Rubriche di
Patrizia Fontana Roca

UN PENSIERO PER...

 

...ALCUNI DEI NOSTRI AMICI CHE CI HANNO LASCIATO:

 

Ti chiamavamo tutti Francesco ma il tuo nome era....

Romeo, Angelo Cera

e forse quell'Angelo ti era rimasto appiccicato sempre,

nei momenti di buona o cattiva sorte,

ma lo abbiamo saputo solo dopo che eri morto.

Chissà che dolorosi cammini hai intrapreso nel corso della tua vita...

Eri originario della Sardegna, piccolo di statura ma determinato, grintoso...
sapevi parlare anche francese, una volta, forse, correntemente,

probabilmente forse imparato in qualche luogo di lavoro...

Spesso, però, le tue parole erano confuse dai fumi dell'alcool...


Più che spiccioli, di cui sempre poco provvista,

ti regalavo le mie sigarette, facendo, spesso, a metà con te,

con le ultime sopravvissute nel pacchetto...

 

 

Il tuo ricordino della morte,

che ti hanno stampato forse a San Martino ai Monti,

(ma comunque nel rione),

che ormai era la tua casa,

ti ritrae, sempre più minuto e fragile,

seduto davanti al portone chiuso della chiesa.

 

Le parole stampate sul retro, eccole:

"Francesco, hai deciso fino alla fine di non abbandonare il nostro rione Monti,

dove sei vissuto senza tetto,

per oltre 20 anni...

Ma non te ne sei andato solo e abbandonato,

accanto a te, ci sono sempre stati tanti amici,

che ti hanno voluto bene

e che, in tutti i modi, hanno cercato di starti vicino e di aiutarti.

Finalmente hai trovato un tetto

dove riposerai sereno per sempre..."

 

 

.....

 

Ti dedico, anche io, una poesia, ciao, Patrizia

 

Vagavi,, ormai, senza meta e sperduto 
per le vie della città,
piccolo ometto, baffuto e inoffensivo, 
indifeso ed ormai ambientato
a quello spazio del Signore
dinanzi alla chiesa,  sereno albergo,

dove forse trovavi riposo e forze…

 

Piccole immagini, ormai sfocate
ti raggiungevano a volte,
portando il passato e pensieri foschi,
che non volevi più forse ricordare…

 

I tuoi occhi, ormai spenti, inutili,
ti hanno forse impedito
di veder la piazza,
un ostacolo forse imprevisto,
l’ultimo traguardo, l’ultimo passo…

 

Limpida e serena la notte
ti avvvolgeva mentre dormivi sul sagrato
sotto la luna limpida o offuscata
che ora non brilla più per te,
steso sulla strada, piccolo ed indifeso,
povero Francesco inerme,
ora forse felice…

 

 

 

 

Voglio ricordare ora i miei zii materni, tre dei quali sono andati via negli ultimi due anni, covid imperante, ma non credo per esso, specificamente... comunque se ne può dubitare...

I miei zii erano:

 

Zio Alessandro, zia Maria (a destra della foto) e mia madre

 

Zio Alessandro-Dionisio era il secondo, chiamato da tutti  Papanonno  per quella sua aria di compostezza, già propria di un anziano, che aveva avuto sin da ragazzo, un pò sornione, un pò politico, a prima vista scorbutico ma sensibile, invece, e pieno di gentilezza.

Morì per un tumore tanti anni fa.

Andai a trovarlo, qui a Roma, presso una struttura dove aveva effettuato gli ultimi esami. Mi sembrò forse rassegnato e non so se riuscii, ma temo di no, a dargli qualche incoraggiamento.

Ero molto legata a lui perchè ero molto legata a mio cugino, Flaviano, suo primo figlio, ovviamente portava il nome di mio nonno, il primo e per molti anni l'unico della serie, che aveva preceduto anche la nascita di mio fratello Carlo e che aveva solo due anni meno di me.

Più tardi, quasi a sorpresa, anche Flaviano ebbe in regalo una sorella, Orietta.

Con Flaviano ed i suoi amichetti, io mi comportavo da maschiaccio e li seguivo nelle varie imprese che decidevano di affrontare, con loro ero felice, spontanea, senza problemi.

Andavamo verso campi aperti, a raccogliere fiori, a fare corse senza confini, ad arrivare alla chiesetta per lo più chiusa che stava in cima alla collina. Io ero più maschiaccio di tutti e mi ricordo che non sole le prendevo, le botte, certe volte, ma anche le davo e di santa ragione...

Andavo spesso dagli altri suoi nonni a pranzo per poi giocare o nel campo adiacente o sulla strada in discesa davanti alla casa ed arrivare alla fontana, in cima alla salita, dove passavamo un pò di tempo a guardare le evoluzioni dell'acqua e le donne che lavavano i panni, oppure mi rifugiavo nella loro cantina che mi sembrava un antro magico...

Con mio cugino ho mantenuto rapporti di simpatia, di stima, di estrema cordialità, anche se ormai ci vediamo poco... Lui mi telefona tutti i mesi, una volta, per sapere quello che ancora combino...

Con Orietta ci sentiamo un pò meno, ma è come un discorso ininterrotto tenuto insieme dall'affetto.

 

 

Poi veniva zia Maria-Vincenza, chiamata "la Zeppa" per il mento un po’ prominente, allora, sul viso magro (non se lo sarebbe aspettato di diventare grassoccia negli anni successivi), sempre ridente e intenta a preparare manicaretti succulenti e ad organizzare festini alla sua maniera, mantenendo negli anni intatte le amicizie e la miriade di parenti disseminati qua e là.

Era una persona prevalentemente positiva: non che vedesse rosa anche quello che era nero, ma la sua praticità la portava a trovare una soluzione mediana che accontentava tutti.

Ad Avezzano dove aveva trovato lavoro, era stata ospitata da due persone splendide, la Signorina Mimì e la signora Edna, che per me era diventata una faro che mi guidava alla scoperta di tante belle, importanti cose... e che la seguirono per anni.

Poi, già avanti con l'età conobbe mio zio, dal nome terribile, Neo, non so se fosse una contrazione di un altro ipotetico nome, bravo, tranquillo, festaiolo, che però morì abbastanza presto per lasciarla di nuovo sola... le stranezze della vita...

Era sempre allegra, nonostante tutto, negli ultimi anni sfarfallava un pò; al compimernto dei suoi 90 anni, che tutti i nipoti festeggiarono, era sempre la stessa, positiva, tranquilla, festaiola e sembrava sempre senza pensieri aggrovigliati, pur non ricordando di avere 90 anni suonati...

 
 
 

Zia Luciana-Carolina, ..., sono stata molto legata a lei, anche se aveva un carattere un pò dispotico,

Chiamata "’a Signora", nomignolo che forse aveva ereditato per quella sua aria di superiorità che  pure nascondeva un fardello di solitudine, aggressiva e autoritaria, talvolta, perchè la vita e le esperienze l'avevano indurita e pure, con le sole sue forze, era  riuscita a tirare avanti, dopo la morte della nonna e la lontananza delle sorelle maggiori, la banda irrequieta dei fratelli maschi rimasti senza  guida...

Le ero molto affezionata e mi piaceva stare con lei quando andavo a trovare i miei nonni a Bojano, un paesetto allegro del Molise, dove per lo più passavo i mesi estivi con mia madre e mio fratello. Poi, poichè lei intanto era diventava ostetrica, era stata mandata a lavorare presso un paesetto lì vicino, con l'altisonante nome di Cantalupo, adagiato su un piccolo rilievo alle spalle del massiccio del Matese.

Era un paesetto in salite e discese che percorrevo in lungo e in largo, ma poi mi piaceva anche stare a casa, dove spesso venivano a trovare la zia, le gestanti in attesa. La casa era una vecchia abitazione aristocratica la cui proprietaria era una signorile contessa avanti con gli anni con cui scambiavo a malapena due parole, per rifugiarmi, per lo più sul lungo balcone che si apriva dietro le stanze e su cui mi esercitavo in salti e piccole corse. Non ero molto amante, come i giovani d'oggi, di ginnastica e sport vari, mi bastava poco, bastava avere un libro e il mio tempo trascorreva in fantasie per me preziose.

Il balcone dava, all'esterno, su un grande ma non troppo curato giardino e all'interno su di un ampio spazio adattato a salotto, che si dilatava in due stanze quasi contigue, una per visitare le pazienti e l'altra per i nostri letti, più una cucina quasi invisibile. Il bagno era in uno sgabuzzino sul terrazzino, piccolissimo...

Un altro bagno era al piano di sotto, il piano di entrata, in uno spazio molto più esteso. Aveva una particolarità: la tazza del bagno era tutta dipinta, un bell'oggetto da vedere, artistico e colorato...

 

La zia aveva amiche ed amici che spesso nelle calde serate estive, venivano a trovarla, passandoqualche ora in allegria su quella bella terrazza spesso lambita dal vento. Io ero contenta di far parte di quella piccola brigata e mi sentivo grande anch'io.

Mi redarguiva quand'era necessario, senza preamboli, andando dritta al nocciolo della questione ed io, benchè me ne dispiacessi, convenivo che era stato giusto...

Dopo qualche anno, zia Luciana smise la sua attività di ostetrica ed entrò in un Ente a Roma. Per un periodo venne ad abitare con noi e ci stringemmo ancor più in quella casa, ma ormai zia Eugenia, la vecchia affittuaria era morta e potevamo usufruire anche della stanza da pranzo per far dormire un'altra persona...

Passò altro tempo e la zia trovò una casa vicina al suo ufficio, spaziosa per lei e cominciò a riempirla di begli oggetti, di bei mobili, suppellettili e quant'altro le piacesse e che riportava dai paesi che andava a visitare. A me sembrava sempre di essere in un mondo fatato...

Poi venne il tempo della pensione, a Roma subì alcuni scippi e pensò che sarebbe stata meglio in un piccolo paese, dove già vivevano la sua sorella maggiore Maria, che nel frattempo, abbastanza avanti con gli anni, aveva sposato un'ottima persona e al fratello più piccolo, Peppin, che lei aveva allevato, che s'era sposato con una giovane del suo paese ed aveva già avuto due figlioli...

Si ritirò in quel ridente paesetto di mare, ma non credo che il mare le piacesse poi tanto, in una casa piccola e confortevole in cui andai anche a trovarla negli ultimi anni. Ma, in fondo, era sempre sola...

 

Zio Gennaro-Felice, chiamato "il Bandista" perchè da piccolo dirigeva immaginarie bande di musici, forse al ricordo delle colorate feste locali di cui la banda rappresentava il  punto  focale.

Anche successivamente, e per un bel pezzo, avrebbe "diretto" allegramente la sua vita con un pizzico di follia  gioiosa, mettendo in piedi tante attività visto che non ne aveva mai una "giusta".

Per fortuna era diventato gestore del più importante bar aperto sulla piazza e là per molti anni riuscì non solo a sbarcare il lunario ma a mettere dei soldi da parte.
Alla fine aveva messo su un'agenzia di assicurazioni che per un pò andò al meglio, ma poi, lasciata per lo più nelle mani dei due figli, che la mandarono in malora...

Nonostante tutto, era riuscito, alla fine, a comprare un piccolo appartamento sul cocuzzolo di una montagna vicino a Bojano dove aveva potuto aveva potuto attrezzare un piccolo ristorante, dall'altisonante nome "Risorta Locanda del Castello"…...

"Direte perchè visitare questo ristorantino abbarbicato sulle montagna alle spalle di Bojano, nel Molise? Perchè andare fin su quel cucuzzolo dove si troverà un paesino dimesso e quasi disabitato?
Dove si potranno visitare anche i vicoli contorti ma luminosi, si potranno ammirare vecchie case corrose dal tempo, angoli di verde, il campanile nella piazzetta. eppoi giungere, finalmente, alla Risorta Locanda del Castello...

Trovando un piccolo locale ben curato nei minimi particolari, sia nelle stanze che vi accoglieranno - e soprattutto - nelle eleganti, creative ma superlativamente saporite preparazioni, di cui alcuni esempi sono già nel "Menu", come le orecchiette mantecate con crema di broccoli e guanciale croccante. E' forse proprio la croccantezza di quel guanciale e il suo aroma e sapore così perfetto e così pronto a richiamare alla memoria sapori d'altri tempi - subito scossi poi dalla crema che ci riporta all'oggi in modo gradevole e dolce - forse proprio questi sapori ci hanno fatto decidere che sì, vale proprio la pena.

E a ricordarcelo ci sono anche quelle orecchiette mantecate al parmigiano e la frittella con le alici, la crocchetta di baccalà, la polentina al pomodoro, il crostino col lardo... Sapori semplici, sapori decisi.

Buoni anche i dolci fatti in casa e la carta dei vini basata su prodotti regionali e del Centro-Sud.

Aveva sposato una bella, dolce ragazza che gli diede due figli maschi che sembravano predire un futuro radioso... Ma non ci furono grandi e fortunati epiloghi nella sua vita: i due figli non gli diedero le grandi soddisfazioni che si aspettava e sua moglie, ansiosa e debole psicologicamnete, si ammalò, si riempì di medicine e alla fine, in una notte oscura, forse anche a causa di disturbi psicotici, si gettò dalla finestra dell'appartamento dove vivevano, uno degli ultimi piani, schiantandosi nel cortile....  

 

 

Zio Erennio-Franco-Gaio, invece, era taciturno ed introverso, cresciuto coi nonni già anziani e solitari, amava la vita all'aria aperta e gli animali, le cose semplici e aveva poche fantasticherie ma idee precise.

Ma quando eravamo insieme, tutti quanti, era allegro e spontaneo e le sue battute da ricordarsi.

Più tardi tra me e me lo soprannominai “Lo Scia” perchè in effetti era rigido, signorile e bruno come lo Scia di Persia , "monarca illuminato”.

 

Era con lui che avevo più confidenza e che ritenevo fosse un mio fratello maggiore. Forse perchè era arrivato a Roma giovane, per iniziare la carriera militare, per un pò aveva vissuto anche con noi, veniva spesso da noi e passavamo tanto tempo assieme...

Era sempre disponibile ad accontentare me e Carlo, mio fratelllo più piccolo, con un sorriso buono stampato sulla faccia e troppo ha fatto per noi, scorrazzandoci anche con la sua macchina quando ebbe la possibilità di acquistarne una...

Entrò nell'Aereonautica come marconista, si trasferì a Roma e sembrava destinato ad una vita solitaria, invece, andò a lavorare sulla piattaforma del centro spaziale "Progetto San Marco", gestito dal professor L. Broglio, della Scuola di Ingegneria Aerospaziale dell'università "La Sapienza" di Roma e generale dell'Aeronautica Militare Italiana, riconosciuto per i suoi meriti e per le sue capacità da parte degli Stati Uniti che gli concessero la tecnologia dei vettori "Scout" per effettuare i lanci dei satelliti dal centro spaziale.ed attivo dal 1966. 15 Dicembre 1964 alle 20:24 UTC, decollava dalla base di volo di Wallops il primo satellite italiano: Il San Marco 1.

 

Le foto della piarttaforma sono del 67-68 - Ha lavorato sulla piattaforma fino al 1981

- La foto della targa avuta al momento della pensione è del maggio 1990 -

 

 

Il terreno degli esperimenti si trovava a circa 32 km da Malindi e lì vicino vi erano terreni e piccole farm di esuli italiani, inglesi ed altre nazionalità.

Fui contenta quando ebbe la possibilità di inserirsi nel progetto San Marco come marconista, era un punto in più per la sua storia... fui contenta quando conobbe in Kenia una bella ragazza italiana, Clarissa, un'italiana trapiantata là con la famiglia, giovane, bellissima... fui contenta quando ritornarono e trovarono casa nello stesso palazzo in cui abitavo io... fui contenta di condividere la gioia di una nuova vita per loro, con la nascita di mia cugina Alessia... e fui contenta anche di condividere i dolori successivi che mi bersagliarono per tre anni consecutivi...

 

Dulcis in fundo Giuseppe-Tifernino, Peppino, l'ultimo della nidiata, che aveva solo pochi anni più di me, che io ricordo non molto più alto di me e che al mio arrivo da Roma mi accoglieva con un "Ma ce li fanno a Roma i goccioloni?".
Era venuto su da solo come un fiore selvatico ma ben piantato nella terra, con un pizzico di ironia e di strafottenza che gli sarebbero serviti nella vita...

Aveva intrapreso anche lui la vita militare e stava presso l'aeroporto di ... Anni dopo si cong3edò e si ritirò nel piccolo paese dove viveva la sorella maggiore Maria e dove più tardi lo raggiunse Luciana. S'era sposato ed avuto due figli, ma nel piano delle forze, ancora giovane, s'era ammalato di cancro ed era morto, ancora giovane, precedendo tutti gli altri meno Alessandro.

Per un periodo era stato anche a Roma ed io me lo portavo, sostegno, amico e confidente nelle gite domenicali. Aveva solo pochissimi anni di differenza tra me, le mie amiche e ragazzi che frequentavamo.

Era simpaticissimo, allegro, si adattava. Era proprio un altro mio fratello maggiore...

 

 

 

 

 

AD ANDREINA

 


 

Il negozio ha una terza  entrata che dà su un piccolo sgabuzzino  riservato  alla  vendita  di prodotti per la casa e la pulizia.

Dietro il piccolo banco di vetro c'era, stasera come tante altre, ancora  l'anziana signora Ernesta che però ora scende  raramente dall'appartamento, soprastante il negozio, in cui vive.
Ormai é affaticata dagli anni e dalle esperienze ma sembra sempre lucida e vigile e ancora un tantino aggressiva come ai bei tempi, quando era ancora vivo Ubaldo o Rubaldo, come dice una pergamena esposta nel negozio, suo marito e lei metteva ordine  tra la folla dei clienti e dei figli che l'aiutavano nella vendita.
Aveva sempre vissuto nel quartiere e in gioventù proprio nel portone in cui ero nata anch'io che allora veniva denominato "I due portoni".
Tutti i suoi fratelli e sorelle, una volta sposati avevano trovato un appartamento nello stesso stabile ed il padre anziano  viveva con quella certa signora Nanda che io  ben conoscevo. 
Era anche lui un vecchietto arzillo che al mattino gironzolava  nei dintorni, battendo allegro il suo bastone sul selciato.  Di lui ricordo un  solo aneddoto curioso: una volta invitata a pranzo mi meravigliai molto che  l'anziano ometto mettesse del vino rosso nella sua minestra per  dare  al  brodo maggior sapore. Era davvero un espediente culinario o era solo un parto della sua fantasia d'ottuagenario?"

Ma queste sono cose ormai vecchie e sepolte... parliamo del passato prossimo ...

L'ultima figlia di Ubaldo ed Ernesta, Andreina, aveva, la mia età e ci ritrovammo insieme sia all'asilo che alle elementari, senza contare che facemmo poi parte delle superiori insieme... eravamo anche vicine di casa, quindi sempre assieme ad altre tre-quattro ragazzine del quartiere ed il Colle Oppio era spesso la meta delle nostre passeggiate
Erano bei tempi allora quando si poteva circolare liberamente senza incorrere in brutti incontri, scendere in strada per giocarvi a rubabandiera, a campana, anche insieme ad alcuni nostri coetanei... non c'erano pericoli di sorta, l'atmosfera intorno a noi era vitale e ci garantiva qualche tempo di sano gioco.
Poi, dopo esserci "sfogate" un pò tornavamo alle nostre case, ai nostri impegni scolastici e ci rivedevamo la mattina dopo...

 

 

 

Andreina viveva all'ultimo piano di una casa antica come tutte quelle del quartiere e mi piaceva sempre molto andarci per vedere dall'alto lo scorrere del poco traffico di allora.
Da quella prospettiva le cose si osservavano da un diverso punto di vista, ma soprattutto, si era più vicini al cielo...

 

Andreina aveva 2 fratelli ed un sorella molto più grandi e diventò presto zia.
Ricordo, ancora con emozione, il giorno in cui fece la sua comparsa la nipotina, Annalisa, un batuffolino rosa che, a un certo punto, qualcuno mi mise in braccio... Fu una bella sensazione sentirsi responsabili, in quel momento, sia pur breve, di quella piccola vita.

 

Questo ricordo di quel preciso momento... poi il tempo è passato... i nonni sono morti, i genitori anche ma Annalisa, con piglio sicuro e fermezza ha preso, assieme al cugino, in mano la situazione ed ha continuato, con impegno, dedizione e sacrificio a gestire il negozio di famiglia che ora ha un'aria decisamente diversa dal passato, pieno di golosità e prelibatezze, arricchito alle pareti di vari oggetti attinenti o meno l'attività che vi si svolge: piatti, quadretti, manifesti, pupazzetti... e chi più ne ha più ne metta.


Andreina era sempre molto attenta, precisa, fors'anche monotona, non sgarrava, tutto doveva essere sulla sua lunghezza d'onda.

Spesso infantilmente allegra, ma al contempo riflessiva, meditatrice, cercava fors'anche di nascondere quei momenti di gioiosità, per essere meno estroversa, più ligia, più vicina a quella che avrebbe dovuto essere, una brava ragazza, senza grilli per la testa, come la volevano i suoi... e forse come avrei voluto essere anch'io, non sempre ligia ai doveri...

Ai tempi della scuola, facevamo gite e festicciole, lunghe passeggiate, le prime corse nella macchina di Daniela - ci sembrava davvero di essere "super" su quella - insomma, daj, ne combinavamo anche noi...

Fui contenta quando le presentai quel ragazzo alto e simpatico che lavorava nel mio stesso Ente pubblico e che poi divenne suo marito, ma mi son sempre detta che forse non era stata una buona idea... Erano troppo dissimili, lui così estroverso, lei così chiusa a riccio, senza qualche lieve sgarro alla compitezza, alle norme, alle buone usanze... Forse non erano proprio fatti l'uno per l'altra, lui desideroso di far carriera, scalpitante, in cerca di novità, lei posata, piena di buon senso e di calma e forse non così desiderosa di apparire, esporsi...

Probabilmente, il carico da 11 fu la presenza, sempre attenta, della mamma di Andreina che dopo la morte del marito, andò a convivere con la giovane coppia...

Non servì a molto anche la nascita di un bel maschietto, lungo lungo come suo padre.. .insomma dopo pochi anni, lui andò per un'altra strada, si rifece una famiglia, lei restò nella casa di prima con il figlio che crebbe con amore ed attenzione superlativi, continuando la sua vita lavorativa eppoi, arrivata alla pensione, passato il primo momento di panico, riprese la sua vita tranquilla, nella quotidianità più totale.

 

Non ci vedevamo molto ma ci sentivamo talvolta per telefono, ci mandavamo gli auguri per il compleanno e per l'onomastico e poi, talvolta, ci incontravamo al portone di casa, dove abitavamo tutt'e due, ripromettendoci di rivederci presto... Poi ecco, un piccolo tumore al fegato, operazione, poi sembrava tutto superato, ma no, una recidiva che non ci si aspettava... e sei andata via, anche tu..., insieme a quell'infanzia gioiosa, serena, allietata dalla tua sensibile, pregnante presenza. Ciao, amica mia...!

AD ANDREINA



Ricordo, Andreina,
la tua casa grigia
sui tetti
e quelle nostre corse,
la mattina,
per raggiunger in tempo
la scuola.
                        
Il tuo esile volto
di bambina timida,
silenziosa tra i fratelli
ormai adulti.

Ed il sereno scorrer
dell'infanzia,
i giochi consueti dell'età
per la strada o al giardino.

Tu, meno chiassose di noialtre,
t'adombravi, talvolta, provocata
e il volto di vergine vestale
arrossiva, mentre gli occhi
brillavan di sdegno e di furore...

 

 

 

DOTTORESSA ROSITA TADDEINI

 

Giorno dopo giorno,
come un’ape operosa,
mai stanca di servire,
percorri le vie del mondo,
intessendo
la tua invisibile trama d’amore
intorno a nuove vite a te affidate,
su cui diffondi
il nettare succoso del tuo sapere.

Creando attorno ad esse
un’impalpabile rete protettiva
che sfida le paure ed i malanni
e il tempo
che via veloce scorre
di generazione in generazione.

E tu sei sempre là,
vigile e protettiva,
pronta ad asciugar lacrime,
a donare consigli e zuccherini,
consolatrice, amica, confidente,
inesauribile “dottoressa” di tutti…

Il giorno del suo 80° compleanno

 

Parlare della Dottoressa Rosita è un problema, ci vorrebbe un tempo indefinito per cercare di ricostruire la sua vita, la sua dedizione, il suo amore per gli altri, dai più piccoli, fino a quelli di età avanzata,  conosciuti e conoscenti…  ed anche sconosciuti che le capitavano…
Lei amava tutti e tutti metteva sullo stesso piano… quello dell’ amore.


Non è facile parlare di una persona così, che si è sempre prodigata per gli altri, ha amato solo gli altri, dimenticando se stessa e mettendo davanti a tutto e a tutti solo Dio… Difficile, nel mondo in cui viviamo trovare un essere così lontana dalle cose abituali a cui l’uomo tende, ricchezza, vicino a Dio con cui spesso, nei momenti di intensità emotiva e di fervore, parlava a tu per tu…

Di base aveva un carattere forte,  era una persona con tanta energia positiva da riuscire a superare anche i momenti più difficili – e nella sua vita ce n’erano stati molti – ma li aveva affrontati con la sua forza d’animo e le preghiere che le sgorgavano dall’animo ininterrottamente. E che spesso - dopo aver cessato ufficialmente la professione - riportava minuziosamente su semplici quaderni scolastici per tramutarli in poesie.


Accudiva, assisteva, consigliava, redarguiva quando ce n’era necessità, talvolta malcelando i suoi dinieghi su questa o quella cosa che era assolutamente necessario fare o non fare…, ma anche se là per là sembrava imperiosa nel pretendere che si seguissero coerentemente e pedissequamente le sue prescrizioni, era la sua ormai annosa e naturale esperienza che guidava il suo istinto, che raramente si sbagliava…


Io e mioi marito, la mia famiglia, l'abbiamo conosciuta tanti anni fa, quando mia figlia era poco più che neonata e il suo modo di fare un po’ perentorio, m’incuteva un certo imbarazzo, così come la sua figura esile ma sempre in moto e  scattante e i suoi consigli sul come tirarla su.


Poi negli anni i nostri rapporti si sono rinsaldati quando venne con noi ad un pellegrinaggio a Medjugorje. C’erano persone anziane e due ragazze con problemi di fisico e di mente, che lei seguiva con amore e senza problemi, mentre salivamo sul monte, sulla cima del quale si ergeva una grande croce che  sovrastava la vallata…. Di lei mi sono rimaste in mente alcune immagini: lei che accudiva una delle due ragazze mentre salivamo sul difficile cammino in salita, l’altra, finalmente in cima al monte, dove con le mani aperte cercava di proteggere dal sole le due giovani…Sembrava veramente un angelo che si prendesse cura di loro…

Ed è così che la vogliamo ricordare a braccia allargate a formare una croce, quel simbolo che lei ha amato sopra ogni cosa.


Ci vedevamo una volta alla settimana per pregare insieme agli altri amici e così è andata avanti per qualche anno, festeggiammo insieme i suoi 80 anni, mentre lei era ancora sempre indaffarata a seguire i bambini che si preparavano alla Comunione…

 

Ciao Rosita, se ci rattrista il distacco terreno ci conforta il sapere che ad attenderti c’era Gesù, anzi c’era quel Gesù Bambino che tu hai amato tanto e con il quale avevi un rapporto personale tutto speciale.

 

 

 

 

FIORELLA

 

 

Fiorella Tomei Carosi, te ne sei andata dopo qualche giorno di incoscienza nella notte del 14 novembre.

Il primo dicembre avresti compiuto 67 anni. 

Quasi nulla posso dire di te, perchè ci siamo viste troppo poco negli anni e la distanza tra Roma e L'Aquila ci separava... ma ci legava comunque una simpatia spontanea: te eri sempre elegante, tranquilla, almeno all'apparenza, certo un pò preoccupata per quella figlia più grande che voleva sposarsi, forse con un ragazzo che non la meritava, non per sue defaillances, ma forse per intelligenza, per modo di sentire ed affrontare le difficoltà.

Che Ilaria, dopo la terribile morte di Claudia, sua sorella di poco minore, seppellita sotto il palazzo della nonna in cui nella sera del terribile terrremoto dell'Aquila era voluta andare a dormire.... non fosse più la stessa, non si sentisse più quella di prima, l'avevi capito anche tu, accettando anche la dolorosa separazione di lei e suo marito, benchè avessero un figlio piccolo da accudire...

Non hai avuto una vita facile, benchè, come detto, non ho precedenti notizie sulla tua famiglia, sulla tua infanzia... non so quasi nulla di te, di quello che eri prima di aver sposato mio cugino...

So che con me, poco vista negli anni, c'era un feeling che non abbiamo potuto approfondire, ci siamo viste in occasioni rare, matrimoni o incontri con i nostri cugini argentini, poco sono venuta all'Aquila, forse con una gita della Parrocchia in cui ho approfittato, durante il pranzo, per venire da voi, c'era ancora la mia zia paterna Bettina, tua suocera....

C'è stato qualche scambio di foto, poche, in cui mi mostravi le tue due belle figliolette che crescevano...

Ci siamo viste qui a Roma alla Laurea di una delle tue ragazze, perdonami, non ricordo più quale..., ma mi sembra tutte e due, ritroverò prima o poi le foto... e loro vennero a festeggiare quella di Donatella, entusiaste perchè si sarebbe svolta su una barca sul Tevere che serviva per feste varie..

 

 

Questo è quanto hanno detto di te i tuoi colleghi:

"Fu la prima dipendente e colonna portante dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese, responsabile della Produzione dell’Ente artistico per oltre 40 anni.

La Corale Gran Sasso la saluta, con affetto, colta di sorpresa da questa notizia:

"Un’altra triste notizia ci coglie di sorpresa. Fiorella Tomei non solo “colonna portante” dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese, ma madre della nostra corista Ilaria. A lei e alla sua famiglia già duramente colpita per il sisma del 2009 giungano le più sentite condoglianze da parte di tutti noi e del nostro Maestro Carlo Mantini”.

“Sebbene in pensione da qualche anno – la ricorda l’Istituzione Sinfonica – è forte nei suoi confronti l’affetto dei colleghi amministrativi e orchestrali e grande la stima da parte di tutta la dirigenza per l’impegno e la cura dedicati al suo lavoro.

Con infinita gratitudine e profonda commozione l’ISA ricorda la cara Fiorella e si stringe ai suoi familiari”. Questa la nota di cordoglio dell’Istituzione Sinfonica.

 

 

 

 

PADRE CARLO CICCONETTI

 

Ricordando il suo generoso e fecondo servizio pastorale, apprezzandolo per le sue doti di guida, scoprendol sempre attento alle persone, siamo tutti dispiaciuti che lunedì scorso, 25 gennaio, si è spento all’Ospedale Sant’Andrea, padre Carlo Mario Cicconetti, 86 anni, carmelitano, già provinciale e vice generale dell’ordine, giudice esterno del Tribunale di Appello del Vicariato di Roma dal 1994 al 1999, quindi giudice istruttore, nello stesso Tribunale, dal 2002 al 2006, già Provinciale e Vice Generale dell’Ordine dei Carmelitani A.O.

Le esequie si sono svolte ieri mattina, 27 gennaio, nella parrocchia dei Santi Silvestro e Martino ai Monti e proprio il parroco padre Lucio Maria Zappatore ricorda con commozione il religioso e i «rami» che hanno caratterizzato e portato linfa alla sua vita, vale a dire la guida della provincia e lo studio.

