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                    ."
                   
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                  NATALE: TRADIZIONI E VARIE
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                        NATALE E PROVERBI
                        
                        
                        Il Natale  deriva da tradizioni borghesi del secolo scorso, con simboli e usanze sia di  origine pagana che cristiana. Negli anni recenti, il Natale, festa prettamente  cristiana, è diventata occasione per una corsa al consumismo, un festeggiamento  frenetico, sostituendosi da un clima di celebrazione e di riflessione a una  gara commerciale, facendo intervenire spesso la Chiesa a promuovere con  incisione il significato religioso. 
                             
                          Secondo Papa Francesco, il cammino che inizia in questi giorni, è «un nuovo  cammino di Chiesa, un cammino del popolo di Dio, verso il Natale. E camminiamo  all’incontro del Signore». Il Natale è infatti un incontro: non solo «una  ricorrenza temporale oppure — ha specificato il Pontefice — un ricordo di  qualcosa bella. Il Natale è di più. Noi andiamo per questa strada per  incontrare il Signore». Dunque nel periodo dell’Avvento «camminiamo per  incontrarlo. Incontrarlo con il cuore, con la vita; incontrarlo vivente, come  lui è; incontrarlo con fede» (dall’Omelia del 2 dicembre 2013).
                        E, come ogni  evento importante, anche il Natale ha i suoi proverbi. La saggezza popolare non  ha limiti nel creare proverbi e detti per qualsiasi occasione.
                        Si dice che  il Natale porta serenità e pace, forse per il semplice fatto che si festeggia  allo stesso modo degli anni precedenti. Solitamente la famiglia è riunita  attorno al tavolo ricco di cibo e coi sorrisi dei più piccoli, ma da un paio  d’anni le riunioni conviviali sono bandite a causa del ‘covid’ che impedisce  riunioni ed assembramenti, ma i proverbi non cambiano nel tempo, anzi se ne  aggiungono altri. 
                             
  È noto che il proverbio è una frase breve, ricordata nella memoria collettiva o  tramandata in forma scritta, frutto di una verità proveniente da esperienze per  confermare un’argomentazione. C’è incertezza sull’origine della parola  “proverbio”, sta di fatto che ha molti sinonimi: sentenza, adagio, aforisma,  motto, che coincidono perfettamente con il suo significato. Insomma il  proverbio è una regola generale che conferma un fatto naturale, meteorologico,  somatico ecc. 
   
                          Recentemente è stato pubblicato un mio libro sull’argomento che tratta di  storie, curiosità e… proverbi, nel quale sono trattati vari argomenti in  relazione alle massime.
                         
                        La maggior  parte dei detti popolari sul Natale si riferisce al periodo delle semine e dei  raccolti, alla previsione del tempo, alle tradizioni religiose. Alcuni di essi  sono di provenienza pagana.
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                        IL PRESEPE TRA STORIA E CURIOSITA'
                         
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                      Il presepe o  presepio è quella rappresentazione della nascita di Gesù che si fa nelle chiese  e nelle case durante le feste natalizie e che riproduce scenicamente la  Natività e l’Adorazione dei Magi. La diffusione del presepio è dovuta ai  Francescani, ai Domenicani ed in seguito ai Gesuiti, da un’idea di San  Francesco dalla quale ebbe origine il famoso presepio di Greccio. 
                               
                        Sono gli  evangelisti Luca e Matteo i primi a descrivere la Natività. Nei loro brani c’è  già tutta la sacra rappresentazione che a partire dal medioevo prenderà il nome  latino di ‘praesepium’ ovvero recinto chiuso, mangiatoia. Si narra infatti  della umile nascita di Gesù, come riporta Luca, “in una mangiatoia perché non  c’era per essi posto nell’albergo” (Ev. 2,7). 
                           
                        In base a quanto riferisce lo  stesso Luca, Gesù nacque in una stalla, o comunque in un luogo destinato al  ricovero degli animali. Infatti il vocabolo Presepio deriva etimologicamente  dal verbo latino ‘praesepire’ per cui assume il significato odierno di  mangiatoia, greppia. Il termine pare comparso per la prima volta a proposito  della Basilica Mariana dell’Esquilino, Santa Maria Maggiore, chiamata sin dal  VII secolo “Sancta Maria ad praesepe”, in quanto in tale epoca, secondo la  tradizione, vi furono traslate le reliquie della Sacra Culla. 
                          Dalla voce  del basso latino “cripia” invece, traducibile egualmente come mangiatoia,  derivano i termini “crechè”, “crib”, “krippe”, “krubba”, che indicano il  Presepio rispettivamente nelle lingue francese, inglese, tedesco e svedese.  Allo stesso modo, in Polonia si parla di “szopka” e in Russia di “wertep”,  termini aventi sempre il significato di greppia.
                         
                          L’Enciclopedia  dello Spettacolo definisce il Presepio come la rappresentazione plastica,  tridimensionale della nascita di Gesù, realizzata con figure mobili spostabili  secondo il senso artistico del costruttore. Insomma il presepio è come un  teatro in quanto, analogamente a quest’ultimo, è teso a rendere attuale e reale  un avvenimento remoto nel tempo e nello spazio.
                         
                          Dal 1289,  anno in cui Arnolfo di Cambio (1240-1302), scolpì le sue statue per la Basilica  di Santa Maria Maggiore, quella che è considerata la prima rappresentazione del  Presepio, bisognerà attendere quasi tre secoli per avere notizie certe, fondate  su documenti probanti, circa l’esistenza di Presepi a Roma, e precisamente il  1581, quando il francescano spagnolo Juan Francisco Nuno, che aveva avuto  l’incarico di condurre una ricerca sui conventi romani, riferisce come il  Presepio venisse regolarmente allestito nei monasteri e nelle chiese e, come  soprattutto quello dell’Aracœli, richiamasse una gran folla di fedeli, con la  statua del Santo Bambino intagliata, secondo la tradizione, da un anonimo frate  francescano in un tronco di ulivo del Getsemani.
                         
                          Da allora,  come avvenne a Napoli, a Genova e in Sicilia, il Presepio dalle chiese si  diffuse alle case patrizie, con costruzioni artificiose e spettacolari il cui  fine, in obbedienza ai canoni estetici barocchi, era quello di meravigliare,  più che di edificare, e alla cui realizzazione parteciparono artisti eminenti  (Bernini ne allestì uno per il principe Barberini).
                         
                          Al ’700  appartengono il Presepio delle Clarisse di San Lorenzo, costituito da cinque  grandi statue, quelli di Santa Maria in Trastevere e delle Benedettine del  Monastero di Santa Cecilia.
                        
                            Più ricca  è la documentazione pervenutaci sull’Ottocento, quando l’uso di allestire il  Presepio si allarga a tutti i ceti sociali, con la produzione di statuine in  terracotta a basso costo, modellate da scultori mediocri e ricavate con stampi  dai “bucalettari” di Trastevere. È una curiosità che lo stesso Bartolomeo  Pinelli, “er pittor de Trastevere”, da ragazzo lavorò nella bottega del padre,  figurinaio, plasmando in  terracotta pupazzi da presepio.
                          
                           
                            Alcuni presepi vengono innalzati su portici di basiliche, su terrazze e  loggette, con una scenografia naturale e il cielo come sfondo. Fra questi, il  Presepio più visitato era quello che l’industriale Forti allestiva ogni anno in  Trastevere, con figure realizzate con una tecnica particolare: il tronco di  legno, testa ed arti di cartapesta, abiti di tela indurita con la colla e poi  colorata. 
                            
                           
                          A Napoli,  verso la metà del Cinquecento, con l’abbandono del simbolismo medioevale, nasce  il Presepio moderno. La tradizione ne attribuisce il merito a San Gaetano da  Thiene che, esaltato dal mistero della Natività, allestì nel 1534,  nell’oratorio di Santa Maria della Stalletta, presso l’Ospedale degli  Incurabili, un grande Presepio con figure lignee fisse, abbigliate secondo la  foggia del tempo. Su questa scia, nel corso del Cinquecento numerosi furono i  Presepi costruiti a Napoli in chiese e monasteri, ma bisognerà attendere il  secolo successivo per l’affermarsi del Presepio mobile a figure articolabili,  il cui primo esempio fu quello allestito dai padri Scolopi nel Natale del 1627. 
                                 
                            Infine, dal momento che la cartapesta, fin dalle sue origini, rappresenta  un’arte tipicamente leccese, molto diffusa perché i motivi e la lavorazione  erano e rimangono essenzialmente popolari e soprattutto di basso costo,  parliamo del Presepio leccese. La cartapesta è composta da carta ricavata da  stracci o da carta di giornale, pestata fino ad essere ridotta in poltiglia,  mescolata con colla di farina, e quindi bollita con acqua avvelenata, per  impedire la tarlatura: il composto così ottenuto viene poi disposto a strati,  il cui spessore varia a seconda delle dimensioni della figura. Le prime opere  in cartapesta vengono datate intorno al sedicesimo secolo, ma solo  nell’Ottocento si hanno dati certi che indicano il caposcuola nel “Maestro Pietro  dei Cristi”, soprannome attribuitogli perché era solito modellare immagini  sacre. 
                            
                          
                            
                          Per concludere una curiosità. In  Italia, a Dalmine, è presente il Museo del Presepio, conserva e valorizza una  collezione unica al mondo che ruota tutta attorno al tema della natività. Nato  dalla volontà di don Giacomo Piazzoli (1920-1988), un prete straordinario,  seriamente impegnato nel sociale, che ancora oggi, a oltre un trentennio dalla  scomparsa, è ricordato con affetto da tutti i suoi parrocchiani e soprattutto  dagli “Amici del Presepio”, un’associazione di volontari dotati di grande  cultura storico-artistica e religiosa che hanno continuato a svolgere il lavoro  iniziato dal fondatore portando questo museo ai massimi livelli internazionali.
                           
                           Il museo, sorto nel 1974, raccoglie 800 presepi provenienti da tutto il mondo,  è dotato di archivio, di biblioteca, di fototeca e di nastroteca che  documentano la storia, le tradizioni, i costumi, la musica, il folklore, le  immagini sacre, i francobolli e le cartoline riguardanti il Natale ed il  Presepio. Don Giacomo, appassionato ricercatore, approfondisce diversi aspetti  storici legati al presepio e ai suoi personaggi, con particolare predilezione  per gli studi sulla Terra Santa e avvia le prime ricerche sulle tradizioni del  presepio bergamasco. 
                           
                          Da sempre con l’obiettivo di una maggiore diffusione del  presepio, utilizzando tutti i metodi e tutti i canali possibili, Don Giacomo si  rivela negli anni un instancabile comunicatore del presepio, si approccia alla  radio e alla televisione, con numerose interviste, documentari e apparizioni  televisive fino alla partecipazione, nel 1980, alla celebre trasmissione Rai  “Portobello”, condotta da Enzo Tortora.
                           
