha voluto rappresentare con segni e colori le sue sensazioni destate dagli avvenimenti esposti nel volume.
È appena il caso di congratularsi con l’autore per il notevole lavoro fatto alla sua veneranda età ed al quale porgiamo i più fervidi auguri di lunga vita, dal momento che proprio in questi giorni ricorre il suo 90° genetliaco.
Particolare menzione merita, infine, l’ing. Leonardo Verna, nota figura di professionista e operatore culturale di Casamassima, che con encomiabile abnegazione segue mons. Montanaro in tutte le sue peregrinazioni ed il cui apporto è risultato determinante per la realizzazione dell’opera.

 

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BARI E LA REGINA BONA SFORZA


La Festa del Sedile svoltasi qualche tempo fa a Bari, dedicata ad Isabella d’Aragona, è stata l’occasione per riparlare dell’ottimo rapporto che nel passato ha legato l’intera famiglia alla città di Bari, attraverso la figura di Bona Sforza, Regina di Polonia e Duchessa di Bari, nonché figlia della stessa Isabella d’Aragona.
Per tale motivo ripropongo la rilettura di una splendida pubblicazione, a cura dell’Archivio di Stato di Bari, in collaborazione con la Sovrintendenza Archivistica per la Puglia, l’Archivio Arcivescovile di Bari, la Basilica di S. Nicola e di un gran numero di qualificati studiosi e collaboratori, che è stata diffusa da Levante Editori di Bari (pag. 310, euro 41,32).
Trattasi di una speciale edizione del volume “Bona Sforza, regina di Polonia e duchessa di Bari”, pubblicata sotto l’Alto Patrocinio di S.E. Mons. Mariano Magrassi, dedicata e donata a Sua Santità Giovanni Paolo II in occasione della sua visita a Bari il 26 febbraio 1984.
I testi, inquadrati in un’ampia documentazione fotografica, sono tutti relativi all’azione multiforme di una donna eccezionale, sepolta nella Basilica di San Nicola, che dimostrano non solo lo splendore del suo ducato, ma anche la popolarità che ha lasciato dietro di sé.
La pubblicazione contiene una serie di saggi relativi agli elementi religiosi ed umanitari della Duchessa, all’ambiente politico e all’ordinamento comunale di Bari nel XVI secolo, descrivendo anche i rapporti con la città di Modugno e il mausoleo esistente in San Nicola.
L’opera riporta anche una serie di documenti, tra i quali la testimonianza del viaggio di Bona Sforza in Polonia, la nomina di procuratori, la liquidazione dei legati di Isabella d’Aragona e numerosi altri. Tratta anche dei rapporti con le istituzioni civili ed ecclesiastiche. Inoltre, riproduce i documenti relativi al testamento della regina di Polonia, alle conclusioni dei capitoli della Cattedrale e della Basilica di S. Nicola concernenti le celebrazioni per le esequie di Bona Sforza e quelli relativi alla sepoltura della sovrana. L’ultimo documento è attinente alla concessione in perpetuo dei diritti sul sepolcro della regina da parte del capitolo di S. Nicola di Bari in favore di Anna Jagellone, regina di Polonia (1589).
Il volume, che rappresenta un prezioso contributo alla conoscenza della storia locale, evidenzia i rapporti che la regina di Polonia instaurò non solo con i suoi funzionari ma anche e soprattutto con le istituzioni civili ed ecclesiastiche, intervenendo spesso in modo considerevole in questioni anche di competenza non esclusivamente politica.
Monsignor Mariano Magrassi, nella presentazione, sostiene che “Gli studiosi del passato vi troveranno un cibo delizioso al loro palato e si sentiranno stimolati a ricostruire meglio il contesto storico, insieme a Biblioteche ed Enti che vedranno arricchire i loro scaffali di questa ampia raccolta documentaria”.
L’opera vuole essere una pagina di storia che collega la città di Bari alla lontana Polonia, ora tanto vicina a noi per aver dato i natali a un grande Papa, Giovanni Paolo II, che non ha mai cessato di stupirci con la sua incredibile attività finalizzata all’unione dei cristiani, alla pace e alla divulgazione della fede.