«I suoi incarichi hanno reso la sua figura importante, conosciuta ed estremamente stimata tra i Carmelitani, così come tutti hanno sempre apprezzato le sue doti di guida e comando – afferma -. Per quanto riguarda lo studio, ha scritto un voluminoso testo, dal titolo “La Regola del Carmelo”, che oggi è imprescindibile per chiunque si voglia approcciare a questo mondo». Un manuale che, nelle parole di Zappatore, «ha il grande merito di aver approfondito in modo storico e giuridico la Regola del Carmelo ed è usato anche da molti giuristi».

 

REGOLA DEL CARMELO N° 1

Collana Orizzonti

 

Direttorio Carmelitano di Spiritualità

Questo sussidio ad opera di P. Carlo Cicconetti, O.Carm. è una introduzione generale ai vari aspetti del testo della Regola sotto un profilo storico. Interpretando il testo nel suo contesto originale, l’autore vuol fare emergere tematiche spesso in consonanza sorprendente con le

 

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Padre Cicconetti, nonostante il suo carisma, non fu mai parroco ma «era sempre attento alle persone e in questi giorni è stato ricordato per le sue grandi capacità di ascolto».
È stato collaboratore parrocchiale prima nella chiesa di Santa Maria in Traspontina e poi, dal 2012, proprio ai Santi Silvestro e Martino. Qui per molti anni, fino alla sua morte, è stato fortemente a contatto con le persone sia perché «celebrava ogni giorno come cappellano delle Figlie di Santa Chiara – racconta il parroco – e, con i fedeli della parrocchia, presiedeva la Messa domenicale delle 11.30. È stato inoltre – conclude – di grande esempio ai ragazzi che risiedono come studenti, per il suo essere ligio agli orari, agli impegni e alla preghiera»

Ci ha voluti lasciare con una sua bella immagine da cui traspare il suo essere decisamente conviviale, sempre sorridente, sempre positivo, a darci coraggio a superare i nostri limiti, per amore del Signore. Il suo sorriso contagioso, la sua tranquillità interiore stampata sul volto, dava a chi lo vedeva già un'immagine di forza, di serenità, di incoraggiamento e per quanto uno si sentisse un pò a disagio, un pò perdente, per i peccati commessi, la sua immagine festosa e positiva, già dava all'interlocutore il coraggio e la speranza di poter rimediare, di poter far meglio, di evitare certi atteggiamenti... insomma di essere migliore di quello che si era...

Mai che avesse il volto corrucciato, difficile--- era sempre sorridente e solo il vederlo arrancare un pò, per via dell'età e degli acciacchi, metteva dentro un misto di allegria e pacificazione con il mondo circostante. Lo affidiamo all’abbraccio misericordioso di Dio e alla preghiera di suffragio dei fedeli, invocando la pace e la gioia del Signore.

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Il legame con Pianella, dove era nato, non si era mai interrotto. Anzi, padre Carlo Cicconetti, 86 anni, tornava tutti gli anni in paese, nel periodo estivo, nella casa paterna, e per i parenti «era una gioia incontrarlo e ascoltarlo».
A Pianella oggi, è stato dato l’ultimo saluto a padre Carlo, nella chiesa di Sant'Antonio Abate, per poi tumulare la salma nel cimitero locale.
Padre Carlo (il nome di battesimo era Mario), laureato alla Pontificia Università Lateranense con una tesi su “La regola del Carmelo”, edita nel 1973, era abilitato come avvocato rotale e fu licenziato in teologia alla Pontificia Università Gregoriana nel 1991 con una tesi su “Letture simboliche della regola del Carmelo”, pubblicata nel 1992 e poi aggiornata e ampliata nel 2006.
Nell'Ordine Carmelitano ricoprì vari incarichi: priore provinciale della Provincia Romana, priore della Provincia Italiana, procuratore generale, consigliere generale e vice generale. In occasione del 60° anniversario della ordinazione presbiteriale ha scritto e pubblicato la seconda edizione del volume “La Regola del Carmelo”.
«Ci spiegava la religiosità in maniera semplice», racconta  un suo parente. «Era una persona alla mano, sorridente, un predicatore fine. Non faceva mai trapelare la sua autorità, derivante dai vari incarichi. Amava Pianella e le tradizioni locali, era affezionato a noi, tant’è che è stato lui a battezzare quasi tutti i nipoti e pronipoti». Padre Carlo lascia, tra i parenti di Pianella, le sorelle Maria e Rosalia e i fratelli Augusto e Romano.

Il 6 luglio 1958, insieme ad altri sei, carmelitani dell’allora Provincia Romana, furono ordinati sacerdoti dal Vescovo Mons. Telesforo Cioli: Benedetto De Santis, Antonio Conti, Giovanni Jascone, Emanuele Boaga, Agostino Contini, Emidio Di Berardino e Carlo Cicconetti.
Questi ultimi tre hanno celebrato con gratitudine al Signore i 60 anni di ministero sacerdotale, mentre i primi quattro, tornati alla Casa del Padre, festeggiano celebrando il banchetto eucaristico celeste nella gloria.
Il P. Carlo Cicconetti ha rivissuto il giorno dell’Ordinazione nella celebrazione Eucaristica nella Basilica di S. Martino ai Monti, l’8 luglio 2018. Erano presenti P. Pier Tommaso Cimini, P. Tiberio Scorrano, P. Guido Sartori (di passaggio dalla Comunità di Pianella), P. Giampiero Molinari (segretario generale), P. Augustin Barbut (IV consigliere provinciale), P. Sebastian Benchea, e il Diacono Fr. Carlo Grosso, più
Ad essi si sono uniti due colleghi di lavoro presso il Tribunale del Vicariato di Roma Don Angelo Amati, Giudice emerito e Don Giuseppe Iuculiano.

Erano presenti tanti sacerdoti e amici e amiche, colleghi, rappresentanti delle Congregazioni di Suore Carmelitane della B. Scrilli e della B. Madre Crocifissa, dell’Istituto “Donum Dei”, e delle Suore di S. Chiara che hanno animato con il canto la celebrazione.


Oltre ai fedeli, che frequentano abitualmente la Messa alla medesima ora, ogni domenica, c’erano rappresentanti delle Comunità neocatecumenali, nelle quali P. Carlo esercitava il suo ministero presbiterale da circa trent’anni e giovani donne  facenti parte di un gruppo di formazione degli anni 80. Di una di esse ‘ il regalo di un ampio servizio fotografico dell’«evento». Non sono mancati alcuni familiari venuti da Pianella, paese natale del sacerdote.

Il P. Carlo nell’omelia, ispirandosi alle letture liturgiche della domenica, ha sottolineato la fedeltà e l’aiuto del Signore al sacerdote, nei momenti di fragilità e di apparente fallimento. Dopo una esperienza di 60 anni P. Carlo è più che mai convinto che ciò si deve alla fedeltà di Dio «che porta a compimento ciò che ha iniziato» sin dalla prima chiamata. «Ora so per esperienza chi è Colui nel quale ho riposto la mia fiducia» e riconosco che «era questa la via tracciata da Dio per la mia felicità e salvezza». «Devo gratitudine alla Beata Vergine del Carmelo che mi ha voluto nel suo Ordine e al Carmelo che mi ha accolto e formato sin dalla prima adolescenza».

Al termine della celebrazione è stata data lettura della lettera del Priore Generale e della benedizione apostolica di Papa Francesco.

Alla celebrazione liturgica è seguita un’agape fraterna. Il P. Carlo ha voluto ringraziare particolarmente il P. Sebastian e Fr. Carlo per la fatica dell’allestimento della sala e di tutta l’organizzazione.

 «In questi tempi del “provvisorio” queste testimonianze sono preziose», ha scritto il Priore Generale.

 

 


 

 

P. Carlo teneva spesso Esercizi Spirituali molto seguiti ed apprezzati ed ultimamente aveva dato avvio ad esercizi spirituali via Internet, tramite Facebook.

 

 

 

 

GENERALE FRANCESCO CREMONA

Presa com’ero dal dolore per la rapida ed inattesa scomparsa di Vinicio dalle nostre vite, poco dopo ecco un’altra notizia triste… la morte di Francesco Cremona.
Sì, dopo la morte di Francesca, sua figlia, e di Graziella, sua moglie, l’unica cosa che potesse fare era quella di seguirle…

E così anche lui ci ha lasciato.

Io e Paolo l’abbiamo conosciuto nel 1989, in occasione del nostro secondo pellegrinaggio a Medjugorje. Si dice che talvolta ci sono casi fortuiti, imprevedibili o che so io.
Non so come aveva sentito parlare da alcuni amici di quel pellegrinaggio che avremmo dovuto fare 2 mesi dopo e ci contattò mentre eravamo a  Follonica dove andavamo ogni anno perché i miei suoceri vivevano là e noi ne approfittavamo in occasione di feste, fine della scuola, ecc.  Era là vicino, anche lui in vacanza con la famiglia, ci voleva vedere, parlare, per avere più informazioni su quel viaggio.
Lo andammo ad incontrare in uno stabilimento balneare vicino al nostro, voleva sapere se potevamo accettare la loro presenza, con una figlia di allora 13 anni ma con le problematiche di una bambina di 6 mesi-1 anno, benchè il corpo crescesse in maniera autonoma e normale... almeno fino ad allora.

 



Paolo rispose che non ci sarebbero stati problemi, tranne quelli delle difficoltà oggettive che si potevano riscontrare in Bosnia Herzegovina a quel tempo.
Medjugorje era un piccolo villaggio, ma no, poche case raccolte attorno ai quattro angoli abbastanza lontani dalla chiesa ma nel suo comprensorio, case di contadini, senza acqua calda, qualche volta senza bagni in casa… insomma una realtà distante dalla nostra che bisognava comunque affrontare se si voleva andare.
Lui confermò subito la loro adesione e ci rivedemmo dunque al momento della partenza.
Era stata una notte di pioggia, di fulmini… ma ci ritrovammo nel punto concordato, mi sembra sull’autostrada,  e ci dirigemmo verso il porto di partenza…

C’era con noi il nostro Parroco, P. Antonio, sempre gioioso e disponibile, un altro sacerdote e all'arrivo a Spalato incontrammo il giovane Josip o Jozo, che al momento poteva sembrare un hippie ma che qualche anno più tardi sarebbe diventato sacerdote, e che sacerdote... e ci avrebbe guidato nelle nostre “peregrinazioni” per oltre 25 anni…

Fu  un’esperienza davvero emozionante avere Francesca ed anche un’altra ragazza  con handicap, Emanuela, con cui condividere quei pochi giorni, soprattutto salire sul Krizevac...

 



Giovani e adulti si diedero da fare per arrivare, con gran fatica, fino alla cima e, giunti alla vetta, alla croce, là esplose la nostra gioia, là dove ognuno ringraziò a suo modo Dio per aver permesso quell’esperienza, per aver potuto portare il proprio peso, i propri peccati fin sulla cima…

La preghiera ci univa più che mai ed ogni cosa veniva condivisa, dal mangiare alle tante esperienze personali raccontate che ci rendevano più forti, più uniti, più vittoriosi su noi stessi e sulle nostre imperfezioni umane.

Uno o due giorni più tardi, raggiungemo, in una Parrocchia a pochi km, da Medjugorje,  P. Jozo  Zovcko, il parroco della chiesa in cui si erano avute alcune delle molte apparizioni della Madonna ai giovani  veggenti, che l’avevano vista, dapprima, sulla collina del Podbrdo.

Padre Jozo era molto  amato dai pellegrini, aveva forza e capacità di infiammare gli animi, di tranquillizzarli, di  portarli verso il cielo, di far loro intravvedere la possibilità di un amore e di una serenità con cui conquistare il Regno promesso…

 

L’incontro con Francesca ed i suoi genitori era stato per noi un gran regalo, che forse non comprendemmo subito, ma che imparammo ad apprezzare col tempo: non c’era altro che amore in quella famiglia, provata ma orientata alla sua serenità, alla sua povera felicità… tutto dettato dall’amore, dal rispetto per la persona, da un affetto senza deroghe, incondizionato, senza cedimenti…
Un insegnamento, per noi, che non avevamo gli stessi problemi, per condurre al meglio la nostra vita che non aveva alcun impedimento…


La nostra bella esperienza finì dopo pochi giorni e ritornammo alle nostre case, ripromettendoci di rivederci ben presto... e così fu, andammo almeno due volte in casa loro a celebrare la Messa con Padre Antonio e quando lui lasciò la Parrocchia, loro vennero a salutarlo a S. Martino.

Ci vedemmo anche in occasione di incontri di preghiera, della Ordinazione di Don Jozo da parte di San Giovanni Paolo II e in altre circostanze. Francesco e Graziella a volte venivano senza Francesca, a volte la coinvolgevano in queste riunioni...

Gli anni passarono e Paolo, intanto, continuava – eccetto durante gli anni della guerra –ad organizzare pellegrinaggi e nel tempo libero ambedue aiutavamo Francesco a realizzare una delle sue tante idee: misi sul mio sito Cartantica tutta la sua immensa collezione di strumenti di comunicazione, dalla Preistoria fino ai giorni nostri, corredandolo delle immagini che lui mi forniva, andammo a trovarlo mentre era in atto una sua Mostra, che poi diventò permanente, al Museo Civico di Colleferro e potemmo, così, ammirare le centinaia di reperti che lui aveva accumulato, nell’intento di realizzare un percorso storico sui molti mezzi di telecomunicazione, illustrando i progressi e l'evoluzione degli strumenti e dei tanti apparati in esposizione, realizzati nel corso dei secoli, nel campo delle tele-comunicazioni..
Ogni tanto poi aggiornavamo testi e foto, nuovi prodotti da divulgare, nuove mostre effettuate, anche con l’intenzione, da parte di Francesco, di poter vendere la mastodontica mole di strumentazioni varie ad un buon offerente… ma il tempo è passato senza nessuna buona notizia in merito…

Comunque, a parte questo, nel 2012, Francesco si propose di ripartecipare, da solo questa volta, al nostro pellegrinaggio annuale.

In tale occasione fu sempre un compagno devoto, allegro, partecipe, presente ed affettuoso nei confronti di tutti i partecipanti che lo ricordano con grande affetto e simpatia.

Silenzioso nei momenti di intensa preghiera, festoso ed ammiccante nei momenti di relax, in comunicazione sempre con Graziella tramite il telefonino per avere notizie di lei e Francesca...
La sua presenza e la sua compagnia sono stati un dono per tutti.

Pochi mesi fa, l'altra estate, in cui già ci eravamo visti per riguardare per l'ennesima volta i suoi lavori, ci ha voluti a forza, a me e a Paolo, al suo 90esimo compleanno.
Era il 14 luglio, un caldo soffocante, problemi con la nostra vecchia macchina per arrivare ad Ostia, dove abitava, poi finalmente eccoci, nel bel ristorante in riva al mare, davanti a lui con un regalino - molto apprezzato, perchè era un condensato fotografico dei nostri pellegrinaggi a Medjugorje - e davanti ai suoi parenti, sorella, figli del primo matrimonio, nipoti.... Erano presenti anche Graziella, ormai in sedia a rotelle e Francesca, persa come sempre nel suo piccolo mondo.
Per lui fu una giornata splendida, attorniato dalle persone care, era in forma, contento e a cuor leggero... Un momento speciale.


Ma dopo pochi giorni, ecco che ci informa che Francesca li aveva lasciati per sempre...
Immagino il dolore, suo e di Graziella.

Da lì a poco anche Graziella era morta ed infine, poco meno di due mesi fa, il 22-12-18, anche Francesco non ce l'ha fatta più a sopportare quella solitudine... e si è ricongiunto con loro...

Un grande, affettuoso abbraccio a voi, guardateci da lassù e dateci la forza e la speranza di andare avanti...

Su Cartantica troverete il materiale del Gen. Cremona sotto la voce
"Museo delle Telecomunicazioni"

 

 

PER VINICIO

 

Non avrei mai pensato di scrivere qualcosa per te in questa rubrica...

 

Che dire di questa inimmaginabile cosa che è stata la tua morte, Vinicio, così rapida, estrema, violenta per te ma anche per noi che abbiamo seguito passo passo il breve e sempre più concitato tuo cammino verso la fine?
Giorni duri, difficili da smaltire, da affrontare... ed io, come gli altri non ho potuto, nonostante volessi con tutte le mie forze, far nulla per lenire, alleviare il tuo male, il tuo dolore.. Avrei voluto abbracciarti con cuore di madre...

Avremmo mai immaginato, là a Medjugorje, ai primi di settembre, che nell'arco di due mesi te ne saresti andato via, definitivamente, lasciandoci, ma soprattutto lasciando Donatella, tua moglie e mia figlia e Martino, di 13 anni, tuo figlio e mio nipote?

Nulla di tutto questo ci sfiorava in quel breve arco di tempo sereno e ricolmo di serenità, di ricchezze interiori, di canti e suoni innalzati da voi tre in una splendida sera, di speranze di serenità, di giochi, anche, inventati da te per i partecipanti al pellegrinaggio, come il Rosarione che tu regalavi al pellegrino o pellegrina più impegnato, ormai da tre edizioni...?

Eravamo da poco tornati dalle vacanze in Toscana, dove voi venivate sempre con grande entusiasmo, perchè amanti del mare, della vita serena che là era più possibile... ed anche se avevamo avuto negli ultimi tempi un pò di contrasti sulla vendita di quell'immobile che a noi non faceva piacere, tanto che avevamo pensato di spostarci da Roma io e Paolo per andare a vivere là, lasciandovi qui, con tutti i contro che avreste dovuto sopportare...
Ne nacque uno scontro verbale, in cui sia noi che tu, ci infervorammo molto, rimanendo poi ognuno sulle sue posizioni... ma ci eravamo subito riconciliati in attesa di qualche imprevisto colpo di fortuna che ristabilisse l'equilibrio instabile, ma mi è rimasto nel cuore e nel pensiero che questo diverbio possa essere stata la causa scatenante della tua malattia...
Forse farnetico, perchè, rappacificati, avevamo intrapreso il nostro ennesimo pellegrinaggio a Medjugorje...

 

Forse che la Madonna aveva voluto darti la serenità e la forza di intraprendere questo breve cammino di dolore e separazione a cui eri destinato? Credo davvero di si e Lei, sicuramente, ti ha accompagnato lungo il breve ma doloroso distacco dai tuoi cari.


... Ricordo tutti i bei momenti trascorsi insieme da quando tu, Donatella ed altri ragazzi cominciaste un cammino di spiritualità religiosa carmelitana, le allegre serate a cui davate ivta con concerti, recite ed altro... con amici e i frati del Cnvento di San Martino, poi l'impegno degli studi universitari,,, la ricerca di un lavoro... la tua naturale vitalità... infine il vostro matrimonio, la canzone che insieme cantaste in chiesa... la notizia della venuta di Martino che ci deste sulla nave venendo per la prima volta da sposati a Medjugorje...

Quanti ricordi... abbiamo condiviso momenti felici e momenti tristi... ma non credevo di doverti sopravvivere, non credevo che avrei visto Donatella e Martino dover condividere questa esperienza...

Ed è quasi Natale.. non volevo nemmeno fare l'albero e i miei 100 presepi... ma li farò per i piccoliI, ma non sarà uno dei soliti Natali festosi, trascorsi in tua compagnia, quando, dopo la cena della Vigilia e la poesia recitata da Martino, tenevi banco, con tua sorella Carla, scambiandovi battute ed i più estrosi articoli da regalarvi, che avevate trovato sul mercato, mettendoci in suspense per minuti e minuti, descrivendo i vostri reciproci doni come fossero i ritrovatI migliori...

Basta... non voglio far di te un "santino", vorrei dire tanto di più, elencare tutte le tue doti di organizzatore, di amante della musica, dello sport, delle arti..., di persona impegnata e seria con la famiglia, sul lavoro, nella religione...
Vorrei poter sottolineare tutte le incredibili e molteplici sfaccettature della tua personalità... anche quelle che forse a me parevano negative, legate all'ambizione e al potere che potevano dare soldi e stabilità economica... che, talvolta, ci facevano scontrare sul piano verbale... lasciandomi un pò sprovveduta perchè di queste cose mi piaceva poco parlare... Ma poi, in cuor mio, ti perdonavo subito e ti difendevo...
Ma non posso far altro, con queste povere parole, che rimpicciolire le tue qualità positive, gli slanci del tuo cuore, l'estrosità che ti animava....


Posso dirti solo, che ti ho voluto bene, anche se non te l'ho forse mai dimostrato con slanci od entusiasmo, nè dicendotelo mai a parole, perchè non sono stata solita farlo neanche coi miei figli.
Ti abbraccio forte... Veglia sempre su Martino e Donatella, che io non sono capace, dà loro forza e volontà di andare avanti con serenità... tanto impegno, tanto amore...

 

Un bacio...

 

A presto,

Patrizia

 

 

Tu, Signore, potevi pur far qualcosa
ed accettare un compromesso:
prendere me  al suo posto…
tanto io la mia vita l’ho ormai vissuta,
nel bene e nel male e non faccio testo…
Perchè io son così confusionaria,
inutile persino, non necessaria…
Ma no, non mi hai ascoltato…
E adesso…?

Sarà difficile ora andare avanti,
giorno per giorno, non più così brillanti...
senza grandi gioie, né speranze,
senza illusioni, senza più assonanze
e veder  nei dolci occhi di gazzella
di quella figlia mia, Donatella,
che la vita ora non è poi così bella…

 

 

 

ORIETTA PALMUCCI

 

 



Cara Orietta,
non avevi mai perso la volontà di andare avanti e  di vivere, nonostante tutto, né  quella curiosità innata dei bambini che si aspettano ancora che si avverino i sogni…
Ora, però, negli ultimi tempi, era diventato faticoso illudersi ancora… la sofferenza aveva preso il sopravvento sul tuo fisico e sulla tua volontà  e, hai dovuto cedere al male incurabile che ti devastava giorno dopo giorno…

Ci conoscevamo da tanti anni, ormai, da quando tu ti muovevi da un punto all’altro di Roma sfidando baldanzosamente il traffico in bicicletta. Ci incontravamo alle riunoni  mensili della Associazione dei collezionisti di Immaginette sacre che si tenevano presso la chiesa di Santa Maria in Portico, al centro di Roma, a Piazza Campitelli,  e li, scambiando santini, cominciammo a conoscerci  più approfonditamente.
Il mondo ampio e variegato delle immaginette sacre ti affascinava, ma non ti limitavi al solo collezionismo dei santini, il tuo universo era tutto popolato di immagini, di statuine, di cartoline con bambini paffutelli e allegri e lo scoprii con stupore quando mi invitasti a venire nella tua casa, un grande, antico appartamento dove vivevi con tua madre, una bella signora, che sembrava anch’essa uscita da un libro di fiabe, che ti seguiva con amore nelle tue escursioni nel mondo fatato in cui vivevi.

Poi, il male cominciò il suo lungo decorso che man mano ti debilitò, ora colpendoti in un punto del corpo, ora in un altro… un prolungato iter di sofferenza e di debilitazione che tu però affrontavi con energia perché volevi vivere…
Quando facevi delle sedute di chemioterapia al S. Giovanni  aspettavi una mia visita, vista la vicinanza.
Ti venni a trovare solo due volte mentre attendevi, seduta in poltrona, in una grande stanza assieme a molte altre persone, che le iniezioni che ti avevano propinato facessero il loro effetto ed un’altra, quando, purtroppo, ti infortunasti proprio lì in ospedale.
Ti cercavo nelle stanze aperte sul lungo corridoio, ma non ti trovavo… finalmente capii che eri là in un letto ma offrivi al mondo il tuo essere già un po’ disfatto… non ti avevo riconosciuto senza la tua parrucca folta e nera… e ancora me ne dispiace se ti ho fatto scoprire sul mio volto tracce di quell’incertezza…

Ma mi ricorderò sempre di quando, anche dopo, ti venivo a trovare  e tu mostravi grande vitalità e il tuo compiacimento nel mostrarmi le belle cose che negli anni avevi collezionato con tanto amore, compagni di una infanzia mai perduta e che io apprezzavo e forse, segretamente, ti invidiavo, perché erano davvero pezzi da collezione da mostrare e di cui andare fieri …
Il tuo volto, già gonfio dalle numerose medicine che da anni erano ormai compagne indivisibili, si rallegrava tutto nel mostrarmi, sotto Natale, i Bambinelli d’epoca: Bambinelli di cera in  culle ornate di pizzi, angeli di ogni genere sparsi ovunque, calendari appesi alle pareti, presepi d’ogni foggia e d’ogni provenienza, presepi a teatrino, presepi con personaggi vestiti di seta, coroncine appese ad ogni angolo…
E il Presepio grande, che prendeva quasi una parete… un piccolo capolavoro con botteghe, fontanelle che facevano fluire acqua vera, case con le finestre che si aprivano e ai cui davanzali s’affacciavano donne grassocce ed ilari, pastori spersi nelle campagne con le loro greggi, vecchiette e bimbi impegnati in interminabili discorsi con donne procaci che portavano al mercato ogni sorta di prodotti dei loro orti…
Visto il mio interesse, mi avevi consigliato di recarmi dal tuo amico che te l’aveva realizzato manualmente, pezzo dopo pezzo, con grande perizia e passione e così feci, portandomi a casa un piccolo esempio della sua bravura, un presepe con vari movimenti e l’acqua di una fontanella….

A Pasqua, nella tua casa, regnava un’altra aria, meno impegnativa forse del Natale, ma sempre intrigante...  Uova di ogni forma e dimensione,  ricche di fregi e roselline, realizzate con ogni materiale possibile: di marmo, di legno,  di cartone, di stoffa, di vetro, di cera, dipinte a mano… Insomma dei piccoli capolavori… addirittura una piccola culla a forma di uovo, con tanto di bambino dentro e un albero di Pasqua…
Eppoi, se ti venivo da te in periodi lontani dalle festività, ci si trovavano comunque curiosità d’ogni tipo: bambole e quadretti, statuine, angioletti, scatoline di ogni tipo, laccate, dipinte, con immagini di bimbi sereni…  
Sereni come te… così sembravi sempre, nonostante le difficoltà che via via aumentavano.

Negli ultimi tempi, per mia colpa, non certo per indifferenza, ma soprattutto per gli impegni quotidiani, ho saltato le visite che forse con qualche sforzo avrei potuto farti e che ti avrebbero rallegrato.
Ogni tanto ti telefonavo, anche quando eri fuori Roma, al mare dove ti sentivi sempre a tuo agio. L’acqua era il tuo elemento vitale e fino all’ultimo hai voluto stare a stretto contatto con essa che ti riforniva nuove energie. E tu sembravi davvero rinascere, ogni volta e riprendevi poi, tornando a Roma, a combattere strenuamente contro il male che, però, purtroppo, ormai non dava requie…

A chi rimane, resta sempre anche la consapevolezza di aver gestito male il rapporto interpersonale, si resta con il rammarico che si sarebbe potuto fare di più di una telefonata ogni tanto, per sollevare chi nel frattempo lottava contro la malattia e contro il tempo. 
E’ uno dei tanti crucci che porterò con me… quello di non averti dato modo di gioire una volta in più nel deliziarmi con le tue curiosità e di non aver condiviso con te qualche ora, per te soprattutto, questa, forse molto più importante…  Perdonami…

- Se volete “entrare” nel mondo di Orietta, ecco tre articoli che ve ne riveleranno, in parte, la sua delicatezza e sensibilità, la sua religiosità e tanto altro ancora...

 

 

- Il Natale di Orietta

- La Pasqua di Orietta

- Il Mondo di Orietta

 

 

ZIO ADOLFO

Te ne sei andato via anche tu, silenzioso e dopo una malattia invasiva che, però, tu hai combattuto, così come alacremente combattevi contro ogni cosa che non ti sembrava secondo le regole...

Tanto schivo e poco presente nelle riunioni a cui di anno in anno ci davamo appuntamento, noi nipoti ma anche gli altri zii, d'estate piena, con tavolate che toccavano oltre 20-25 persone, tra piccoli e grandi, riunendo tutto il parentado, i tuoi figli sì, ma tu no, appunto.
Ci raccoglievamo davanti casa, si attizzava il fuoco nel piccolo forno aperto nell'angolo e si dava inizio al rito della cottura della porchetta... dopo poco il profumo della carne arrosto si dilatava nell'aria, rendendoci ancora più allegri e ridanciani... Io scattavo decine di foto agli astanti immortalando le varie fasi dell'avvenimento... ma tu non c'eri mai e non sono riuscita a trovare una tua fotografia, se non un'immagine senza forme scattata sul tuo amato trattore, inutilizzabile, però, poichè non si vede che un'ombra scura e senza contorni...
Come ho detto, un uomo tutto d'un pezzo, duro, legnoso, all'apparenza, come dovevi essere, tu che avevi vissuto in campagna per tanti anni e che ti eri forgiato alla scuola dei trattoristi...
E, appena potevi, ti dedicavi alla ricerca dei funghi o alla caccia...

Di te si raccontavano imprese al limite dell'incredibile, indimenticabili, come quella che ti aveva visto in un corpo a corpo con un grosso  cinghiale ferito, tu armato solo d'un tagliente coltello, visto che il fucile era ormai inutilizzabile.
La lotta era stata davvero ardua, il bestione davvero pericoloso, con quelle zanne arcuate a pochi centimetri dal volto e gli unghioli ricurvi che  penetravano nelle tue spalle... e tuttavia, tu eri riuscito vincitore in quel selvaggio confronto...

E quella volta che con una fucilata, sparata dall'alto d'un colle riuscisti ad ammazzare uno di quei bestioni, sfuggito a qualche tuo colpo precedente e che, dopo aver percorso alcuni  chilometri, ritenendosi ormai in  salvo, stava abbeverandosi ad una piccola pozza.
Il tuo sguardo penetrante era ormai esercitato a scovare prede anche nella  notte più fonda, avevi seguito il percorso calpestato dal cinghiale dalla tua postazione e, vedendolo alfine fermo, nonostante la grande distanza che ti separava dall'animale, avevi caricato il vecchio fucile con dei pallettoni di tua fabbricazione, avevi preso accuratamente la mira e premuto il grilletto...  forse neanche tu avresti avrebbe mai sperato di riuscirci... facesti di corsa il lungo percorso appena battuto dall'animale, raggiungesti il piccolo stagno dove, ormai immobile, giaceva l'antagonista di questa tua ultima impresa...

Quest'azione incredibile veniva spesso rammentata da parte degli altri cacciatori che prendevano parte alle varie battute di caccia, mentre marciavano attraverso la macchia prima di posizionarsi nelle loro postazioni, oppure a battuta conclusa, curvi gli uomini sotto un carico pesante - a volte le prede erano davvero numerose, il chè rallentava il cammino - ma con l'animo allegro e rilassato... ci si chiamava dall'uno all'altro capo della fila, ci si scambiavano  frizzanti battute, si discuteva ancora rumorosamente, arrivando sino al limite della macchia dove erano stati lasciati i mezzi di trasporto e, tutti d'accordo, ci si avviava verso il casolare più vicino, per procedere alla spartizione del bottino.