                         
                         
                        
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                      “San  Nicola e i bambini” è stato un progetto artistico che la città di Bari, ha  portato avanti per alcuni anni in onore del suo Santo patrono, che è anche  protettore dei bambini. Progetto che ha raccolto una cospicua collezione  dedicata ai Santi delle tradizioni pugliesi. L’Amministrazione comunale intende  farne dono alla cittadinanza esponendoli in un museo dedicato ai piccoli  cittadini. Trattasi di una interpretazione iconografica contemporanea  dell’eterno fascino che il protettore dei bambini esercita da sempre in tutte  le latitudini. 
                           
                        Le mostre furono allestite con opere di Valeri Tarasov, Milvia Maglione, Luisa  Gambuti, Gennaro Picinni, Patrizia Elisa Pareo, Gioacchino Leonetti, del greco  Jannis Chalambalakis, dell’italiana e barese, Anna Maria Di Terlizzi e del  tarantino Nicola Vinci. Con Chalambalakis scopriamo come l’immediata pregnanza  dell’icona, che campeggia al centro dei due dipinti, debba fare i conti con un  universo segnico, assolutamente contemporaneo, il quale si contende  l’attenzione del fruitore. 
   
                        Anna Maria Di Terlizzi, scultrice e autrice di una vasta raccolta di Santi  della tradizione, propone San Nicola in trono, un’installazione che da sola è  capace di animare lo spazio intorno a sé. Il lavoro possiede - come scrive  Giusy Petruzzelli nella presentazione - una notevole dimensione ambientale per  l’imponenza del vescovo insediato, ma parlano soprattutto i simboli, dalla  mitria, alla stola, al pastorale, alle tre sfere, ai puttini. Un’opera  veramente bella che l’autrice, com’è solita fare, ricorre al suo colto  bricolage, tra oggetti della tradizione popolare.
                      Per  l’occasione il prof. Domenico D’Oria, assessore alle Politiche Educative e  docente universitario, scomparso nel 2019, e Padre Giovanni Distante O.P.,  attuale Rettore della Basilica di San Nicola, presentarono una nuovissima  edizione di un volume a fumetti edito da Éditions du Signe di Strasburgo, “San  Nicola tra Oriente e Occidente” di Thierry Wintzner e Vincent Wagner, opera  pubblicata in sette edizioni, italiana compresa, alla quale ultima ha  collaborato, tra gli altri, Nino Lavermicocca, mentre la traduzione è dello  stesso Domenico D’Oria.
                      
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                        IL PRESEPE TRA STORIA E CURIOSITA'
                         
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                      Il presepe o  presepio è quella rappresentazione della nascita di Gesù che si fa nelle chiese  e nelle case durante le feste natalizie e che riproduce scenicamente la  Natività e l’Adorazione dei Magi. La diffusione del presepio è dovuta ai  Francescani, ai Domenicani ed in seguito ai Gesuiti, da un’idea di San  Francesco dalla quale ebbe origine il famoso presepio di Greccio. 
                         
  Sono gli  evangelisti Luca e Matteo i primi a descrivere la Natività. Nei loro brani c’è  già tutta la sacra rappresentazione che a partire dal medioevo prenderà il nome  latino di ‘praesepium’ ovvero recinto chiuso, mangiatoia. Si narra infatti  della umile nascita di Gesù, come riporta Luca, “in una mangiatoia perché non  c’era per essi posto nell’albergo” (Ev. 2,7). 
                         
                        In base a quanto riferisce lo  stesso Luca, Gesù nacque in una stalla, o comunque in un luogo destinato al  ricovero degli animali. Infatti il vocabolo Presepio deriva etimologicamente  dal verbo latino ‘praesepire’ per cui assume il significato odierno di  mangiatoia, greppia. Il termine pare comparso per la prima volta a proposito  della Basilica Mariana dell’Esquilino, Santa Maria Maggiore, chiamata sin dal  VII secolo “Sancta Maria ad praesepe”, in quanto in tale epoca, secondo la  tradizione, vi furono traslate le reliquie della Sacra Culla. 
                          Dalla voce  del basso latino “cripia” invece, traducibile egualmente come mangiatoia,  derivano i termini “crechè”, “crib”, “krippe”, “krubba”, che indicano il  Presepio rispettivamente nelle lingue francese, inglese, tedesco e svedese.  Allo stesso modo, in Polonia si parla di “szopka” e in Russia di “wertep”,  termini aventi sempre il significato di greppia.
                         
                          L’Enciclopedia  dello Spettacolo definisce il Presepio come la rappresentazione plastica,  tridimensionale della nascita di Gesù, realizzata con figure mobili spostabili  secondo il senso artistico del costruttore. Insomma il presepio è come un  teatro in quanto, analogamente a quest’ultimo, è teso a rendere attuale e reale  un avvenimento remoto nel tempo e nello spazio.
                         
                          Dal 1289,  anno in cui Arnolfo di Cambio (1240-1302), scolpì le sue statue per la Basilica  di Santa Maria Maggiore, quella che è considerata la prima rappresentazione del  Presepio, bisognerà attendere quasi tre secoli per avere notizie certe, fondate  su documenti probanti, circa l’esistenza di Presepi a Roma, e precisamente il  1581, quando il francescano spagnolo Juan Francisco Nuno, che aveva avuto  l’incarico di condurre una ricerca sui conventi romani, riferisce come il  Presepio venisse regolarmente allestito nei monasteri e nelle chiese e, come  soprattutto quello dell’Aracœli, richiamasse una gran folla di fedeli, con la  statua del Santo Bambino intagliata, secondo la tradizione, da un anonimo frate  francescano in un tronco di ulivo del Getsemani.
                         
                          Da allora,  come avvenne a Napoli, a Genova e in Sicilia, il Presepio dalle chiese si  diffuse alle case patrizie, con costruzioni artificiose e spettacolari il cui  fine, in obbedienza ai canoni estetici barocchi, era quello di meravigliare,  più che di edificare, e alla cui realizzazione parteciparono artisti eminenti  (Bernini ne allestì uno per il principe Barberini).
                         
                          Al ’700  appartengono il Presepio delle Clarisse di San Lorenzo, costituito da cinque  grandi statue, quelli di Santa Maria in Trastevere e delle Benedettine del  Monastero di Santa Cecilia.
                        
                        Più ricca  è la documentazione pervenutaci sull’Ottocento, quando l’uso di allestire il  Presepio si allarga a tutti i ceti sociali, con la produzione di statuine in  terracotta a basso costo, modellate da scultori mediocri e ricavate con stampi  dai “bucalettari” di Trastevere. È una curiosità che lo stesso Bartolomeo  Pinelli, “er pittor de Trastevere”, da ragazzo lavorò nella bottega del padre,  figurinaio, plasmando in  terracotta pupazzi da presepio.
                        
                         
                          Alcuni presepi vengono innalzati su portici di basiliche, su terrazze e  loggette, con una scenografia naturale e il cielo come sfondo. Fra questi, il  Presepio più visitato era quello che l’industriale Forti allestiva ogni anno in  Trastevere, con figure realizzate con una tecnica particolare: il tronco di  legno, testa ed arti di cartapesta, abiti di tela indurita con la colla e poi  colorata. 
                          
                         
                        A Napoli,  verso la metà del Cinquecento, con l’abbandono del simbolismo medioevale, nasce  il Presepio moderno. La tradizione ne attribuisce il merito a San Gaetano da  Thiene che, esaltato dal mistero della Natività, allestì nel 1534,  nell’oratorio di Santa Maria della Stalletta, presso l’Ospedale degli  Incurabili, un grande Presepio con figure lignee fisse, abbigliate secondo la  foggia del tempo. Su questa scia, nel corso del Cinquecento numerosi furono i  Presepi costruiti a Napoli in chiese e monasteri, ma bisognerà attendere il  secolo successivo per l’affermarsi del Presepio mobile a figure articolabili,  il cui primo esempio fu quello allestito dai padri Scolopi nel Natale del 1627. 
                             
                            Infine, dal momento che la cartapesta, fin dalle sue origini, rappresenta  un’arte tipicamente leccese, molto diffusa perché i motivi e la lavorazione  erano e rimangono essenzialmente popolari e soprattutto di basso costo,  parliamo del Presepio leccese. La cartapesta è composta da carta ricavata da  stracci o da carta di giornale, pestata fino ad essere ridotta in poltiglia,  mescolata con colla di farina, e quindi bollita con acqua avvelenata, per  impedire la tarlatura: il composto così ottenuto viene poi disposto a strati,  il cui spessore varia a seconda delle dimensioni della figura. Le prime opere  in cartapesta vengono datate intorno al sedicesimo secolo, ma solo  nell’Ottocento si hanno dati certi che indicano il caposcuola nel “Maestro Pietro  dei Cristi”, soprannome attribuitogli perché era solito modellare immagini  sacre. 
                        
                        
                          
                        Per concludere una curiosità. In  Italia, a Dalmine, è presente il Museo del Presepio, conserva e valorizza una  collezione unica al mondo che ruota tutta attorno al tema della natività. Nato  dalla volontà di don Giacomo Piazzoli (1920-1988), un prete straordinario,  seriamente impegnato nel sociale, che ancora oggi, a oltre un trentennio dalla  scomparsa, è ricordato con affetto da tutti i suoi parrocchiani e soprattutto  dagli “Amici del Presepio”, un’associazione di volontari dotati di grande  cultura storico-artistica e religiosa che hanno continuato a svolgere il lavoro  iniziato dal fondatore portando questo museo ai massimi livelli internazionali.
                         
                         Il museo, sorto nel 1974, raccoglie 800 presepi provenienti da tutto il mondo,  è dotato di archivio, di biblioteca, di fototeca e di nastroteca che  documentano la storia, le tradizioni, i costumi, la musica, il folklore, le  immagini sacre, i francobolli e le cartoline riguardanti il Natale ed il  Presepio. Don Giacomo, appassionato ricercatore, approfondisce diversi aspetti  storici legati al presepio e ai suoi personaggi, con particolare predilezione  per gli studi sulla Terra Santa e avvia le prime ricerche sulle tradizioni del  presepio bergamasco. 
                         
                        Da sempre con l’obiettivo di una maggiore diffusione del  presepio, utilizzando tutti i metodi e tutti i canali possibili, Don Giacomo si  rivela negli anni un instancabile comunicatore del presepio, si approccia alla  radio e alla televisione, con numerose interviste, documentari e apparizioni  televisive fino alla partecipazione, nel 1980, alla celebre trasmissione Rai  “Portobello”, condotta da Enzo Tortora.
                         
                         
                         
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                        STORIE, STORIELLE, LEGGENDE E CURIOSITA' DI NATALE
                         
                        
                         
                        di VITTORIO  POLITO – | 
                     
                    
                      Vito  Maurogiovanni nel libro “Antico Natale” (Edipuglia), racconta che la notte del  24 dicembre un bambino fu rapito da briganti e non avendo ottenuto il riscatto  dalla famiglia lo dovevano uccidere. Mentre stavano per compiere l’orrendo  misfatto, una luce vivissima apparve nel cielo ed accecò gli assassini. Il  bambino si salvò e vide un altro bel Bambino che teneva la corona in capo, la  croce in mano ed il mondo nell’altra. Era Gesù. 
                             