 

 


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FRA SANTI, MAGHI, SUPERSTIZIONI

Molti ricorderanno l’episodio del film “Questa è la vita” nel quale Totò interpretò un episodio intitolato “La patente”, tratto dalla omonima novella di Luigi Pirandello. Forse, ispirato da questo film, Vito Lozito ha avuto l’idea di scrivere il volume “Agiografia, Magia, Superstizione” (Levante Editori, pag. 330, euro 25,82).
Agiografia, magia, superstizione: tre argomenti dal significato molto diverso l’uno dall’altro, che Vito Lozito, docente di Storia della Chiesa nella Università di Bari, recentemente scomparso, con la complicità di Levante Editori, si fa per dire, ha saputo con vera maestria mettere insieme pubblicando un libro di notevole interesse.
Nelle note agiografiche l’autore pone in evidenza il collegamento tra riti cristiani e antiche festività di precedenti civiltà come usanze, credenze, atteggiamenti, evidenziando le difficoltà di diventare Santi, dopo il tormento di vivere, secondo i principi della religione cristiana.
In riferimento alla magia e alle sue forme l’autore fa un’ampia disamina dei moduli di vita delle varie classi sociali e dei periodi esaminati, illustrando con tanta semplicità le figure di maghi, incantatrici, condannati, perseguitati dalle istituzioni ecclesiastiche e dai governanti che per un atavico bisogno di avvicinarsi all’arcano e al sacro, hanno prosperato e continuano a farlo ancora oggi. Infatti, hanno resistito a persecuzioni, a processi, dal momento che i loro interventi erano richiesti dalle diverse classi sociali, per il perenne desiderio di conoscere e vendicarsi. Lozito narra anche di strumenti magici, malocchio e scongiuri, ma tutto secondo criteri scientifici con note e citazioni bibliografiche, che il lettore segue senza difficoltà alcuna, anzi più legge e più viene affascinato dalla curiosità di apprendere e di sapere. E non dimentica neanche talismani, amuleti, erbe magico-terapeutiche, strumenti magici, malocchio e scongiuri.
In appendice sono riportate le “Vite” di Maria Maddalena e Taide, due meretrici che diventarono sante, e di Pelagia e Teodora che per raggiungere la santità si travestirono da uomo.
Il volume, ben presentato, esamina anche il costume, la mentalità, l’atteggiamento, i riti e le feste: si parla del Presepio, dell’Epifania, della Candelora e dei riti di purificazione, di carnevale e della quaresima, delle tradizioni e dei simboli nelle celebrazioni pasquali. Insomma, c’è n’è per tutti i gusti.
Una bibliografia, un puntuale riporto di note, un indice delle figure e una serie di belle tavole a colori completano l’interessante pubblicazione tutta da leggere, conservare, consultare e conservare gelosamente.

 

 

 

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I DOMENICANI NELLA STORIA

È stato pubblicato recentemente il fascicolo 1, 2005 della rivista “Nicolaus – Studi storici”, diretta da padre Gerardo Cioffari o.p. (responsabile Giovanni Cavalli), edita dal Centro Studi Nicolaiani per i tipi di Levante Editori di Bari (abbonamento annuo € 25,00).

Il voluminoso fascicolo, di cui è autore p. Gerardo Cioffari o.p., è totalmente dedicato ai “Domenicani nella storia” ovvero la storia dell’Ordine attraverso i suoi protagonisti che, oltre a non essere pochi, sono anche importanti. Il fascicolo si riferisce al Medioevo.

Incontriamo così San Domenico, canonico, predicatore e fondatore dell’Ordine; San Vincenzo Ferreri, il predicatore instancabile Frà Giovanni da Fiesole, meglio noto come Beato Angelico, al secolo Guidolino di Pietro.

San Domenico, al secolo Domenico di Guzman, canonico della Cattedrale di Osma, era nato a Caleruega (Spagna) tra il 1171 e il 1175 in una nobile famiglia locale. Giordano di Sassonia nel suo “Libretto sui primi tempi dell’Ordine dei Predicatori”, così scriveva «Scosso dalla miseria dei poveri e divorato dalla compassione, risolvette con un unico gesto di obbedire ai consigli evangelici e di alleviare nel modo che gli era possibile la miseria dei poveri che morivano. E vendette i libri che possedeva, libri a lui indispensabili».