 

...Affrontavamo il breve rettilineo: al di là ed al di qua tra il verde della  campagna comparivano un filare di pioppi filiformi, un brecciolino rumorosamente allegro e le pietre scarne e grigie della vecchia casa di zio Adolfo, la “tabaccaia” dove un tempo il raccolto di tabacco veniva steso al sole  ad   asciugare, .
All'apice della salita, uno spiazzo: la piccola contrada era tutta lì, una  chiesetta sempre chiusa durante la settimana, dove la domenica si  raccoglievano una decina dì anime in tutto (quella era una zona di comunisti di vecchia formazione), la casa del fattore, tutta di mattoni rossicci con una lunga scalinata ombrosa che s'inerpicava al piano  superiore,  la  casetta di Anchise il guardiacaccia, con il portico, ornato di volute di gerani multicolori, su cui s'affacciavano, come occhi curiosi, due finestrelle che scrutavano ogni movimento  della piazzetta. 
A rallegrare il piccolissimo borgo, addossati contro i muri di pietra,  accanto  alle porte doghettate dai battenti di ferro, proprio sotto alle nere fenditure delle finestre, dei grossi orci di coccio mostravano le loro panciute fisionomie  che contenevano fiori rossi, arancio e rosa. 
Poco più in là, alcuni capannoni abbandonati accanto a cui giacevano degli arnesi in disuso: un erpice e delle vanghe erano ancora lì tra l'erba incolta, lasciate contro un muro o in terra, già prede della ruggine e della polvere.
Nel piccolo borgo, ora, non vi abitava che il fattore e la famiglia "Balatresi" - così usava chiamare i suoi componenti, a cominciare da sè stesso, lo zio Renato - ormai ridotta a tre elementi: lui, la zia Carolina, chiamata sbrigativamente Lola e la loro figliola più giovane, l'irresistibile Elena.
Quando c'erano zio Adolfo e zia Marisa con la loro cucciolata di quattro  maschi  e i tre giovani Balatresi, nati a poca distanza l'uno dall'altro, l'aria del piccolo villaggio era decisamente allegra e piena di vita, scoppiettante  di gridolini di gioia, di sorpresa...  ma il lavoro dei campi per gli adulti  era  duro, faticoso e le case scomode, senza bagni, i soffitti bassi e sconnessi da cui d'inverno penetravano la pioggia e l'umidità, mentre d'estate erano invece infuocate.

E le scuole, dalle medie in poi, bisognava andare a frequentarle fuori e i giovani, studenti controvoglia, si maceravano dalla nostalgia per la casa lontana, per la perduta libertà di scorrazzare nei campi, per l'impossibilità di recarsi a caccia con zio Adolfo e zio Azzurro,zio Azzurro, di addestrare i cani e di imparare, con quella precisione che caratterizzava zio Renato, a lavorare il legno e a mandare un trattore.
Erano tutti alti ed esili ma solidi come giovani arbusti e si facevano vedere alla fattoria in occasione delle grandi festività o per qualche battuta di caccia (quella ce l'avevano tutti nel sangue come una malattia congenita!), ma sembravano già distaccati da quel mondo contadino a cui a fatica, forse, appartenevano...

 

... L'uomo è asciutto, sulla cinquantina, tutto muscoli guizzanti sotto la  pelle tesa nello sforzo continuo, brunito dal sole, terrigno il volto su cui il tempo ha tracciato piccoli solchi col suo aratro implacabile.
Bonario lo sguardo con cui accompagna il bimbo che si sta interessando al suo lavoro.

 

Sotto il sole alto delle ore pomeridiane la campagna sembra arida tanto è gialla e silente. A guardar bene, invece, si distinguono mille sfumature di gialli,  di marroni e di verdi distinti e mescolati insieme, un alternarsi di colli e di valli, qualche casupola aggrappata ai pendii, qualche cavallo che vaga libero, dei trattori che camminano silenziosamente come tanti giocattoli azionati da un bimbo intento a un gioco.

 

La campagna intorno pare non abbia voce, eppure ha un suo timbro sommesso, gentile, il fruscio delle foglie, dei fiori, del vento e qualche strido di rondine che cerca, nei solchi appena arati, semi dispersi...
Ecco il mastodonte d'acciaio che li attende, solido, pesante. Il bimbo vi salta  su senza rumore arrampicandosi sui cingoli immobili, aiutato dallo zio Adolfo che con appropriate indicazioni guida i passi insicuri, si issa al posto di guida, da cui domina tutta la campagna circostante.

 

Esegue attentamente ogni operazione per mettere in moto il trattore che, simile  ad un grosso insetto terricolo, inizia l'andirvieni lento e misurato lungo tutta la superficie.
Il trattore trascina dietro di sè un grande aratro che, con numerose punte aguzze scava il ventre della terra portando alla luce grosse zolle  umide d'intenso color marrone e crea un disegno di solchi paralleli, diritti.  Ora il grande campo è diviso in due metà, una già arata tutta bruna e greve degli umori  della terra nuda, l'altra tutta gialla ancora per le mille piccole pagliuzze di grano che giacciono sul terreno.
Il bimbo è affascinato da questo gioco inusitato per lui, osserva con interesse le fasi delle varie operazioni prodotte dalle numerose leve situate accanto al posto di guida, fa domande su domande riguardo ai vari movimenti del trattore, sullo scopo dell'aratura, chiede, curioso...
Zio Adolfo, contento, gli risponde a voce altissima, tentando di farsi udire. Il rumore del trattore è, difatti, assordante: tutta la cabina ne è scossa e  vibra intensamente; qualche domanda si disperde nel vento, rimane senza risposta.

Quando zio Adolfo è solo, senza spettatori come oggi, vibra anch'egli con il suo trattore, attento alla sua voce monotona e metallica, ai suoi improvvisi scarti quando affronta le curve.
Ma i suoi gesti di risposta sono ormai automatici, gli permettono di lasciar liberi i pensieri di vagare nella pace di questa campagna assolata. Qui non c'è la fretta della folla impazzita delle grandi metropoli cittadine, nè minareti  di cemento nè il fumo nero dallo smog che  intorpidiscono il corpo e lo  spirito. Qui c'è una grande serenità che si dissolve nell'aria ed entra in ogni  essere  vivente, diventa letizia e buonumore.

 

L'anima ritrova la sua essenza incorporea; vaga nella solitudine circostante come una giunca leggera che scivoli sulla superficie piatta e tranquilla di  uno di quei grandi fiumi orientali, diventa un grande aquilone che si lascia  trasportare da un vento allegro ma non bizzoso...
Sulla terra, le linee si susseguono in un paziente gioco geometrico mentre l'uomo e il bimbo confabulano ancora. Il tempo passa lentamente, una luna pallida già tenta di oscurare la luminosità del sole. Intorno il silenzio sembra ancora più intenso.
L'uomo ferma il trattore e lui e il bimbo scendono con leggerezza dall'abitacolo  giallo, tenendosi per mano.
Domani zio Adolfo sarà di nuovo solo a comporre sulla terra i suoi fantastici disegni, ad ascoltare il rombo possente del motore ed il fruscio della natura, a creare centinaia di piccoli crateri inanimati, che  ora sembrano inutili e in cui poi nascerà ancora vita... 

 

 

 

NONNA PINA

 


Ci siamo viste per l'ultima volta poco più di un mese fa, tu sempre così magra ma tenace,al braccio di Carla, un lampo negli occhi ed un sorriso di simpatia un pò sperso, un bacio dato come ad una vecchia conoscenza, perchè ero forse, tra tanti altri, dispersa nella tua memoria...

Te ne sei andata alla bella età di 96 dopo aver vissuto una vita intensa di lavoro, di gioie e di dolori, ma ti sei sempre affidata a Qualcuno" lassù ed hai tirato su figli e nipoti, tuoi e di altri. Infatti ormai eri per tutti, anche per noi già attempati, Nonna Pina.

Nel 2007, decidemmo di andare in pellegrinaggio a Medjugorje verso la fine di settembre con pochi, intimi amici, partendo con due macchine. Eravamo solo in nove, un gruppo ristretto e compatto: che comprendeva me e Paolo, Mario e Giuliana, Gaetano ed Ornella, Ivana, Carla e la mamma Pina, che all'epoca aveva già la bella età di 86 anni, ma che era la più tranquilla e al tempo stesso la più vispa di tutti. Per lei tutto era nuovo e bello.
Bella era anche la mattinata radiosa in cui arrivammo a Spalato dove ci accolse Don Jozo, il nostro amico sacerdote croato che era, è e, speriamo, sarà la nostra perfetta ed insostituibile guida spirituale nei pellegrinaggi a Medjugorje.

In tutto questo andirvieni, più o meno frenetici, Nonna Pina fu la vera sorpresa: l'unica a essere sempre serena, senza mai lamentarsi nè richieste extra, senza "fare una piega"... era anzi, proprio lei, quest'arzilla nonnina magrissima ma "tosta", che ci rallegrava con la sua presenza discreta ma pregnante, con le sue battute e, soprattutto, con i suoi "Buonissimo, Benissimo".
"Come va, Nonna Pina?" chiedevamo alla mattina, e lei: "Benissimo",. "Ti è piaciuto il pranzo?" - e lei: "Buono, buonissimo".

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E così è stata per tutto il viaggio, sorridente, serafica, elargendoci qualche battuta scherzosa ed anche pungente, ma mai un'alzata di testa - spesso alcune anziane danno del filo da torcere, in questi pellegrinaggi, più dei giovani - non una lamentazione, sempre sorridente, qualche sigaretta e via...

...Per la solita passeggiata tra i campi, con il rosario alla mano, per raggiungere la chiesa e partecipare alle varie funzioni, per le visite alle Comunità presenti in Mejugorje, per la salita al Podbrdo, fino alla statua della Madonna, che si è degnata di apparire tra quelle pietre, affrontata da tutti anche da lei, nonna Pina.

Davanti a quella statua Carla in particolare fu invasa dalla commozione. Dev'essere davvero una bella esperienza poter fare questa ascesa verso il cielo e verso la Vergine con la propria mamma terrena accanto...

 

A Medjugorje faceva molto caldo ed una sera decidemmo di andare, dopo cena, a sorbire una birra o un gelato e ci sedemmo a un bar di fronte alla Chiesa.

 

Ognuno ordinò quello che preferiva, una bevanda, birra o altro e Nonna Pina un gelato che si rivelò coloratissmo ma anche di proporzioni gigantesche, sormontato da un pinnacolo di candida panna.

 

Quasi quasi eravamo preoccupati... Ma no, lei cominciò serenamente a smantellare la cima di tanta bontà e, cucchiaio dopo cucchiaio, finì il gelato, quasi con religiosità, lasciando poco spazio alle chiacchiere...

 

Anche se controvoglia, venne il tempo di ripartire e ci avviammo verso Spalato, fermandoci lungo la costa per il pranzo, in un locale dove ci dissero si cucinasse bene il pesce. L'unica nota negativa era che sia Ornella che Carla non mangiano pesce... ma tanto c'era dell'altro...

 

Ed ecco comparire sulla tavola piatti ricolmi di frutti di mare, sperlunghe traboccanti di riso al nero di seppia (che andò per la maggiore e fu il piatto forte... molto apprezzato anche perchè cotto e amalgamato a puntino), ma non solo, anche spaghetti allo scoglio, poi pesci arrostiti, gamberoni e seppie arrosto...

Certo, travolti da quest'ondata di cibo, eravamo tutti un pò sconcertati, ma mentre noi discutevamo su quale piatto fosse il migliore affondando cucchiai e forchette ora di qua ora di là, Nonna Pina, nel suo angoletto, era silenziosa ed equilibrata come al suo solito: mangiava tranquilla quel che le servivano, un pò di tutto, non potendo certamente competere nè con l'appetito dei giovani Don Jozo e Matteo, che ci aveva raggiunti là da poco, nè con Mario, Gaetano e Paolo che si erano dati con impegno a finire tutto il riso avanzato...


Tranquilla andavi avanti per quel che potevi, elargendo sorrisi a chi ti rivolgeva la parola, commentavi coi commensali più vicini, la sequenza e la bontà delle portate che, comunque, grazie ad una passeggiata proprio in riva al mare, digerimmo abbastanza in fretta. Prima di arrivare a Spalato, dove ascoltammo la santa Messa celebrata da don Jozo, percorremmo parte delle stradine antiche e tortuose di Omis, antica città romana, poi covo di pirati, poi mentre gli altri si disperdevano per Spalato, io e Paolo andammo con piacere con Don Jozo a salutare i suoi genitori che da alcuni anni non vedevamo. Sua mamma, che è un'ottima cuoca, di cui avevamo già in precedenza apprezzato le doti culinarie, ci presentò, per merenda, un dolce, uno strudel saporoso che non potevamo certo rifiutare...

 

Ed eccoci, dopo la Messa e prima della partenza, verso le 18,00 andiamo tutti a salutare delle suore che avevano contatto con Mario e Giuliana, i quali dovevano ritirare un pacco per una consorella che viveva a Roma. Appena entrate Ornella e Carla storcono il naso all'odore pungente di pesce fritto che aleggia nell'aria... le suore pensando di farci cosa gradita avevano deciso di farci cenare lì da loro prima della partenza della nave, preparando dei bei pesci arrosto con contorno di patate!

 

Noi eravamo tutti stravolti, ma anche in quel frangente Nonna Pina mantenne salda la sua imperterrita sicurezza e si sedette a tavola, come sempre tranquilla e gioiosa... ma non so dirvi di più perchè già troppo era l'impegno di stare di nuovo intorno a un desco e riprendere a mangiare - ma fu più uno sbocconcellare - un pò del succulento fritto preparato.

 

Io, poi, con la scusa di fare qualche foto, mi alzai e non mi sedetti più al mio posto. E per fortuna che ci diede man forte don Mijo, un altro degli amici di don Jozo, che conoscevamo da anni e che ci era venuto a salutare... quel giorno non aveva potuto pranzare e quindi era molto più "in forma" di noi e fece festa davanti ad una sì abbondante cena.

 

Finalmente arrivammo sulla nave, devastati dal troppo mangiare e concludemmo la serata davanti ad una tazza di the dal potere digestivo. Ma ancora tu non sembravi stanca e allegramente conversavi con tutti e la mattina dopo, anche se il mare era stato inquieto, tu non te ne adombrasti e la mattina dopo eccoti pronta per proseguire questo nostro lungo viaggio fino a Loreto per ascoltare la Messa presso il piccolo, tranquillo Convento delle Suore Carmelitane di clausura eppoi recarci alla Santa Casa. Ma non era ancora finita, ci recammo a Jesi per passare qualche ora in compagnia del nostro amico Padre Antonio e visitare la Chiesa della Madonna del Carmine, costruita attorno alla più antica Cappella di Santa Maria delle Grazie. Infine, un saluto e via per il rientro definitivo, già pensando al prossimo pellegrinaggio...

 

Ed eccoci ora a salutarti per questo lungo viaggio che hai intrapreso e che ci separa ... ma sei ancora qui tra noi, come fossimo uniti dal filo invisibile dell'amicizia...

 

 

ANNA

 


Non so se fosse per l'omonimia del cognome con quello di mio marito, ma ti trovai subito una persona fattiva e simpatica, scattante e disponibile al momento della convivialità, ma anche seria e severa come una maestra dei tempi andati, nel momento dell'impegno.
In gioventù dovevi esser stata tutto pepe, sempre in movimento
Ti conobbi in Parrocchia dove tu già da anni facevi parte di un gruppo di persone impegnate in opere di misericordia spirituale che per lo più andavano a trovare i malati per pregare insieme.
La nostra conoscenza si approfondì dopo alcune gite organizzate in Parrocchia che avevano come meta vari Santuari, ma soprattutto dopo il pellegrinaggio a Medjugorje del 1990.
Sono momenti quelli in cui si creano amicizie durevoli, ancor più solidificate dalla tua costante presenza al nostro gruppo di preghiera settimanale, nato appunto dopo il primo pellegrinaggio del 1988.

Presente al matrimonio di mia figlia, ci tenesti a presenziare anche ai lutti che ci colpirono negli anni '90 e nel '95, dopo essere intervenuta al funerale di mia mamma qui a Roma, volesti esser presente anche a Follonica dove pochi giorni dopo era morto anche mio suocero. Con gli amici più cari ci raggiungesti in macchina. Forse non ti abbiamo mai ringraziato abbastanza per questo gesto.

Gli anni sono passati in un batter d'occhio ma tu te la cavavi egregiamente d eri sempre presente nella vita della Parrocchia e nel nostro gruppo di preghiera, finchè pochi anni fa le tue buoni condizioni di salute sono andate deteriorandosi e dopo un periodo in ospedale ti sei vista relegata in casa, senza più spazi da percorrere col tuo passo svelto, senza più interlocutori con cui discutere se non tua sorella anch'essa ammalata, anche lei piena di acciacchi e di problemi insoluti, con le cui opinioni spesso dissentivi.

Costretta, insomma, ad una vita poco consona al tuo carattere, a percorrere un tunnel di grigiore in cui le novità, i piccoli pettegolezzi di donne, gli scambi verbali erano assenti e per di più soggetta ad un poco accettabile badante maschio di cui ti vergognavi e che per le diverse abitudini di vita, di cucina ecc. non ti andava a genio.

Avresti dovuto, fin da allora, avere una ragazza, una donna insomma con cui scambiar chiacchiere, spigolature e tante notizie ti sarebbero pervenute dall'esterno, animando un pò la tua esistenza rendendola più accettabile, più viva, meno incolore.

Il fatto che poi, attraverso una rete di conoscenze, quel badante ti fosse giunto anche tramite me, mi faceva sentire in qualche modo un pò responsabile del tuo evidente declino.

Spesso, ma non quanto forse avresti voluto, ti venivo a trovare con Giuliana e man mano che il tempo passava ti trovavamo sempre più cupa e meno combattiva, meno solerte e vitale di una volta... eri ormai diventata un'mmagine così sbiadita di te stessa, un'altra Anna priva non solo di forze fisiche ma soprattutto di vita interiore..

Poi, in poco tempo, una nuova caduta ha peggiorato le cose: c'è stato un lungo ricovero, seguito da una lunga degenza in una casa di cura dove però la tua salute ha subito altri peggioramenti, per poi rientrare in casa e poi di nuovo in ospedale.


Ti abbiamo visto una sola volta in questo lungo periodo e il ricordo mi ridà l'immagine di una vecchia signora, gracile come uno scricciolo, arrabbiata con la vita, con il mondo, anche forse un pò con Dio...

La sola nota positiva è stata l'assidua ed affettuosa presenza del tuo unico figlio che si è sobbarcato l'impegno di esserti vicino più volte al giorno, consolarti, accudirti, come una volta avevi fatto tu con lui, dandogli cure ed attenzioni. La sua dedizione avrà consolato i tuoi ultimi giorni, i tuoi ultimi momenti di distacco da questa vita così poco lieta, ricca di difficoltà e delusioni.

Cara Anna, cara amica più grande che hai condiviso con me, con noi, un tratto del nostro cammino terreno, ormai pacificata con te stessa e col mondo che hai lasciato da poco, entrata nella dimensione di serenità e di amore a cui tutti aspiriamo, credo che troverai pace.
Mi spiace solo di non aver potuto ricambiare, oggi, che ci saranno i tuoi funerali, il tuo gentile gesto di presenza, sarò impegnata in un brevissimo viaggio preventivato da tempo che non potevo disdire...

 

 

GRAZIELLA

 

 

Quanto non avrei voluto scriverti da questa pagina dedicata a chi non c'è più, cara Graziella.
Te ne sei andata via sabato scorso mentre io ero in gita con degli amici e ancora più profondo e triste è stato il sentire la notizia che tu ci avevi lasciato.
Il giorno era bello, chiaro, caldo, sereno ma tu non potevi ormai restare... in punta di piedi, con discrezione e tatto, come era il tuo solito, hai lasciato i tuoi figli e tuo marito attoniti, senza quasi più parole.
Ma ormai erano pronti - si fa per dire, non lo si è mai in questi casi - ma rassegnati direi ad una tua precoce partenza. Quanto ti hanno spronato a restare, quanto ti sei data da fare tu per rimanere con loro, ancorata alla vita e alle quotidiane abitudini, con istinto di grande lottatrice: cure, visite, operazioni... ma tutto è stato inutile, hai solo prolungato la tua presenza qui tra gli alti e bassi della tua salute e resistenza, finchè hai potuto, continuando a vivere una vita piena, allietata dall'andirvieni di figli, nipotini che cercavano di distrarre i tuoi pensieri...

 

Ma poi non ce l'hai fatta più... all'ennesimo, inutile controllo, ormai sapevi che non c'era più speranza, le forze e la volontà ti hanno abbandonato e ti sei rinchiusa tra le mura domestiche aspettando il momento...

Discreta, serena, affidabile, fattiva, questa è l'impressione che ho sempre avuto di te, una persona dotata di grandi sentimenti ma con i piedi per terra, che con pazienza e dedizione aveva intessuto una fitta trama d'amore attorno ai suoi bei quattro figli, a suo marito, alle persone care, agli amici.. la tua alacrità nella vita e la tua dignità nella morte saranno esempio e ricordo indimenticabile per i tuoi e per tutti cooro che ti hanno conosciuta...

 

Ci siamo conosciute tanti anni fa quando i nostri figli iniziarono le elementari (e ormai hanno 36 anni, sono adulti anche loro) e quindi abbiamo vissuto insieme tanti bei momenti gioiosi: le recite, le feste di compleanno, quelle di Comunione e Cresima, le gite con gli scouts, gli ultimi dell'anno assieme... una volta da me, una volta da te a Palestrina nella tua bella grande, elegante casa... quante occasioni, quante belle ore passate insieme...
E anche l'ultima, in febbraio, per festeggiare il ritorno di Mauro alla normalità dopo il pauroso incidente che l'aveva bloccato per 3 mesi. Eravamo nel suo piccolo ristorante, con i ragazzi e i loro bimbi, una piccola, allegra brigata confusionaria e ridanciana.
Anche tu cercavi di essere in sintonia con l'atmosfera intorno, sobria ed elegante come al solito, ma il tuo volto sempre sereno, ma soprattutto il tuo sguardo, non potevano nascondere i segni della sofferenza, delle cure pesanti che avevano pochi riscontri positivi.

 

Da sempre rallegrati dalle battute allegre e caustiche di Edoardo che in te trovava una spalla complice e solida, quella volta notai che la carica di sempre s'era affievolita ed anche lui, come te, era immerso in un limbo incolore...

Chissà ora dove è andato il suo sorriso ilare ed accattivante... glielo rivedrò mai più sul volto che ora sembra grigio e spento? Vorrei telefonargli per dirgli che lo pensiamo, io e Paolo, con quotidiana frequenza e che gli siamo vicini nel dolore, ma poi rimando, sperando magari di incontrarlo e parlargli a voce.. anche se poi magari glisserò sull'argomento e parleremo di cose futili...

 

Ma è' così difficile portare conforto, esprimerlo a voce, molto meglio qui, mi sembra... per dirgli che anche a noi mancherà la tua presenza delicata, riservata, attenta, sensibile...

 

 

 

FRANCO, L'AMICO DI UN AMICO...

 


Un pensiero anche per te, Franco, amico di un pellegrinaggio che ci portò tanti anni fa a Medjugorje, in cui consolidammo tante belle esperienze umane e religiose e la nostra amicizia e con cui condividemmo poi altre gite, soprattutto verso i Santuari.
Questo senso di religiosità non ti ha mai lasciato negli anni, anzi si è ulteriormente accresciuto e ogni tanto ti ritrovavo in S. Maria Maggiore, nella cappellina dove è sempre esposto il Santissimo, assorto in una intensa preghiera.

Avevi vissuto un'infanzia difficile, presto orfano con un fratellino più piccolo, avevi dovuto rimboccarti le maniche e darti da fare per affrontare la vita.
E chissà quante ne hai passate! Forse per questo, anche se di fondo eri una persona allegra e gentile, ad una minima provocazione, però, si rivelava una parte del tuo carattere umbratile e nervoso.

Avevi desiderio di una famiglia tutta tua e a soli 22 anni ti eri sposato con Isolina, piccola ma solida nel corpo e nello spirito (era la tua ancòra di salvezza in ogni occasione), che ti ha accompagnato per questi 60 anni tra gli alti e bassi della vita, assieme all'affetto di figli e nipoti.

 

Certo quando i nipoti diventano anch'essi adulti ed hanno mille impegni, amicizie e affetti tendono a dedicare ai nonni meno tempo... lasciandone così troppo per deprimersi e pensare...

Stavi appena uscendo da un brutto periodo in cui i tuoi nervi erano cedevoli: intorno a te erano spariti gli amici di sempre e l'incalzare dell'età ti faceva sentire ancor più indifeso, infelice, sentivi come non mai il peso di una vita...

 

Spesso avevi mostrato questa tua sofferenza a tua moglie, ai pochi amici superstiti e tra gli alti e i bassi del tuo umore, uno spiraglio di luce ti sembrava quell'idea che da tempo di gironzolava per il capo... tornare ancora una volta a Medjugorje... ma Isolina non se la sentiva di affrontare un viaggio e chissà ora, poverina, come rimpiange di non aver dato corpo a questo tuo desiderio...

 

Poi ti sei un pò ripreso anche grazie alla decisione di seguire il nostro gruppo di preghiera del venerdì, nato proprio nel pellegrinaggio affrontato nel 1988. Pochi giorni fa c'eravamo visti e tu, non so perchè parlassimo di questo, ti auguravi un trapasso veloce e sereno.. Così è stato! Forse il Signore ha ascoltato la tua voce, la tua preghiera...

 

Te ne sei andato all'improvviso, qualche giorno fa, senza clamore e senza affanno... un attimo e ti sei accasciato su te stesso ed ora sicuramente sarai in pace, senza affanni, senza delusioni, senza difficoltà, senza pensieri tristi...

 

 

MARCO, UN CUOCO SOPRAFFINO MA NON SOLO

Cara Susanna,

ti ho vista dopo tanto tempo dalla tua partenza per Cagliari, quando Marco ormai mostrava tutti i segni di una morte vicina e irrevocabile. Avevate voluto tornare alle vostre radici, nella vostra bella isola tra gli affetti familiari e gli amici di un tempo.
Pacata, come sempre sembri ad un primo impatto ma sento il ribollire dei sentimenti che ti agitano, anche se cerchi di razionalizzare ed elaborare in ogni modo questo lutto.

Mi hai raccontato di come Marco avesse accettato la morte ormai vicina e come a volte ci scherzasse persino su, forse solo per darti coraggio.
Era il suo carattere quello, fatto di serenità, di positività, di accettazione, di humor e tu te ne fai leva per continuare la tua strada, ma il tuo volto, i tuoi occhi, sia pure "imbellettati" per chi li guarda superficialmente, fanno trapelare il dolore che ti anima.

Tutto era cominciato, almeno io penso così, da un disgraziato incidente di cui Marco suo malgrado si era ritrovato vittima e in cui aveva riportato la frattura del malleolo, delle costole, un trauma cranico ed una canalolitosi all'orecchio.
Guarito, dopo poco però aveva cominciato ad accusare i primi sintomi di un tumore alla testa. Con santa pazienza s'era sottoposto a tante cure, ma il male purtroppo ha progredito, inersorabile.

Era piccolino ma solido, sempre attivo e allegro, sempre in movimento nel quartiere per una passeggiata o per approvvigionarsi delle materie prime necessarie per il pranzo e la cena dei frati Carmelitani che da anni ospitavano lui e te, che espletavate le funzioni di portieri e lui anche quella di cuoco.

Eravate arrivati quando tuo fratello P. Ubaldo (vedi sotto "Padre Ubaldo Pani, Carmelitano") era stato trasferito qui a Roma come Parroco di San Martino e vi eravate messi all'opera per svolgere entrambi al meglio il vostro lavoro.

 

 

Cuoco eccezionale - aveva un curriculum di tutto rispetto: diploma di segretario e portiere d'albergo e come tale aveva lavorato a Londra, poi come steward sulle navi da crociera in giro per il mondo, toccando tutti i continenti e a Tokyo era stato assunto come cuoco, la sua grande passione... - ci imbandiva tavolate raffinate durante la festa di San Martino o quella della Madonna del Carmine. Bocconcini appetitosi a cui tutti gli invitati davano l'assalto. Non potrò mai dimenticare il suo "pollo Tanduri" che non avevo mai assaggiato e che mi lasciò davvero estasiata...

 

Ma certo non era solo questo, come dicevo, era una persona interiormente ricca, fattiva ed aveva accettato la sua condizione ringraziando Dio per tutte le cose belle che gli aveva dato nella vita: una brava e bella moglie, una figlia, una famiglia affettuosa, una vita densa di esperienze positive e i molti viaggi intrapresi.

 

 

 


PADRE BARNABA HEICHIC (HEKIC)

 


Ecco, anche lui fa parte della lunga lista degli amici che ci hanno lasciato... Padre Barnaba Hechich, che ho conosciuto nel 1989, in occasione di un pellegrinaggio a Medjugorje, dove ho scoperto le sue innumerevoli qualità di uomo, di studioso, ma soprattutto di sacerdote.

Nato a San Pietro in Selve, quando questo piccolo centro faceva parte dello Stato Italiano, benchè Croazia, nel 1924, è ritornato al Padre il 23 ottobre a Saccolongo (Pd), dove risiedeva dagli inizi del 2012, presso la Casa Sacro Cuore, dopo una lunga malattia.
Terzo di nove figli, si sentì presto chiamato a dedicare la sua vita a Dio e a 12 anni entrò nel Collegio Serafico di Chiampo (Vi), per poi continuare col noviziato nel 1941 nell'Ordine dei Frati Minori della Provincia Veneta. Il 6 agosto del 1942 emise i primi voti, si trasferì a Roma nel 1945, nell'allora Pontificio Ateneo Antonianum, dove compì gli studi di teologia, conseguendovi i gradi di baccellierato, licenza e dottorato.e l'8 dicembre del 1946 emise la professione solenne.
Venne ordinato sacerdote il 2 aprile 1949, nella Basilica di S. Giovanni in Laterano a Roma.

Mentre ancora studiava, viste le sue indiscusse capacità, venne incaricato dal Rettore Magnifico P. C. Balić di dedicarsi alla redazione degli Atti del Congresso Bibliologico Francescano Int.le (febbraio 1949), opera che andò alle stampe col titolo: Il libro e le biblioteche (Roma 1950) e finiti gli studi nel 1951, si dedicò in massima parte alla figura e all'opera del B. Giovanni Duns Scot ed entrò a far parte della Commissione Scotista Int.le, per l'Edizione Critica della sua Opera omnia, di cui poi diventò presidente.

Intanto insegnava metodologia scientifica all' Antonianum, tenendo corsi semestrali di critica testuale, seminari su Scoto e di introduzione alla sua filosofia e sulla mariologia. Curò l'edizione dell'opera di B. Kloppenburg OFM,"De relatione inter peccatum et mortem" ('51), quella dei volumi 6 e 7 della "Bibliotheca Mariana Medii Aevi" e del secondo volume della "Bibliotheca Mediationis BMV" della Pontificia Accademia Mariana Internazionale.

Nel 1958 sostenne la sua tesi di laurea dal titolo: "De immaculata conceptione Beatae Mariae Virginis secundum Thomam de Sutton OP et Robertum de Cowton OFM. Textus et doctrina" che poi venne stampata a Roma nella collana «Bibliotheca Immaculatae Conceptionis» (vol. VII).

Tra il 1966 ed il 1968 P. Barnaba lavorò ancora, nell'ambito della Commissione Scotista, su G. Duns Scoto per la pubblicazione degli Atti del Congresso Scotistico Int.le di Oxford ed Edimburgo: "De doctrina Ioannis Duns Scoti", imponente lavoro costituito da più di 120 relazioni o conferenze.