                        Un’altra leggenda di Maurogiovanni “Gesù e l’usignolo”, ricorda la Madonna che  tentava di addormentare il dolce Figliuolo che invece continuava a frignare  come tutti i bambini del mondo. Quasi disperata pregò il Signore di consolare  il divino Infante che non aveva pace e che la metteva al limite della  cosiddetta santa pazienza. Fu in quel momento che entrò nella grotta un  usignolo il quale si mise a cantare con tanta soavità e con tale trasporto che  il Messia se ne andò in estasi e cadde in un sonno profondo e per non  disturbarlo l’usignolo non trillò più e uscì dalla capanna per annunciare a  tutti gli animali del mondo di tacere a lungo per non interrompere il sonno del  santo Fanciullo sceso sulla terra. 
   
                        Questi racconti ci portano al grande evento della Natività, festa della  cristianità e delle tradizioni popolari, che vengono da lontano. 
   
                      Qual è l’origine della natività? Pare nata nell’ottica di una importante festa  pagana, la celebrazione del ‘Sol invictus’, dio del Sole e signore dei pianeti.  Il Messia veniva spesso descritto come ‘Sole di giustizia’ e lo stesso Vangelo  ne parla, a volte, paragonandolo al Sole. Ecco la preferenza per il 25  dicembre, data, anche se probabilmente non esatta, scelta per la necessità di  contrapporre una festa cristiana ad una pagana nel momento in cui si diffondeva  una nuova religione, il Cristianesimo.
                      
                      In Palestina  ed a Gerusalemme, invece, fino al V secolo era comunque l’Epifania ad essere  festeggiata in memoria della nascita di Cristo. Storici famosi come Clemente  Alessandrino propendevano per il 6 o il 10 gennaio, altri addirittura per il 25  marzo. Nell’antica Roma, dal 17 al 24 dicembre, si festeggiavano i Saturnali in  onore di Saturno, dio dell’agricoltura, un periodo in cui si viveva in pace, si  scambiavano doni, venivano abbandonate le divisioni sociali e si facevano  sontuosi banchetti. 
                           
                          Nel 274 d.C. l’Imperatore Aureliano decise che il 25 dicembre si festeggiasse  il Sole, da cui nasce la tradizione del ceppo natalizio, ceppo che nelle case  doveva bruciare per 12 giorni consecutivi e doveva essere preferibilmente di  quercia, un legno propiziatorio. Il ceppo natalizio nei nostri giorni si è  trasformato nelle luci e nelle candele che oggi addobbano case, alberi, e  strade. Ai giorni nostri il Natale deriva da tradizioni borghesi del secolo  scorso, con simboli e usanze sia di origine pagana che cristiana. Negli anni  recenti, il Natale, festa prettamente cristiana, è diventata occasione per una  corsa al consumismo, un festeggiamento frenetico, sostituendosi da un clima di  celebrazione e di riflessione, a una gara commerciale, facendo intervenire  spesso la Chiesa a promuovere con incisione il significato religioso. 
                           
                          L’Epifania, una delle principali feste cristiane, la cui celebrazione ricorre  il 6 gennaio, nata in oriente per commemorare il battesimo di Gesù, fu presto  introdotta in occidente dove assunse contenuti religiosi diversi, come la  celebrazione delle nozze di Cana e il ricordo dell’offerta dei doni dei Magi  nella grotta di Betlemme. Quest’ultimo aspetto sovrapponendosi a precedenti  tradizioni folcloriche, ha determinato la nascita della figura della Befana che  distribuisce doni. 
                           
                        I Magi, che non erano maghi, ma astronomi e sacerdoti, guidati da una stella,  arrivarono dall’Oriente per rendere omaggio a Gesù appena nato a Betlemme,  donandogli oro, incenso e mirra. Successivamente vengono indicati come “re” e  il loro numero viene fissato a tre, con i nomi di Gaspare, Melchiorre e  Baldassarre. Questa festa, che dà un supplemento di regali ai bambini, pone  termine al ciclo di festeggiamenti dedicato al Santo Natale.
                       
                         
                           
                      
                      Natale,  notte d’amore e di speranza, una delle ricorrenze più importanti dell’anno,  riporta alla nostra mente il gran numero di persone che vivono in povertà e  solitudine. Per loro non esistono feste, tradizioni, scambio di doni, luci, ma  solo miseria. Eppure c’è qualcuno che si accontenta del lumicino della candela  per accendere tutte le luci del Natale. 
                           
                          Una decina di anni fa mi capitò di ascoltare, per la prima volta, durante la  Santa Messa di Natale, la declamazione da parte del celebrante, di una poesia,  non in italiano o latino, ma in dialetto barese. Una testimonianza che il  dialetto, la lingua dei nostri padri, si rivela utile anche per trasmettere  messaggi d’amore e di speranza. E, a proposito di dialetto, mi piace ricordare  quanto scrive Anna Maria Tripputi, già docente di Storia delle Tradizioni  popolari presso la Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Bari,  nella presentazione del libro “Natale a Bari”, di Celeste e Vito Maurogiovanni  (Paolo Malagrinò Editore), citando Mario Sansone (1900-1966), docente di  letteratura: “Il dialetto è la lingua che i Romani avrebbero parlato se fossero  sopravvissuti fino ad oggi. E non è un caso che alcuni dialetti, come il sardo,  siano annoverati tra le lingue nazionali. Come non è un caso che nei momenti  cruciali della vita, nel dolore, nella rabbia o nella paura affiorino  improvvisamente nell’ancestrale memoria le parole del dialetto lingua-madre”. 
                          A seguire la  poesia di autore sconosciuto, di cui sopra, che voleva essere un messaggio di  augurio della Commissione Cultura e Comunicazione del Santuario di Sant’Antonio  di Bari, per confermare che basta un po’ d’amore e il lume di una candela per  accendere tutte le luci di Natale! 
                          
                       
                      NATALE 
                           
                          Jind’a chessa vescigghie 
                          chiène de lusce inudele, capetone 
                        augurie e tanda iose 
                        ji me ne sò sciute 
                        jind’a na chièssie, sò state citte citte 
                        sò acchiedute l’ecchie e sò sendute 
                        la vosce du Natale: 
«Uaggnune – me dèceve – addò sciate? 
non avìte angore accapesciute c’avaste 
nu picche d’amore, picche quand’a la lusce 
de na cannèle, p’appeccià tutte le 
lusce de stasère?» 
                        ---------------------------------- 
                      I versi sono stati rivisti dallo scrivente, per dare una forma più conveniente  sotto il profilo della scrittura del dialetto. | 
                     
                   
                    
                   
                  
                    
                       
                      
                       
                         
                       
                      IL PRESEPE, UNA TRADIZIONE MILLENARIA
                       
                       
                      
                       
                      di VITTORIO  POLITO –  | 
                     
                    
                      
                        Secondo  l’evangelista Luca, Gesù nacque in una stalla o in luogo di ricovero per  animali e il termine “Presepio” deriva etimologicamente dal verbo latino  “praesepire” (recingere con siepe), assumendo poi il significato odierno di  mangiatoia o greppia. 
                             
                          Il Presepe, com’è noto, è apparso per la prima volta a Greccio nella notte del  Natale 1223, ad opera di San Francesco d’Assisi, in uno scenario naturale e con  personaggi reali, tutti coinvolti nella rievocazione del sacro evento. 
   
                          Il 29 novembre di quell’anno, papa Onorio III, con la bolla “Solet annuere”,  approvò definitivamente la Regola dei frati Minori. Nelle settimane successive  Francesco d’Assisi si avviò verso l’eremo di Greccio dove espresse il suo  desiderio di celebrare in quel luogo il Natale. 
   
                          Nella notte di Natale a Greccio non c’erano né statue e neppure raffigurazioni,  ma unicamente una celebrazione eucaristica sopra una mangiatoia, tra il bue e  l’asinello. Solo più tardi tale avvenimento ispirò la rappresentazione della  Natività mediante immagini, ossia il presepio in senso moderno. 
   
                          A Bari, attraverso l’archivio della Basilica di San Nicola, che rappresenta una  fonte inesauribile di informazioni e documentazioni relative a storia,  tradizioni e folklore baresi, dal momento che da nove secoli registra ogni  avvenimento cittadino e presso il quale vi sono informazioni di ogni tipo, sono  presenti anche quelle sulla usanza del presepio. A sostenere quanto sopra è  Vito Antonio Melchiorre (1922-2010) nel suo capitolo «Presepi e riti natalizi  baresi nella Basilica di San Nicola» del volume “Antico Natale” (Edipuglia),  che insieme a Giorgio Otranto, Nino Lavermicocca (1942-2014), Vito  Maurogiovanni (1924-2009) e Anna Maria Tripputi dissertano sul fascino discreto  del Presepe.
                        
                        Melchiorre  ricorda che fu Papa Liberio (352-366) a iniziare in Italia la consuetudine del  presepio dedicando alla Natività l’attuale Basilica di Santa Maria Maggiore di  Roma. La simpatica usanza incontrò largo consenso e si divulgò ovunque. 
                             
                          A Bari la più antica testimonianza di un presepio risale al 1487, ubicato nella  Basilica di San Nicola e precisamente nella cripta ove è oggi l’altare dei  Santi Cirillo e Metodio. 
   
                          Lo stesso archivio nicolaiano, scrive Melchiorre, riporta anche i riti natalizi  che si svolgevano in Basilica. Nella Notte Santa i canonici facevano riscaldare  l’ambiente con grandi bracieri utilizzando grandi quantitativi di carbone.  Altra tradizione era quella di far accompagnare le funzioni con fragorosi spari  di mortaretti e di far eseguire particolari musiche da parte di rinomati  professori d’orchestra e di cantanti famosi nelle varie ricorrenze (traslazione  e morte di San Nicola, Settimana Santa, Corpus Domini, Sant’Antonio Abate,  Natale, ecc.). 
   
                          Nella ricorrenza del Natale, molti atti di solidarietà e di carità cristiana  venivano compiuti dagli amministratori dell’Ospizio a favore del gran numero di  pellegrini che affluivano a Bari da ogni parte d’Europa per venerare la tomba  di San Nicola. I documenti dell’Ospizio dimostrano con dovizia di particolari  quali vivande venivano servite ai poveri in occasione del pranzo di Natale. In  quello del 1751 si legge che ai poveri furono dispensati: 14 caraffe di vino  vecchio e sei di vino nuovo, pane di semola, salsiccia, fegato, carne di  agnello per antipasto, minestra di verdura, bollito di carne, carne arrosto,  maccheroni, uova (usate come ingredienti) e dolce. Agli stessi poveri furono  donati anche dodici carlini d’argento.
                         
                         
                        
                         
                         
                        Vent’anni  dopo, i buoni canonici di San Nicola, forse a causa della diminuzione degli  introiti, il pranzo per i poveri fu così composto: pane di semola, una quartara  di vino, fegato di maiale, cervellata, trippa, minestra verde, carne di vitello  bollita, filetto di maiale arrosto, maccheroni, carne di vitello a ragù,  finocchi e cardoni, uova per accompagnare la trippa. 
                           
                          L’usanza del pranzo natalizio fu mantenuta per tutta la durata del Settecento e  per diversi decenni dell’Ottocento, ma il pasto col passare degli anni diventò  sempre più magro, così come dimostrano le scritture contabili del tempo. 
                           