La fisionomia spirituale di San Domenico è inconfondibile. Egli stesso negli anni duri dell’apostolato albigese si era definito: “umile ministro della predicazione”. Dalle lunghe notti passate in chiesa accanto all’altare e da una tenerissima devozione verso Maria, aveva conosciuto la misericordia di Dio e “a quale prezzo siamo stati redenti”, per questo cercherà di testimoniare l’amore di Dio dinanzi ai fratelli. Egli fonda un Ordine che ha come scopo la salvezza delle anime mediante la predicazione, che scaturisce dalla contemplazione.

Nonostante l'opposione dei familiari, anche San Tommaso d’Aquino nel 1244 entrò nell’Ordine domenicano, studiando quindi a Parigi ed a Colonia. E dal momento che egli era generoso nel mettere a disposizione dell’Ordine i suoi talenti, allo stesso modo l’Ordine lo sosteneva, assegnandogli tre ed anche quattro segretari perché scrivessero sotto dettatura l'imponente sequenza di testi del santo, che ci sono pervenuti.

Anche le donne hanno avuto un ruolo importante nelle storia dei domenicani, anzi sono entrate nella storia domenicana ancora prima degli uomini. Infatti, istituirono una comunità che costituì una vera e propria “stazione missionaria” in appoggio ai predicatori. Registriamo così la presenza di S. Caterina da Siena, penultima di 25 figli che, nonostante le difficoltà incontrate in famiglia a causa della sua decisione, entrò nell’Ordine. Il carisma in lei era così evidente che, nonostante la giovane età, molti senesi, anche appartenenti a famiglie altolocate, cominciarono a frequentarla ed a chiederle consigli. S. Caterina è ricordata come consolatrice dei condannati per il celebre episodio di Niccolò Toldo - nobile perugino condannato a morte per aver cospirato contro la sicurezza dello stato - a cui Caterina riuscirà a dar forza e fede per superare la disperazione e per affrontantare la morte in grazia di Dio.

Cioffari ricorda anche la questione dei Domenicani ed i Templari, un ordine cavalleresco tra il militare ed il monastico, fondato verso il 1119 da alcuni crociati che si erano stabiliti presso il Tempio di Salomone, allo scopo di proteggere i pellegrini cristiani. Ben presto quell’ideale attrasse molti adepti e in pochi decenni, non solo riuscirono a costruire fortezze inespugnabili, ma anche a raccogliervi ingenti tesori, al punto da destare l’interesse del Re di Francia che ipotizzò di sopprimere i Templari con varie accuse infamanti, allo scopo di impadronirsi dei loro beni.

Nella premessa, l'autore sottolinea come nella storia dei Domenicani si rifletta l’affascinante iter dello spirito umano, che si realizza e s’incarna in personalità estremamente diverse, da San Tommaso d’Aquino a Santa Caterina, a San Vincenzo Ferreri, da Torquemada a Savonarola - tanto per rimanere nel Medioevo - ed in questo spirito ha narrato il passato dell’Ordine. È sua convinzione che sia più facile comprendere lo spirito domenicano attraverso gli uomini che l’hanno incarnato, che non attraverso le regole scritte sulla carta.

 


 

 


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STORIA DI UNA DONNA DEL SUD

Ada Ignazzi, diplomata presso l’Istituto Statale d’Arte di Bari, interessata ad ogni forma artistica e culturale, risiede a Monopoli (Ba), dove ha svolto molte attività in ambito scolastico e amministrativo. È particolarmente interessata alla storia ed ai temi che riguardano la carità nel Mezzogiorno, specie ad opera di donne impegnate nel sociale. E, dal momento che la storia delle donne del sud Italia, è quasi tutta da scrivere, l’autrice, Ada Ignazzi, con il volume “Marianna Farnararo Contessa De Fusco – Cofondatrice del Santuario di Pompei”, pubblicata dalle Edizioni Giuseppe Laterza di Bari (pag. 204, euro 20,00), ha voluto dare il suo contributo finalizzato a far conoscere la storia di una donna pugliese che, insieme al Beato Bartolo Longo, ha fondato il Santuario della Beata Vergine di Pompei.