Per sottolineare il settantesimo compleanno di P. Balić, nel 1970/71 P. Barnaba venne incaricato dal Rettore Magnifico di curare un volume in onore del festeggiato, realizzando, il corposo volume "Studia mediaevalia et mariologica P. Carolo Balić OFM septuagesimum explenti annum dicata" (Roma 1971).

Nel 1972 diede alle stampe un volume sull'ortodossia di Giuseppe Mojoli, eccellente sacerdote e professore di sacra scrittura, amico di Papa Giovanni XXIII, accusato ingiustamente di troppo modernismo.

 

Le sue più recenti opere sono:

Scotus' Apparent Death: a Mystification, in They Gave me an Answer (red. M. A. MOTTOLA), Assisi 1993, p. 51-59, pubblicato nel 1993.

Il contributo della Commissione Scotista nella causa e nello studio del B. Giovanni Duns Scoto, in Via Scoti. Atti del Congresso Scotistico Internazionale, Roma 1993, vol. I, Roma 1995, p. 33-47 (1995).

Edizione critica delle Opera omnia del Beato Giovanni Duns Scoto, in Editori di Quaracchi, 100 anni dopo: bilancio e prospetive. Atti del Colloquio Internazionale (Roma 1995), Roma 1997, p. 165-169 (1997).

Gli studi del P. Balić sul Beato Giovanni Duns Scoto e l'edizione critica delle sue Opere, in Memoria eius in benedictione. Atti del Simposio Internazionale per il 1º Centenario della nascita di P. Carlo Balić (1899-1999), Città del Vaticano 2001, p. 79-90 (2001).

Il Beato Giovanni Duns Scoto. Contesto storico-teologico, in La Scuola Francescana e l'Immacolata Concezione. Atti del Congresso Mariologico Francescano, S. Maria degli Angeli (Assisi) 4-8 dicembre 2003, Città del Vaticano 2005, p. 173-206 (2005).

L'insegnamento di Guglielmo di Ware sull'immacolata concezione di Maria (edizione e traduzione di B. Hechich OFM), in La Scuola Francescana, in appendice.

Raymundi Lulli Disputatio Eremitae et Raymundi super aliquibus dubiis quaestionibus Sententiarum Petri Lombardi, quaestio 96 [Venetiis 1507, f. 53] (sistemazione e traduzione di B. Hechich OFM), in La Scuola Francescana, in appendice.

La teologia dell'immacolata Concezione in alcuni autori prescolastici, in La Scuola Francescana, p. 155-172.

I testi sull'immacolata Concezione nella stesura personale del B. Giovanni Duns Scoto [Lectura III d. 3 q. 1; Ordinatio III d. 3 q. 1] (testo critico della Commissione Scotista OFM, traduzione di B. Hechich OFM), in La Scuola Francescana, in appendice.

In tutte le sue opere, Dun Scoto sostiene che Maria fu preservata dal peccato originale sin dal momento del suo concepimento, confutando quindi ogni altra affermazione, come quella di San Tommaso d'Aquino ed altri illustri teologi, che sostenevano invece che "Maria, in previsione dei meriti di Cristo, venne purificata dal peccato originale". Duns Scoto sottolinea che ella fu senza macchia sin dall'inizio, concetto che poi diventò dogma di fede l'8 dicembre 1854, con la bolla Ineffabilis Deus di Papa Pio IX.

 

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Nonostante i suoi studi e successivamente i prestigiosi incarichi, P. Barnaba, seguendo la sua vocazione di sacerdote, ha assunto anche molti impegni pastorali:

- Dal 1952, per 15 anni, svolse servizio di cappellania domenicale nella chiesa delle Suore Francescane Missionarie di Maria, dove nel 1953 fondò un'associazione, denominata "Fiamma", di Azione Cattolica con oltre un centinaio di iscritti, seguendo giovani e giovanette.

- Dal 1971 a Fiano Romano, nella chiesa di Cristo Redentore celebrava due messe festive, seguiva la catechesi di bambini e ragazzi, creando una "Scuola di catechesi», che durava tre anni.

- A Roma aveva fondato e seguiva alcuni Gruppi del Rinnovamento dello Spirito nelle chiese di S. Antonio, S.ta Maria Maddalena de' Pazzi e da ultimo in San Giovanni in Laterano. Lo stesso aveva fatto a Fiano Romano, S. Lucia di Mentana, Palombara e Lunghezza.

- Fervente devoto della Madonna realizzava incontri di preghiera in varie città, ispirati alla spiritualità di Medjugorje e a Roma ogni mese presenziava con P. Gabriele Amorth un'affollata funzione.

- Molto intenso il suo rapporto con i veggenti di Medjugorje di cui traduceva i messaggi in lingua italiana

- Dedicava molto tempo alle confessioni, pregava e digiunava prima di ogni incontro di preghiera

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Anche suo fratello Stanislao, nato nel '26, decise di seguirlo sulla stessa via col nome di P. Daniele, ma dopo solo pochi anni dall'ordinazione venne colpito da una malattia incurabile, la sclerosi multipla, che dopo poco lo costrinse all'immobilità. La sua accettazione fu piena e serena e P. Barnaba diceva di lui che non chiedeva a Dio la sua guarigione ma la sopportazione della sofferenza.
Dai fedeli, da cui era sempre circondato con affetto, era ritenuto un santo vivente, lo chiamavano infatti "il santo dei miracoli" per le innumerevoli conversioni avvenute per suo tramite, per alcune guarigioni improvvise per cui aveva pregato, per la nascita di figli non più attesi...

Su di lui tante testimonianze, scritti e attribuzione di miracoli che forse presto porteranno alla sua beatificazione.

P. Daniele è morto il 30 settembre del 2009. Accanto a lui è stato sepolto anche P. Barnaba.

Ma parliamo di P. Barnaba, prendendo a prestito alcuni brani che già avevo scritto su di lui durante il pellegrinaggio a Medjugorje del 1989.

" Attraverso una rete di conoscenze, il frate, carismatico che conduceva e seguiva diversi gruppi del Rinnovamento a Roma e provincia, si unì al nostro gruppo con alcuni dei suoi fedeli.

La prima differenza che si notò tra noi almeno al momento fu la divisione in due distinti gruppi: quello di San Martino con Padre Antonio in testa e quello di Padre Barnaba e dei suoi di Palombara, di Fiano, di Riano, tutti proseliti del Rinnovamento dello Spirito.
Avevano quindi già percorso un lungo cammino interiore ma soprattutto avevano dato spazio allo Spirito Santo di penetrare in loro con la sua voce e la sua luce e s'abbandonavano al suo tocco vivificante e all'eloquio frequente in cui innalzavano alla Trinità e a Maria il loro grazie: grazie per averli messi al mondo, grazie per tutto ciò che era loro concesso, grazie infine anche per le prove a cui venivano sottoposti.

Per noi, esplosivi sì, ma in fondo chiusi in certe espressioni, questa loro professione continua di fede era destabilizzante e al tempo stesso toccante. Tuttavia, sulle prime rimanemmo un pò sconcertati da quel loro fare, specie dalle loro continue esclamazioni: "Alleluja, alleluja" e dai loro canti: "Diamo lode al Signor, diamo lode..." che non hanno mai fine, da quel loro gesto di portare in alto le mani e di muoverle a ritmo per dare maggiore vigore ai loro cori e alle loro preghiere.
Eppure, anche se sembrava un rituale, tutto ciò veniva fatto con il cuore, con spontaneità e slancio da fanciulli... e proprio questo, forse, a noi mancava, un cuore fanciullo che esaltasse la perfezione di Dio e e la sua generosità nel riempirci di doni. Il Movimento Carismatico, a cui essi appartengono, fa proprio leva su ciò che Dio ha regalato ad ognuno di noi e che noi dobbiamo mettere a frutto, al servizio dei fratelli.
Facile a dirsi, difficile a farsi.

 

... P. Barnaba, grande oratore, grande studioso ed uomo di cultura, parla con ardore, ringraziando con un inno di lode il Signore e ci presenta il libriccino che ci accompagnerà e guiderà in questo viaggio: "Pregate col cuore", scritto da Padre Slavsko, un francescano laureato a Friburgo in psicologia che opera in Medjugorje, su cui il nostro eloquente predicatore ci ragguaglia.
E' un libro che riflette molto la spiritualità di Medjugorje e P. Barnaba spera che ci serva come scuola di preghiera, per pregare, appunto, con il cuore e non solo meccanicamente, entrando nelle profondità dell' orazione, preparandoci e permettendo a Dio di operare. Molti terminano la preghiera senza esserci mai "entrati".

 

Altro libro consigliato è la Via Crucis in cui il predetto P. Slavsko - cosa proprio nuova - inserisce un pensiero dedicato alla Madonna.

Ci racconta, infine, delle sue esperienze personali e di alcuni "miracoli" avvenuti a Medjugorje, operati dalla forza della fede, ribadendo però che quelli più grandi sono le conversioni che là si realizzano a centinaia di migliaia.
Tra aneddoti ed informazioni, ci narra poi la storia del piccolo paesino della Bosnia Erzegovina dove avvengono le apparizioni e quella dei veggenti che egli ha conosciuto personalmente sin dai primi tempi, ragazzi che sono un dono alla Chiesa, per la chiesa, mezzi che servono a scuotere le coscienze, che servono a darci pace. Non ci può essere pace in terra se prima non c'è nei nostri cuori: le armi si possono deporre se dentro l'animo dell'uomo c'è il germe della pace, altrimenti...
Poco conosciuto è un altro dono, quello delle due ragazze che hanno delle locuzioni interiori, cioè "sentono" interiormente i consigli che la Madonna dà loro da riferire poi ai fedeli.

 

P. Barnaba con fermezza e al contempo dolcezza ci indica i mezzi raccomandati dalla Madonna per raggiungere la pace interiore e la conversione da una vita tiepida ad una vita di fede autentica, la Madonna ci indica varie vie: Penitenza, Preghiera, Digiuno, Eucaristia...

Subissiamo il francescano di domande sul perchè la Madonna continui ad apparire ai veggenti giornalmente e a far arrivare i suoi messaggi sino a noi e lui seraficamente ed ampiamente risponde cercando di farci comprendere che Essa, vista la grave crisi della società odierna, è corsa in nostro aiuto per salvarci. Se fosse già scomparsa, di Medjugorje forse non si sarebbe mai più parlato e non ci sarebbero stati i numerosi frutti di fede e di conversione che si sono avverati.

 

Maria vuole guidarci alla salvezza eterna e come una qualsiasi mamma che guida i suoi figli per le vie del mondo, con i Suoi messaggi ripetitivi ma amorosi e pazienti, ci sollecita a raggiungere questo traguardo, spiegandoci i mezzi attraverso cui possiamo raggiungerlo. Nonostante la sollecitudine di Maria, siamo però restii a cambiare, a pregare, a convertirci. Abbiamo per lo più recepito i messaggi ma ancora non ci adeguiamo alle amorose richieste della Vergine. Ed Ella continua ad apparire!

 

 

Padre Barnaba seguita ad elargirci le sue parole, ci propone anche qualche racconto esilarante e ci presenta due ragazze - che fanno parte della comunità dei Carismatici di Perugia - che animeranno con la chitarra e i canti il nostro viaggio, ci fa conoscere Emanuela e Mario, entrambi in carrozzella, la sua "segretaria" Dina ed altri partecipanti che non conosciamo ancora.
Poi, sottolinea, che i giorni che stiamo per vivere saranno per noi provvidenziali per accrescere la nostra fede così tentennante, così in pericolo in questi tempi vissuti all'insegna dell'egoismo e del consumismo, contrassegnati da una mancanza d'amore verso il prossimo e in sostanza contro noi stessi. Prepariamoci, dunque, spiritualmente a questo incontro ed offriamo alla Madonna, quale piccolo dono, la nostra stanchezza, le nostre difficoltà, i nostri sacrifici, i piccoli inconvenienti che incontreremo in questo nostro cammino.

 

Ci invita, infine, alla preghiera per iniziare degnamente questo pellegrinaggio che ha come meta la ricerca di noi stessi e della pace, sotto la guida e la presenza operante di Maria. Se ci affidiamo a Lei, troveremo più facilmente Gesù.
Ci redarguisce, infine, perchè spesso ci vergogniamo di ringraziare il Signore e non lodiamo Dio all'inizio di ogni nostra giornata, mentre dovremmo farlo per tutto quello che ci dà. Il Signore opera sempre nella nostra vita, anche oggi e spesso preghiamo per noi ma senza aver perdonato ai nostri nemici.

Dà quindi il via al canto a cui tutti partecipiamo intensamente, anche se non tutti siamo abituati a gesticolare alzando le mani in alto in segno di lode al Signore, come fanno invece i carismatici!

 

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Nonostante numerose difficoltà all'inizio del nostro percorso che ci portava a Pescara, dove avremmo preso il traghetto per Spalato, il viaggio si prefigurava già come una esperienza ricca e coinvolgente e nemmeno gli ostacoli messi sul nostro cammino riuscirono a frenare la corsa dell'autop nè la nostra baldanza. I nostri animi esultavano perchè ormai poche ore ci separavano da Medjugorje.
Dopo il pranzo consumato sulla nave, iniziarono i preparativi per la Messa che si sarebbe svolta in una delle sale ritrovo per i passeggeri. I giovani provavano i canti, P. Antonio, P. Barnaba e don Giusto si prepararono spiritualmente a concelebrare, i piccoli indossarono le loro vesti da chierichetti... Intensa e solenne, la celebrazione, coinvolgente l'omelia.

 

Poi lasciammo la Dalmazia incastonata tra ostici monti, per immergerci nei caldi colori dell'interno della Bosnia Erzegovina, mentre P. Barnaba, ci raccontava le sue esperienze come coadiuvatore di P. Amorth, uno dei più famosi esorcisti, illustrandoci i pericoli in cui possono incorrere le anime avvicinandosi all'astrologia, alla cartomanzia, alle sedute spiritiche, alle superstizioni. L'uomo deve pur credere in qualcosa e quando la fede in Dio comincia a vacillare, ecco che diventa facile bersaglio dei "ministri" del maligno.
Infine, ci intrattenne sulla storia della Jugoslavia ed in particolare della Bosnia-Herzegovina. Sotto la dominazione turca per i francescani da sempre presenti in quelle zone e per i devoti cristiani era molto difficile avere dell'acqua benedetta e così quando si poteva si faceva benedire il sale. Quando si aveva bisogno dell'acqua santa, si metteva nell'acqua comune qualche granello di sale.

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.. Sotto i nostri occhi sfilavano grossi mucchi colorati di pannocchie appena raccolte che spiccavano nel verde dell'erba, panni stesi e filari di tabacco appesi ad asciugare al sole, casupole di grosse pietre grigie e squadrate, piccoli recinti in cui pascolavano poche sparute pecore... i bellissimi colori dell'autunno già inoltrato, c'erano tutti. F, infatti, quella, la prima ed unica volta che ci recammo in pellegrinaggio a Medjugorje ad ottobre inoltrato.

 

A Medjugorje i nostri tempi erano coordinati in base alle Messe e ad altri appuntamenti come ad esempio la salita al Krizevac, monte difficile da salire, soprattutto con tre disabili, eppure ce la facemmo... (eravamo giovani allora...) e quando arrivammo sulla cima ci riunimmo tutti attorno alla croce con un intenso senso di gioia e di ringraziamento al Signore a cui elevammo, tutti insieme, un canto:


Le mani alzate verso Te, Signor
per offrirti il mondo.
Le mani alzate verso Te, Signor
gioia in me nel profondo...


Nel pomeriggio Padre Barnaba ci riunisce tutti in un piccolo cortile fiorito per una Liturgia penitenziale. Ci sediamo sulle panche di legno, un pò storditi dal profumo dei fiori, timorosi e compunti come scolari alla prima lezione, tutti intenti a seguire le sue parole che parlano al nostro cuore di serenità e di desiderio di migliorare, scalzando i macigni che noi stessi abbiamo sepolto nelle nostre coscienze.

 

Mentre la luce dorata del tramonto incipiente ci accarezza, come fosse la mano benedicente di Dio, ad uno ad uno ci dirigiamo verso lo stesso P. Barnaba o verso P. Antonio per una buona confessione.

E' quasi sera, nel piccolo paese le luci sono poche, utilizziamo qualche torcia portata con noi e, seguendo P. Barnaba ci dirigiamo verso una chiesetta di cui solo lui conosce la strada, tra le viuzze polverose e non asfaltate, finchè ad un suo richiamo capiamo di essere vicini alla meta.

 

Qualche pietra affiora dal terreno e, puntando su di esse la torcia, ci accorgiamo che non sono pietre qualunque ma dei cippi funerari. Si, siamo proprio nel piccolo cimitero in fondo al paese. Lì per lì un moto di stizza (o forse è timore?) ci anima poi lo seguiamo in silenzio nella piccola cappella del cimitero.

 

La funzione è intensa, meditata, coinvolgente mentre le lunghe ombre causate dal piccolo cero che illumina l'abside, creano evanescenti figure che danzano sulle pareti. Ma non ci si può distrarre quando Cristo è là sull'altare e ci invita alla Sua Mensa.

E Padre Barnaba, sembra proprio un inviato del Signore per insufflare in questi nostri animi così vuoti un pizzico di Spirito Santo, con la forza della sua fede, della sua intelligenza, della sua cultura, del suo impegno.Siamo tutti toccati da questa celebrazione ed usciamo nel buio disperdendoci tra le tombe come pecore sbandate...

Incontro con la Veggente


Come sempre, lei accoglie i pellegrini di ogni nazionalità con un gran sorriso. Eppoi, questa volta, c'è Padre Barnaba che lei conosce sin dalle prime apparizioni e che traduce le sue parole quando lei, che si sforza di parlare italiano, ha qualche difficoltà...

 

Con la sua voce cantilenante inizia a recitare un Pater, un'Ave e un Gloria, ci parla dei messaggi della Madonna, ci incita a seguire i Suoi consigli e ad un rinnovamento interiore, ci racconta le straordinarie esperienze che ha vissuto con gli altri veggenti, anche quelle negative di quando li sottoposero a varie prove mediche per accertare la loro buona fede, ci racconta che non sta ancora bene dopo una grave malattia. Sia lei che Marja hanno avuto gravi problemi di salute che hanno però superato con l'aiuto di Dio.

Più tardi abbiamo anche un incontro con Jelena, una giovanetta che ha locuzioni interiori, "sente" cioè interiormente la Madonna che le parla e la guida.

 

P. Barnaba traduce simultaneamente le sue parole con cui ella tenta di esternarci le sue esperienze spirituali e cosa voglia dire avere delle locuzioni. Difficile trovare il termine adatto, è un messaggio diretto che lei sente provenire dalla Madonna che le dà consigli e suggerimenti per crescere nella spiritualità, per superare difficoltà, per vivere al servizio degli altri, perdonando, pregando.

All'inizio, confessa Jelena, aveva provato un pò di paura, non sapeva cosa pensare, poi con l'aiuto di un sacerdote che le consigliò di pregare perchè se quello che le capitava era un dono della Madonna, Ella le avrebbe dato anche i mezzi per metterlo a frutto.

 

Maria le aveva raccomandato la preghiera, ma Jelena non aveva una gran voglia di pregare, poi pian piano, proprio pregando, ha cominciato ad amare l'orazione. Jelena prova una gran pace quando la Madonna le parla e le dice di divulgare le sue parole, indicandoci Gesù come unico amico a cui rivolgersi, suggerendoci la via della pace interiore per arrivare poi ad una pace universale e facendoci sapere che con le sue apparizioni viene a rinnovare anche le parrocchie e la chiesa tutta.

Il ritorno,come tutti i rientri da questa terra di pace, è stato pesante e triste anche se costellato di momenti di gioia, di canto, di amicizia ed io, grafomane per eccellenza, come al solito non ho resistito alla tentazione di segnarmi le esperienze vissute, i momenti intensi o gioiosi, le esperienze più disparate che abbiamo vissuto e, dopo aver ascoltato delle intense testimonianze da parte loro, non ho desistito dal chiedere ai miei compagni di viaggio una brevissima frase per riassumere questo pellegrinaggio e le loro sensazioni.

Di P. Barnaba mi è rimasta sulla carta questo piccolo ma incisivo pensiero:


"Non è un traguardo ma una pista di lancio.
La Madonna ci ha indicato la via.
A te ora la risposta. Lei verrà con te.
Ti ricordo

P. Barnaba

 

Bibliografia

http://it.wikipedia.org/wiki

 

 

 

A PADRE RICCARDO BRANDI

...Anche tu te ne sei andato, anzitempo... nel pomeriggio del 7 giugno 2013, silenzioso e mite, accettando la volontà divina, in quel luogo in cui forse troverai la pace che a me sembrava tu stessi cercando, la piena realizzazione della tua esistenza votata a Dio.
Eri stato ricoverato pochi giorni prima per un sospetto tumore alla testa presso l’ospedale di Isernia, ti hanno operato ma ci sono state complicazioni, di nuovo ti hanno sottoposto ad un intervento ma non c'è stato nulla da fare...

Sassone 1989

Avevi studiato Teologia presso l’università di Santa Fara a Bari e poi eri stato priore a Brescia e parroco ad Albano e a Roma nella parrocchia che da sempre frequentiamo.

Sei stato nostro Parroco per circa 6 anni, ma già ti avevamo conosciuto anni prima, avendo così tempo e modo per apprezzarti come uomo e come sacerdote.

Anche i nostri figli hanno avuto la stessa fortuna, condividendo con te molti bei momenti intrisi di religiosità, di amicizia, di gite, di catechesi...

Non dimentico certo che tu assieme ad altri sacerdoti hai concelebrato le nozze di Donatella e di Vinicio, concludendo quella intensa e vissuta cerimonia con una di quelle tue solite battute scherzose.


Poi, da alcuni anni eri tornato al tuo paese natale, Mesagne, come parroco e priore del convento del Carmelo, ma spesso ci rivedevamo in occasione di tue sporadiche vacanze presso San Martino ai Monti.

Ho saputo da poco che 3 anni fa la tua Parrocchia ha subito un furto di una certa entità: tutti i gioielli della Madonna del Carmine erano stati trafugati dalla tua stanza mentre tu eri impegnato nelle incombenze della tua carica.
Mi immagino il tuo dolore, il tuo sconcerto per un atto così volgare perpetrato contro la Madonna che tu amavi tanto e la sorpresa, amara, nel tuo volto, nei tuoi occhi...

Qualche volta sei venuto a cena da noi ed abbiamo passato insieme qualche ora di chiacchiere e serenità e non possiamo non rimproverarci, ancora, per aver ricusato - due o tre anni fa - la tua presenza in casa nostra un giorno in cui ci comunicavi che saresti stato contento di passare la serata con noi.

 

Ma quel giorno ci erano capitati tanti contrattempi negativi e dovevamo ancora preparare i bagagli per la partenza per le ferie annuali, prevista per il giorno dopo. Ci dolse molto dover rimandare l'incontro ad un'altra tua venuta a Roma che avvenne dopo qualche mese...
Poi, l'ultima volta che salisti a casa e ti apprestavi a restare con noi a cena, dopo poco venisti chiamato al telefono e dovesti di fretta tornare a Mesagne per non so quale improcrastinabile urgenza...
Aspettavamo un'altra occasione... di vederti d'un tratto a San Martino, come spesso succedeva e di passare qualche ora in tua cvompagnia, ma non ce ne è stata l'occasione... una mattina, però, ricevemmo una tua telefonata, la tua ultima telefonata, inaspettata e un pò confusa, da qui, mentre eri impegnato in una visita a San Pietro, probabilmente con la tua comunità ma non avevi tempo per fermarti...

Era un gradito appuntamento ricevere per Natale, Pasqua ed altri importanti feste religiose, i tuoi messaggi augurali che arrivavano via e-mail, sempre messaggi intensi, soffusi di una spiritualità profonda, a cui rispondevo con un saluto ed altrettanti auguri, ringraziandoti per il pensiero e per i buoni propositi suggeriti.






Anche per Natale 2012 ho ricevuto il tuo solito augurio corredato da immagini e frasi ... ma per Pasqua 2013 nulla del tutto.

 

Mi dicevo che era un fatto anomalo e ti inviai una breve e-mail con un saluto, chiedendoti se andava tutto bene... sono andata a riguardarla poco fa: la data era l'8 maggio, festa della Madonna di Pompei, un caso sicuramente, ma ora mi sembra ancora più significativo... ma non ho mai avuto una risposta e non pensavo davvero che non ne avrei avuta più alcuna da parte tua.

 

Forse combattevi già la tua battaglia contro il dilagare del male, ma io non lo sapevo e neanche ho pensato, scusami, di chiamarti al telefono per sentire quale fosse il problema. Ad ogni passo ci si accorge che avremmo forse potuto fare qualcosa, qualcosa di semplice, di piccolo... ma non l'abbiamo fatto. Io sono recidiva in questo campo e me ne dispiace per tutte quelle occasioni che ho avuto e che non ho colto al volo... anche in questa occasione...

Forse il male già lavorava da anni dentro di te, perchè pur essendo dotato di amore, di ironia, di simpatia, di gentilezza, di mitezza, alle volte sembravi un pò frastornato, disperso e sembravi far fatica a vivere la vita quotidiana con i suoi problemi.
Il tuo humor aleggiava sulle tue battute che spesso parevano però non proprio fuori luogo ma sopra le righe d'un tuo pentagramma personale su cui tu componevi i tuoi pensieri, i tuoi discorsi, con qualche refrain ripetuto e qualche nota lievemente stonata...

Così come le tue storie che mi avevi "regalato" per pubblicarle sul mio sito sotto lo pseudonimo di "Fabel", pregnanti di significati, intrise di sentimento, gentili, delicate, vagamente tristi... ma come sospese in un mondo tutto tuo... un mondo che guardavi con quel tuo sguardo di bambino, ilare quando eri allegro, tormentato quando eri triste... un bambino che si aspettava qualcosa di immaginifico...

 

 

 

DON ENZO GRECO

 

 

Sembra un gran monumento funebre, la parrocchiale di S. Leopoldo, forse a causa del colore grigio della ghisa, più che una chiesa dedicata al Signore,  con  quella teoria di colonne alte e arabescate che reggono l'enorme baldacchino  che copre il pronao.

La chiesa fu costruita intorno al 1838 per volere del granduca Leopoldo II,  grazie all'aiuto degli operai dell'Ilva, la vicina fonderia  che sfruttava le miniere della zona, ricchissima di pirite, da cui appunto venne ricavato  il ferro necessario al progetto molto ambizioso e singolare, in cui ghisa,  pietra, intonaco ed il legno erano fusi con un risultato originalissimo soprattutto  nel colonnato, nel campanile, nella balaustra e nel pulpito.

Sotto le ampie volute del sagrato, una folla s'addensa  sempre più numerosa. È Pasqua e in molti ci si appresta a mettersi in pari con Dio e  forse anche con gli uomini, assistendo alla Messa solenne. Ma la chiesa, per grande che sia, non  è tanto ampia da contenere, oggi, tutta questa fiumana improvvisa.

 

Così c'è da attendere: la celebrazione precedente non è ancora terminata e dal sagrato s'ode la voce secca e decisa del parroco che approfitta dell'inattesa  affluenza  per tenere i suoi sermoni con piglio autoritario.
Mingherlino, bruno e deciso, fisicamente assomiglia a Charles Aznavour così nervoso e scattante, ma ha anche qualcosa d'indefinito - saranno gli occhiali o il taglio della bocca? - che ricorda il Peter Sellers in "Lassù qualcuno mi attende". Coraggiosamente affronta ogni argomento, scabroso o no, con quell'impeto toscano di cui si sente, nel parlare, l'inflessione. 
Sferzante flagella – così aveva fatto Gesù nel tempio! - i suoi interlocutori presenti e non, deprecando il materialismo imperante e le facili scelte   del   mondo, cercando di ricondurre all'ovile le troppe pecorelle smarrite dietro i falsi idoli che l'uomo d'oggi si costruisce.
Difficile compito questo suo, eppure, forse proprio per questa sua personalità forte e per la sua fede sicura, le sue funzioni sono seguite da molti, anche perchè, poi, con quella sua veemenza tutta toscana ogni tanto condisce il suo sermone con qualche battuta amena che rallegra il cuore dell'uditorio...

 

La sua determinazione e questa foga oratoria, l'ha forse ereditata dal suo predecessore, un omone alto, tarchiato - una  figura alla Don Camillo, per intenderci, non solo nel fisico ma anche nel carattere, con quell'irriverenza quasi scanzonata, mitigata da imprevisti quanto profondi pentimenti - che spesso, subito dopo la guerra  veniva preso in giro da bande di comunisti sfegatati    e    baldanzosi che canticchiavano canzonette insultanti, in cui  i preti erano citati come mangiapane a tradimento. Ogni volta, il parroco rispondeva a queste provocazioni alla sua maniera, dovunque si trovasse: fremendo si slacciava il collarino bianco, si tirava su  la tonaca consunta e s'appressava furibondo agli scalmanati con un "Ora ve lo faccio vedere io...!" a cui seguivano una scarica di scappellotti e pugni sulle  teste e sulle spalle dei denigratori...

 

 ...  Fuori della chiesa, una pioggia sottile e dispettosa bagna la folla che s'accalca e si restringe in un abbraccio non meditato, il selciato  del breve viale alberato che conduce alla Cattedrale, i fregi del portale.
È una chiesa atipica con quel pronao ornato di colonne di ghisa lavorate su cui si arrampicano foglie e frutta; sempre nello stesso metallo grigio fumo è il rosone ampio e traforato della facciata. La polvere e gli anni non fanno che conferire altro lustro, una patina argentea che rende ancora più compatta l'originalissima  lavorazione.

 

Diverso è l'interno dove l'intonaco, d'un brutto colore tra il beige e il grigio,  è scrostato; sulle pareti alcuni grandi quadri, mediocri e tracciati da una mano  non troppo sicura ma amorosa, rappresentano la vita di Gesù. Il baldacchino del pulpito, inutilizzato ormai da anni, sembra la valva d'un'enorme conchiglia.  La  folla s'assiepa ai lati dei banchi già zeppi come un gregge irrequieto e sotto le ampie volte è tutto un brusio prima la che funzione cominci.

 

Sulla balaustra dinanzi all'altare, un nugolo di piccoli fedeli con degli involucri: racchiudono le uova sode che, secondo la tradizione pasquale toscana, debbono venir benedette dal sacerdote e verranno poi consumate, per buon augurio, durante il pranzo.
Ogni involto ha una sua fisionomia, distinta da un fiocco, da un fiore, da un  nastro lucente; qui un tovagliolo candido che racchiude quattro uova,  là  un fagottino azzurro con un fiocco dorato, uno a piccoli quadri bianchi e rossi fermato da una margherita. Un bimbo ha posato sulla balaustra una bionda   pecorella di marzapane e la balaustra è come un prato fiorito  su  cui essa attende col capo rivolto verso l'alto.
Persino il non più giovane prete, castigatore di costumi e di cattivi cristiani, s'addolcisce  dinanzi alla innocenza di questi piccoli che vengono a lui...

... Così commentavo, anni fa, una giornata di Pasqua, tracciando appena, ma già con le sue basilari prerogative, la figura di Don Enzo che, in ogni caso, restava impressa ad ogni cristiano, anche se di passaggio...

 

L'ultima volta che l'ho visto è stato poco tempo fa, il 26 novembre 2012, il giorno dopo che era morta mia suocera che viveva a Follonica. Lui ha celebrato la Messa funebre ed è stato così carino, non so trovare un sinonimo adatto, che ha accompagnato la salma e noi tutti i parenti sino al loculo dove è stata tumulata e a cui lui ha dato la benedizione.
L'ho salutato ringraziandolo di cuore... ma non pensavo che era l'ultima volta che lo incontravo...