                          Nel volume citato, Rosa Maria Manzionna nel suo capitolo “Leggere il presepio”  ci dà una mano a capire il presepio. Il tema stesso è in rapporto di  connessione con la rappresentazione dei Misteri medievali, mentre il paesaggio  rinvia alla tradizione dell’opera lirica tra fine Ottocento e primo Novecento  con i suoi anfratti, dirupi, greggi e pastori che fanno da sfondo alle scene  della Natività, dell’Annuncio, della Taverna con intorno una serie di figure  come l’acquaiolo, l’arrotino, il fabbro, lo scrivano e tutti quei personaggi  che si collegano all’iconografia secentesca che trovano riscontri nella  drammatica “popolare” e popolareggiante fino a risalire al teatro delle  maschere, alla commedia dell’arte. Vi sono infatti presepi da chiesa, da museo,  delle nostre nonne, conservati in polverose campane di
                          vetro o in riposti locali contadini. I più belli sono  forse quelli settecenteschi con le figure policrome, vivaci e gesticolanti. 
                             
                          Insomma, non c’è Natale senza presepio piccolo o grande che sia con poche o  numerose figure. «Un Natale per ogni uomo – scriveva il giornalista Michele  Campione (1928-2003) - ognuno con il suo Natale a tessere la trama dei giorni,  degli anni, lieti, tristi, drammatici, felici come l’estatico incantamento dei  pastori nella Notte Santa di Betlemme sotto la gran luce della cometa». 
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                        Natale, festa prettamente cristiana, è diventata negli  ultimi anni, occasione per una corsa al consumismo, un festeggiamento  frenetico, sostituendosi da un clima di celebrazione e di riflessione a una  gara commerciale, facendo intervenire spesso la Chiesa a promuovere con  incisione il significato religioso. 
                               
                          I simboli di Natale sono numerosi ma il più importante e significativo è  rappresentato dal Presepe. Nel medioevo prese il nome latino di ‘praesepium’  che significa recinto chiuso o mangiatoia, quella mangiatoia che vide nascere Gesù. 
                           
                          Il simbolismo biblico del bue e dell’asino, sul piano umano rimanda a virtù  come umiltà, pazienza, capacità di portare pesi, non di servire in guerra, per  quanto riguarda l’asino, mentre il bue esprime fecondità, forza, lavoro  costruttivo, fedeltà al padrone. Sul piano teologico i due animali mostrano la  continuità tra Antico e Nuovo Testamento, tra figura e realtà, tra profezia e  compimento. Mentre i re Magi, il cui numero di tre è fissato da San Leone Magno  (gli Evangelisti, quando li citano, non dicono quanti sono), rappresentano le  tre età dell’uomo (gioventù, maturità e vecchiaia) e le tre razze in cui si  divide l’umanità: semitica (dal nome Sem, figlio di Noè, che secondo la  tradizione biblica, sarebbe stato il progenitore dei popoli orientali), camitica  (da Cam, figlio di Noè che ha generato i popoli africani nord-orientali), e  giapetica (da Giapeto uno dei titani della mitologia greca che ha generato i  popoli occidentali). I loro nomi - Gaspare, Melchiorre e Baldassarre - sono  mutuati dal vangelo apocrifo armeno e ormai sono accettati anche dalla  tradizione occidentale. I doni dei Magi, invece, sono interpretati in  riferimento alla duplice natura di Gesù: l’incenso per la sua Divinità, la  mirra per la sua umanità, l’oro perché era un dono riservato ai re. 
                           
                          Gli angeli rappresentano gli esempi di creature superiori, i pastori l’umanità  da redimere e infine Maria e Giuseppe, in atteggiamento di adorazione,  sottolineano la regalità dell’infante.
                        
                         
                        Il Presepe, ideato da San Francesco nel 1223 a  Greccio, e che Giotto ha dipinto nell’affresco della Basilica Superiore di  Assisi, è essenzialmente la rievocazione del Mistero dell’Incarnazione del  Verbo. Nell’attesa del Natale in famiglia, si può puntare lo sguardo interiore  a Betlemme per vivere con gioia l’attesa di Gesù. 
                               
                          Il vischio, pianta natalizia per eccellenza, ne parlava anche Virgilio  nell’Eneide, era considerata pianta divina e miracolosa, tanto che la potevano  raccogliere, utilizzando un falcetto d’oro solo i sacerdoti. 
                           
                          L’agrifoglio e il pungitopo, considerati portatrici di fortuna, sono piante  caratterizzate dalla presenza di foglie dure e spine, simbolo di forza e  prevenzione contro i mali, ma secondo la leggenda le foglie spinose ricordano  le spine della corona di Gesù. Le bacche rosse simboleggiano il Natale, ma  ricordano anche il rosso del sangue. 
                           
                          Il cero natalizio rappresenta la luce, infatti nella notte di Natale arriva la  luce tra gli uomini, l’avvento del Bambino Gesù. 
                           
                          La stella di Natale, secondo la tradizione, è stato il regalo di un bimbo a  Gesù. In un lontano 25 dicembre un bambino povero entrò in Chiesa per offrire  un dono al Signore, ma era talmente povero che offrì solo un mazzo di erbacce,  ma su quei rametti cadde una lacrima del Bimbo che, per miracolo, si trasformò  in uno splendido fiore rosso: la stella di Natale.
                        
                         
                        Anche il  gioco della Tombola pare avesse origini antiche. Durante i Saturnali che  precedevano il solstizio d’inverno, nell’antica Roma, si concedeva il gioco  d’azzardo, proibito nel resto dell’anno. Il gioco era quindi strettamente  connesso con la funzione rinnovatrice di Saturno, quindi la buona sorte del  giocatore non era dovuta al caso, ma al volere della divinità. 
                               
                          Le sfere colorate che appendiamo all’albero pare rappresentino le risate di  Gesù bambino. Infatti, un giocoliere che non aveva nulla da portare a Gesù si  presentò ugualmente a mani vuote, ma volle offrire quello che meglio sapeva  fare, facendo ridere Gesù Bambino, e da quel giorno si dice che le palline  colorate da noi utilizzate rappresentano le risate del piccolo Gesù. 
                           
                          Le campane di Natale ricordano la leggenda di un bambino cieco desideroso di  andare a far visita a Gesù e non avendo alcun riferimento visivo sentì da  lontano il suono di una campana. Pensò si trattasse di una mucca che si trovava  nella stalle del sacro neonato e seguendo quel suono, arrivò fino alla  mangiatoia dove si trovava il piccolo Re. 
                           
                          L’Albero di Natale, inserito nel contesto religioso delle festività, è segno di  pace e speranza. Si diffuse nell’Europa del Nord verso il secolo XI, ma una  documentazione certa ne dà la nascita in Alsazia nel 1512. L’abete simboleggia  la figura di Gesù, che rinforza e rinsalda la comunione tra Dio e l’uomo. 
                          
                         
                        Buon Natale!
                         
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                         L’Epifania, com’è noto, è una delle principali feste  cristiane la cui celebrazione cade il 6 gennaio per commemorare il battesimo di  Gesù. L’evento, introdotto in occidente dove assunse contenuti religiosi  diversi, come la celebrazione delle nozze di Cana e il ricordo dell’offerta dei  doni dei Magi nella grotta di Betlemme, ha sostituito precedenti tradizioni  folcloriche, introducendo la figura della Befana che distribuisce doni. 
                           
                          I Magi, che contraddistinguono  l’evento, erano personaggi che guidati da una stella, arrivavano dall’Oriente  per rendere omaggio a Gesù, appena nato, per donargli oro, incenso e mirra.  Successivamente verranno indicati come “re” e il loro numero venne fissato a  tre, con i nomi di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Questa festa, che dà un  supplemento di regali ai bambini, pone termine al ciclo di festeggiamenti  dedicato al Santo Natale. 
                           
                        Non si sa come mai la celebrazione dei tre avvenimenti accadesse lo stesso  giorno. In maniera del tutto arbitraria fu stabilito che essi fossero accaduti  in uno stesso giorno in differenti epoche. I Greci chiamano l’Epifania,  Teofania, cioè apparizione di Dio, e la celebrarono insieme a quella del  Natale, almeno per i primi tre secoli. Nel IV secolo, invece, sotto Giulio I,  queste due feste furono separate nella Chiesa Latina e tale separazione fu  adottata al principio del V secolo nelle Chiese di Siria e di Alessandria. 
                        
                      La sua origine si perde nella notte dei tempi,  discende da tradizioni magiche precristiane e, nella cultura popolare, si fonde  con elementi folcloristici e cristiani: la Befana porta i doni in ricordo di  quelli offerti a Gesù Bambino dai Magi. 
                           
                          L’iconografia della Befana è più o meno fissa: un gonnellone scuro ed ampio, un  grembiule con le tasche, uno scialle, un fazzoletto o un cappellaccio in testa,  un paio di ciabatte consunte, il tutto vivacizzato da numerose toppe colorate a  cavallo della classica scopa. 
                           
                          Una leggenda narra che un giorno i Re Magi partirono carichi di doni (oro,  incenso e mirra) per Gesù Bambino. Attraversarono molti paesi guidati da una  stella, e in ogni luogo in cui passavano, gli abitanti accorrevano per conoscerli e unirsi a loro. Ci fu solamente  una vecchietta che in un primo tempo voleva andare, ma all’ultimo minuto cambiò  idea, rinunciando a seguirli. Il giorno dopo, pentita, cercò di raggiungere i  Re Magi, che, però erano già lontani. Per questo la vecchina non vide Gesù  Bambino, né quella volta, né mai. Da allora, nella notte fra il 5 e il 6  Gennaio, volando su una scopa con un sacco sulle spalle, passa per le case a  portare, ai bambini buoni, i doni che non dette a Gesù. 
                           
                        Alcuni studiosi delle tradizioni etnico-popolari, fanno notare come la Befana,  al contrario di Gesù Bambino e Santa Lucia, conservi anche un tratto ambiguo,  quasi da strega. Come tutte le tradizioni, anche la Befana si può analizzare  con le tecniche storico-archeologiche, cercando di scavare gli strati delle  varie epoche per arrivare alle tracce di quelle più antiche. La curiosa  portatrice di doni, potrebbe avere una qualche parentela con la “vecchia” che  si brucia in piazza per festeggiare la fine dell’anno: un simbolo della  ciclicità del tempo che continuamente finisce e ricomincia. 
                      
                      La tradizione della “vecchia” non è  diffusa solo nelle zone in cui la Befana distribuisce i suoi doni, ma è  presente nel nord Italia. È infatti una tradizione dei popoli celtici che erano  insediati in tutta la pianura padana e in parte sulle Alpi. I Celti celebravano  strani riti (officiati da maghi-sacerdoti chiamati druidi), durante i quali  grandi fantocci di vimini venivano dati alle fiamme per onorare divinità  misteriose. Divinità che non dovevano essere molto benigne, se è vero quanto  riportano alcune fonti: in epoche antiche, all’interno dei fantocci si legavano  vittime sacrificali, animali e, talvolta, prigionieri di guerra. 
                           