La Puglia, e in particolare Monopoli, ha dato i natali a Marianna Farnararo, Contessa De Fusco, educata alla misericordia verso i poveri. All’età di 14 anni segue la famiglia nel trasferimento a Napoli convolando a nozze con il Conte Albenzio De Fusco di Lèttere. Dal matrimonio nascono cinque figli, ma dopo 12 anni rimane vedova, ereditando alcuni terreni nella valle di Pompei che a causa della cattiva gestione del patrimonio, dovrà affrontare, nei primi anni della vedovanza, notevoli difficoltà economiche. Ma, l’amicizia con Caterina Volpicelli, oggi Beata, favorisce il maggior avvicinamento alla religione, dedicandosi così ad azioni di volontariato religioso e sociale per i quali si meritò l’appellativo di “apostolo della sua parrocchia”.

Nella casa della Volpicelli, Marianna conosce l’avvocato Bartolo Longo, anch’egli pugliese di Latiano (Br), al quale affida l’amministrazione del suo patrimonio, lo sposa successivamente, dedicandosi entrambi alla costruzione di una nuova chiesa e successivamente alla realizzazione del Tempio dedicato alla Vergine del Rosario ed alla realizzazione di opere sociali ad esso collegate.

L’autrice auspica che la lettura del volume susciti interesse nella gente di Monopoli e negli studiosi di storia locale, dal momento che il suo obiettivo è quello di far conoscere ai monopolitani l’operato di una concittadina di ieri, di una donna laica che ha precorso i tempi andando molto oltre i confini della sua città.




 

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ALLA SCOPERTA DEL SACRO NEL TEATRO RUSSO

Per la collana di Tradizioni e Spiritualità dell’Est Europeo “Il Lucernario”, diretta da Anna Maria Tripputi, docente di storia delle tradizioni nell’Università di Bari, e da Maria Pia Pagani, giovane studiosa dell’Università di Pavia, è stato pubblicato il primo numero dal titolo “Le maschere della santità”, di Maria Pia Pagani, edito da Paolo Malagrinò (pag. 254, euro 20,00).

Trattasi di una bella e lucida monografia dedicata alla storia del teatro russo e alla biografia di un singolare artista, Sajko, innamorato della sacra follia e che la “Pravoslavnaja Ènciklopedija” (Enciclopedia Ortodossa), pubblicata a Mosca nel 2001, sotto la direzione del Patriarca Alessio II, definisce con il termine di “blažennyj” (beato), da secoli nella letteratura agiografica russa unito al nome di parecchi folli in Cristo, canonizzati, pur non avendo ancora ufficialmente ricevuto la beatificazione.

Maria Pia Pagani, che collabora con l’Istituto Internazionale di Ricerca sul Volto di Cristo e con l’Istituto “Luigi Sturzo” di Roma e con altre importanti istituzioni nazionali, è stata relatrice a numerosi convegni ed è traduttrice e autrice di saggi sul mondo dei giullari, dei cantastorie e dei “Folli in Cristo”, del mondo bizantino-slavo ed ha curato l’edizione italiana de “I Santi dell’antica Russia” del teologo e medievista G.P. Fedotov.

La pubblicazione, che si avvale della prefazione di Gabriele De Rosa e della introduzione di Sisto Dalla Palma, è stata resa possibile con il contributo della Fondazione di Piacenza e Vigevano, dell’Università degli Studi di Pavia, del Centro di Alti Studi in Scienze Religiose e con il patrocinio della Fondazione Gorbachev-Italia.



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TUTTO SULLA STORIA DI SAN GIOVANNI ROTONDO

In occasione dell’apertura della nuova Chiesa di San Pio, Pasquale Perna, avvocato, responsabile dell’Ufficio Amministrativo del Terzo Settore della Città di San Giovanni Rotondo, ha voluto ricordare la storia della città che ha ospitato il Fraticello di Pietrelcina, pubblicando per i tipi della Levante Editori di Bari il volume “Padre Pio: faro sulla Via Langobardorum” (pag. 190, euro 13,00).