Erano anni che lo conoscevamo, io e mio marito. I miei suoceri si erano trasferiti a Follonica da tanti anni e quindi essendo noi spesso là per le ferie estive, per la Pasqua e per altre occasioni, ogni festa domenicale o canonica eravamo in san Leopoldo.

 

Lui era sempre là, pronto a celebrare, condendo la funzione con quelle sue parole spesso infuocate ma anche accorate con cui cercava di rimettere in riga la maggioranza di quelli a lui affidati, buoni o meno buoni, ferventi o distanti, motivati o demotivati... Le sue parole risuonavano sotto le volte della cattedrale, con una forza inarrestabile che si depositava nei cuori anche i più incalliti...

 

Aveva un modo tutto suo di affrontare gli argomenti anche i più difficili e complessi da capire e li rendeva semplici cosicchè tutti potessero comprenderli. A volte, come già accennato, dava solenni sferzate a chi era troppo attaccato ai beni materiali, ricordando che non di solo pane vive l'uomo... Insomma, nonostante fosse nella realtà un uomo piccolino e fragile... nel mio immaginario l'ho sempre ritenuto intellettualmente un gigante, un personaggio che aveva in sè forza e coraggio per affrontare le difficoltà, che certo non gli sono mancate, so che spesso è stato anche malmenato da tipi poco raccomandabili che non ascoltavano di certo le sue parole...

 

All'annuncio della sua morte improvvisa, dovuta al cedimento del cuore, tutta la cittadina è stata in subbuglio, tutti - il colore politico in questi casi non ha importanza - hanno provato un profondo dolore,. perchè don Enzo era una presenza vigile e attiva, talvolta scomoda e tagliente ma sempre vicina ai suoi concittadini che amava profondamente. Era, difatti, anch'egli nato a Follonica nel 1950 e da sempre era impegnato nel suo principale scopo, quello di essere prete, ma era attivo anche nel sociale, nell'ambito culturale, nella formazione di adulti e ragazzi e sempre pronto al confronto e allo scontro verbale... Un uomo di fede sicura... ma anche attento al quotidiano, sempre disponibile verso tutti anche verso i fedeli estivi presenti in san Leopoldo. Sosteneva tutti, era amico di tutti, era un grande comunicatore....

 

Mi ricordo di averlo incontrato qualche mattina..., sicuramente dopo aver celebrato messa o aver svolto gli altri suoi impegni... seduto su una delle panche di pietra poste lungo il mare... piccolo, magro, con quella faccia scavata e sofferta... eppure così socievole ed amichevole se poco poco dimostravi di aver voglia di scambiare due chiacchiere con lui...
Mi dispiace che se ne sia andato così, d'un tratto, quasi alla chetichella, ma forse è stato il modo giusto per lui... così vitale ed esuberante...

In San Leopoldo, ora, accanto ad alcuni avvisi, ho trovato una sua immagine ed una preghiera:

Preghiera per Don Enzo, fratello in Cristo, nostro carissimo Sacerdote e Parroco

 

 

Signore, ti ringraziamo per averci dato Don Enzo,
anche se siamo certi che ce lo hai tolto
soltanto visibilmente e temporaneamente,
perchèi sappiamo che ce lo restituirai nell'incontro splendido
che avremo con lui nella casa del Padre nostro,
come egli ci ha insegnato a credere.

Questo momento lo attendiamo con pace e pazienza,
certi che le parole di vita eterna che spesso Don Enzo ci ha ricordato,
non mentiranno e si realizzeranno.

Caro Don Enzo, ora ci pensi e preghi per i tuoi cari e per noi
della tua Parrocchia, dove ci hai istruito sulle cose di Dio.

Signore, fa che continuiamo nel ricordo reciproco a volerci bene,
come Don Enzo ci ha insegnato col suo esempio.
Donaci il coraggio di seguire le sue esortazioni ed ispirazioni,
i suoi ideali di Carità reciproca nonostante i nostri limiti.
Fà che il nostro Amore brilli come una piccola scintilla,
per diventare fuoco d'Amore per Te, Dio altissimo,
che ci hai tolto, ma solo per poco,
il carissimo nostro Parroco...
Grazie, Gesù!

 

 

 

 

RICORDANDO INDRO MONTANELLI

 

 

Ho sempre avuto un debole per il suo modo di scrivere, schietto, chiaro, inconfondibile, perfetto nella forma e nella lingua, anche quando usava qualche parola prettamente toscana. Ma, soprattutto, è stato l'osservatore ed il narratore di un secolo e dei suoi eventi eclatanti che lo hanno visto protagonista in prima persona.

 

La sua carriera giornalistica è stata un'escalation: da alcune riviste italiane dell'epoca (Frontespizio, L'Italiano, ecc) passò al francese Paris Soir per approdare poi all'americana United Press.
Intanto però era scoppiata la prima guerra coloniale italiana in Eritrea e Indro, non potendovi partecipare come inviato di guerra, si arruolò volontario in un battaglione coloniale di Ascari e nel tempo libero - oltre ad avere una relazione di tipo matrimoniale con una giovanissima eritrea musulmana, Fatima, per cui, secondo i costumi del luogo, aveva versato al padre una somma di 500 lire e che gli fu vicina per tutto il periodo della sua permanenza in Africa - scrisse il suo primo libro XX Battaglione Eritreo, edito da Panorama, che all'epoca ebbe notevole successo. Divenne poi, infatti, redattore del quotidiano dell'Asmara La Nuova Eritrea. Nel 1935 aveva dato alle stampe Commiato dal tempo di pace.

Nel '36, tornato in Italia, pubblicò Primo tempo, Milano, Panorama, e ripartì quasi subito per la Spagna, dove imperversava la guerra civile, come inviato del Messaggero, scrivendo articoli anche per L'Illustrazione Italiana e successivamente per Omnibus, ma quando rimpatriò si trovò nei guai con la giustizia fascista che aveva ritenuto un suo articolo irrispettoso. Il Ministro dell'Educazione Giuseppe Bottai, suo amico, lo mandò in Estonia per un lettorato di italiano nell'Università di Tartu, facendolo poi nominare direttore dell'Istituto Italiano di Cultura di Tallinn.

 

Riapprodato in Italia, nel 1937 scrisse per il teatro L'idolo ed il libro Guerra e pace in A. O., Firenze, Vallecchi. Nel 1938 venne assunto al Corriere della Sera, ricominciando a viaggiare come inviato di guerra, recandosi nel '39 in Albania - diventata proprio allora colonia italiana - e successivamente si accodò a un gruppo di giovani fascisti che in bicicletta doveva arrivare sino a Berlino e mentre si trovava là conobbe Adolf Hitler e l'architetto Albert Speer.
In quello stesso anno diede alle stampe ben quattro libri: Ambesà. Racconto, Milano, Garzanti - Albania una e mille, Torino, Paravia - Giorno di festa. Racconto, Milano, Mondadori - Vecchia e nuova Albania, Milano, Garzanti.

 

Scoppiata la II Guerra mondiale, Montanelli fu presente in Polonia al momento della sua invasione e in Estonia durante l'occupazione, poi in Finlandia dove assistette all'aggressione da parte sempre dei sovietici e su questa esperienza, nel 1940, scrisse I cento giorni della Finlandia, Milano, Garzanti. Si recò quindi in Norvegia invasa invece dai tedeschi e infine tornò in Italia dove riprese a lavorare al Corriere della Sera.

Dopo la dichiarazione di guerra, si recò in Francia e nei Balcani, in Grecia e in Albania. Rientrò in Italia dove nel 1942 contrasse matrimonio con Margarethe De Colins De Tarsienne, austriaca, da cui si separò poi nel 1951. Sempre in quello stesso anno pubblicò: Gente qualunque, Milano, Bompiani e per Mondadori Guerra nel fiordo e La lezione polacca.
Dal 1942 al 1943 scrisse sul Tempo con lo pseudoninimo di Calandrino. Nel '42 una sua commedia "Lo specchio delle vanità" venne rappresentata al Teatro Carignano di Torino.

Fu testimone dell'8 settembre e si unì al Movimento Giustizia e Libertà. Ricercato dai tedeschi venne imprigionato e condannato a morte, condanna che però riuscì ad evitare grazie a varie persone e forse soprattutto al Cardinale Schuster, fuggendo poi in Svizzera.

La sua permanenza e le sue esperienze della prigione verranno poi trasfuse nel bellissimo libro "Il Generale della Rovere" - ristampato nel 1976 da Rizzoli - da cui nel 1959 verrà tratto uno splendido film - sotto lo stesso titolo - interpretato da Vittorio De Sica, il cui soggetto e sceneggiatura vennero appunto scritte da Montanelli (Roma, Zebra film).

 

Sempre a tal proposito, nel 1959, diede alle stampe, per la Rizzoli: Il generale Della Rovere. Istruttoria per un processo e per il teatro realizzò, assieme a Vincenzo Talarico, la pièce: "Il vero generale Della Rovere", rappresentata nel 1965 al Teatro Sant'Erasmo di Milano.

Anche in Svizzera, però, venne accettato gelidamente dagli antifascisti lì riparatisi, che gli rimproveravano di aver servito il fascismo, per cui dimostrava simpatia.

 

In anni successivi (1972), in televisione, nel programma "L'ora della verità" di Gianni Bisiach confermò in parte queste teorie dicendo che ovviamente quando era giovane era stato un fascista convinto, come tantissimi altri giovani (che però poi avevano preso le distanze da questa esperienza). Il fascismo era legato alla sua giovinezza, all'importanza della divisa, alle sfilate... era il periodo dei suoi ventanni che non poteva proprio rinnegare...

In patria l'avevano accolto con non poco astio ed allontanato dal Corriere della Sera, ma nel 1945 assunse la direzione de "La Domenica degli Italiani" che di lì a poco diventerà "La Domenica del Corriere" e in quello stesso anno diede alle stampe Qui non riposano. Romanzo (Milano, Tarantola, 1945; Milano, Mondadori, 1949).
Solo nel 1946 tornerà di nuovo al Corriere, riannodando la vecchia amicizia con Leo Longanesi per cui pubblicherà alcune delle sue opere - tra cui, nel 1947, Il buonuomo Mussolini, Milano, Edizioni Riunite - e aiuterà Longanesi a fondare, nel 1950, "Il Borghese".

Sempre nel '47 aveva scritto la sceneggiatura di Pian delle stelle e di Tombolo, paradiso nero, soggetto e sceneggiatura, mentre nel '48 quella di L'amant de marbre, realizzata con Jean George Auriol, ma il relativo film non venne mai realizzato.
In quegli anni si legò con profonda amicizia allo scrittore Dino Buzzati e a Giuseppe Prezzolini.
Nel 1949 scrisse, con Mario Luciani, un'opera per il teatro, L'illustre concittadino, rappresentata al Teatro Excelsior di Milano, di cui nello stesso anno uscì il libro edito dalla Società Ed. Torinese.
Diede anche alle stampe altri due libri: Morire in piedi. Rivelazioni sulla Germania segreta, Milano, Longanesi e Padri della Patria, Milano, Mondadori.
Nell'anno seguente e in quelli appena successivi pubblicò una serie di libri, edita da Longanesi, dedicata agli Incontri: Pantheon minore, 1950 - Tali e quali, 1951 - I rapaci in cortile, 1952 - Busti al Pincio, 1953 - Facce di bronzo, 1955 - Belle figure, 1959.

Ritornò ai suoi viaggi di corrispondente estero e nel 1954 pubblicò Mio marito, Carlo Marx, Milano, Longanesi, pubblicando costantemente sul Borghese anche con degli pseudonimi.
Nel 1955 scrisse per il teatro Resisté, allestita al teatro Olimpia di Milano e pubblicò Andata e ritorno, Firenze, Vallecchi e con Longanesi, Lettere a Longanesi [e ad altri nemici]; nell'anno successivo Addio, Wanda! Rapporto Kensey sulla situazione italiana e la pièce teatrale Cesare e Silla, allestita al Teatro delle Maschere di Milano.

 

Intanto, proprio nel 1956 venne inviato a Budapest dove incappò nella rivoluzione ungherese che visse da vicino e su cui fece articoli memorabili.
Questa esperienza lo stimolò a scrivere, nel 1960, un'opera teatrale "I Sogni muoiono all'alba" successivamente realizzata anche dal cinema.
Nel 1959 aveva, invece, collaborato con Federico Zardi e Vittorio Gassman alla stesura di testi per la trasmissione televisiva Il Mattatore.
Sempre nel 1959 incontrò Papa Giovanni XXIII nella prima intervista di un Pontefice concessa ad un laico esterno all'ambiente cattolico. Dopo un pò di confusione iniziale, Montanelli sviluppò un lungo colloquio con il Papa. Tuttavia il suo resoconto, benchè come al solito scorrevole e diretto, aveva appena sfiorato la notizia della apertura del Concilio Vaticano II.


Su consiglio di Buzzati collaborò ancora per la Domenica del Corriere con una rubrica che diventò poi celeberrima "La stanza di Montanelli", in cui Indro rispondeva ai suoi lettori sulle tematiche più scottanti.
Sulla scia di questo successo acconsentì a scrivere la Storia dei Romani e quella dei Greci, che ebbero anch'essi grande consenso da parte dei lettori. ll primo libro venne intitolato Storia di Roma e fu pubblicato a puntate su La Domenica del Corriere e poi, nel 1957, raccolto in volume per Longanesi (Storia di Roma. Narrata da Indro Montanelli ai ragazzi dai nove ai novant'anni, riproposta poi da Rizzoli nel 1959),
Il successo di questa Storia portò la richiesta di un lavoro più imponente che comprendesse tutta la Storia d'Italia, partendo da Roma sino alla fine del XX secolo, lavoro che ebbe grandi consensi da parte di ogni ceto del paese.

 

Dal 1959 in poi la fortunata serie venne edita dalla Rizzoli Editore, partendo dalla Storia dei Greci, seguita da Dante e il suo secolo, 1964.

Dal 1965 sino al '75 alcuni libri vennero scritti in coppia con Roberto Gervaso:

L'Italia dei comuni e L'Italia dei secoli bui, 1965, L'Italia dei secoli d'oro, 1967, L'Italia della Controriforma, 1968, L'Italia del Seicento, 1969, L'Italia del Settecento, 1970, La fine del Medioevo, 1975.

Altri ancora li scrisse da solo: L'Italia giacobina e carbonara, 1971 - L'Italia del Risorgimento, 1972 - L'Italia dei notabili, 1973 - L'Italia di Giolitti, 1974 - L'Italia in camicia nera, 1976

ed altri ancora con Mario Cervi:

L'Italia Littoria, 1979 - L'Italia dell'Asse, 1980 - L'Italia della disfatta, 1982 - L'Italia della Repubblica, 1985 - L'Italia del miracolo, 1987 - L'Italia dei due Giovanni e L'Italia della guerra civile, 1989 - Milano Ventesimo Secolo, 1990 - L'Italia degli anni di piombo, 1991 - L'Italia degli anni di fango, 1993 - L'Italia di Berlusconi, 1994 - L'Italia dell'ulivo, 1997 - L'Italia del Novecento, 1998 - L'Italia del millennio: sommario di dieci secoli di storia, 2000.

 

Nel 1960 una sua piéce Viva la dinamite!, venne allestita al Teatro Sant'Erasmo di Milano, mentre andavano in stampa Reportage su Israele, Milano, Editrice Derby e Tagli su misura, Milano, Rizzoli.
Nel 1961, per la Rizzoli, produsse Gli incontri e una nuova edizione di Vita sbagliata di un fuoruscito, poi, assieme a Marco Nozze, realizzò Garibaldi, e Teatro e scrisse il dramma Kibbutz.
Nell'anno successivo pubblicò, ancora per Rizzoli: Gente qualunque, Nuova ed. ampliata e Giorno di festa e altri racconti (a cura di Eva Timbaldi Abruzzese), mentre nel '64 mise in scena Il petto e la coscia al Piccolo Teatro di Roma.

Nel 1968, sul Corriere, dedicò alcuni articoli alle città che amava di più, come Firenze e Venezia e dedicò a quest'ultima vari articoli che tendevano ad esaltare le insidie di una industrializzazione che, inquinandola, vi provocava notevole degrado, segnalando anche la mancanza di un intervento delle autorità che sembravano non accorgersi di quanto accadeva. Si impegnò personalmente, anche con servizi televisi, a sottolineare il declino di alcune città come Portofino, Firenze e Venezia.

Nel 1970 pubblicò Per Venezia, Venezia (Sodalizio del libro) e Rumor visto da Montanelli, Vicenza, Neri Pozza, mentre nel 1975 diede vita a I libelli, Milano, Rizzoli, Incontri italiani, e I protagonisti, Milano, Rizzoli, 1976 - Controcorrente I (a cura di Marcello Staglieno), Milano, Società Europea di Edizioni, 1979 - Cronache di storia, Milano, Editoriale Nuova, 1979.

In vista delle elezioni politiche del 1972, Montanelli aveva addirittura ricevuto una proposta di candidatura da Ugo La Malfa, presidente del Partito repubblicano e suo amico personale, ma Indro non accettò la proposta, segnalando, invece, Giovanni Spadolini che stimava molto e che aveva difeso contro la decisione della nuova proprietaria del Corriere, Giulia Maria Crespi, di tendenze sinistrorze - che Montanelli, ovviamente, non condivideva - di estromettere dalla carica di Direttore, sostituendolo con Piero Ottone. Così pure prese le difese del Direttore della sezione romana, Ugo Indrio.

 

A queste operazioni, che lo portarono, infine, alle dimissioni, Montanelli espresse il suo giudizio negativo perchè le riteneva una prepotenza.

Montanelli, lasciato il Corriere e la Domenica del Corriere venne però subito ingaggiato da Gianni Agnelli per la Stampa e da Rizzoli per Oggi, riuscendo poi a dar vita ad una pubblicazione tutta sua, il Giornale, sostenuto dalla Montedison. Il primo numero uscì nel giugno del '74 con la sua impronta: un giornale non conformista, i cui articoli risultavano chiari a tutti anche ai meno acculturati, ma che subito venne osteggiato dalle sinistre.
Sul Giornale Montanelli aveva la rubrica "Controcorrente" che fu in perenne contrasto con quella di Mario Melloni che sotto lo pseudonimo di Fortebraccio scriveva per l'Unità ma i due "contendenti", della stessa levatura, furono, nonostante le opposte idee politiche, sempre amici.
Si avvalse di grandi firme tra cui Gianni Brera e Enzo Bettizza. In quello stesso anno sposò Colette Rosselli, la famosa "Donna Letizia" del settimanale Gente.

Due campagne lanciate dal Giornale furono davvero importanti per Montanelli: quella relativa alla raccolta fondi per i sopravvissuti del terremoto in Friuli con cui vennero ricostruiti due comuni e quella che sostenne la DC nella campagna per le elezioni politiche del 1976 per evitare la salita al potere di Enrico Berlinguer e quindi della sinistra. Quello stesso anno Montanelli fu invitato da Mike Bongiorno, il celebre conduttore televisivo, a portare su Rete Telemontecarlo, sorta da poco, un telegiornale, realizzato quasi con mezzi di fortuna, ma molto apprezzato dai telespettatori, osteggiato subito dalle sinistre che lo fecero oscurare.

Nel giugno del 1977, nel periodo caldo del terrorismo, molti giornalisti, tra cui anche Montanelli - che venne ferito alle gambe da due colpi di pistola ma fortunatamente le ferite non risultarono mortali - vennero presi di mira dalle Brigate Rosse che li ritenevano legati alle multinazionali, o almeno queste erano le loro rivendicazioni. Montanelli superò brillantemente anche questo incidente ed anni dopo volle stringere la mano ai suoi due attentori, pentiti del loro passato, che in carcere scontavano le pene loro inflitte.

Nel 1980 pubblicò: L'Archivista: tra cronaca e storia, firmata da lui e da Marcello Staglieno e Renato Besana, Milano, Soc. Europea di Edizioni, 1980 e Controcorrente II (a cura di Marcello Staglieno), Milano, Soc. Europea di Edizioni - nel 1982: Qui non riposano, Nuova ed., Venezia, Marsilio - nel 1984: Leo Longanesi, scritto assieme a Marcello Staglieno per la Rizzoli - nel 1986: Professione verità, Bari, Laterza; La Spezia, Cassa di Risparmio della Spezia - Sommario di Storia d'Italia dall'Unità ai giorni nostri, con Paolo Granzotto, sempre per Rizzoli - nel 1987: Controcorrente: 1974-1986, Milano, Mondadori e Figure & Figuri del Risorgimento (postfazione di Marcello Staglieno), Pavia [etc.], Ed. Viscontea - nel 1988, per Rizzoli: Montanelli narratore e Ritratti.

 

Negli anni '90:
nel 1991 diede alle stampe: Caro direttore, Milano, Rizzoli, 1991 e Firenze, Milano, Mondadori -
nel '92: Dentro la storia, Milano, Rizzoli e Il testimone (a cura di Manlio Cancogni, Piero Malvolti), Milano, Longanesi - Istantanee: figure e figuri della Prima Repubblica, Milano, Rizzoli, 1994 -
nel 1995: Eppur si muove: cambiano gli italiani? di Montanelli e Beniamino Placido, Milano, Fabbri/ Corriere della Sera - L'impero, Firenze, Sansoni - Indro Montanelli: la mia Voce (intervista) - Giancarlo Mazzuca, Milano, Sperling & Kupfer - Il meglio di Controccorente: 1974-1992, Milano, Fabbri/Corriere della Sera - Una voce poco fa, Bologna, Il Mulino
nel 1998, per Rizzoli: Caro lettore e Le stanze: dialoghi con gli italiani.

Il finanziamento della Montedison finì nel 1977 e Montanelli, in difficoltà, ebbe un nuovo aiuto economico da Silvio Berlusconi, allora costruttore edile, con cui tutto filò liscio fino al 1994, quando Berlusconi volle dedicarsi alla politica e per etica e per non sostenerlo tramite il Giornale, Montanelli si dimise, anche perchè non credeva nella possibilità che il "cavaliere" avrebbe sfondato in politica, tuttavia con il benestare di Berlusconi stesso.

Fondò quindi un'altra testata giornalistica "La Voce", quotidiano anch'esso - nonostante l'idea primaria di farne un settimanale - seguito da un sostanzioso numero di giornalisti che si erano licenziati dal Giornale. Le vendite della Voce, per varie ragioni, non furono però del tutto soddisfacenti e quindi anche la nuova pubblicazione venne chiusa nel 1995 e Montanelli ritornò al "suo" Corriere della Sera con "La Stanza di Montanelli" con cui intrattenne i lettori fino alla sua morte, avvenuta il 22 luglio 2001. Per questa occasione, Indro aveva scritto già il suo necrologio, come sempre graffiante e significativo, dedicato ai suoi tanti affezionati lettori che accorsero a rendergli l'ultimo omaggio.

 

Qualche mese prima di morire aveva pubblicato:

- La stecca nel coro 1974 -1994: una battaglia contro il mio tempo (a cura di Eugenio Melani), Milano, Rizzoli, 2000
- Colloquio sul Novecento: 31 gennaio 2001, Sala della Lupa di Palazzo Montecitorio con Vittorio Foa, Rita Levi-Montalcini, Indro Montanelli, Leopoldo Pirelli; coordinato da Maurizio Viroli; introdotto da Luciano Violante - Roma, Camera dei deputati, 2001
- Le Nuove stanze, Milano, Rizzoli, 2001

 

- Sono apparsi, postumi:

- Soltanto un giornalista (con Tiziana Abate), Milano, Rizzoli, 2002
- I conti con me stesso. Diari 1957-1978, prefazione di Sergio Romano, Milano, Rizzoli, 2009
-
Le passioni di un anarco-conservatore (intervista inedita a cura di Marcello Staglieno), Le Lettere, 2009
- Ricordi sott'odio. Ritratti taglienti per cadaveri eccellenti (una raccolta di epitaffi a cura di Marcello Staglieno), Rizzoli, 2011
- Ve lo avevo detto. Berlusconi visto da chi lo conosceva bene (una raccolta di editoriali e risposte ai lettori), Rizzoli, 2011

Tanti i riconoscimenti alle sue indubbie qualità e tra gli altri una nomina a senatore a vita da parte del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che egli non accettò per "indipendenza".

 

Venne premiato con importanti riconoscimenti nazionali ed internazionali tra cui: Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana - Grande ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana - Croce al merito di guerra - Medaglia commemorativa delle operazioni militari in Africa orientale (ruoli combattenti) - nel 1992 Comandante di I classe dell'Ordine del Leone di Finlandia (Suomen Leijonan I lk:n komentaja) - nel 1994 l'International Editor of the Year Award della World Press Review - nel 1996 ebbe il Premio Principe delle Asturie.

 

Incontrò, come già detto, tutti i principali uomini politici del secolo scorso tra cui Winston Churchill e Charles de Gaulle, senza contare i Papi, specialmente Giovanni Paolo II da cui fu invitato a cena una sera. Finito di mangiare il Papa lo accompagnò nel corridoio e passando davanti alla cappella dove il Papa si fermava a pregare, quasi esistando il Pontefice gli propose di pregare per sua madre, donna molto pia. Fu una forte emozione, sicuramente, per Montanelli, che venne attirato quasi nelle braccia del Papa per un saluto affettuoso.

Il Comune di Milano gli ha dedicato i Giardini Pubblici di Porta Venezia, fregiandoli del nome: "Giardini Pubblici Indro Montanelli" e proprio al centro del giardino è stata posta una pregevole e significante scultura che lo ritrae mentre scrive sulla sua celeberrima Olivetti Lettera 22.

La fondazione Montanelli Bassi, da lui voluta fortemente e fondata nel 1987, ha istituito nel 2001 un premio di scrittura dedicato alla figura di Montanelli, giornalista, storico e narratore, assegnato con cadenza biennale (prima edizione nel 2003). Il premio, suddiviso nelle sezioni "Alla carriera" e "Giovani", prende in considerazione gli scritti nel settore del giornalismo, della divulgazione storica e della memorialistica.

All'origine della creazione diquesta fondazione c'è un sogno. Un sogno che, in occasione della festa per i suoi novant’anni (aprile 1999), egli stesso volle raccontare ai suoi concittadini riuniti nell’abbazia di San Salvatore e di cui esiste un video piuttosto commovente.

Nel sogno egli si vede sulla via del ritorno a Fucecchio, mentre traversa il ponte mediceo e sale verso un colle. Arriva dinanzi a un cancello chiuso, oltre cui si snoda un viale ed un giardino "Il giardino dei ciliegi" ed in fondo a questo c'è l’ingresso di una villa, "le Vedute", cioè la villa di Emilio Bassi - a cui lui era molto legato, ritenendolo un nonno acquisito - sopra il piccolo borgo di Fucecchio, in cui giocava da ragazzino.
Montanelli suona e aspetta. Dopo poco ecco arrivare un uomo, lui stesso, molto più vecchio e stanco, che gli chiede di cosa abbia bisogno. Indro risponde che vorrebbe entrare, ma l'altro gli dice, con durezza, che non è possibile: tanto tempo prima se ne era andato, senza rimpianti, conducendo una vita lunga e intensa, costellata di importanti avvenimenti, di donne, di esibizioni, di successo.
Lui, invece, era rimasto là dentro quella villa, a patire nel corpo, nell'animo, il passare del tempo, a guardia di quel regno al di fuori del tempo, da cui non se ne era andato in cerca di fortuna. Non è dunque possibile per l'arrivato della ultima ora, penetrare ancora in quel mondo...

Montanelli, dunque, se ne va, scosso e triste, con l'amarezza di aver rinnegato il suo passato, di non aver preferito quel mondo antico, quel giardino dei ciliegi e la vecchia villa...

Fu uomo di mondo, sempre coerente con le sue idee anche se cozzavano contro quelle correnti e ricorrenti... , quello che sosteneva aveva valore per sempre, si riteneva un anarco-conservatore che detestava la sinistra, ne aveva viste di tutti i colori, era stato sui campi di battaglia, aveva vissuto momenti drammatici a cui aveva fatto fronte con sangue freddo, eppure era un essere sensibile, malinconico, attanagliato da paure e tristezza, segnato dalla depressione che lo perseguitò tutta la vita.

 

A lui che mi è sembrato non solo un'anima inquieta ma un essere speciale sempre alla ricerca della verità e di Dio, dedico questa poesia:

 

A INDRO MONTANELLI

 

Nel giardino dei ciliegi
di tanto in tanto ritornava la tua ombra
in cerca dell’altro te stesso
che non eri stato…

Ma ora, finalmente, sì è placata
quest’ultima ricerca
perché non potevi restare
tu no, cittadino del mondo,
in quel luogo appartato…
Il tuo lavoro
chi lo avrebbe fatto meglio di te?

Con la stessa rapidità del pensiero
che scaturiva già nitido e completo,
agili e veloci,
le lunghe dita danzavano sulla tastiera,
a comporre il vuoto della pagina bianca,
con parole che incidevano l’anima
come ferite,
raccontando gli uomini, la vita…
Come un pittore dipingevi
le storie del mondo
suscitando immagini vive
di ciò che andavi narrando…

Non potevi sottrarti a quest’impegno,
giogo e delizia dell’anima tua,
tu che, ne sono sicura,
in ogni storia, in ogni avventura,
in ogni uomo,
cercavi senza sosta
il mistico volto di Dio…

 

Bibliografia: http://it.wikipedia.org/wiki/Indro_Montanelli

 

 

TRE ANZIANE SIGNORE

 

Vorrei trasmettervi un pensiero per tre anziane signore che ci hanno lasciato a pochi giorni l'una dall'altra. Dissimili più di così non potevano essere... ma in realtà qualche trait d'union le legava...

Sono andate via, due nel mese di novembre, la terza alla fine di dicembre del 2012.

La prima che vorrei ricordare è Adelina, mia suocera, la madre di mio marito.
Quando ti conobbi ero ancora molto giovane e tu anche, piena di vitalità, di humor, di voglia di agire. E, difatti, non eri mai inattiva, ti dedicavi alla tua famiglia facendola marciare a passo svelto...


Magra, scattante, elegante anche con poco, avevi vissuto l'infanzia e la prima giovinezza in campagna, a contatto con la natura, in condizioni non troppo facili, avevi affrontato la vita di città per andare a Firenze con una parente per imparare l'arte del taglio e cucito e ci eri riuscita benissimo - se ne vedranno i frutti nel futuro - poi era sopraggiunta la guerra con le sue difficoltà, paure, negatività ma anche l'amore, il matrimonio, la famiglia, il trasferimento nella capitale dove la vita non era facile dopo la guerra e bisognava risparmiare per concedersi, dopo anni di sacrifici, qualche momento di serenità economica.


Insomma, una vita dura, forse più che in campagna dove tutto era a portata di mano e dove si respirava l'aria pura, dove i prodotti della terra e del mondo animale erano più facilmente a portata di mano, dove c'erano i tuoi cari di cui sentivi la mancanza...


E infatti eri figlia e sorella affettuosa, moglie e madre integerrima, suocera impagabile.

 

No, non avrai avuto, Adelina, una vita facile, anche per il tuo carattere non troppo duttile che forse avrebbe avuto bisogno di maggiori manifestazioni di affetto e mi rammarico davvero di non aver avetia abbracciata di più, di non averti coccolata di più, di non averti dato un vero e proprio amore filiale ma, purtroppo, anche con i miei genitori forse non ho mai dimostrato con baci e abbracci l'affetto che portavo loro, nè in gioventù nè quando ne avevano più bisogno...