                          Dalle nostre parti la tradizione vuole che nella notte tra il 5 e il 6 gennaio,  i ragazzi lasciavano in cucina o sull’uscio di casa una parte del loro pasto  serale o altre cose insieme alla classica calza, che allora era un normale  calzino, che non ha nulla a che vedere con quella odierna. Quella della Befana  era una notte di paura e di raccoglimento e tutti i bambini andavano (e vanno)  a letto presto per consentire alla Befana di non trovare ostacoli durante il  suo passaggio. 
                           
                        Man mano che gli anni passano ed i piccoli diventano adulti, si dimenticano  della simpatica vecchina e dei suoi doni, e così i sogni della Befana  svaniscono rimanendo solo un piacevole ricordo. 
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                        In ogni presepio del mondo, sopra la grotta che ospita  la Sacra Famiglia, o sulla punta dell’albero addobbato per la festa, trova  posto da tempo immemorabile una splendente “stella cometa”. Si tratta di una  locuzione popolare impropria che gli astronomi chiamano semplicemente “cometa”,  ossia astro chiomato. Infatti il vocabolario Treccani così la definisce: «Corpo  celeste gravitante intorno al Sole, per lo più su orbite molto eccentriche,  composto, tipicamente, di un nucleo circondato da un alone (chioma) e da una  coda allungata». 
                           
  La tradizione vuole che i Re Magi fossero stati  guidati nel luogo dove nacque Gesù proprio da una luminosa cometa, divino  messaggero del glorioso evento. Ma quanto c’è di verificabile, dal punto di  vista astronomico, in questa affascinante rappresentazione? La stella dei Magi  è esistita davvero? Da oltre un secolo si sa che si tratta di un corpo del  sistema solare fatto in gran parte di ghiaccio, quindi proprio il contrario di  una stella. La trasformazione di questa stella in cometa risale addirittura al  1301 e il merito va a Giotto. Egli infatti osservò personalmente in quel  periodo una fantastica apparizione della cometa di Halley e, comprensibilmente,  non resistette all’idea di disegnare la grande cometa sulla scena della  natività nella Cappella degli Scrovegni a Padova. 
                           
                          I progressi odierni della scienza permettono, grazie a computer con programmi  di calcolo sempre più potenti ed all’affinamento dell’indagine storiografica ed  archeologica, di ricostruire con grande precisione il cielo notturno osservato  dai nostri progenitori e di dare un contributo decisivo alla risoluzione di un  “caso” affascinante ed assai complicato. 
                           
                          L’interesse degli astronomi per la stella di Betlemme è sempre stato vivo e non  accenna a diminuire: dopo duemila anni si susseguono ancora interpretazioni e  studi al riguardo. Superata, come è giusto che sia, la volontà di far  corrispondere fatti ed eventi scientificamente provati ai riferimenti degli  Evangelisti. 
                           
                          I Magi, che secondo il Vangelo armeno erano tre fratelli: Melkon, che regnava sui  Persiani, Balthasar, che regnava sugli Indiani e il terzo, Gaspar, che  possedeva il paese degli Arabi, appartenevano originariamente ad una delle  tribù in cui era diviso il popolo dei Medi. Essi costituivano la classe  sacerdotale. Infatti, in Persia (oggi Iran), dove vivevano, il loro nome  assunse il significato generico di sacerdoti. 
                        I Magi esercitavano una professione che oggi  definiremmo astrologia. Alla corte di Babilonia essi interpretavano i segni  celesti, osservando i moti delle stelle e dei pianeti, traendone auspici sia  favorevoli che negativi. La “stella” che essi videro era uno di quei segnali  con i quali presso i pagani la divinità rendeva noti i propri disegni. Alcuni  testi arabi collegano i Magi alla religione iranica e a Zoroastro (o Zarathustra),  “fondatore della dottrina del magismo”, al quale veniva attribuita tra le altre  cose anche la profezia della nascita di Cristo. 
                         
                         
                         
                          Oggi sorridiamo del fatto che gli astri possono avere un’influenza prevedibile  sul nostro agire quotidiano, o che tanto meno, permettano di predire eventi  futuri. L’astrologia ha perso ogni fondamento e scientificità, anche presunta, con  l’avvento del metodo scientifico del 16° secolo. Non dobbiamo dimenticare,  tuttavia, che astronomia e astrologia hanno proceduto di pari passo per secoli,  la prima al servizio della seconda. Fu a causa della creduta influenza dei  corpi celesti sul destino dell’uomo che i sapienti dell’epoca affinarono la  propria conoscenza sull’astronomia posizionale. 
   
                          I Vangeli sono una fonte privilegiata per inquadrare con una certa precisione  la “stella” che videro i Magi. Dal Vangelo di Matteo proviene un’utile informazione:  il fenomeno astronomico osservato dai Magi fu si importante ma non certo  eclatante, ossia perfettamente evidente a chiunque. In caso contrario anche  Erode ne sarebbe stato a conoscenza e non avrebbe dovuto chiedere informazioni  dettagliate. Da perfetti conoscitori della volta celeste, quali erano i Magi,  sicuramente si resero conto che ciò che videro, nel loro lungo viaggio da  Babilonia a Betlemme, era qualcosa di importante per la propria esperienza di  studiosi del cielo, anche se poi, a livello popolare, poteva passare del tutto  inosservato. Ecco dunque perché furono i Magi a notare “la stella” e non altri:  solo loro erano in grado, come esperti osservatori delle stelle, di apprezzarne  la particolarità. 
   
  È possibile che in futuro emergano nuovi elementi archeologici o storiografici  risalenti ai primi anni della cristianità: essi potranno così dar peso ad  un’interpretazione piuttosto che ad un’altra. 
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                        IL PRESEPE E LA NATIVITA' TRA ORIENTE, OCCIDENTE E PUGLIA 
                           
                        Pubblicato il dicembre 22, 2017 
                        
                         Il presepe (o presepio) è quella rappresentazione  della nascita di Gesù che si fa nelle chiese, nelle case o sui sagrati durante  le feste natalizie e che riproduce scenicamente la Natività e l’Adorazione dei  Magi. 
                             
                          Il termine, dalla voce del basso  latino “cripia”, è traducibile egualmente come mangiatoia, da cui derivano i  termini “crechè”, “crib”, “krippe”, “krubba”, “pesebre”, “kerststal”  “presépio”, che indicano il Presepio rispettivamente nelle lingue francese,  inglese, tedesco, svedese, spagnolo, olandese e portoghese. Allo stesso modo,  in Polonia si parla di “szopka” e in Russia di “wertep”, termini aventi sempre  il significato di greppia. 
   
                          L’Enciclopedia dello Spettacolo definisce il Presepio come la rappresentazione  plastica, tridimensionale della nascita di Gesù, realizzata con figure mobili  spostabili secondo il senso artistico del costruttore. Insomma il presepio è  come un teatro in quanto, analogamente a quest’ultimo, è teso a rendere attuale  e reale un avvenimento remoto nel tempo e nello spazio. 
   
                          Non si può parlare di presepi senza fare riferimento ad una data, il Natale del  1223, quando San Francesco d’Assisi ebbe per primo l’idea di realizzarlo a  Greccio (Rieti). San Francesco con l’intento di ricreare la mistica atmosfera  del Natale di Betlemme e per vedere con i propri occhi dove nacque Gesù, con  l’aiuto della popolazione del luogo, approntò, con l’autorizzazione di Papa  Onorio III, il primo presepe vivente del mondo. Se il miracolo francescano può  essere considerato un passaggio rinforzante nella tradizione giunta fino a noi,  di fatto il presepio non ha una precisa “data di nascita”, in quanto si è  formato nei secoli attraverso usi e forme diverse, nella pittura e nella  scultura delle chiese, nelle sacre raffigurazioni. 
   
                          Per aver notizie certe, fondate su documenti probanti circa l’esistenza di  Presepi a Roma, bisognerà attendere quasi tre secoli e precisamente il 1581,  quando il francescano spagnolo Juan Francisco Nuno, che aveva avuto l’incarico  di condurre una ricerca sui conventi romani, riferisce come il Presepio venisse  regolarmente allestito nei monasteri e nelle chiese e, come soprattutto quello  dell’Aracœli, richiamasse una gran folla di fedeli, con la statua del Santo  Bambino intagliata, secondo la tradizione, da un anonimo frate francescano, in  un tronco di ulivo del Getsemani. 
                          La prima aria di Natale si avverte il giorno di San  Nicola quando la mattina, molto presto, i fedeli si recano ad ascoltare la  Santa Messa in Basilica, ed in chiesa si suonava la “ninna nanna”. Gli  zampognari, provenienti dall’Abruzzo e dal Molise, eseguivano per le strade  note nenie natalizie creando un clima di tenerezza che esaltava i valori  autentici della famiglia, oltre che per strappare qualche spicciolo ai  passanti. 
                          Sono gli evangelisti Luca e Matteo per primi a  descrivere la Natività. Nei loro brani c’è già tutta la sacra rappresentazione  che a partire dal medioevo prenderà il nome latino di ‘praesepium’, ovvero  recinto chiuso, greppia, mangiatoia. Luca nel suo vangelo riporta che Gesù è  nato «in una mangiatoia perché non c’era per essi posto nell’albergo». 
                        
                         
                          Sono gli evangelisti Luca e Matteo per primi a descrivere la Natività. Nei loro  brani c’è già tutta la sacra rappresentazione che a partire dal medioevo  prenderà il nome latino di ‘praesepium’, ovvero recinto chiuso, greppia,  mangiatoia. Luca nel suo vangelo riporta che Gesù è nato «in una mangiatoia  perché non c’era per essi posto nell’albergo». 
                          E in Puglia quando è nato il Presepe? Le più antiche  testimonianze risalgono alla seconda metà del Quattrocento, come ricorda Clara  Gelao nel volume “Il Presepe Pugliese - Arte e Folklore” (Adda Editore), mentre  un notevole sviluppo si ebbe nel Cinquecento. Ma quello che è rimasto è solo  una parte di quello che testimonianze storiche, orali e documentarie  dimostrano. Si sa che nella Cattedrale di Cerignola esisteva un presepe che  servì da modello per quello di Matera, distrutto poi nel Settecento, e così  pure nella chiesa di Sant’Andrea a Barletta e in quella di Santa Maria dei  Martiri a Molfetta. 
   
                          Nel secolo XVI pare che la scultura presepiale in pietra raggiunge la massima  affermazione a cui segue un lento declino per riprendersi in seguito, con forme  differenti e con l’influenza dei presepi napoletani in cartapesta o terracotta.  Grottaglie, Polignano a Mare e Martina Franca conservano importanti presepi  realizzati da Stefano Putignano, lo scultore più fortemente plastico. 
   
                          Un raffinato presepe può considerarsi quello esistente nella Cattedrale di  Lecce, mentre il più antico presepe presente nel territorio regionale è quello  conservato nella Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina in provincia  di Lecce. 
                        