L’autore con questo libro racconta la storia della cittadina garganica, dalle origini, che risalgono all’età neolitica, all’età del ferro con la nascita del villaggio posto a valle del monte Castellano-Crocicchia, fino ad arrivare al vicus di Bisanum, area su cui sorge San Giovanni Rotondo.

Perna non si limita solo a tracciare la storia di San Giovanni Rotondo, ma si sofferma anche sui fatti prodigiosi che hanno interessato il Gargano (l’apparizione dell’Arcangelo San Michele, la conversione di San Camillo De Lellis) e, come pietra miliare della nuova storia di questa cittadina, viene ricordato l’arrivo dell’umile fraticello che l’autore definisce “Faro della Via Sacra Langobardorum”. San Pio, infatti, è il nuovo faro della Montagna, verso la quale, come nel medioevo, schiere di pellegrini si avviano ripercorrendo le stesse strade.

Il tema conduttore dell’opera rappresenta la intensa spiritualità che emerge dal Gargano e che non sfugge al pellegrino o al turista, alla stregua di quanto avviene in altre località come Lourdes o Assisi o Pompei, quella spiritualità che attraverso i “fari spirituali” come Padre Pio, anzi San Pio, diventa contemplazione del Creato.

Ma il volume non fa solo la storia del Gargano e del Santo con le stimmate, ma nel “racconto” vengono riportate anche curiosità e notizie interessanti sui Templari, il loro ordinamento ed i rapporti con Federico II. Sono riportate anche notizie relative a personaggi illustri che hanno contribuito a fare la storia ed a rendere famosa San Giovanni Rotondo, con lo scopo di tramandare alle nuove generazioni la memoria storica, patrimonio sacro e prezioso.

Il volume molto ben illustrato, è corredato da documenti, piantine e foto, nonché da spartiti musicali dedicati alla città, da un’ampia bibliografia e si avvale della presentazione di Cosimo D’Angela, presidente della Società di Storia Patria per la Puglia.

Progetto grafico della copertina di Ignazio Danti.





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STORIA IGNOTA DI UN GESUITA

 

Giuseppe Lovecchio, avvocato e magistrato tributario, che ha all’attivo numerose pubblicazioni dedicate ai suoi viaggi, a personaggi famosi o ad enti e istituzioni, ha finalizzato i suoi scritti con l’intento di portare a conoscenza dei suoi concittadini storie poco note o sconosciute.

L’autore, appassionato della sua Conversano, con una pazienza certosina ha cercato in lungo e in largo tutto il materiale possibile e sconosciuto per riscrivere, appunto, la storia ignota di un illustre cittadino di Conversano (BA), che ha lavorato molto per il radicamento della Compagnia di Gesù nel Nuovo Mondo, pubblicando il volume “Alla scoperta della storia ignota di Padre Michele Accolti Gil (edito da Arti Grafiche Scisci, Conversano).

Questa volta, con la curiosità e la pignoleria che lo contraddistinguono, ha voluto portare il suo contributo alla storia ignota di Padre Michele Accolti Gil (1807-1878), rileggendo un testo pubblicato nel lontano 1915 e documentandosi successivamente con altre testimonianze pervenute dagli Stati Uniti, ove il gesuita aveva trascorso alcuni anni della sua vita missionaria.

Lovecchio, da pignolo qual è, ha voluto far precedere la storia di padre Accolti Gil da quella culturale, politica e religiosa della città di Conversano, da quella della famiglia del gesuita nonché quella della Compagnia di Gesù.
L’autore si augura che il suo lavoro serva da stimolo al Comune di Conversano per raccogliere tutti gli scritti originali di Padre Accolti Gil, consentendo ai conversanesi di oggi di conoscere nella loro giusta dimensione i valori di cui era portatore il missionario e soprattutto di tramandare anche la memoria storica di un illustre concittadino che ha girato il mondo e attraverso la sua missione ha fatto conoscere l’Italia e gli italiani all’estero.