 

Ma questa è un'altra storia che forse affronterò in un altro momento,

in altra sede. E' sempre difficile porsi davanti agli avvenimenti avvenuti e scoprire quanto si poteva fare e quanto invece non sI è fatto, quante carenze riscontriamo nei nostri atteggiamenti passati verso le persone che più ci sono state accanto...

Da giovane non riuscivo a capire qualche tuo atteggiamento che a me sembrava troppo intransigente, poi negli anni ho compreso che, grazie a te, alla tua volontà, alla tua caparbietà, ma soprattutto grazie alle tue qualità di economa, grazie alla tua perseveranza, eri riuscita a realizzare qualcosa di tangibile nella tua vita, una certa tranquillità economica, le case...

 

Tuttavia, non ti sono mancati i momenti di gioia e di comunicazione con gli altri, posso anche dire di esserti stata accanto nei momenti difficili che ti sono capitati, le operazioni agli occhi per la cataratta, quella al piede dopo una caduta, ma anche nei momenti di gioia: i tanti giorni felici passati in campagna quando i bambini erano piccoli, la condivisione dei tuoi affetti perchè mi ero affezionata moltissimo ai suoi genitori, ai suoi fratelli e sorelle, ai suoi nipoti e pronipoti..., le tante Pasque e le vacanze estive trascorse assieme e poi dopo la morte di Nino, le festività natalizie passate qui con noi, il periodo precedente il matrimonio di Donatella... insomma ne abbiamo passati di giorni assieme, forse io personalmente ti ho fatto passare anche qualche giorno difficile ma l'amore e la fede ci hanno aiutate entrambe...

Tutto filava liscio anche se il saperti sola ci dava tristezza, sembrava andare tutto per il meglio, avevi amicizie, frequentavi una palestra e un centro di ritrovo per anziani ma poi... non so cosa sia successo, tutt'a un tratto, come se il mondo ti fosse cascato addosso, hai rinunciato piano piano ad una vita piena e solare... sarà stata quella caduta... chissà... piano piano ti sei rinchiusa in casa, poi in cucina, poi ti sei confinata su una poltrona e piano piano il tuo mondo si è ristretto, rimpicciolito... si è popolato di fantasmi reali e surreali che ti hanno tenuto compagnia durante gli ultimi anni...
Peccato non averti potuto aiutare a disperderli, a ricacciarli tra le ombre da cui balzavano fuori di tanto in tanto....

Ti chiedo scusa ora, se non te l'ho mai chiesto a tempo debito, di tutte le mie mancanze nei confronti tuoi, nei confronti di tutti. Troppo dovrei scusarmi. E spero che, nel profondo del tuo cuore tu mi abbia perdonato.

Col passare degli anni, i nostri caratteri si erano smussati, le differenze di vedute s'erano attenuate ma, forse, come con tutti, avrei potuto esser più dolce con te che eri così fragile negli ultimi anni, esser più accondiscendente alle tue piccole manie.
E chi non ne ha?
Ma tant'è... il passare del tempo per me non è consequenzialmente sinonimo di maturità.
Comunque sia, negli ultimi anni ho cercato di trattarti come fossi mia madre e se non ci sono riuscita me ne dispiace molto.

L'unico conforto è stato quello di averti potuto salutare prima della tua definitiva partenza... pur se ti abbiamo trovato piccola e dispersa in quel letto ormai troppo grande, su cui ritmavi agli spasmi di ogni respiro... finchè d'un tratto il ritmo si è fermato... e tu con lui...
Ma abbiamo avuto tutto il tempo per guardarci, carezzarti, tu ormai distante ma sempre vivido e penetrante il tuo sguardo... sei stata contenta di rivederci, aspettavi forse solo quello - questo è quello che abbiamo recepito - soprattutto quando Simone è arrivato, un pò più tardi di noi e ti ha detto col suo solito humor - forzato, questa volta - "Ehi, nonna, mi riconosci?".
Un rapido sorriso sul tuo viso, nel tuo sguardo già oltre questa realtà...

 

Avrei voluto dire molto di più su di te per l'affetto che ci legava, ma è così difficile...

 

******

 

Di Donna Elena che dire? Aveva superato brillantemente i 100 anni di età, compiuti il 14 luglio, festeggiata amorosamente dai suoi figli e da una folla di giovani nipoti e pronipoti che supera le 60 unità. Di questa festa mi è giunta una foto straordinaria con lei, la festeggiata, al centro, vestita elegantemente e sorridente e tutti gli altri, giovani e meno, con maglietta e pantaloni bianchi, i maschi, o un vestito candido, le femmine... un insieme festoso e spensierato sovrastato dal disegno di una piccola cicogna in volo... una nuova vita in arrivo...

Per tutti loro, Donna Elena era un punto fermo di riferimento...

Aveva attraversato quasi tutto il '900 sperimentando pace, guerre, difficoltà, successi... sempre con la stessa forza interiore che, in parte il suo carattere, ma soprattutto la fede, le dava. In una bella lettera che i figli hanno divulgato dopo le esequie, hanno voluto proprio sottolineare le sue caratteristiche peculiari:

 

- Fu sempre attenta agli altri, dimenticando se stessa e affrontò la vita positivamente, senza ambizioni nè invidie, accontentandosi sempre di quello che la Provvidenza le concedeva, nonostante le difficoltà incontrate, non lamentandosi ma cercando invece soluzioni umane realizzabili e soprattutto vivendo una vita spirituale intensa, frequentando la Messa, recitando Rosari e Novene per la definizione dei problemi, affidandosi al cielo e a Sant'Antonio da Padova che sembrava sempre rispondere alle sue richieste.

 

Aveva accudito con amore sua madre durante la sua vecchiaia, ricevendo poi in cambio attenzioni e cure da parte di sua figlia negli ultimi anni di vita.

... Una vita intensa ed attiva, la sua, dedicata molto anche alla musica: suonava benissimo la chitarra, l'arpa, il pianoforte, cantava, recitava, scriveva pezzi teatrali, durante l'infanzia dei suoi figli li allietava con giochi di prestigio... , era abile anche in giochi di carte e di società... le piaceva scherzare... insomma, un'artista a tutto tondo... animata da una grande positività che le dava la possibilità di diffondere intorno a sè sicurezza e serenità.

 

Non molti anni fa Donna Elena aveva deciso di scrivere una sua biografia e a conclusione del suo lavoro, i suoi figli hanno potuto constatare che lei aveva ricordato solo gli avvenimenti belli e felici... le difficoltà e i momenti difficili li aveva "cassati"... dai ricordi e dagli scritti...

 

Dunque, una donna eccezionale che ha vissuto in un arco di tempo molto lungo e disseminato di avvenimenti non sempre facili: momenti di forti crolli economici, rivolte, occupazioni di proprietà, assassinii di familiari ed amici dovute alla appartenenza alla fede cristiana, una guerra di tre anni con successive crisi, malattie ed epidemie da affrontare senza i mezzi di ora per combatterle, ecc. Eppure, anche in queste tante infelici circostanze, Donna Elena si mostrò combattiva e positiva ed alcuni degli avvenimenti felici della sua vita, come il matrimonio ed il viaggio di nozze, avvennero proprio mentre intorno aleggiava la guerra.

Io l'ho conosciuta anni fa ancora piena di vitalità e di humor, sorridente e signorile, simpatica e coinvolgente specie quando si sedeva al piano e spaziava sulla tastiera con grazia ma soprattutto con tocco d'artista.

 

Anche il mio disagio iniziale per quest'incontro, in un prestigioso club privato al centro di Roma, esclusivo ed elegantissimo, che mi metteva un pò d'ansia, s'acquietò subito perchè lei con il suo garbo e la sua classe mi mise subito a mio completo agio e le ore che passammo assieme rimangono per me un ricordo vivido e radioso, così come i suoi biglietti di auguri, tanti, che conservo gelosamente e che cominciano così: "Queridos amigos.. cari amici..."

 

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La terza a lasciarci è stata una mia zia anziana anagraficamente ma giovane nello spirito. Non si è mai data per vinta fino all'ultimo momento quando, purtroppo, una rovinosa caduta le ha provocato la rottura di un'anca e successive, inaspettate, complicazioni al cuore, durante l'operazione per sistemare la frattura.

 

Non è stata una vita facile la tua... Non so nulla della tua esistenza prima del matrimonio, nulla della tua infanzia e fanciullezza che comunque credo non siano state connotate da eccezionali momento di prosperità.
So solo che, da poco sposata, già con una figlia, ti sei imbarcata per l'Argentina che sembrava al momento il paradiso degli emigranti. Non so quanti sacrifici avrai dovuto affrontare: nuova lingua, nuove abitudini, nuove difficoltà da sostenere, da affrontare durante quei primi anni di esilio, fatiche, sacrifici, sofferenze spirituali e lavoro, lavoro, lavoro.

 

Ma poi con gli anni la serenità è cresciuta, è cresciuta anche la famiglia, altre due figlie da tirar su, il grande impegno profuso nel lavoro che finalmente stava dando i suoi frutti, tutto è andato per il meglio, una vita nuova, una casa grande e comoda, .. ormai eri anche tu parte integrante di quel grande paese che ti aveva accolto...
Intanto le tue figlie si erano fatte grandi, s'erano sposate, avevi vari nipotini, ma in fondo al cuore il ricordo dell'Italia non era sepolto, era solo accantonato.... e spesso la nostalgia del tuo paese d'origine si faceva vibrante nel tuo cuore, nei tuoi pensieri.. non si poteva dimenticare...

 

 

Tornasti con tuo marito in un periodo per me un pò difficile.. avevo appena avuto una bambina e non abitavo a Roma, non semplici gli spostamenti dall'isola in cui vivevo... non ci incontrammo in quell'occasione, non incontrai nè te nè lo zio, che non vidi mai...

 

Te ti conobbi anni dopo assieme alla tua prima figlia, Matilde, mia cugina, piuttosto simile a me per carattere. Veniste in Italia dopo la morte in tre anni e mezzo di mio padre, del mio unico fratello più piccolo di me, di mia madre.. il vedervi e conoscervi, finalmente, mi fu davvero di consolazione..

 

Con la tua serenità, volontà, forza interiore, sobrietà nei gesti e nelle parole, con la tua esperienza, i tuoi consigli, la tua premura confortante..

 

Ripartiste, poi ma restammo collegate legate da un filo da un legame che si snodava tra gli oceani tramite il sottile filo del telefono o su molte pagine scritte... su quella carta aerea fine fine, la tua grafia decisa ma minuta vergava frasi d'affetto e d'incoraggiamento sempre... ed ogni tanto mi arrivava un regalo... ultimo, qualche mese fa, due deliziosi giacchini per la mia nipotina appena nata, confezionato dalle tue mani preziose di novantenne.

 

Fino a pochi giorni fa sempre lucida, vigile, vibrante e vitale passavi i tuoi giorni tra piccoli lavori eseguiti alla perfezione, tra preghiere, visite delle figlie, festicciole in famiglia, fino a quella inattesa caduta che ti ha portato a delle operazioni che hanno sconquassato il cuore, forte sì ma ormai consumato.

 

Poi d'improvviso le tue forze si sono arenate dinanzi agli scogli della morte e sei passata in un'altra dimensione dove finalmente potrai riposare tranquilla, dopo tante fatiche e assilli...

 

 

 

PADRE UBALDO PANI, CARMELITANO

 

In ricordo di P. Ubaldo Pani
Quadro di Alberto Randaccio

 

 

Ancora un altro sacerdote carmelitano da ricordare, P. Ubaldo Pani che ha concluso la sua esperienza terrena il 16 ottobre u.s. per approdare alla sua Terra Promessa.
Nato a Cagliari il 31 ottobre 1937, entrato nel Seminario da ragazzo, sentì crescere la sua vocazione che lo portò ad entrare nell'Ordine Carmelitano e a diventare sacerdote nel gennaio del 1961. Dopo vari anni di esperienze missionarie, dall'ottobre del 2009 era Parroco della chiesa di Nostra Signora del Carmine (Ca).
Se ne è andato in silenzio, tacitamente, come tacitamente aveva vissuto. Era stato ricoverato al Policlinico Gemelli dopo una precedente degenza al San Giovanni di Roma, dove era stato scoperta la gravità del suo male purtroppo incurabile.

Con lui i suoi fratelli, sorelle, parenti ed amici più stretti ed anche i suoi parrocchiani passati e presenti, non perdono un pastore, un riferimento, un esempio, ma anzi penso che da lassù egli sarà un punto fermo e luminoso che indicherà la via per cui proseguire.

Sulla sua vita, a parte le notizie che lui qualche volta, col suo fare schivo, nel corso degli anni del suo incarico parrocchiale aveva fornito o che ho raccolto nel suo entourage, poco so, perchè P. Ubaldo era modesto e timido, incarnava lo spirito isolano della Sardegna: riservato, semplice, umile, tranquillo, mai una parola di troppo, mai chiassoso o scomposto... un sorriso sempre discreto sulle labbra qualunque cosa avvenisse...
Ma da questo buio e silenzio la sua figura si staglia cristallina e vivida ad illuminare il suo percorso di uomo e di sacerdote che ha vissuto una vita dedicata agli altri, ai più deboli spendendo tanti dei suoi anni nelle missioni del Congo, del Cameroun e del Burkina Faso.

La sua vita missionaria, in questi Paesi disagiati, ebbe inizio dopo la sua presenza a Roma, in veste di Vice Parroco nella chiesa di Santa Maria in Traspontina per quattro anni e di Rettore del Seminario per cinque.

 

Venne destinato in Congo (allora chiamato Zaire) ed egli accettò con insolito entusiasmo andando incontro ad una vita priva di agi e di benessere - così come lo concepiscono gli europei, ancorchè frati e quindi destinati ad un altro stile di vita - vissuta a stretto contatto con una natura ostile e con popoli culturalmente diversi, sottoposti a malattie e a disagi terribili.

Un'esperienza che colpiva il cuore e l'anima profondamente e che gli diede forza per percorrere chilometri e chilometri nella savana per raggiungere villaggi ed uomini dispersi nel nulla ma che sembravano attendere proprio la sua Parola.

 

In seguito venne destinato al Burkina Faso, un paese davvero privo di tutto dove però la risposta della popolazione alla chiamata di Dio è oggi ben evidente; nel 2000 vi è sorta una casa ed oggi vi sono una ventina circa di novizi.

Un altro viaggio, poi ed un'altra terra in attesa di lui e della Buona Novella. Nel Camerun venne inviato come Priore e Maestro dei novizi, una trentina circa.

 

Durante la sua "Missione a Roma" - dove forse in questi ultimi decenni l'apostolato è più necessario che altrove - come Parroco della chiesa dei SS. Silvestro e Martino ai Monti, una delle sue prime aspirazioni fu quella di creare un centro per i senza tetto, realizzando poi un Centro Docce dove i poveri e gli sbandati della zona potevano ripulirsi ed avere anche qualche indumento nuovo.

In Missione

Papa Giovanni Paolo II, in un messaggio del 1° Maggio del 1999, in occasione del VII Centenario della donazione della Basilica dei SS. Silvestro e Martino ai Monti ai "Fratelli della Beata Vergine del Monte Carmelo, si rivolge a lui, come Priore della chiesa di S. Martino, per ricordare l'opera dell'allora Venerabile Angelo Paoli, apostolo della carità:
"Come non far memoria, poi, di quell’umile frate, il ven. Angelo Paoli, "padre dei poveri" e "apostolo di Roma", che possiamo definire il fondatore ante litteram della "Caritas" nel rione Monti? Egli per primo collocò la Croce nel Colosseo dandovi, così, inizio al pio esercizio della Via Crucis che il Venerdì Santo anch’io ogni anno ho l’onore di presiedere accanto a quel monumento ricco di storia e di antiche vestigia...".

 

E ancora: "Ho, inoltre, notato con gioia che, seguendo gli insegnamenti del Santo Vescovo Martino di Tours difensore dei poveri, al quale codesta Basilica è dedicata, grande è la vostra attenzione verso i bisognosi. Esempio concreto di questo vostro impegno caritativo è il Centro docce per i poveri del quartiere, gestito in collaborazione con i volontari vincenziani."

Noi parrocchiani, giovani e meno giovani, lo coinvolgemmo, inoltre, in attività ricreative come Recital musicali, concorsi di fotografia e pittura, nonchè in gite-pellegrinaggio a cui egli diede sempre la sua adesione ed approvazione.

Premiazione Concorsi, 1992

Pellegrinaggio ad Assisi, 1992

Anche nella sua terra - dove la presenza carmelitana risale al 1500 - aveva, in quest'ultimo trascorso a Cagliari come Parroco della chiesa di Nostra Signora del Carmine, messo subito mano ad alcune iniziative tra cui la ristrutturazione dell'oratorio da anni chiuso ai giovani e, tra le ultime, l'organizzazione della festa dedicata alla Madonna del Carmine.

"Un vero uomo di Dio, un esempio di santità per tutti noi". Così l'ha definito il Provinciale dei Carmelitani, P. Gian Domenico Meloni, ricordando la sua figura. E così era, obbediente alla Chiesa e al Pontefice, devoto a Maria SS.ma, generoso verso i poveri.

"La messe è molta, ma gli operai sono pochi" preannunciava Gesù, ma tu Padre Ubaldo, sei stato un servitore fedele che ha lavorato molto nei campi del Padre. Da qui non ti è stato forse possibile constatare che c'è stato un raccolto, ma da lassù dove sei sicuramente ora ne sarai a conoscenza e Gesù rallegrandosi con te ti dirà:
"Vieni, benedetto del Padre mio; ricevi in eredità il regno preparato per te fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi hai dato da mangiare, ho avuto sete e mi hai dato da bere; ero forestiero e mi hai ospitato, nudo e mi hai vestito, malato e mi hai visitato, carcerato e sei venuto a trovarmi...".

 

 

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A seguito del ricordo di Padre Ubaldo Pani da me espresso qui sopra, un suo ex alunno ed ex seminarista mi ha inviato questo bellissimo pensiero che mi piace condividere con voi:


Una mano misteriosa mi ha guidato fino ad arrivare a questo sito che non conoscevo affatto. Ero alla ricerca di un  nome  che ha riempito tanti  giorni della mia gioventù passata nel Seminario Carmelitano di Sassone, sui colli Albani, per sapere come poterlo rintracciare. E ho scoperto così che  Padre Ubaldo Pani  è volato al cielo già dallo scorso mese di ottobre. Chi avrebbe mai potuto dirmelo visto che ci siamo persi di vista ormai da troppi anni?

 

Con Felice Alese (ritratto alla sinistra), amico di studio e di seminario,  con il quale ci siamo rivisti dopo tanti anni in occasione delle ferie estive, commentavamo la  foto che vi allego e che venne scattata in occasione di un incontro con tutti gli ex allievi carmelitani.

 

Ricordavamo con nostalgia i pochi anni vissuti  in quel collegio che molti ci invidiavano. Il tempo passa per tutti, ma i ricordi, soprattutto quelli belli, rimangono indelebili nel cuore e nella mente e io non posso certamente dire di non averne. Se provo a socchiudere gli occhi mi rivedo giovanotto e rivedo accanto a me tutti gli amici e tutti i superiori …comprese le rimproverate che non mancavano ma che hanno contribuito a formarci alla vita.

 

Grazie Padre Ubaldo, forse non l’ho mai fatto perché avevo verso di te rispetto e venerazione, ma anche timore.
Tante volte ti ho criticato …soprattutto in quella serata del tardo autunno del 1971 quando mi hai mandato via  dall’Istituto Carmelitano perché, mentre tu avevi capito che la vita sacerdotale non era fatta per me, io non lo capivo e non riuscivo neanche a immaginare che il progetto di Dio per me era diverso.

 

Ho preso altre strade ma i tuoi insegnamenti li ho sempre serbati nel cuore e ancora oggi  posso ancora mettere a disposizione degli altri quello che proprio tu mi hai insegnato: saper suonare l’organo!

 

Ciao Padre Ubaldo, dal Cielo degnati di volgere una attenzione verso di me e la mia famiglia ma anche verso i tuoi ex allievi e, anche se non ci siamo più rivisti, sappi che il mio affetto per te è rimasto sempre nel cantuccio del mio cuore.

 

Bartolo BALDI – Vieste (Foggia)

 

 

 

FAUSTO IOSA

(Foto dal quotidiano "Il Romanista" del 13 Maggio 2010)

 

I giornali hanno riportato la tua scomparsa, il 12 di maggio, tre giorni fa, illustrando in breve la tua vita e il tuo prodigarti a favore della squadra della Roma, dei suoi tifosi, fondando il Cucs (Commando Ultrà Curva Sud) , organizzando trasferte per seguire la squadra, allestimenti coreografici, animando e colorando gli spalti degli stadi con strisce colorate, coinvolgendo, trascinando, pagando di persona in certe occasioni, di tasca propria e spiritualmente, partecipando alle riunioni dei clubs, ed altro ancora.... Eri stato nominato Vicepresidente dell'Associazione Italiana Roma Club e in questa veste hai profuso tempo, denaro, sentimenti...


Ricordo che quando la Roma vinse l'ultimo scudetto 2000-2001, nel quartiere fu tutta una festa. Tu ti eri attivato a decorare persino i numerosi alberi del viale che da san Giovanni porta a Santa Maria Maggiore, avevi regalato centinaia di bandiere che sventolavano dalle finestre delle vie adiacenti, avevi coinvolto tutti, anche i non residenti, nella grande festa notturna che culminò con l'arrivo delle "botticelle"...
I tifosi, impazziti, di gioia, diedero avvio ad una grande performance di colori, di inneggiamenti... un vortice di "Forza Roma", di giallo rosso in tutte le possibili espressioni e fu una notte indimenticabile per il quartiere...

Tu eri contento, esultante ma stanco, sfinito dalle nottate, oltretutto calde dell'estate incombente, dalle preoccupazioni che il lungo lavoro di supportare la squadra ed ora di organizzare quei festeggiamenti aveva comportato... e la foto qui accanto non ti rende giustizia, ma è l'unica che ho, scattata appunto in quella bella, indimenticabile serata...

 

Vorrei parlare di te, personaggio davvero interessante che spiccava sulla massa anonima del nostro rione, ma ora non trovo parole adatte a definire la tua personalità, ma soprattutto la tua umanità.

 

Sin dall'infanzia, che ho vissuto appunto qui, tu e la tua famiglia eravate in toto coinvolti nella vita quotidiana delle strade del quartiere. Ricordo che verso sera vi riunivate in crocchio, vicino al negozio paterno, per scambiare idee, notizie, per confabulare su cose di famiglia avvenute durante il giorno o tuttavia connesse alla vostra esistenza che comunque convergeva là, su quell'angolo di strada.

Tu eri il più piccolo, il coccolato, forse viziato da madre e sorelle più grandi ma sempre attento agli affari, sempre teso a fare al meglio il tuo lavoro - vendita di tendaggi e tessuti, materassi e quant'altro connesso - dedito alla famiglia, ma coinvolto, ormai senza speranza che ti passasse, in quell'attrazione fatale per la formazione del cuore, in quell'avventura senza regole che ti portava spesso fuori casa per seguire le orme giallorosse della tua squadra e dei suoi destini...

 

Ci conoscevamo da sempre senza conoscerci intimamente e soprattutto ti conoscevo per la tua presenza costante nel tuo negozio di tendaggi davanti al quale passavo ogni giorno e dove spesso stazionavi per scambiare con chi passava qualche battuta allegra o mordente, sottolineandola col tuo tipico fare romano tra il sornione ed il salace.

Eri, se così si può dire, l'amico della porta accanto che si salutava ogniqualvolta si usciva, con cui si conversava di cose rilevanti o futili, che elargiva arguzie allegre o graffianti a me e a mio marito, poi ai miei figli ed ora, infine, al mio nipotino.

 

Ti rallegrasti tutto quando ti dissi che la mia futura nuora - ora lo è davvero - era una romanista sfegatata. Ti si rischiarò il viso già provato dal dolore in cui si leggeva la gioia di quella notizia e la voglia di conoscere una nuova tifosa della Roma per illuminarla ancor più sul privilegio di questa "appartenenza"...

Mi spiace molto di non avertela fatta conoscere personalmente, ma soprattutto che lei non abbia conosciuto te, Fausto...

Comunque, da lassù, dalla tua tribuna giallorossa del cielo, ci guarderai tutti con rinnovato amore e tiferai per noi...

 

 

PADRE ALBERTO, CARMELITANO


A pochi giorni di distanza da P. Enrico, il 2 febbraio, è morto anche un altro frate carmelitano, Padre Alberto, più anziano, più semplice, un sacerdote d'altri tempi che per anni ed anni ha svolto serenamente la sua opera.

Un ricordo anche per lui.

 

 

UN PENSIERO PER PADRE ENRICO PINCI, CARMELITANO

 

 

Il 27 gennaio u.s. P. Enrico Pinci, carmelitano, è morto.

Ricordo una sera di circa tre anni fa in cui eravamo in chiesa per una celebrazione solenne e vidi di sfuggita P. Enrico che ci salutò con un cenno contenuto del capo, il viso tirato, non illuminato dal solito sorriso cordiale.

 

Difatti poi sapemmo che il giorno dopo era entrato in ospedale per un'operazione importante: aveva un tumore allo stomaco.
Si riprese con grande forza d'animo impegnandosi per altri anni, alternando la sua attività pastorale presso il Santuario di Maria SS.ma Annunziata di Trapani con le cure, continuando il suo lavoro creativo con i giovani, partecipando come ogni anno al pellegrinaggio in Terra Santa, relegando in un angolo della sua mente quel pensiero oscuro che pure lo tormentava (anche suo fratello era morto in una simile circostanza), sbandierando il suo sorriso accattivante.

 

Sembrava non tener in alcun conto il male che l'aveva colpito e le sue conseguenze, gli teneva testa, lo dominava continuando a fare la vita che faceva prima.


L'ho rivisto poco tempo fa, circa un mese prima della sua morte: era arrivato con l'aereo da Trapani apposta per celebrare il Venticinquesimo di matrimonio di una coppia di sposi che quando lui era parroco a Roma in San Martino ai Monti partecipavano attivamente alla vita comunitaria e che lui stesso aveva unito in matrimonio.

 

Lì per lì, dico sinceramente, non lo avevo riconosciuto, forse perchè era seduto su una panca di una navata laterale non troppo illuminata, forse per il suo atteggiamento stanco, forse per il volto decisamente più magro di quanto ricordassi... Ma fu un attimo ed il nostro incontro fu cordiale, sereno, lui contento di quella "scappata", di essere tornato tra quelli che erano i suoi "giovani" di un tempo. Sembrava avesse superato le fasi più acute della malattia, avviato ormai ad una completa guarigione.


E invece, se ne è andato, appena compiuto il suo sessantanovesimo compleanno. P. Enrico era difatti nato a Palestrina, vicino Roma, il 25 gennaio 1941. Era diventato sacerdote nel 1965 ed aveva cominciato a svolgere il suo ruolo dapprima di vice parroco in s. Maria Regina Mundi, poi come Parroco nella Basilica dei SS. Silvestro e Martino ai Monti dal 1973 al 1985 e dal 1985 al 1991 in S. Maria in Traspontina, ricoprendo altri incarichi nell'ambito della comunità Carmelitana. Dal 1991 era stato poi trasferito a Trapani dove si è conclusa la sua storia terrena.

 


 

Noi lo incontrammo per la prima volta quando mia figlia si apprestò a partecipare alla catechesi per la Prima comunione. Lui era un parroco ancor giovane, dinamico, disponibile e riusciva a raccogliere grandi e piccini attorno a sè con molte iniziative.

 

Tutto questo suo impegno, l'impegno di nostra figlia e forse la nostalgia dei valori che ci avevano insegnato i nostri genitori, segnarono il nostro "rientro" nella comunità parrocchiale dopo un lungo periodo di assenteismo, un abbandono non dovuto a reale carenza di fede, ma creato dalle circostanze, dal non voler farsi coinvolgere in una questione che richiedeva tempo, impegno, costanza, una svolta decisiva che richiedeva perseveranza. Facemmo il "salto" e ne fummo e ne siamo tuttora ripagati ampiamente.



P. Enrico ed alcuni parrocchiani durante una gita sulla neve


 

Sul sito della Parrocchia SS.ma annunziata di Trapani dove ha trascorso i suoi ultimi anni ho trovato alcuni pensieri di P. Enrico, tutti bellissimi e pregnanti che illuminano sulla sua profondità di spirito e sul suo cammino interiore.
Voglio ricordarne solo alcuni:

- L'amore comprende tutti i comandamenti

- Credere vuol dire guardare la vita con altri occhi


- I miracoli più grandi non sono quelli fisici, ma quelli del cuore

- II cristiano è l’uomo sereno che si fida di Dio.


- La (parrocchia non deve essere un agglomerato di persone una accanto all’altra ma una comunione di persone una dentro l’altra

- La santità affascina i credenti e forse inquieta i non credenti.

 

Ciao, P. Enrico, prega per noi.

 

 

 

 

AD UN AMICO

 

 

Cosa posso dire di te, se non del bene assoluto. Forse, senz'altro, avrai avuto dei difetti che io non ho mai riscontrato, ho potuto notare di te solo gentilezza...

 

Nella vita, Jenny e Ciro, due amici che sono morti a poco tempo l'una dall'altro, entrambi sembra per emorragia celebrale, si erano conosciuti da ragazzi, durante un avventuroso avvicinamento al mondo teatrale da cui ambedue eravate affascinati e in cui faceste anche qualche esperienza e proprio lei, Jenny, aveva fatto conoscere a Ciro quella che sarebbe stata la sua compagna di vita, Etta, la mia grande amica d'infanzia e non solo, l'amica del cuore.
Eravamo cresciute una accanto all'altra, anzi una di fronte all'altra visto che abitavamo in due case sullo stesso pianerottolo. Non sto ora a dirvi niente del nostro rapporto di amiche, ma che dire, ancor di più, di sorelle.

Fatto sta che quando Etta aveva conosciuto Ciro, dopo poco eravamo compagni anche con lui, io ed il mio allora fidanzato e poi marito, Paolo. Possiamo dire che la conoscenza ufficiale la facemmo forse, sono passati ormai tanti anni, al mio 18° compleanno. Forse eri il più grande di noi, pochi anni di più, ma questo bastava a farti emergere dal gruppo di quei ragazzini scalmanati e bruttini che mi si affollavano intorno mentre tu con quegli occhiali scuri molto in voga allora, nascondevi uno sguardo più serio, più posato...

 

 

Che dire di te, Ciro, come ti chiamavamo noi amici conoscenti o Gino come ti chiamavano quelli di casa, chissà perchè... Ma eri sempre tu, l'uomo buono, disponibile, paziente, gentile, generoso, premuroso e sensibile che tutti possiamo ricordare. Una persona unica, ineguagliabile, soprattutto per Etta che su di te si appoggiava, te il centro della sua vita, il compagno, il sostegno.

E tu sempre premuroso, sempre indulgente, sempre generoso, silenzioso, arrendevole, signorile...

Negli ultimi tempi, vedevo che per te qualcosa non andava, la tua salute non buona nell'ultimo periodo aveva tracciato linee dure sul tuo viso, aveva ingrigito i tuoi lineamente di solito mobili e sereni..., ma non pensavo che te ne andassi così all'improvviso, senza clamore, senza avvertimenti, serio e pacato come sempre...