                        Esclusivamente leccese è anche  l’arte autenticamente popolare della cartapesta. La cartapesta è composta da  carta ricavata da stracci senza cellulosa, ridotta in poltiglia e mescolata con  colla di farina e quindi bollita in acqua con aggiunta di sostanze insetticide  per impedirne la tarlatura. La sostanza così ottenuta viene disposta a strati,  quindi modellata unicamente a mano e perfezionata con ferri roventi, una fase  chiamata ‘fuocheggiatura’. La statua realizzata viene fatta essiccare e quindi  dipinta. 
                             
                          Alla fine del secolo XVI erano i barbieri che, per incrementare i loro scarsi  guadagni, lavoravano la cartapesta, così ogni bottega di barbiere diventava laboratorio  di statuine che venivano poi vendute alla Fiera dei Pupi e dei Pastori, fiera  che si svolge a Lecce ancora oggi nel giorno di Santa Lucia. 
   
                          Bianca Tragni, coautrice del volume sopra citato, scrive che la tradizione  presepiale pugliese impallidisce di fronte alla grande tradizione folklorica  del Salento e di Lecce. «Il presepe - scrive sempre Bianca Tragni - è più che  un rito o un abitudine: è una passione inestinguibile, un amore sconfinato, un  tarlo roditore, un virus contagioso, un gene in più di questa razza speciale di  meridionali di razza che sono i leccesi». 
   
                          Mariagraziella Belloli, nel simpatico tascabile della Stilo Editrice “Il  Presepe tra Oriente e Occidente”, scrive che il Presepe fra Oriente e  Occidente, è una tradizione che con quella di San Nicola è certamente la più  emozionante e commovente. È il caso di ricordare che Gesù è nato al centro del  Vicino Oriente sotto la dominazione dell’Impero romano d’Occidente e si  ipotizza che la visita dei Magi, provenienti dal lontano Oriente, abbiano  contribuito a legare in maniera indissolubile i due mondi. 
   
                          In sostanza il Presepe e la Natività inducono stupore e meraviglia e inducono  ad un antico atto di fede che giunge al cuore con un messaggio di pace e amore. 
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                        Natale,  notte d’amore e di speranza, una delle ricorrenze più importanti dell’anno,  riporta alla nostra mente il gran numero di persone che vivono in povertà e  solitudine. Per loro non esistono feste, tradizioni, scambio di doni, luci, ma  solo miseria. Eppure c’è qualcuno che si accontenta del lumicino della candela  per accendere tutte le luci del Natale. 
                           
                          Una decina di anni fa, per la prima volta mi capitò di ascoltare, durante la  Santa Messa di Natale, la declamazione del celebrante, di una poesia, non in  italiano o latino, ma in dialetto barese. Ulteriore testimonianza che il  dialetto, la lingua dei nostri padri, si rivela utile anche per trasmettere  messaggi d’amore e di speranza. 
                           
                          Anna Maria Tripputi, nella presentazione del libro “Natale a Bari”, di Celeste  e Vito Maurogiovanni (Paolo Malagrinò Editore), scriveva che, secondo Mario  Sansone (1900-1966), docente di letteratura, “Il dialetto è la lingua che i  Romani avrebbero parlato se fossero sopravvissuti fino ad oggi. E non è un caso  che alcuni dialetti, come il sardo, siano annoverati tra le lingue nazionali.  Come non è un caso che nei momenti cruciali della vita, nel dolore, nella  rabbia o nella paura affiorino improvvisamente nell’ancestrale memoria le  parole del dialetto lingua-madre”. 
                           
È appunto il caso della poesia di autore sconosciuto, recitata dal celebrante  nella Santa Messa di Natale, che voleva essere un messaggio di augurio della  Commissione Cultura e Comunicazione del Santuario di Sant’Antonio di Bari, per  confermare che basta un po’ d’amore e il lume di una candela per accendere  tutte le luci di Natale! 
   
   
                        NATALE 
                         
                         
                          Jind’a chessa vescigghie 
                          chiène de lusce inudele, capetone 
                          augurie e tanda iose 
                          ji me ne sò sciute 
                          jind’a na chièssie, sò state citte citte 
                          sò acchiedute l’ecchie e sò sendute 
                          la vosce du Natale: 
«Uaggnune – me dèceve – addò sciate? 
non avìte angore accapesciute c’avaste 
nu picche d’amore, picche quand’a la lusce 
de na cannèle, p’appeccià tutte le 
lusce de stasère?» 
                           
                          ---------------------------------- 
                      I versi sono stati rivisti dallo scrivente, per dare una forma più conveniente  sotto il profilo della scrittura del dialetto..
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                         Il Natale non è solo una grande festa   religiosa, ma è anche una festa assai popolare che richiama e perpetua   tradizioni e credenze diverse da paese a paese, sentita da tutti,   cristiani e non cristiani, e sottolinea soprattutto la sacralità della   famiglia. 
                         
                         
                         
                        Il periodo natalizio rappresenta la principale festività dell’anno e   parte dal solstizio d’inverno (il giorno più corto dell’anno), per   terminare con l’Epifania. Il solstizio d’inverno ha anche un forte   significato simbolico, infatti nell’antichità, durante questo giorno, le   forze oscure (notte) e quelle della luce (giorno) si eguagliavano. Dopo   tale giorno, con il progressivo allungarsi delle giornate, la luce   inizia a prevalere sull’oscurità. 
                           
                          L’evento, che appartiene all’anno liturgico cristiano in cui si ricorda   la nascita di Gesù, viene ricordato nella cristianità occidentale, il 25   dicembre, mentre in quella orientale il 6 gennaio. Ma, quale l’origine   della natività? Pare derivasse da altra importante festa pagana, la   celebrazione del ‘Sol invictus’, dio del Sole e signore dei pianeti. Il   Messia veniva spesso descritto come “Sole di giustizia” e lo stesso   vangelo ne parla, a volte, paragonandolo al Sole. Ecco la preferenza per   il 25 dicembre, data che, anche se probabilmente non esatta, è stata   scelta per la necessità di contrapporre una festa cristiana ad una   pagana nel momento in cui si diffondeva una nuova religione, il   Cristianesimo. 
                           
                          In Palestina ed a Gerusalemme, invece, fino al V secolo, era comunque   l’Epifania ad essere festeggiata in memoria della nascita di Cristo.   Storici famosi come Clemente Alessandrino propendevano per il 6 o il 10   gennaio, altri addirittura per il 25 marzo. Nell’antica Roma, dal 17 al   24 dicembre, si festeggiavano i Saturnali in onore di Saturno, dio   dell’agricoltura, un periodo in cui si viveva in pace, si scambiavano   doni, venivano abbandonate le divisioni sociali e si facevano sontuosi   banchetti.  
                           
                          Nel 274 d.C. l’Imperatore Aureliano decise che il 25 dicembre si   festeggiasse il Sole. Da qui l’origine della tradizione del ceppo   natalizio, ceppo che nelle case doveva bruciare per 12 giorni   consecutivi e doveva essere preferibilmente di quercia, un legno   propiziatorio. Oggi il ceppo natalizio si è trasformato nel cosiddetto   “Albero di Natale”. 
                           
                         
                        
                        Il Natale di oggi deriva da tradizioni borghesi del secolo scorso, con   simboli e usanze sia di origine pagana che cristiana. Negli anni   recenti, il Natale, festa prettamente cristiana, è diventata occasione   per una corsa al consumismo, un festeggiamento frenetico, sostituendosi   da un clima di celebrazione e di riflessione a una gara commerciale,   facendo intervenire spesso la Chiesa a ribadire con incisione il   significato religioso. 
                           
                          Il pranzo di Natale, per tradizione, viene consumato in casa e varia a   seconda dei paesi. Abbiamo anche una ricchezza di dolci deliziosi e   prelibati, che ricordano spesso simboli solari o tradizioni rurali; i   dolci spesso richiedono lunghi preparativi e la lavorazione viene fatta   diversi giorni prima. La serie di festeggiamenti continua con il cenone   di fine anno e, dopo la breve euforia di pranzi, brindisi, auguri e   abbracci, si fa una pausa di riflessione nella giornata di Capodanno. Il   primo giorno dell’anno, festa di rinnovamento, viene celebrata in tutte   le civiltà ed è caratterizzata da rituali che simbolicamente chiudono   un ciclo annuale e inaugurano quello successivo. 
                           
                          Infine arriva l’Epifania, una delle principali feste cristiane la cui   celebrazione cade il 6 gennaio. Nata nella regione orientale per   commemorare il battesimo di Gesù, fu presto introdotta in occidente dove   assunse contenuti religiosi diversi, come la celebrazione delle nozze   di Cana e il ricordo dell’offerta dei doni dei Magi nella grotta di   Betlemme. Quest’ultimo aspetto ha finito per prevalere e sovrapponendosi   a precedenti tradizioni folcloriche, ha determinato la nascita della   figura della Befana che distribuisce doni. 
                           
                          Epifania, dal greco apparizione, è la triplice solennità istituita dagli   Apostoli in cui la Chiesa ricorda tre grandi miracolosi avvenimenti:   l’apparizione dell’astro che dall’oriente fino alla stalla di Betlemme   guidò i Re Magi all’adorazione del neonato, Salvatore del mondo; la   conversione dell’acqua in vino alle nozze di Cana in Galilea; il   battesimo di Gesù Cristo nel Giordano somministrato da San Giovanni   Battista, assistito dallo Spirito Santo in forma di colomba e   dall’eterno Padre, che dichiarò Gesù essere figlio suo diletto. 
                           
                          I Magi erano personaggi che, guidati da una stella, arrivavano   dall’Oriente per rendere omaggio a Gesù, appena nato a Betlemme, per   donargli oro, incenso e mirra. Successivamente verranno indicati come   “re” e il loro numero venne fissato a tre, con i nomi di Gaspare,   Melchiorre e Baldassarre. Questa festa, che dà un supplemento di regali   ai bambini, pone termine al ciclo di festeggiamenti dedicato al Santo   Natale.  
                          
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                      Nella magica notte di Natale può accadere di tutto: fioriscono gli alberi,  parlano gli animali, nascono tante leggende, frutto delle credenze popolari che  attraverso millenni sono giunte a noi. Oltre ad essere la ricorrenza più  importante del calendario liturgico cristiano Natale è legato anche a varie  manifestazioni agrarie che si svolgevano all’inizio dell’anno e che col passare  del tempo hanno acquisito valenze simboliche diverse, legate soprattutto al  mistero della nascita divina. 
                           
                        Tra gli elementi da considerare c’è il fuoco, che assume un ruolo di primo  piano nella ritualità delle feste agrarie ma è anche elemento essenziale nella  tradizione natalizia, dal momento che il ceppo ha una funzione purificatrice.  Infatti, le ceneri purificano dal peccato e dalla malattia, considerate  conseguenza del peccato. 
                      Anna Maria  Tripputi ricorda che il digiuno della vigilia ha antiche radici agrarie, dal  momento che i contadini lo praticavano in coincidenza con le pratiche agricole  più importanti che cadevano all’inizio dell’anno. Un proverbio popolare recita  “Ci non fasce u desciune de Natale o è turche, o è cane” (Chi non fa il digiuno  di Natale o è turco - nel senso che non ha sensibilità - o è cane), (da Placida  notte, Malagrinò Editore). 
                           