La pubblicazione si divide in cinque parti e trattano di Conversano e dei gesuiti attraverso la storia, della vita di padre Accolti Gil e del suo soggiorno in Oregon e in California.

L’opera di Lovecchio, si avvale della presentazione del Sindaco di Conversano e di Filippo Iappelli S.J., storico della Compagnia di Gesù, il quale ultimo riconosce che la «figura del gesuita conversanese risulta per tutti affascinante e onora la famiglia, la città e l’Italia che gli hanno dato i natali e la Compagnia di Gesù che lo ha formato apostolo zelante ed educatore efficiente».

La pubblicazione è molto ben documentata, di facile lettura e soprattutto ricca di particolari e curiosità storiche e personali dell’illustre cittadino di Conversano

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DIO, ELOGIO DELLA BELLEZZA

A distanza di poco più di un anno dalla pubblicazione di una importante opera “I Santi del Calendario”, Rocco Panzarino ci prova ancora con un interessante volume filosofico-scientifico “Dio-Sezione Aurea-Bellezza (Schena Editore, Fasano, 13 euro).
L’universo, la vita, l’uomo, la bellezza: chi ci ha elargito questi doni? Cosa ha ispirato Dio nella sua opera creatrice? È possibile esprimere la bellezza del creato con i numeri? Sono gli interrogativi che si pone l’autore nel suo ultimo lavoro.
Il merito principale di Panzarino è quello di percorrere il suo rigoroso cammino di ricerca teologica, filosofica e scientifica non allontanandosi mai dal testo biblico, poiché esso rappresenta lo strumento «per eccellenza che studia il rapporto tra l’uomo e Dio», il mezzo dal quale non si può prescindere se si vuole conoscere il vero volto del Creatore.
La Bibbia è prima di tutto un libro di fede, pervaso in ogni sua pagina dalla percezione che parlare di Dio vuole dire parlare di Amore, perchè “Dio è Amore”. Egli manifesta questo suo Essere attraverso le persone del Padre, creatore del cielo e della terra, del Figlio, disceso dal cielo per la nostra salvezza, e dello Spirito Santo, personificazione dell’amore esistente tra il Padre e il Figlio.

Sintesi di questa verità teologica è la singolare rielaborazione del “Credo” che l’autore propone in maniera semplice e lineare; una traduzione fedele e profonda della storia della nostra salvezza e del nucleo fondamentale del credere cristiano. Sarebbe interessante adottarlo nei testi di catechismo e nei cammini di preparazione teologica dei giovani. Un Dio-Amore non può che essere l’autore, “l’Architetto” di tutto ciò che c’è di bello nel creato. Tutte le sue creature sono buone/belle (i due termini sono reciproci) in quanto «conformi al disegno di Dio»; ma l’uomo lo è ancora di più, poiché incaricato direttamente da Dio a portare a compimento la sua opera creatrice.

Moderna e assolutamente condivisibile l’analisi che l’autore fa del peccato, visto come rifiuto dell’uomo di lasciarsi amare da Dio, e del suo sinonimo: sofferenza. “I due concetti non sono in contrasto, ma consequenziali. Infatti, poiché Dio è amore, la lontananza da Dio porta alla sofferenza e alla morte”. Gesù, pertanto, prendendo su di sé il peccato, prende su di sé la sofferenza stessa dell’uomo. Se davvero fossimo convinti di questo, quanto cambierebbe il nostro modo di vivere la fede, di vedere Dio e di relazionarci a Lui! Non più un Dio che castiga, ma un Dio che soffre con noi e ci sostiene in questa sofferenza. Ma la trattazione teologica che interessa la prima parte del testo non è che un preludio al passaggio più originale e interessante del saggio: questa bellezza, questa bontà, questa capacità del Creatore di generare armonia, bellezza di colori, di suoni e di forme può essere tradotta in numeri?