Difficilmente ti potremo dimenticare: tu, che con dedizione immensa hai impegnato la tua vita nell'onorare e servire ogni giorno della tua vita, la famiglia e il lavoro, nelle difficoltà e nella quotidianità. Sempre presente al fianco di Etta, eri la personificazione stessa dell'amore, della pazienza, della gentilezza.
Ci sarebbero una miriade di parole ma non voglio ripetermi, penso che si capisca che eri davvero una persona speciale, un marito speciale, un padre speciale per i tuoi figli, quattro bei giovani a cui hai prodigato cure senza fine, a cui hai dato a profusione il tuo affetto, la tua disponibilità, i tuoi consigli...

Anche se ci hai lasciato fisicamente sarai sempre presente nel ricordo dei tuoi cari, di noi amici. Un ricordo sempre vivo per quel tempo che abbiamo trascorso insieme, per quel tuo esserci stato accanto nei momenti di gioia, di condivisione, ore liete - quanti ne abbiamo avuti - e nei momenti del dolore - quanti ne abbiamo avuti - Ormai tu sei in un'altra dimensione, più serena e mi auguro che tu possa intercedere per donare consolazione, rassegnazione e pace a chi resta, colmando d'Amore e di Speranza l'enorme vuoto che hai lasciato ai tuoi di casa.

 

Mi piace questa fotografia che vi avevo scattato il giorno del vostro 25° anniversario di nozze, in cui tu sembri un aedo, un bardo d'altri tempi che magnifica le doti della sua bella.

E tu hai fatto di Etta la tua principessa e lei, questo soprattutto, oltre all'amore, alla dedizione, alla mancanza, alle ore e ai giorni passati insieme, alle gioie ed alle vicissitudini che negli anni si sono susseguiti, questo, non dimenticherà...

 

 

Amico,

fisso nelll'immobilità irreversibile della morte inattesa,
con quella fascia bianca che ti cinge il capo
e la massa fluente dei capelli indocili
difficile quasi è il riconoscerti,
senza quel sorriso accattivante, mite...

Difficile pensare di non incontrarti più
sulle strade che quotidianamente percorro,
e che anche tu percorrevi, sempre impegnato
in qualche incombenza familiare.

La malattia improvvisa di questi ultimi mesi,
aveva tracciato linee dure sul tuo viso,
di solito mobile e sereno,
ma non pensavo che te ne andassi così
all'improvviso, senza clamore, senza avvertimenti,
serio e pacato come sempre...

Tu così attivo e solerte,
dedito ad onorare famiglia e lavoro
nelle difficoltà e nella quotidianità.
Marito devoto e premuroso,
padre affettuoso e prodigo,
amico generoso e delicato...

Guardo una foto in bianco e nero
- era il mio diciottesimo compleanno -
e tu forse il più grande di noi, pochi anni di più
ma questo bastava a farti emergere
dal gruppo di quei ragazzini scalmanati e bruttini
che mi si affollavano intorno
mentre tu con quegli occhiali scuri,
molto in voga allora,
nascondevi uno sguardo più serio, più posato...

Invece in quella foto a colori che amo tanto,
sembri un aedo, un bardo d'altri tempi
che magnifica le doti della sua bella.
Accanto a te la tua sposa, la tua principessa
per cui eri amico, sostegno, essenza della vita...

Ma eri sempre tu, l'uomo sensibile e indulgente,
arrendevole, compassionevole e paziente
silenzioso, modesto, signorile
che tutti rimpiangeremo.

Una persona unica e speciale
con cui condividere
momenti di gioia o di dolore...

17/01/2010

 

 

 

UN PICCOLO PENSIERO PER JENNY

Purtroppo, te ne sei andata via all'improvviso nei giorni di Natale, quando l'atmosfera festosa permea la vita anche di chi non crede... Tutt'ad un tratto, per un'emorraggia celebrale che ti ha tenuto sospesa per qualche giorno tra la vita e la morte.

Difficile compito parlare di te per ricordarti in modo affettuoso e lineare, per sottolineare i pregi e sorridere dei difetti, per rammentare i bei momenti trascorsi insieme in tanti anni.

 

Eri amica della mia amica del cuore, che a sua volta era quasi una sorella per me, per cui subito mi facesti simpatia quando ci conoscemmo, tanti e tanti anni fa.

Ma quei tre anni di differenza facevano molto a quei tempi ed io vi vedevo, nella mia immaginazione, già adulte e più esperte della vita. Avevi un nome importante Gianna Maria che però nessuno forse più ricordava perchè per tutti eri Jenny, un nome agile e svelto che ben si attagliava alla tua personalità.

 

Di fondo tranquilla, quasi sorniona, amabile, quieta e serena, signorile e di cultura, eri invece una donna capace, attiva e poliedrica, amavi l'arte e in special modo il teatro a cui ti eri avventurosamente avvicinata, affascinata da quel mondo.

 

Ci legammo più intensamente e tutte e tre le coppie ci frequentammo più intensamente soprattutto con la crescita dei nostri figli, più o meno coetanei, passando spesso molto tempo insieme durante i giorni di festa, nel Carnevale od altre ricorrenze, finchè poi loro si dispersero, ormai giovinetti, attirati da altre amicizie, dagli amori, dagli interessi diversi.

Ma noi continuavamo a trascorrere ore felici in chiacchiere lievi.... finchè... finchè non, tu ed Elio non avete preso con voi un cane...

 

Io purtroppo, debbo confessare che non amo gli animali, anche i cani, non mi piace la loro vicinanza, il loro dimostrarti affetto leccandoti a tutto spiano - mi farò un sacco di nemici ma non importa...

 

Quello di Etta era un cane piccolo e abbastanza tollerabile, il vostro di misura più grande, giocoso, molto mobile... a me incuteva un pò di timore... e quindi diradammo, per mia colpa, questo si, i nostri incontri.

Mi sento decisamente responsabile per quel mancato incontro di un 31 dicembre di tanti anni fa in cui ti dissi che per me la presenza del cane in casa mia era davvero un gran problema, anche perchè non sarebbe stato solo ma ci sarebbe stato anche quello, più piccolo e gestibile di Etta...

 

Temevo che in due avrebbero organizzato un bailamme di corse, di guaiti e di problemi nella mia casa abbastanza grande ma anche sovraccarica di mobili e di oggeti... Da allora poi ci vedemmo veramente di rado e me ne dispiace, ma quel problema era più forte di me.

Avevo sempre, comunque, tue notizie dalla tua-mia amica che ci serviva da tramite e sporadicamente avemmo occasione di incontrarci di nuovo e colmare il vuoto degli anni in cui non ci eravamo visti.

 

Ma adesso sento che avrei desiderato vederti di più, condividere molti altri momenti gioiosi insieme... purtroppo non ci è concesso e spero che dal luogo in cui ora sei vedrai la mia contrizione e con un sorriso dolce, come sempre, sul viso mi perdonerai per queste mie umanissime mancanze...



 

 

IL PROFESSOR LEO MAGNINO

 

 

Professore emerito dell’Istituto Orientale di Napoli e delle Università di Roma e Coimbra,  Presidente dell’“Accademia Archeologica Italiana”, cancelliere dell’Accademia del Mediterraneo, Consigliere dell'Istituto Int.le di Studi europei "A. Rosmini", socio della Società Dalmata di Storia Patria, membro del Comitato Int.le Accademico della Diandra International University and Academy, del Comitato di Pedagogica, rivista della Sociedad Internacional de Estudios y Investigaciones Pedagogica, Madrid, studioso e cultore del teatro e della lingua giapponese, già alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione di Roma, Presidente d'onore del Centro Studi Orientali di Savona, direttore del "Bollettino di legislazione scolastica comparata" del Ministero della Pubblica Istruzione, presidente del Gruppo Amici del Portogallo, vice presidente del Comitato internazionale per l'unità e l'universalità della cultura e tanto altro di più.


Al di là d’ogni sua tendenza  politica, religiosa o d’altro genere,  debbo riconoscere che era un soggetto di grande interesse umano. Il primo incontro col Prof. Magnino ebbe su di me un grande impatto poichè era una persona affascinante intellettualmente,  coltissimo, di rara gentilezza e sagacia e ne definii la figura in questi appunti:

 

"Una figura coi capelli che conservano ancora ramature antiche, ormai radi sul cranio e allungati sul collo, un naso oblungo che taglia  un viso enigmatico e come scolpito nella stessa pietra delle statue dell'Isola di Pasqua… 

 

Piu' che ottantenne ha però uno spirito vivace, arguto e la sua conversazione cattura gli uditori, poiché ha una cultura vastissima e coinvolgente ed è un appassionato di arti varie, mai però prevaricatore nei confronti dei suoi ospiti, anche se a lui inferiori in ogni campo, è premuroso  ed attento verso di loro senza alcuna ostentazione ed è il primo che nella  vita mi abbia salutato con un baciamano...
Una  volta o l'altra, vorrei quasi  darle un bacio, professore...!

 

E'  un pomeriggio di mezza estate,  neanche troppo caldo se si percorrono, come noi abbiamo fatto, le ombreggiate e silenziose vie dei  Parioli che dischiudono ai nostri occhi le loro coreografiche architetture: grappoli di verde pendono ad agghindare vecchie  mura color ocra, balconcini di ferro   panciuti  ed  aggressivi, torrette che s'alzano verso il cielo a dominare le forme armoniche o disarmoniche dei tetti sottostanti.

 

Ci perdiamo quasi nel dedalo di vie che si intrecciano, digradanti o in salita, per convergere su piazza Euclide e raggiungere poi la costruzione che cerchiamo e a cui do appena un'occhiata, catturato ormai lo sguardo dall'alto cancello di ferro battuto che s'erge a nascondere l'ampio e  verdeggiante parco dell'ambasciata portoghese.
Dinanzi al portone d'ingresso ci sbarra il  passo una cancellata; ci preannunciamo per citofono e la inconfondibile voce del Professore - un pò nasale, un pò  monocorde - ci guida verso  una  porticina laterale e all'ascensore incassato nella struttura bianca che lentamente ci porta su.

 

E lui è là, sul pianerottolo ad attenderci, a fare gli onori di casa.
Come sempre nel salutarmi accenna  un leggero baciamano, che  mi imbarazza, in  linea con  tutta  la  sua personalità. Alto, legnoso, sia per l'artrosi che per l'età, è tuttavia agile e disinvolto nell'accoglierci nell'ampio salone  sovraccarico – ma  non  è  una definizione  negativa - di gingilli, di quadri, di collezioni, un pout-pourri di ricordi e di ninnoli che rappresentano una parte della sua vita.

 

Ero  curiosa,  dopo averlo conosciuto,  di  vedere questa casa in cui abita, più che altro  per  completare l'idea  che mi ero fatta di lui.
Di  famiglia forse  nobile o  dell'alta  borghesia milanese, esponente di molti movimenti  culturali, instancabile direttore della rivista letteraria “cultura nel mondo”, enciclopedico conoscitore di  lingue  straniere, insegnante e studioso della lingua giapponese, e fine cultore del teatro No e Kabuki su cui ha scritto molti pregevoli testi  letterari, ambasciatore in vari paesi...  e chissà  quante  altre cose ancora che non avrò mai l'opportunità di scoprire né l'ardire di chiedere.

 

Si  vede che e' abituato a viver da solo - se  non fosse per le sporadiche, brevi presenze di qualche amico - e che la sua esistenza si consuma quasi tutta là in quell'appartamento antico che  s'affaccia  sul verde parco intravisto poco prima e che si delinea in  tutta la sua bellezza intensa - come fosse  un sogno,  un  quadro - affacciandosi dalle ampie vetrate della piccola veranda: sotto di  noi  e davanti a noi un fitto intrecciarsi di tonalità di verde, una piccola strada di ghiaia che porta ad una costruzione, molto  più  antica  della casa in cui ora siamo, ornata  di statue... e un  silenzio ovattato  interrotto  soltanto da  qualche  rapido trillo di uccelli.

 

La  stanza, dicevo, separata in due da una  parete divisoria  incorniciata  da un listello  di  legno sagomato  e  istoriato sulla  sommità, è davvero ingombra: al centro della parete più  grande  che delimita  l'angolo della conversazione,  divano  e poltrone  di paglia viennese ricoperte da  cuscini damascati, un piccolissimo tavolino  d'ebano, un carrellino contenente liquori e proprio al centro l'ampia bocca d'un camino inutilizzato ma colmo di decorativi  ciocchi di legna, due scansie  cariche d'oggetti, una cassapanca su cui, dinoccolato  e scomposto, s'allunga un  Pierrot  di  porcellana quasi ricoperto da una bandiera croata: uno scudo a scacchiera  rossa e bianca  sormontato  da  una corona  che  spicca  chiara  sul  fondo  d'un  blu elettrizzante. 

 

Più in là, accanto alla  finestra, un  mobile  intarsiato  e  dall'altra  parte   una piccola consolle su cui spiccano,  incastonate in vecchie cornici, alcune foto di famiglia ed altre con  dedica autografa di   alcuni illustri personaggi: Papa Pio X, Pio XI, il Re Umberto, un ambasciatore del Giappone,  amico  fraterno  del Professore che era diventato Padrino della  figlia in occasione della Prima Comunione; un ritratto di quell'allora bimba, vestita col kimono e seduta a terra nel tipico atteggiamento giapponese,  spicca sulla parete attigua.

 

Dall'altra  parte, adibita alla refezione, uno stretto tavolo e due mobili, qualche lampada,  una fruttiera  ricolma di vivide mele verdi...
Disseminati tra tutte queste suppellettili, una miriade  di gatti - il Professore ne fa  collezione da anni poichè li ama svisceratamente - in varie pose e  di  vari materiali: in ceramica, in  vetro,  in stoffa, in legno. Sembrano saltellare per tutta la stanza, occhieggiano buffi, contriti o aggressivi da ogni  angolo, persino sui muri;  sulla parete divisoria,    due lampi di colore giallo fosforescente ed eccone uno che sembra balzare in avanti dal nero  assoluto dello sfondo d'un quadro... altri tre, nati dai tratti leggeri d'una matita, giocano ignari in un angolo.

 

Su  tutta  questa miscellanea di oggetti, un pò kitsch e un pò decadente - ma forse son io che la intendo così - si stende, quasi palpabile un  velo di  polvere stantia e qualche  ragnatela  s'annida tra  le gambe intarsiate dei tavoli a  rendere la scena un pò melanconica.

 

Ma tutta questa presunta immobilità  si  dissolve quando il vecchio entra in scena e dal fondo della scomoda poltrona si erge nelle spalle per  gettare qua  e là, con quella sua voce nasale  ma  tonante quando s'appassiona ad un argomento, i  semi  di quella  sua  profonda cultura  o  qualche  domanda insieme  interessante e provocatoria che suscita discussione...  si dipanano vari  discorsi,  l'uno porta all'altro come una conseguenza logica e  lui lascia  parlare  ora  l'uno  ora  l'altro  di  noi tendendo l'orecchio quasi a voler cogliere, tra le tante,  l'idea più originale (o forse quella  più banale) da riafferrare, pronto, al minimo languire della conversazione.

Si vede che questo scambio continuo gli dà gioia, si trova a suo agio in mezzo  a questo   guazzabuglio  di  parole... 
E’ come   un giocoliere che tiri in aria una clava colorata  ed attenda  che  ricada giù e nel  frattempo ha  già lanciato,  in sequenza, altri oggetti  che  girano con un moto giocoso, vorticoso...

 

Il   nostro  amico  comune che ci ha portato da lui,  mi sembra un po’ a disagio, un  pò sconcertato, forse voleva un attimo di requie al suo girovagare, ma di buon grado s'affanna a farci star comodi,  a  preparare  bibite rinfrescanti  e  quando il  Professore con tono semiserio ci  propone di rimanere a cena,  forse dentro  trasalisce;  noi pur desiderandolo molto, siamo un  pò incerti se accettare o no quest'invito inatteso e spontaneo.

 

Ma  ecco, in  un quarto d'ora o  poco  più  viene imbastita  una cena semplice che avrà come  piatto forte l'unica cosa che il vecchio sappia  ammannire, un  saporito risotto alla pseudo  milanese.

Lo stretto tavolino d'ebano viene  ricoperto d'una piccola tovaglia senza fronzoli, i nostri due anfitrioni prendono i  soliti  posti l'uno di fronte all'altro e noi quelli  ai lati opposti. Sul tavolo, acqua e  vino in  abbondanza, un vino scuro e pesante, l'unico vero vino a detta dell'anziano amico che, presumo, viva nutrendosi pochissimo, eccezion fatta per  il caffè,  il  vino  e  le  sigarette. 
Non  si  può, difatti, ricordare il professore senza abbinare la sua immagine ad un alone di fumo... appena  spenta una  già è alla ricerca di quella  successiva… 

 

Nonostante le sue asserzioni di non credere, prima di mangiare, lasciandoci stupiti, recita il Breve di Sant’Antonio:
“Ecce Crucem Domini. Fugite, partes adversae Alleluja!Vicit Leo de tribu Juda Radix David, alleluja! Alleluja! (Ecco la croce del Signore! Fuggite, o nemici. Il leone della tribù di Giuda, il germoglio di Davide, ha vinto. Alleluia)”,

 

I discorsi continuano su un tono allegro, giocoso e prendendo bonariamente in giro il nostro giovane amico, il professore con aria profetica prevede scherzosamente il suo futuro, preannunciandogli un avvenire luminoso…
Lui, rosso e confuso non sa se stare al gioco, se lasciarsi punzecchiare o rispondere in tono serio.

 

La già efficace parlantina di Paolo, contento  per aver  trovato  un  ascoltatore  così  arguto,  ora rinvigorita dal corposo vino pugliese  diventa  un effluvio  di  battute,  di  idee, di  proposizioni che trovano il suo interlocutore  per un attimo un tantino annebbiato - è solo un  breve  momentaneo effetto poiché il vecchio subito si riprende, reso ancor più vigoroso ora dall'alcool, ed è pronto ad illustrare un  lungo, impegnativo progetto che ha intenzione di  sviluppare nei prossimi mesi -  la creazione di un'università nella cittadina di Grosseto.
Paolo che è nato a pochi passi da  lì, maremmano  dalla  testa  ai  piedi,  si  sente  al settimo cielo per quest'insperata iniziativa e non fa  che sollecitare, incitare, galvanizzare  ancor di  più  - se fosse possibile -  il  gentiluomo a percorrere la via intrapresa. Intanto, con la scusa che non  mangio da  iersera, il mio piatto non è mai vuoto, mi coccolano quasi.

 

La  cena è finita e come si usava ai vecchi  tempi ci si trasferisce sulla veranda dove due  poltrone un  pò sbiadite e due sgabelli formano un  circolo quasi perfetto attorno ad un minuscolo tavolino su cui, quasi subito appaiono digestivi e rinfrescanti.
Dagli alti vetri aperti non entra un refolo  di vento e dietro di essi la notte è  come un  tappeto  di velluto nero... solo  dopo  un  pò l'occhio s'abitua e discopre le sagome lontane dei palazzi  e  le frange più scure  delle  palme del giardino sottostante.
Neanche una stella in questo cielo cittadino opaco per lo smog..."


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Sullo stagno morto
Il rumore di una rana che s'immerge

Questa è una breve poesia del 1943, un Haiku del Prof. Magnino, esperto di questo stile poetico, profondo conoscitore del Giappone, anche della sua lingua, oltrechè delle sue arti.

 

Alcuni dei suoi libri dedicati al teatro giapponese ed al Giappone:

 

- Liriche giapponesi, 1943

 

Storia della letteratura giapponese 1952, più volte ristampato (II ed. - Milano, Nuova accademia, 1957- III ed. Milano, Nuova Accademia, 1963)

 

- Panorama del teatro giapponese - Nuova Accademia Milano 1956 -

 

- Cento Poesie giapponesi - traduzione dal giapponese con introduzione e note di Leo Magnino - Venezia Ed. Carucci, 1956

 

 - Le più belle pagine della letteratura giapponese - Milano, Nuova accademia, 1957

 

- Teatro Nô e Kabuki, Nuova Accademia, 1965 (I ed.) Interessante saggio con una selezione di opere tratte dal teatro classico giapponese

 

- I facili misteri della lingua giapponese,   1968

 

Altri scritti

 

- Scritti minori - a cura del Centro Studi Orientali di Savona

 

- Coimbra : la culla del Portogallo -1939, Firenze, Istituto Geografico Militare

-

40 anni di pace e di lavoro in Portogallo - Roma, 1966, Arti Grafiche Milillo

 

Alcune monografie dedicate al mondo scolastico:

 

- La riforma della scuola in Giappone - Roma 1947 (Estr. da: Bollettino di legislazione scolastica comparata, 1947, n. 3)   

 

- Le universita in Giappone - Roma, a cura del Ministero dell'educazione nazionale, 1944 (Estr. da: Bollettino di legislazione scolastica comparata, 1944)

 

- La scuola nei Paesi del Medio ed Estremo Oriente, 1950 Monografia

- La scuola nei paesi di lingua francese, 1950 Monografia

 

- La scuola nei paesi di lingua spagnola e di lingua portoghese,  Ed. Viola, Monografia

- La scuola nel mondo arabo e in Israele, 1950 Monografia

 

- Sulla Rivista Affrica - Rivista mensile di interessi affricani:

 

- Italia e Portagallo in Africa - Rivista Affrica 1951

 

- Università a Mogadiscio e Ruota d’Africa - Rivista Affrica, 1-2 Gennaio-Febbraio 1955

 

- Ancora l'Università di Mogadiscio - Letteratura e folclore d'Africa: rassegna a cura di Leo Magnino - Anno XI - N. 8-12 Agosto-Dicembre 1956

 

- La scuola dell'obbligo nei vari paesi del mondo 1961 Monografia

 

- Nozioni per gli insegnanti in Africa - Organizzazione scolastica dei paesi africani - Roma, Istituto italiano per l'Africa

 

- Organizzazione scolastica dei paesi africani - ISIAO, collana di studi africani, 1972

 

Alcuni Estratti ed interventi a Conferenze, Incontri nazionali ed internazionali:

 

- Alcuni aspetti della organizzazione del commercio di esportazione giapponese - Leo Magnino - Tipografia della Camera dei Deputati, 1936, "Estratto dal N. 2, Anno IX - Febbraio 1936-XIV - di "Commercio" Rivista mensile della Confederazione Fascista dei Commercianti"-

 

- Gli ideali del Giappone - Roma, Edizione della Rassegna italiana, 1940 (Estr. da: Rassegna italiana, 1940, n. 260)

 

- Le relazioni tra la Santa Sede e il Giappone attraverso i documenti pontifici (Pontificia nipponica) Romae : Officium libri catholici, 1947

 

- Duarte Montalegre di Almeida Garrett: L'uomo e l'opera parole introduttive di Antonio Ferro; messaggio di Leo Magnino. - Roma, Commissione di studi luso-brasiliani, Comitato internaz. per l'unità e l'universalità della cultura, 1954?

La Vanguardia Espanola, 2 febbraio 1958 riporta un suo intervento nella biblioteca Centrale di Barcellona sul tema "Divagazioni di un ispanico"

 

- Discurso do representante da Itália Leo Magnino Lisboa, 1961- Sep. Actas Congresso Internacional História Descobrimentos, 1 -

 

- A contribuição dos Portugueses para o conhecimento da ilha de Iesso, no Japão, no séc. XVI, 3º vol., pp. 317-326. - Congresso Internacional de História dos Descobrimentos. Actas 1961.

 

- Fascino e romanticismo del Giappone, in coll. con la Sezione Scienze, al Lyceum Club Firenze, 1961


- L'education de l'homme europèen, fondaments et limites - Atti del 6° incontro internazionale - Istituto A. Rosmini, 1962 - Athesia Bolzano


- La Fuga di Napoleone dall'Elba e L'avventuroso viaggio del ministro del Portogallo a Genova (estratti da Studi Napoleonici atti del primo e secondo Congresso Internazionale

- Autori vari (Portoferraio 3-7 maggio 1962; 3-6 maggio 1965), Firenze 1969


- Un curioso episodio delle relazioni diplomatiche tra santa Sede e Portogallo all'inizio dell'Impero napoleonico

 

Altri interventi o studi in portoghese:

- António de Noli e a colaboração entre portugueses e genoveses nos descobrimentos marítimos - Lisboa: Centro de Estudos Históricos Ultramarinos, 1962 -


- O ressurgimento: no centenário da unidade a Itália, Braga: Cruz, 1962


- A influência da Universidade de Évora sobre a acção dos missionários portugueses no Oriente e particularmente no Japão- 1967


- Os problemas étnicos e os direitos das nações, Braga Livr. Cruz, 1969


- Influência do iluminismo na cultura portuguesa - Braga, 1974


- Nuove ipotesi sulla preistoria del Giappone - Lisboa, Centro de Estudos Históricos Ultramarinos da Junta de Investigações Ciêntíficas do Ultramar, [D.L. 1981] -


- Hipóteses históricas sobre o descobrimento da América - Braga, Liv. Cruz, 1985

 


Molte le sue presentazioni, e collaborazioni a libri di altri autori e contributi vari:

- Aspetti della questione etiopica di Sperduti Giuseppe, Con la collaborazione di Leo Magnino e Aldo Morante.
Con lettera di S.E. il Sottosegretario di Stato alle Colonie
, Roma, Edizioni di “Roma Fascista”, 1935-XIII (Stabilimento Tipo-Litografico Vittorio Ferri).


- Revista de educacion - un lungo articolo dettagliato sull'insegnamento La Ensegnanza de la Filosofia en Italia, anno?


- Il contributo italiano all’evoluzione del diritto giapponese, riportato nella Rivista Cipangu edita dal Centro di Cultura Italo-Giapponese" (IsMEO), 1956


- Poemi imperfetti di Joaquim Paco d'Arcos tradotti da Gino Saviotti Roma, 1959


- Dante in Portogallo (Maestro Dante / a cura di Vittorio Vettori,; saggi e testimonianze, Marzorati, 1962


- L’adorazione degli antenati e il pensiero dei giapponesi sull’aldilà. In ‘Ricerca psichica’, 1967.


- Lusíadas- I Lusiadi di Luis de Camoes, 1965


- Boletim geral do ultramar.- vol. 42, nº 490, 1966 - Testemunho do prof. Leo Magnino


- Poesie di Giuseppe Burgio - Quaderni di poesia La cultura nel mondo, 1967


- La cultura e la morale internazionale alla luce della Psicosintesi, 1969 - Istituto di Psicosintesi - Fi -


- Processo alla scuola di Giuseppe Virgadamo, Palermo, Palladium, 1971 


- Luce e ombra - rivista trimestrale di parapsicologia e problemi connessi - L'Umanità tradita, 1989


- Studi in onore di Federico Curato. Vol. 2, 1996- contributo

 

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Fu l'ideatore e l'autore di "La Cultura nel mondo", rivista letteraria rivista mensile del Politecnico Professionale di Bologna su cui scriveva articoli, recensioni, dando spazio a nuovi talenti. Qui si riportano solo alcuni degli innumerevoli suoi scritti:


- Attualità di Camoes in Italia - Poesia lirica portoghese, secolo XVI - La cultura nel mondo, N. 2 (1968)


- Mediterraneità di Dante - Stralcio da: La cultura nel mondo, luglio 1979


- Schegge di saggezza, Recensione in “La cultura nel mondo”, Roma, luglio 1980


- Estancia de los detenimientos, en La Cultura nel Mondo, nº 2, abril-junio 1991,

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NEL DECENNALE DELLA SCOMPARSA DEL

PROF. LEO MAGNINO

Nipponista, lusologo, umanista

Primo Presidente d’Onore del CSO

a cura del Centro Studi Orientali di Savona è in preparazione l’edizione degli scritti apparsi nella Rivista

Le Civiltà del Mondo

 

 

X ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI PADRE RICCARDO PALAZZI, CARMELITANO

(26-3-1948-15-12-1999)


 

Ho conosciuto questo santo sacerdote anni fa, quando giovane ed entusiasta dispensava a tutti, gentile ed affabile, un sorriso, le sue capacità, il suo buonumore, la sua gioiosità contagiosa, il suo amore a Cristo. Attivissimo nel Centro Stampa Carmelitano dove realizzava la Rivista "La Madonna del Carmine", calendari, video, ecc. ed in altri svariati campi, ottimo educatore ed oratore - si faceva piccolo coi piccoli ed adulto con gli adulti - nell'estate del 1995 aveva accusato i primi sintomi di una malattia che lo avrebbe portato all'immobilità assoluta, una mielite virale.

Dopo una lunga, dolorosa degenza di alcuni mesi in ospedale, dove non potevano ormai fargli più nulla ed un periodo di riabilitazione - se così vogliamo chiamarla, poteva muovere solo la testa - era rientrato nel convento dove aveva vissuto e lavorato in precedenza e là con l'aiuto di sofisticati mezzi aveva potuto riprendere la sua attività nel Centro Stampa con grande sforzo, con grande sacrificio ma sempre con amore e buonumore. Ormai non poteva muovere che i muscoli facciali e con l'aiuto di uno speciale sensore riusciva a lavorare ancora al computer. Bastava un soffio e poteva ancora comunicare.

Ma P. Riccardo comunicava con tutto il suo essere. Con il suo corpo malato che si gonfiava a poco a poco per l'immobilità ma maggiormente con i suoi occhi ed il suo sorriso, intatto in tanto sfacelo, che veramente era un riflesso del cielo a cui si stava avvicinando a grandi passi, percorrendo con eroismo e santità la sua personale Via Crucis.

La sua morte, dopo questa prova, questa sua personale Via Crucis, che lui ha vissuto con eroismo e santità commosse tutti: confratelli e parrocchiani che si arrampicarono sino alla stanza posta in alto nel grande complesso religioso, vicina al terrazzo, già vicina al cielo. Il suo corpo ormai del tutto fermo era al centro della stanza, su di esso si concentrava l'attenzione di tutti perchè da esso si irradiava una forza ed un calore che avvolgeva i presenti. La stanza dava su di una terrazza al centro della quale si ergeva una bella immagine della Madonna a cui lui guardava spesso da quella sua finestra sul cielo.

" Ogni sera dalla finestra posso vedere una bella edicola della Madonna posta nel terrazzo di fronte: la pietà mariana di p. Craig, confratello canadese, vi accende spesso un cero cosicchè anche nel buio intravvedo l'immagine di Maria che stringe il bambino Gesù; in alto nel cielo vedo splendere, luminoso fra tutti, il pianeta Giove, mi sento come avvolto nell'universo e una brezza interiore mi accarezza.
Di fronte a tanta bellezza dimentico tutto, mi vien voglia di sorridere e dal cuore spontaneo affiora un sentimento: come posso amarti di più?".

 

(Da l'Exsultet di tutta una vita - a cura di Roberto M. Russo e Giuseppe Midili - Roma 2000 - Centro Stampa Carmelitana, Roma).

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P. Riccardo avrebbe dovuto tenere una conferenza il 18 dicembre. questi erano i suoi appunti lasciati sul computer. Si possono considerare il suo testamento spirituale.

 

 

LA VITA INTERIORE

 

Abbandono nelle mani di Dio, con tutta la mia persona, le sue debolezze e le poche virtù. Nella costruzione del tempio ogni mattone ha la sua importanza ed ognuno di noi è indispensabile, è un mattone particolare del quale il tempio non può fare a meno. Sono una parte della Chiesa e per quanto dipende da me debbo essere la più splendida, non importa se sia in bella vista o nascosta.

Il senso di sopportazione. Anche Lui, Figlio di Dio ha accettato fino in fondo una volontà superiore,

Il dolore riesce a fiaccare la mente, la volontà e tenta di corrompere anche il cuore.