                        Vito Maurogiovanni, invece, racconta che la notte del 24 dicembre un bambino fu  rapito da briganti e non avendo ottenuto il riscatto dalla famiglia lo dovevano  uccidere. Mentre stavano per compiere l’orrendo misfatto, una luce vivissima  apparve nel cielo ed accecò gli assassini. Il bambino si salvò e vide un altro  bel Bambino che teneva la corona in capo, la croce in mano ed il mondo  nell’altra. Era Gesù. Un’altra leggenda di Maurogiovanni “Gesù e l’usignolo”  (Antico Natale, Edipuglia), ricorda la Madonna che tentava di addormentare il  dolce Figliuolo che invece continuava a frignare come tutti i bambini del  mondo. Quasi disperata pregò il Signore di consolare il divino Infante che non  aveva pace e che la metteva al limite della cosiddetta santa pazienza. Fu in  quel momento che entrò nella grotta un usignolo il quale si mise a cantare con  tanta soavità e con tale trasporto che il Messia se ne andò in estasi e cadde  in un sonno profondo e per non disturbarlo l’usignolo non trillò più e uscì  dalla capanna per annunciare a tutti gli animali del mondo di tacere a lungo  per non interrompere il sonno del santo Fanciullo sceso sulla terra. 
   
                        Negli anni recenti, il Natale, festa prettamente cristiana, è diventata  occasione per una corsa al consumismo, un festeggiamento frenetico,  sostituendosi da un clima di celebrazione e di riflessione a una gara  commerciale, facendo intervenire spesso la Chiesa a promuovere con incisione il  significato religioso. I simboli di Natale sono numerosi ma il più importante e  significativo è rappresentato dal Presepe che nel medioevo prese il nome latino  di ‘praesepium’ che significa recinto chiuso o mangiatoia, quella mangiatoia  che vide nascere Gesù. 
   
                        Il bue e l’asino divengono simboli del popolo ebreo e pagano, mentre i re Magi,  il cui numero tre è fissato da S. Leone Magno (gli Evangelisti, quando li  citano, non dicono quanti sono). Essi rappresentano le tre età dell’uomo  (gioventù, maturità e vecchiaia) e le tre razze in cui si divide l’umanità:  semitica (dal nome Sem, figlio di Noè, che secondo la tradizione biblica,  sarebbe stato il progenitore dei popoli orientali), camitica (da Cam, figlio di  Noè che ha generato i popoli africani nord-orientali), e giapetica (da Giapeto  uno dei titani della mitologia greca che ha generato i popoli occidentali). I  loro nomi - Gaspare, Melchiorre e Baldassarre - sono mutuati dal vangelo  apocrifo armeno e ormai sono accettati anche dalla tradizione occidentale. I  doni dei Magi, invece, sono interpretati in riferimento alla duplice natura di  Gesù: l’incenso per la sua Divinità, la mirra per la sua umanità, l’oro perché  era un dono riservato ai re. 
   
                        Gli angeli rappresentano gli esempi di creature superiori, i pastori l’umanità  da redimere e infine Maria e Giuseppe, in atteggiamento di adorazione,  sottolineano la regalità dell’infante. Oltre al Presepe ideato da San Francesco  nel 1223 a Greccio, e che Giotto ha dipinto nell’affresco della Basilica  Superiore di Assisi, i simboli del Natale sono numerosi e vari., 
   
                        Il vischio, pianta natalizia per eccellenza, ne parlava anche Virgilio  nell’Eneide, era considerata pianta divina e miracolosa, tanto che la potevano raccogliere,  utilizzando un falcetto d’oro solo i sacerdoti. L’agrifoglio e il pungitopo,  considerati portatrici di fortuna, sono piante caratterizzate dalla presenza di  foglie dure e spine, simbolo di forza e prevenzione contro i mali, ma secondo  la leggenda le foglie spinose ricordano le spine della corona di Gesù. Le  bacche rosse simboleggiano il Natale, ma ricordano anche il rosso del sangue.  La melagrana, simbolo della terra, rappresenta la rigenerazione della natura,  quindi il significato simbolico di rinascita e resurrezione. 
   
                        Il cero natalizio rappresenta la luce, infatti nella notte di Natale arriva la  luce tra gli uomini, l’avvento del bambino Gesù. La stella di Natale, secondo  la tradizione, è stato il regalo di un bimbo a Gesù. In un lontano 25 dicembre  un bambino povero entrò in Chiesa per offrire un dono al Signore, ma era  talmente povero che offrì solo un mazzo di erbacce, ma su quei rametti cadde  una lacrima del bimbo che per miracolo si trasformò in uno splendido fiore  rosso: la stella di Natale. Pare che anche il gioco della Tombola avesse  origini antiche. Durante i Saturnali che precedevano il solstizio d’inverno,  nell’antica Roma, si concedeva il gioco d’azzardo, proibito nel resto  dell’anno. Il gioco era quindi strettamente connesso con la funzione  rinnovatrice di Saturno, quindi la buona sorte del giocatore non era dovuta al  caso, ma al volere della divinità! Le palline colorate che appendiamo  all’albero, pare rappresentino le risate di Gesù bambino. Infatti, un  giocoliere che non aveva nulla da portare a Gesù si presentò ugualmente a mani  vuote, ma volle offrire quello che meglio sapeva fare, il giocoliere, facendo  ridere Gesù Bambino, e da quel giorno si dice che le palline colorate da noi  utilizzate rappresentano le risate del piccolo Gesù. 
   
                        Le campane di Natale ricordano la leggenda di un bambino cieco desideroso di  andare a far visita a Gesù e non avendo alcun riferimento visivo sentì da  lontano il suono di una campana. Pensò si trattasse di una mucca che si trovava  nella stalle del sacro neonato e seguendo quel suono, arrivò fino alla  mangiatoia dove si trovava il piccolo Re. 
   
                      L’Albero di Natale, infine, si diffuse nell’Europa del Nord verso il secolo XI,  ma una documentazione certa ne dà la nascita in Alsazia nel 1512. L’abete di  Natale simboleggia la figura di Gesù, Colui che ha sconfitto le tenebre del  peccato e per questo motivo si è cominciato ad adornarlo di luci.                        | 
                     
                   
                    
                    
                  
                    
                      L'ASINO E IL BUE NELLA TRADIZIONE CRISTIANA 
                        
                          
                         Solitamente consideriamo  il bue e l’asinello solo due graziosi accessori dei nostri presepi per  riscaldare il Bambino e la grotta, ma proprio così non è, secondo Salvatore  Schirone e Rosario Scognamiglio che hanno pubblicato il tascabile “Ti rivelerai  tra due animali” con il sottotitolo “L’asino e il bue nella Tradizione  cristiana” (Levante Editori, pagine 124 € 6). 
                          Salvatore Schirone, docente di religione, e  Rosario Scognamiglio, domenicano e docente di esegesi patristica presso  l’Istituto di Teologia Ecumenica “San Nicola” di Bari, con questa pubblicazione  chiariscono un po’ le idee su questo argomento. 
                          I due autori ci fanno  scoprire che c’è invece tanto di più, a partire dai vangeli apocrifi, al  medioevo, all’età moderna, fino a Benedetto XVI. Infatti attraverso le pagine  di questo pratico tascabile si scorrono temi come i vangeli “segreti”, il  simbolismo biblico, i Padri della Chiesa, l’innografia latina e bizantina, i  testi patristici, l’innografia, le leggende popolari, e tanti altri argomenti. 
                          Il messaggio che  riceviamo dalla lettura di questo libro è innanzitutto un grande senso di unità,  evidenziando che il bue e l’asino fanno parte di un programma divino unitario e  che il centro stesso del programma è il mistero di Cristo. 
                        
                         
                          Il simbolismo biblico  dei due animali sul piano umano rimanda a virtù come umiltà, pazienza, capacità  di portare pesi, non di servire in guerra, per quanto riguarda l’asino,  mentre  il bue esprime fecondità, forza,  lavoro costruttivo, fedeltà al padrone. Sul piano teologico i due animali  mostrano la continuità tra Antico e Nuovo Testamento, tra figura e realtà, tra  profezia e compimento. Sul piano della vita ecclesiale, invece, il messaggio  dei due animali non è meno ricco di spunti. Nella dimensione cosmica, infine,  stalla, mangiatoia con bue ed asino, Vergine, Magi, stella, pastori ed angeli,  nel clima natalizio dell’Oriente Cristiano, si configurano come altrettanti  elementi di un inno di lode e di un immenso offertorio elevato da tutto il  creato al Dio della gloria. Il bue e l’asinello sono inginocchiati perché  malgrado siano semplici animali, sanno che quel Bambino è Figlio di Dio e come  tale lo devono adorare. 
   
                          Giuseppe Micunco, che  firma la presentazione, scrive che dalla lettura di queste pagine, «Nasce un  senso ed un bisogno di adorazione del mistero del Dio fatto uomo. Dice il  presepiaro napoletano di San Gregorio Armeno: “Il bue e l’asino sono  inginocchiati perché, malgrado siano semplici animali, lo sanno che quel  Bambino è Figlio di Dio e come tale lo devono adorare. Non vi pare?” Ad adorare  le meraviglie di Dio siamo condotti per mano, mistagogicamente, attraverso  queste pagine». 
                         
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                      LA NATIVITÀ TRA ORIENTE, OCCIDENTE E PUGLIA 
                          Storie, libri e leggende sui presepi  realizzati in Puglia 
                            
                          
                          Il presepio (o  presepe) è quella rappresentazione della nascita di Gesù che si fa nelle chiese  e nelle case durante le feste natalizie e che riproduce scenicamente la Natività e l’Adorazione  dei Magi. La diffusione del presepio è dovuta ai Francescani, proseguita dai  Domenicani ed in seguito dai Gesuiti.  
                            Non  si può parlare di presepi senza fare riferimento ad una data, il Natale del  1223, quando San Francesco ebbe per primo l’idea di realizzarlo a Greccio  (Rieti). Se il miracolo francescano può essere considerato un passaggio  rinforzante nella tradizione giunta fino a noi, di fatto il presepio non ha una  precisa “data di nascita”, in quanto si è venuto formando nei secoli attraverso  usi e forme diverse, nella pittura e nella scultura delle chiese, nelle sacre  raffigurazioni.  
                            La prima aria di Natale si avverte  il giorno di San Nicola quando la mattina, molto presto, i fedeli si recano ad ascoltare  la Santa Messa  in Basilica, ed in chiesa si suonava la “ninna nanna”. Gli zampognari,  provenienti dall’Abruzzo e dal Molise, eseguivano per le strade note nenie  natalizie creando un clima di tenerezza che esaltava i valori autentici della  famiglia, anche per strappare qualche soldino ai passanti.  
                            San Francesco  d’Assisi con l’intento di ricreare la mistica atmosfera del Natale di Betlemme  e per vedere con i propri occhi dove nacque Gesù, con l’aiuto della popolazione  del luogo, approntò, con l’autorizzazione di Papa Onorio III, il primo presepe  vivente del mondo. Era il Natale del 1223. 
                            Sono gli  evangelisti Luca e Matteo i primi a descrivere la Natività. Nei loro  brani c’è già tutta la sacra rappresentazione che a partire dal medioevo  prenderà il nome latino di praesepium ovvero recinto chiuso, greppia, mangiatoia. Luca nel suo vangelo riporta che  Gesù è nato «in una mangiatoia perchè non c’era per essi posto nell’albergo»  (Ev., 2,7). 
                          