Certo! Non a caso i numeri e, in particolare, il numero irrazionale per eccellenza, il P greco (detto da Leonardo la Sezione Aurea), hanno sempre richiamato a insigni studiosi e filosofi del passato (Pitagora, Kepler, Galileo) «l’unità di misura con la quale Dio ha creato il mondo». Come negare che la perfezione, l’armonia, la bellezza irradiate dall’universo, ma anche da ogni singola cellula vivente, sono la manifestazione visiva di un perfetto calcolo matematico?
Da qui parte una trattazione analitica degli esempi più evidenti e interessanti attraverso i quali si manifesta questo principio, in un crescendo di scoperte e di rivelazioni che interessano la geometria, l’arte (si pensi alla Gioconda), l’architettura (che prodigio e che perfezione la struttura del nostro Castel del Monte!), il mondo vegetale e quello animale, il corpo umano “scrigno di bellezza” ed esempio ineguagliabile di perfezione e armonia.

È difficile classificare l’opera di Panzarino. Il suo non è solo un saggio teologico, né solo filosofico o scientifico. È, soprattutto, un elogio della bellezza, in ogni sua forma e manifestazione, strumento privilegiato che ci viene offerto per elevarci a Dio e per vivere con rinnovato stupore il nostro rapporto con il creato. È l’ingrediente indispensabile che ci consente di trascorrere le nostre giornate con entusiasmo e voglia di vivere.
Così come ha fatto l’autore, ci piace terminare questo breve commento riproponendo le dolci espressioni di un Vescovo, a noi così caro, che della Bellezza aveva fatto il simbolo di tutta la sua vita, don Tonino Bello: «Il mondo non verrà preservato dalla catastrofe planetaria né dall’astuzia dei diplomatici e dei politici, né dalla forza del diritto e neppure dalla cultura degli accademici; il mondo verrà preservato dalla bellezza e dalla musica, dalla poesia e dall’arte».

 

 

Vittorio Polito
Felice Di Maggio

 



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LA SIMBOLOGIA DEI SANTINI

Per la Chiesa l’immagine religiosa ha una triplice funzione: di ornamento, di insegnamento e di divulgazione e incitamento alla pietà e l’immaginetta o santino è destinato proprio alla funzione divulgativa della devozione.

Santa Teresa d’Avila nel 1566 scriveva nel suo “Cammino di perfezione”: «Cercate di avere un’immagine oppure un dipinto di Nostro Signore e non accontentatevi di portarlo sul cuore, senza mai guardarlo, ma usatelo per conversare con Lui».

Forse questo il primo passo verso la realizzazione di immaginette sacre.

Oggi le pubblicazioni sull’argomento sono numerose e anche se non recentissima (2001) è il caso di ricordare anche quella di Anna Van Westerhout: “I Santini e la loro simbologia” (Edizioni Giuseppe Laterza, pag. 250 € 20,00).
L’autrice, nel corso del suo viaggio attraverso le brevi biografie dei Santi citati e con l’iconografia sacra popolare proposta, ha inteso fornire una chiave di lettura per la conoscenza e la comprensione dei messaggi contenuti nei Santini presi in esame nella sua pubblicazione.
Anna Van Westerhout ricorda che il santino è nato nel medioevo sotto forma di prezioso disegno, legato alla devozione religiosa di nobili e potenti. Successivamente, andò sempre più diffondendosi tra la gente comune, grazie allo sviluppo della stampa.

Il repertorio di elementi simbolici che compaiono nelle immaginette è molto vasto e, spesso, la caratteristica raffigurata, che a molti sfugge, ha la sua motivazione. Ed allora l’autrice ci accompagna con i suoi commenti spiegandoci dettagliatamente il significato dell’iconografia, il giorno della festa e la riproduzione dell’immagine del Santo.

Roberta Simini che presenta l’opera sostiene che «Questo libro, in ultima analisi, ci aiuta a capire che i Santi non sono diversi da noi. I Santi sono con noi e fra di noi. I Santi siamo noi».

Insomma, un bel lavoro fatto non solo per i credenti, ma anche per gli appassionati, i cultori ed i collezionisti di santini e di immaginette ed il bel sito www.cartantica.it, che mi onora di pubblicare alcune mie note, è la testimonianza dell’importanza che hanno assunto le immaginette in Italia e nel mondo.

 

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