Le difficoltà, i dolori persistenti fanno spesso gridare: "O Dio vieni a salvarmi. Signore, vieni presto in mio aiuto. Perchè sei sordo alla mia preghiera?"

Il Signore! Non solo è vicino, ma entra in te, prende possesso anche del tuo corpo perchè esso, con i suoi lineamenti, con i suoi non movimenti, possa parlare di Lui agli altri. Ti fa icona, non dipinta da mano umana. Beati coloro che lo sanno riconoscere. Venite a vedere...

Essere Porta del Grande Giubileo.

Il Signore si fa medicina, chiedo a lui di entrare nei miei muscoli doloranti, di prenderne possesso. La coscienza che sei di peso alla societò, a cominciare dai tuoi più intimi provoca una morte a questo mondo che appartiene agli efficienti e ti pone su un mondo differente dove vivono le persone che hanno tempo per dedicarsi ai valori più prpfpndi della vita.

La grande tentazione: quella che può portare a ribellarsi a Dio non accettando più la dura situazione e pretendendo di porre termine a tutto.

Il senso di essere utile a qualcosa.

Ricevo tante lettere da amici, consorelle e confratelli tutti chiedono preghiere e mi assicurano che pregano per me. E' la voce e la forza della chiesa, è la comunione dei santi che pervadono la nostra vita e non ci fanno sentire soli, ma parte, mattone, di un edificio spirituale che è proprio la Chiesa. "Prego Dio per te, tu prega per me perchè possiamo essere ciò che Dio vuole da noi".

Ti sostengo nel tuo apostolato con le mie sofferenze; il Signore le accetti come sacrificio. Offro a Lui anche tutto quello che il mio cuore desidererebbe fare ma il mio corpo non vuol sapere di fare. Ed allora, se siamo impediti nelle membra, abbiamo bisogno di qualcun altro che ci porti con sè. Disposto a farsi compagno, ad accettarti per essere insieme annuncio del Regno.

 

Ad un confratello del Brasile che chiedeva le mie preghiere, ho risposto così: "Portami con te nei tuoi incontri la gente".

 

 

"In occasione del X anniversario della morte del nostro amato confratello p. Riccardo Palazzi, O. Carm. responsabile per oltre vent'anni per l'edizione della presente rivista, vogliamo proporvi come testimonianza viva della sua spiritualità carmelitana un suo intervento tenuto in occasione del II Congresso Internazionale "Il volto dei volti di Cristo" nell'ottobre 1998:


"Io sono Padre Riccardo Palazzi, ho cinquant'anni, sono nel Carmelo dall'età di 12 anni, Sacerdote da 24, tetraplegico dal 1995: posso muovere solo la testa, il resto del corpo è immobile e insensibile, ho quindi bisogno che altri mi aiutino in tutto.
Voglio presentarvi la mia esperienza partendo da una riflessione su come possa essere stato il volto di Gesù nel tempo della passione: dal Getsemani alla Croce. In quelle vicende c'è la realtà di quanti come me, nella propria vita, devono vivere situazioni "off limits".


Quando parliamo del volto di Gesù, a volte il pensiero va al suo aspetto estetico, non che questo atteggiamento sia riduttivo, ma mi piace estendere il suo volto a una visione più ampia, trascendente, dove l'aspetto estetico si coniuga profondamente con il mistero della Chiesa. Quello stesso uomo-Dio che con i suoi occhi e con le sue mani ha guardato e toccato il mondo, quel suo volto che da tanti uomini è stato visto, non ha cessato di realizzare una sua presenza storica, ma continua tutt'ora a manifestarsi, più propriamente nella Chiesa, ma anche in tutti gli uomini e in tutto il creato.

Per scoprire la vera bellezza del volto di Gesù, non ci si può fermare solo su delle rappresentazioni artistiche dettate dalla creatività, sebbene quest'ultima possa essere illuminata da uno spirito fervente: solo la fede nelle sue profondità spirituali può rivelare, ancora oggi, la presenza viva di quello sguardo, la presa di quelle mani che trattengono e non abbandonano mai. Gesù stesso ha affermato che il suo volto può essere visto sempre, bisogna solo avere la forza ed il coraggio di sopportare il suo sguardo penetrante perchè è nascosto negli occhi di persone che spesso fanno parte di categorie scomode....

... Penso che il tempo del Getsemani e poi fino alla Risurrezione, sia il tempo della fatica e dell'accettazione piena della fisicità da parte di Gesù, la violenza che altera i ritmi, i bisogni, le leggi del corpo, che lo fa gridare, penare e morire.

Fino a quel momento Gesù aveva dato ai suoi amici e discepoli insegnamenti, amicizia, sentimenti, miracoli; una presenza positiva, si potrebbe dire anche affettiva e spirituale, la sua vita era stata sana, normale e relativamente tranquilla, ma il dono del suo corpo, già offerto nella Cena, lo fa ora ed è un'esperienza travolgente. Forse la esagerata consuetudine della nostra tradizione di penalizzare il corpo, di negarne valore e sacrificarlo sul cammino delle mete spirituali, ci ha oscurato l'importante valore di compartecipazione a pieno titolo del corpo, non antagonista allo spirito ma che interpella e domanda rispetto e significato perchè non è solo contenitore di un'anima. Gesù-Dio ha anche un corpo umano che ha pienamente mostrato nella Risurrezione.

Tutta la vicenda si apre e si conclude con il volto di Gesù alzato verso il Padre. La prima domanda: "Passi da me questo calice, ma..." l'ultima: "Nelle tue mani rimetto il mio spirito".


L'uomo di fronte al dolore ha paura e vuole evitarlo. Solo la fede e l'amore permettono l'accettazione di situazioni che non lasciano intravvedere una soluzione positiva.
Gesù dice di dover "bere"; si tratta di un qualcosa che passa attraverso il volto e pervade tutto l'essere. Questa "bevanda" è un cocktail d'umanità; contiene tutte le vicissitudini umane, tutta la storia. Trasforma anche le sue fattezze fisiche: tanto era sfigurato da non essere più d'uomo il suo aspetto. La storia umana è sopra di lui, è la sua bevanda. Dovrà berne anche la feccia, ma il suo sguardo va oltre perchè sa scorgervi la vita che gli è promessa nel progetto del Padre.


E' il momento della maggiore solitudine di tutta la Passione: nessuno più lo comprende, cerca comprensione e amore da coloro che maggiormente hanno ricevuto le sue confidenze, ma loro non capiscono e dormono. Nel momento in cui si è umanamente soli il Padre interviene a consolare. Manda il suo angelo cosicchè nell'ora dell'abbandono da parte di tutti, il cielo - e solo il cielo - si china a guardare il volto di Gesù. Intanto quel volto tocca un'altra estrema esperienza: l'evangelista ci dice che Gesù pose la faccia sulla terra (Mt. 26,39); la terra dalla quale fu plasmata la creatura riceve il soffio vitale del Creatore fattosi creatura e la plasma col sudore di sangue; la fa sangue del suo sangue. Non teme di sporcare la propria divinità, venendo così a stretto contatto con la povertà e la precarietà dell'umano.
Mantiene la sua bellezza, ma chi può comprenderla! E' la bellezza di chi ha accettato la sofferenza cadutagli addosso e l'accetta perchè ama. E' bello e radioso il suo volto perchè si accorge che ormai ogni attimo, parola, sguardo sono solo ed esclusivamente per gli altri.

In tale situazione Gesù non si vergogna della sua faccia; esteriormente senza apparenze umane ma ugualmente splendente, si pone dinanzi ai nostri occhi perchè, guardandolo, possiamo percepire il messaggio della Verità senza più veli. Il dolore che umanamente può trasparire è sorpassato dall'amore che ha il potere di trasformare tutto, di coprire tutto, di far vedere tutto nella vera luce.
Così ogni situazione di dolore, di sofferenza, sotto questa luce si mostra per quella che è: nella debolezza è lì che è la forza. Quella condizione di inutilità maschera ciò che solo un occhio non gretto può scoprire e non dice: "non serve più a niente..." Anzi, confessa che dietro c'è un qualcosa di più, come il centurione: "Veramente costui...".


Nonostante l'apparente sconfitta, perfino di fronte ad alcuni suoi discepoli, il volto di Gesù si presenta come quello di una mamma: ha davanti a sè il volto di tutti i suoi figli e che può fare se non abbracciarli uno ad uno e dire a tutti: "Figlio mio quanto sei bello!". Non esprime un giudizio su nessuno; esprime solo il sentimento più vero di una madre, quello di amare i propri figli, qualsiasi strada abbiano intrapreso, non pronuncia giudizi, li ama e basta: sono figli. Tutto quello che viene dopo è solo espressione dell'amore totale di fronte al quale ci si porta la mano alla bocca perchè faccia silenzio.

Gesù va ancora alla ricerca di qualcuno con cui rapportarsi e a cui manifestare questa novità. I suoi intimi: ahimè, dormono. Si manifesta ai soldati e provoca una reazione travolgente, ma non comprendono. Si manifesta a Giuda e ne riceve un bacio. E' anche il mio, il nostro bacio per il quale deve "bere" quel calice. Questo bacio può diventare anche un bacio di ringraziamento per quanto quel volto accetta di sopportare per me, per noi, per ogni figlio.

Si manifesta a Pilato come "verità" ma la verità e la politica raramente hanno camminato insieme. Si manifesta al popolo e ne fanno un capro espiatorio. Si manifesta alle donne e sono le prime a capire quell'amore. Si manifesta alla Madre e non lo lascia più.
Ultimo si manifesta al Padre con un grido carico di umanità: "Perchè mi hai abbandonato"... e non è solo il grido di Gesù...
Qui bisogna fare profondo silenzio, non ci sono "ma"... che tengano. Solo la fede, fusa con l'amore, può ancora sostenere.


Comunque, in queste situazioni, il Signore si fa nostro compagno, anche se ci sembra assente: a Lui basta un soffio, un semplice toccare col dito per rovesciare tutto. Non dobbiamo stancarci mai di chiederglielo, anche quando la situazione sembra tragicamente immutabile e non importa con quali parole, se di preghiera o di sconforto. Tutto questo nella certezza che il Signore ci è veramente compagno, altrimenti la nostra vita sarebbe proprio un inferno e non si può credere che il nostro Dio, amico degli uomini, sia tanto cattivo da non farci compagnia almeno Lui...

Gesù conclude proprio con una preghiera d'amore, d'intimità totale: "Nelle tue mani...". Alla fine di tutto rimane solo l'amore; col suo calore cura ogni ferita, anche la più grande.

 

Roma, 14 settembre 1998

Festa dell'Esaltazione della Santa Croce
(Dalla Rivista"La Madonna del Carmine - 11-12 Dicembre 2009)

 

 

******



 

Di lui, il giornalista, vaticanista, scrittore Luigi Accattoli dice:

 


UN RELIGIOSO

Alle sapienti parole del Manzoni ora si accompagnano - nella mia anima - le sante parole di un amico che ho già citato in questa rubrica come testimone della fede ai nostri giorni: il carmelitano Riccardo Palazzi, morto il 15 dicembre 1999, dopo quattro anni e mezzo di serena attestazione del Vangelo nella sofferenza più terribile, essendo egli completamente paralizzato a seguito di una mielite virale, e potendo muovere solo la testa.


Ecco le sue preziose parole:

 

"Ho scoperto che oltre i voti c'è ancora un modo più semplice e più libero di consacrarsi a Dio aperto a tutti: è quello indicato da Gesù quando dice di identificarsi nel forestiero, nel malato, nel carcerato... e ho visto in chi veniva a trovarmi, in chi si sedeva accanto a me, in chi mi asciugava il sudore, in chi mi faceva una carezza, in chi mi dava un bacio, un valore immenso, quasi una consacrazione di quelle persone al "voto" di voler essere veramente cristiani. Mi sentivo di poter stare di fronte a Dio e giustificare persone che spesso si sentono prigioniere di colpe legate all'inosservanza delle tante leggi che regolano la vita cristiana. Ho capito che Gesù aveva semplificato tutto, la sua domanda finale per ciascuno di noi era molto semplice: hai amato? Allora di fronte a Dio, contro l'accusatore, potevo avere una mia parola in loro favore. Potevo dire: no, questa persona è venuta a trovarmi, mi ha dato da bere, questa persona mi ha amato. Sentivo che quel loro gesto era più importante delle eventuali inosservanze della legge" (Aa. Vv., L'Exultet di tutta una vita. Padre Riccardo Palazzi carmelitano, 1948-1999, Roma 2000, 14).

Quanto sguardo ci viene dai santi! E Riccardo è un santo dei giorni nostri. Che hanno bisogno di ritrovare il giusto rapporto tra il valore essenziale della carità e il ruolo strumentale della legge, perché torni a splendere la verità evangelica della salvezza promessa a tutti i "giusti" della terra, compresi quelli che ignorano Cristo o che vivono in contrasto con l'una o l'altra legge della sua Chiesa.

 

Luigi Accattoli


(Da http://www.ilregno.it/it/archivio_articolo.php?CODICE=30515)

 

 

ed anche:


"Il padre Riccardo Palazzi invece l'ho amato per tempo e ora lo amo più che mai. La sua santità era evidente anche ai non vedenti come me. Costretto da un mieloma all'assoluta immobilità, ha continuato a sorridere, a esprimere gioia di vivere, a rendere lode per il fatto che riusciva a vedere dalla finestra, a sera "il pianeta Giove che è il più luminoso". Quattro anni è durata la sua crocifissione. Credo abbia patito più di Cristo. Per la messa di addio, aveva chiesto ai confratelli carmelitani che gli cantassero l'exultet pasquale. E l'hanno fatto, il 18 dicembre, nella chiesa romana di San Martino ai Monti. E' stato il più bell'exultet della mia vita.

La notizia della morte di padre Riccardo è stata per me del tutto diversa di quella di don Emilio. Riccardo si era manifestato: mi ero abituato a pregare con lui nei mesi in cui era nel reparto di rianimazione dell'ospedale di San Giovanni, aveva battezzato due dei miei figli, mi diceva che per lui era importante una carezza, una parola. E io gli facevo la carezza, cercavo la parola. Parlavo con lui della sofferenza e della croce. A suo tempo aveva assistito in morte, insieme a me, una persona che mi era cara.

( ...) Invece all'altezza della morte del padre Riccardo c'ero già: mi ci aveva condotto lui, con evangelica trasparenza. Egli non faceva che narrare a tutti la sua speranza della resurrezione. E' la persona con la quale più ho parlato di Gesù, dopo i miei familiari.


Luigi Accattoli

da http://web.tiscalinet.it/donemilio/accattoli1.htm

 

Una volta ho intervistato un santo: il p. Riccardo Palazzi, carmelitano (morto nel dicembre 1999, a 54 anni). Era totalmente paralizzato, muoveva appena la testa.

Mi azzardai a chiedergli: "Se torni sano che fai? Che hai imparato dall'immobilità?".


Questa fu la grande risposta: "Non farei tanti cambiamenti, la mia era già una vita di impegni. Ma aggiungerei l'attenzione alle persone: il dono di una carezza, di una parola d'aiuto. Ho imparato l'importanza del contatto, del tatto, della vicinanza, dell'attenzione e della compassione diretta all'altro".

Riccardo non muoveva neanche un dito. Gli prendevo la faccia tra le mani e sempre rideva quando gli facevo quel regalo.

 

 

Luigi Accattoli

da http://www.ilregno.it/it/archivio_articolo.php?CODICE=30372

 

 

Oggi 28 ottobre 2009 alle ore 11:00 a Firenze è tornato alla Casa del Padre dopo un lungo calvario offerto con coraggio e amore,

DON ACHILLE PASSALACQUA
Parroco della Parrocchia Maria SS.ma del Tindari a Rocca di Caprileone (ME)

 

 

Per 25 anni si è speso a servizio della causa del Vangelo e della Chiesa. Ci uniamo in preghiera perché il Signore accolga il suo sacrificio e gli dia la gloria dei servi buoni e fedeli.

Ricordiamo Don Achille, che aveva da poco festeggiato il suo 25° di sacerdozio, come una voce chiara e lucida in mezzo al groviglio di messaggi deboli e confusi di un mondo relativista. Grande comunicatore, interveniva spesso con articoli e contributi arguti sui blog manifestando il suo amore a Cristo ed alla sua Chiesa e ricordando la centralità della vita umana e della famiglia nel progetto di Dio.
Proprio nei giorni scorsi Padre Livio aveva letto a Radio Maria una sua lettera, pubblicata da Avvenire, inviata ad un confratello che aveva fatto osservazioni inaccettabili sui soldati morti nell'attentato in Afganistan.
Alcuni amici del Movimento Per la Vita lo avevano conosciuto al Seminario "V. Quarenghi" di Gioiosa Marea per aver celebrato una mattina la S.Messa (avevamo chiesto la sua presenza per più giorni, ma la sua salute gli aveva permesso di celebrare a Gioiosa solamente un giorno).

Ricordiamo Achille come un amico carissimo e un fratello maggiore nella fede, schietto, chiaro, duro quando necessario, ma sempre mosso dalla carità e da un desiderio profondo di Verità. Ci ha sostenuti nella scoperta della nostra vocazione e ci ha trasmesso il coraggio di vivere anche controcorrente a testimoniare i valori fondamentali della vita e della famiglia. E' stato per noi un punto di riferimento e anche se siamo tristi per la sua morte, siamo grati a Dio per avercelo dato e perchè ci è stato compagno prezioso nel cammino della vita. (qui e qui degli articoli)

            Grazie Achille!

  

  Marco e Angela

RENO BROMURO

 

... Ricevevo le sue News con piacere anche se, talvolta, debbo riconoscerlo, le leggevo sommariamente. Erano sempre interessanti, provocatorie, singolari, insomma, ma non ho mai approfondito la sua conoscenza. Sono rimasta ad attendere le sue e-mail perchè istintivamente percepivo la sua ricchezza interiore ma di lui sapevo poco o nulla, non conoscevo le sue opere, i suoi tanti interessi ed impegni...
Mi dispiace di non averlo mai contattato scrivendogli quello che sto scrivendo ora e di non aver ancora approfondito i suoi lavori.


Ho scoperto ora i tanti siti che gestiva ed altri a cui collaborava. Voglio elencarveli così che potrete anche voi rendervi conto della sua sfaccettata personalità e delle sue indubbie doti.

http://www.elbasun.com/L_angolo_della_lettura/recensioni/Reno_Bromuro/index.htm

http://www.poesiavita.com

http://poetilandia.it/index.php?option=com_qcontacts&view=contact&id=4%3Areno-bromuro&catid=36%3Acontatti&Itemid=55

http://renobromuro.splinder.com

http://www.myspace.com/renobromuro

 

www.club.it/autori/sostenitori/reno.bromuro

www.partecipiamo.it/Poesie/reno/bromuro.htm

http://digilander.iol.it/wholt/indice_reno_bromuro.htm

http://www.letteratour.it/tourismi/index.asp

http://www.letteratour.it/dblog_renoBromuro


http://www.sfairos.it/teatro_reno_bromuro.htm

http://www.oltrepensiero.com/modules.php?name=News&new_topic=27

http://www.poetilandia.it/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=48&Itemid=136

Ti saluto, dunque, sconosciuto amico di penna e ti auguro, là dove sei, di continuare a riempire delle tue parole l'infinita distesa del cielo.

STEFANO FUGAZZA

 

 

Un altro pensiero affettuoso va a STEFANO FUGAZZA, direttore della galleria d'Arte Ricci Oddi di Piacenza, che ha collaborato assieme al Prof. Renzo Barbattini a vari articoli sulle Api presenti su Cartantica:


OMAGGIO AGLI ARTISTI - L’APE NELL'ARTE MEDIEVALE - L'APE NELL'ICONOGRAFIA DEI SANTI - L'APE NELL'ARTE ANTICA - MA QUANTE API SONO?

Di grande cultura,si occupava di arte figurativa e di letteratura.
Tra i suoi libri: Simbolismo (Mondadori, 1991), I pompiers. Il volto accademico del Romanticismo (Ilisso, 1992), Ulvi Liegi. Momenti del Postimpressionismo in Toscana (2007), Giovanni Fattori. Il vero tra forma, linguaggio e sentimento (2008), Arte in transizione 1885-1930 (2008), vari cataloghi di mostre e monografie su singoli artisti.

Con Gabriele Dadati aveva creato nel 2006 la rivista "Ore piccole" dedicata alla letteratura e all'arte.

A Renzo Barbattini piace ricordarlo così:

"Un ricordo del liceo classico con Stefano mio compagno di banco.
Durante le interrogazioni (ad altri compagni, poveretti!) di filosofia o storia (piuttosto noiose in verità) io e Stefano ci divertivamo così: io facevo dei disegni (obbrobi!) a mo' di De Chirico (pensavo io!) e Stefano ne faceva la recensione critica (molto belle).


Ciao Stefano,

 

Renzo"

 

Un grazie di cuore a lui per le sue collaborazioni ed un pensiero affettuoso alla famiglia.

 

GIOVANNI RUGGERI

Ricordiamo qui GIOVANNI RUGGERI (Rugggio), uomo di alta dirittura morale e di fede, ottimo marito ed ottimo padre, personaggio di spicco della sua cittadina natale Bagnone, dove aveva creato il Centro di cultura Bagnonese, che continua tutt'ora, con varie manifestazioni, ad essere vitale e frequentato.

Giovanni Ruggeri mi aveva gentilmente concesso di usufruire delle belle immagini di una via Crucis, presente sul suo sito realizzata http://www.bagnonemia.it, realizzata dal pittore Mario Barberis - di cui sono una fervida ammiratrice e che troverete nella sezione a lui dedicata.

Ci eravamo scambiati i banner e successivamente mi aveva chiesto notizie su un'altra Via Crucis di cui aveva ricevuto le immagini da una sua amica dell'Ontario e di cui non aveva però altre informazioni.
Mi sono data da fare ed ho scoperto quindi che si trattava di un'opera presente in Texas. Giovanni, ancora una volta, mi ha consentito di mettere le foto sul mio sito.

Di lui ho ancora in serbo alcune foto di un'altra via Crucis che in futuro poi vedrò se sarà possibile inserire su Cartantica.

Avevo poi saputo che da tempo era malato di cancro ma con la sua forte tempra fisica e spirituale lottava contro il male. Grande consolazione per lui e la sua famiglia sarà senz'altro stata la possibilità di festeggiare, il 16 aprile u.s., i 50 anni di matrimonio con la moglie e i figli.

Credo che abbia speso tutte le sue risorse proprio per questa finalità. Infatti dopo un mese, il 26 maggio Giovanni, è morto.

A lui ed alla sua famiglia va il nostro pensiero ed il nostro ricordo.

 

 

CLAUDIA CAROSI

 

 

Consentitemi, qui, di ricordare Claudia Carosi, la giovane figlia di mio cugino, che viveva all'Aquila e che è morta a causa del terremoto del 6 aprile u.s., nella famigerata via XX Settembre. Non nella Casa dello studente che pure ha mietuto numerose, giovani vittime, ma in una casa adiacente che come quella si è sbriciolata al suolo...
In quel terribile giorno, mentre fervevano i soccorsi ho chiesto a tutti voi, cari amici di Cartantica di pregare per lei, affinchè la trovassero viva e voi avete risposto, numerosi e disponibili con le vostre parole e le vostre preghiere. Ma, purtroppo, così non è stato, Claudia era già morta.

Anche dopo la triste notizia voi avete continuato a scrivermi per confortare attraverso di me i suoi genitori e sua sorella. Ancora Grazie.

Claudia avrebbe compiuto 30 anni il 25 di maggio u.s. Era laureata in giurisprudenza e lavorava presso uno studio legale, aveva già superato gli esami per diventare procuratore. Appassionata di cinema e di moda, di shopping, era una ragazza allegra, solare, di contatto, dotata di un particolare carisma che la faceva amare da tutti i suoi numerosissimi amici. Avrebbe voluto sposarsi presto con il suo fidanzato Daniele, avere dei figli... Quanti sogni infranti, i suoi e quelli dei suoi genitori...

Fiorella e Paolo, i suoi genitori e sua sorella Ilaria hanno passato giorni d'inferno e il loro dolore si è confuso, pur rimanendo strettamente personale, con quello degli altri genitori colpiti dalla stessa tragedia, con quello degli altri sopravvissuti, con quello della città intera devastata dal sisma. Hanno vissuto per molto tempo in una tendopoli accanto al cimitero in cui, in forma privata, è stata sepolta Claudia.

Per distrarsi, un giorno, Fiorella ha per caso sfogliato un giornale, Vanity Fair - di cui Claudia era un'appassionata lettrice e su cui compariva un articolo dedicato al recente terremoto.

Fiorella ha quindi voluto scrivere a Vanity Fair

 

La sua lettera è stata letta anche nel programma di Bruno Vespa "Porta a porta" del 6 Maggio 2009, in occasione di uno speciale dedicato al Terremoto dell'Aquila "Una scossa al cuore".

Successivamente, la giornalista di Vanity Fair, Silvia Nucini, coinvolta da tanto dolore, ha contattato Fiorella per una intervista un pò più approfondita, pubblicata poi sulle pagine del giornale:

Mi piace pensare che non abbia sofferto perchè deve essere morta nel sonno, senza accorgersi di nulla e che quando l'hanno trovata era serena e stringeva ancora a sè quel piccolo cuscino a forma di cuore.

A lei dedico questa poesia:

A CLAUDIA

Eri là, sola

Dormivi, le lunghe dita avvinte
al tuo cuscino, inutile riparo e,
persa nel sonno, forse elaboravi nuovi progetti…

I tuoi sogni, le tue speranze,
tutto polverizzato
in quella crudele, assurda notte
tra le diafane pareti della stanza,
tra i muri portanti fatiscenti
e vacillanti sotto la terribile scossa.

Un attimo è bastato per dare vita
ad un groviglio di rovine, di detriti, di oggetti,
un attimo è bastato per dare morte…

Morte e silenzio per un lungo momento…
Eppoi i lamenti e le grida dei dispersi
e dei soccorritori, improvvisati e impavidi
tra i cumuli inerti delle macerie…
Mentre la luna a tratti dispariva
tra geyser di polvere e dolore…

Il dolore di quella notte…
Il dolore in quella notte è diventato
un sudario gelido sul cuore
di chi è ancora vivo,
un fiore essiccato tra le pagine
del libro della vita,
un segno indelebile che graffia
a sangue l’anima…

…Una diafana luce s’intravvedeva
tra la polvere e il cielo,
rendeva spettrale e sconosciuto
il paesaggio sconvolto
che sembrava ora, assurdamente,
una costruzione di bimbi,
un immaginario castello di carte disfatto,
dissolto a un lieve tocco…

… Ed i tuoi là, in attesa,
anime perse in quella pallida foschia,
nell’alacre delirio degli scavi,
avvinti a un tenue filo di speranza
spezzato poi dall’amara realtà.

Una realtà di dolore e di morte,
di grida e d’ingiustizia,
di dolore sordo, persistente
come il sibilo delle sirene impazzite,
come l’immane sforzo dei soccorritori,
solerti e generosi
che hanno lottato, salvato averi e vite.

Ma non la tua…
Perché?

Restano i dubbi, le illazioni, le domande
senza risposta, se non quella della fede:

“Dio solo sa qual è il momento decisivo
in cui chiamare un altro angelo nel cielo…”

 

Un pensiero a te, cara Claudia, un abbraccio a voi Fiorella, Paolo, Ilaria

Patrizia

 

*****

 

Sono passati due anni, i familiari di Claudia, ognuno a suo modo cerca di andare avanti, con rituali quotidiani o buttando giù, con determinazione e molta abilità, pensieri, ricordi, racconti, come fa Ilaria che non si rassegna a non avere più accanto a sè la sorella. Il ricordo di Claudia e di quella morte, immeritata, prematura, travolgente, non l'abbandona mai nel suo quotidiano andirvieni tra le varie occupazioni a cui si dedica e quando ha un pò di tempo scrive... scrive pagine a Claudia, su Claudia, sul loro stretto rapporto di sorelle quasi coetanee, sui ricordi in comune che ora appartengono solo a lei, sulle ingiustizie che ancora si consumano attorno a quella tragedia...

 

 

Da "Vanity Fair" del 5-10-2011

 

*******

Da

 

 

4 marzo 2012

 

Papà Paolo amava Claudia oltre la propria stessa vita, e come non potrebbe essere così? Un papà vede crescere la propria figlia, da dolce sorpresa della vita, piccola creatura che piano piano si trasforma in una ragazza, poi in una donna.

E l'amore del padre cresce, muta, si carica ogni giorno di nuove aspettative e soprattutto di speranze. Vedere la propria figlia felice, prima che lui abbandoni questa terra per sempre. Solo quando lei sarà felice davvero e appagata potrà lasciarla.

A volte però la vita è beffarda e all'improvviso ti strappa ciò che ti è più visceralmente caro: i tuoi figli.

Così è accaduto a Paolo in quella maledetta notte del 6 aprile 2009, Claudia, la sua amata Claudia, lo ha lasciato prima che diventasse lui stesso anziano.

Claudia era nata il 25 maggio 1979, e quando ha lasciato per sempre tutti quelli che amava, non aveva ancora compiuto 30 anni, ma era già avvocato. Aveva lottato per diventarlo, ma lo aveva fatto sempre con il sorriso sulle labbra. Quel traguardo raggiunto, oggi deve essere salvato dalla distruzione.

Così come dalla distruzione, dalla durezza e dalla crudezza dei processi per i crolli, (Claudia si è spenta sotto le macerie di Via XX Settembre 123, e per quel crollo è stato aperto un fascicolo di inchiesta ndr), va salvata la memoria di Claudia.

E per fare questo, la famiglia di Claudia ha dato un segno concreto, Claudia era un avvocato e voleva vivere di quella professione. Se non potrà farlo lei, nel suo nome lo faccia un altro, ma che sia tra i migliori.

Per questo papà Paolo, mamma Fiorella e la sorella Ilaria hanno scelto di dar vita ad una borsa di studio in memoria di Claudia, che viene conferita con cadenza biennale. 

Il consiglio dell’Ordine degli Avvocati di L’Aquila, in seguito alla delibera adottata nella seduta del 27 agosto 2010, ha pertanto bandito la prima Borsa di Studio biennale Claudia Carosi, a decorrere dalla sessione di esame 2010/2011.

Nell'articolo 2 del bando si specifica che “Tale Borsa di Studio, intitolata al nome dello stesso avvocato, è riservata al candidato di più giovane età che, iscritto al Registro dei Praticanti Avvocati di L’Aquila, consegua l’abilitazione all’esercizio della professione forense presso la Corte di Appello di L’Aquila.”

La prima cerimonia di consegna della borsa si è tenuta il 2 marzo, e assegnatario è stato Giaovanni Berti, giovane avvocato classe 1985 (nelle immagini la cerimonia di consegna)

Fondamentale l'impegno dell'avvocato Antonello Carbonara, ex presidente dell'Ordine degli avvocati dell'Aquila che ha fortemente voluto l'istituzione della borsa che l'attuale presidente Carlo Peretti ha sposato con entusiasmo.

Duemila euro vanno al vincitore che potrà, a differenza di Claudia esercitare a pieno la professione, e in memoria di Claudia lo farà con il massimo impegno.

La borsa di studio non è soltanto un modo per ricordare Claudia, che con tenacia si era dedicata al conseguimento del titolo e all’esercizio della professione, ma anche uno stimolo per quei giovani neo-avvocati motivati a procedere lungo il suo stesso percorso.

 

 

di Barbara Bologna

 

 

 

 

 
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