                           
                            E in Puglia  quando è nato il Presepio? Le più antiche testimonianze risalgono alla seconda  metà del Quattrocento, come ricorda Clara Gelao nel volume “Il Presepe Pugliese  - Arte e Folklore” (Adda Editore), mentre un notevole sviluppo si ebbe nel  Cinquecento. Ma quello che è rimasto è solo una parte di quello che  testimonianze storiche, orali e documentarie dimostrano. 
                            Si sa che  nella Cattedrale di Cerignola esisteva un presepe che servì da modello per  quello di Matera, distrutto poi nel Settecento, e così pure nella chiesa di  Sant’Andrea a Barletta e in quella di Santa Maria dei Martiri a Molfetta. 
                            Nel secolo XVI  pare che la scultura presepiale in pietra raggiunge la massima affermazione a  cui segue un lento declino per riprendersi in seguito, con forme differenti e con  l’influenza dei presepi napoletani in cartapesta o terracotta. Grottaglie,  Polignano a Mare e Martina Franca conservano importanti presepi realizzati da  Stefano Putignano, lo scultore più fortemente plastico. 
                            Un raffinato  presepe può considerarsi quello esistente nella Cattedrale di Lecce, mentre il  più antico presepe presente nel territorio regionale è quello conservato nella  Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina in provincia di Lecce. 
                           
                          
                           
                            Esclusivamente  leccese è anche l’arte autenticamente popolare della cartapesta. La cartapesta  è composta da carta ricavata da stracci senza cellulosa, ridotta in poltiglia e  mescolata con colla di farina e quindi bollita in acqua con aggiunta di  sostanze insetticide per impedirne la tarlatura. La sostanza così ottenuta  viene disposta a strati, quindi modellata unicamente a mano e perfezionata con  ferri roventi, una fase chiamata fuocheggiatura.  La statua realizzata viene fatta essiccare al sole e quindi si passa alla  dipintura. 
                            Alla fine del  secolo XVI erano i barbieri che, per incrementare i loro scarsi guadagni,  lavoravano la cartapesta, così ogni bottega di barbiere diventava laboratorio  di statuine che venivano poi vendute alla Fiera dei Pupi e dei Pastori, fiera  che si svolge a Lecce ancora oggi nel giorno di Santa Lucia. 
                            Bianca Tragni,  coautrice del volume sopra citato, scrive che la tradizione presepiale pugliese  impallidisce di fronte alla grande tradizione folklorica del Salento e di  Lecce. «Il presepe - scrive sempre Bianca Tragni - è più che un rito o un  abitudine: è una passione inestinguibile, un amore sconfinato, un tarlo  roditore, un virus contagioso, un gene in più di questa razza speciale di  meridionali di razza che sono i leccesi». 
                            Mariagraziella  Belloli nel simpatico tascabile della Stilo Editrice “Il Presepe tra Oriente e  Occidente”, anche se di qualche anno fa, scrive che il Presepe fra Oriente e  Occidente, è una tradizione  che con  quella di San Nicola è certamente la più emozionante e commovente. È il caso di  ricordare che Gesù è nato al centro del Vicino Oriente sotto la dominazione  dell’Impero romano d’Occidente e si ipotizza che la visita dei Magi,  provenienti dal Lontano Oriente, abbiano contribuito a legare in maniera  indissolubile i due mondi. 
   Oggi anche in Capitanata e nelle provincia di  Brindisi il presepe sta registrando una notevole ripresa, segno di una nuova  vitalità di questa tradizione che sotto certi aspetti concorre a condividere la  storia tra Oriente e Occidente e quindi a dare un notevole contributo  all’ecumenismo. 
                          Da Barisera del 17 dicembre 2008, pag. 1                         
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                      IL PRESEPIO TRA STORIA E CURIOSITÀ
                          
                          
                          
                           
                            Il presepio è quella rappresentazione della nascita 
                            di Gesù che si fa nelle chiese e nelle case durante 
                            le feste natalizie e che riproduce scenicamente la Natività 
                            e l’Adorazione dei Magi. La diffusione del presepio 
                            è dovuta ai Francescani, proseguita dai Domenicani 
                            ed in seguito dai Gesuiti. 
                            Non si può parlare di presepi senza fare riferimento 
                            ad una data, il Natale del 1223, quando San Francesco ebbe 
                            per primo l’idea di realizzarlo a Greccio (Rieti). Se 
                            il miracolo francescano può essere considerato un passaggio 
                            rinforzante nella tradizione giunta fino a noi, di fatto il 
                            presepe non ha una precisa “data di nascita”, 
                            in quanto si è venuto formando nei secoli attraverso 
                            usi e forme diverse, nella pittura e nella scultura delle 
                            chiese, nelle sacre raffigurazioni. 
                          
                      In base a quanto riferisce l’evangelista Luca, Gesù 
                            nacque in una stalla, o comunque in un luogo destinato al 
                            ricovero degli animali. Ed infatti la parola “Presepio” 
                            deriva etimologicamente dal verbo latino praesepire per cui 
                            assume il significato odierno di mangiatoia, greppia. Il termine 
                            pare comparso per la prima volta a proposito della basilica 
                            Mariana dell’Esquilino, Santa Maria Maggiore, chiamata 
                            sin dal VII secolo “Sancta Maria ad praesepe”, 
                            in quanto in tale epoca, secondo la tradizione, vi furono 
                            traslate le reliquie della Sacra Culla. 
                            Dalla voce del basso latino cripia invece, traducibile egualmente 
                            come mangiatoia, derivano i termini “crèche”, 
                            “crib”, “krippe”, “krubba”, 
                            che indicano il Presepio rispettivamente nelle lingue francese, 
                            inglese, tedesco e svedese. Allo stesso modo, in Polonia si 
                            parla di “szopka” e in Russia di “wertep”, 
                            termini aventi sempre il significato di greppia. 
                            L’Enciclopedia dello Spettacolo definisce il Presepio 
                            come la rappresentazione plastica, tridimensionale della nascita 
                            di Gesù, realizzata con figure mobili spostabili secondo 
                            il senso artistico del costruttore. Insomma il presepio è 
                            come un teatro in quanto, analogamente a quest’ultimo, 
                            è teso a rendere attuale e reale un avvenimento remoto 
                            nel tempo e nello spazio. 
                            Dal 1289, anno in cui Arnolfo di Cambio scolpì le sue 
                            statue per la basilica di Santa Maria Maggiore, quella che 
                            è considerata la prima rappresentazione del Presepio, 
                            bisognerà attendere quasi tre secoli per aver notizie 
                            certe, fondate su documenti probanti, circa l’esistenza 
                            di Presepi a Roma, e precisamente il 1581, quando il francescano 
                            spagnolo Juan Francisco Nuno, che aveva avuto l’incarico 
                            di condurre una ricerca sui conventi romani, riferisce come 
                            il Presepio venisse regolarmente allestito nei monasteri e 
                            nelle chiese e, come soprattutto quello dell’Aracœli, 
                            richiamasse una gran folla di fedeli, con la statua del Santo 
                            Bambino intagliata, secondo la tradizione, da un anonimo frate 
                            francescano in un tronco di ulivo del Getsemani. 
                          
                     
                            Da allora, come avvenne a Napoli, a Genova e in Sicilia, il 
                            Presepio dalle chiese si diffuse alle case patrizie, con costruzioni 
                            artificiose e spettacolari il cui fine, in obbedienza ai canoni 
                            estetici barocchi, era quello di meravigliare, più 
                            che di edificare, e alla cui realizzazione parteciparono artisti 
                            eminenti (Bernini ne allestì uno per il principe Barberini). 
                            Al ’700 appartengono il Presepio delle Clarisse di San 
                            Lorenzo, costituito da cinque grandi statue, quelli di Santa 
                            Maria in Trastevere e delle Benedettine del Monastero di Santa 
                            Cecilia. 
                            Più ricca è la documentazione pervenutaci sull’Ottocento, 
                            quando l’uso di allestire il Presepio si allarga a tutti 
                            i ceti sociali, con la produzione di statuine in terracotta 
                            a basso costo, modellate da scultori mediocri, e ricavate 
                            con stampi dai “bucalettari” di Trastevere. È 
                            una curiosità che lo stesso Bartolomeo Pinelli, “er 
                            pittor de Trastevere”, da ragazzo lavorò nella 
                            bottega del padre, figurinaio, plasmando in terracotta pupazzi 
                            da presepio. 
                            Alcuni presepi vengono innalzati su portici di basiliche, 
                            su terrazze e loggette, con una scenografia naturale e il 
                            cielo come sfondo. Fra questi, il Presepio più visitato 
                            era quello che l’industriale Forti allestiva ogni anno 
                            in Trastevere, con figure realizzate con una tecnica particolare: 
                            il tronco di legno, testa ed arti di cartapesta, abiti di 
                            tela indurita con la colla e poi colorata.  
                            
                          
                     
                            Come si vede, il Presepio romano è, nell’insieme, 
                            meno sfarzoso e più severo rispetto al modello partenopeo: 
                            la Sacra Famiglia ritorna al centro della composizione, le 
                            figure sono meno sontuose, la scenografia più sobria 
                            e contenuta. Peraltro, molto curato è il fondale, che 
                            riproduce di solito il paesaggio della campagna romana. 
                            A Napoli, verso la metà del Cinquecento, con l’abbandono 
                            del simbolismo medioevale, nasce il Presepio moderno. La tradizione 
                            ne attribuisce il merito a San Gaetano da Thiene che, esaltato 
                            dal mistero della Natività, allestì nel 1534, 
                            nell’oratorio di Santa Maria della Stalletta, presso 
                            l’Ospedale degli Incurabili, un grande Presepio con 
                            figure lignee fisse, abbigliate secondo la foggia del tempo. 
                            Su questa scia, nel corso del Cinquecento numerosi furono 
                            i Presepi costruiti a Napoli in chiese e monasteri, ma bisognerà 
                            attendere il secolo successivo per l’affermarsi del 
                            Presepio mobile a figure articolabili, il cui primo esempio 
                            fu quello allestito dai padri Scolopi nel Natale del 1627.  
                            Da ricordare anche il Presepio della chiesa di Santa Maria 
                            in Portico, commissionato dalla duchessa Orsini, e l’allestimento 
                            realizzato dalla bottega del Ceraso per la chiesa di San Gregorio 
                            Armeno. Ma il secolo d’oro dell’arte presepiale 
                            a Napoli sarà il ’700. Con Carlo III di Borbone 
                            infatti, la città, ridivenuta capitale di un regno 
                            autonomo dopo essere stata, per oltre due secoli, una provincia 
                            spagnola, va ad annoverarsi tra le più brillanti capitali 
                            europee, conoscendo, grazie soprattutto al mecenatismo del 
                            suo sovrano, una meravigliosa fioritura culturale ed artistica, 
                            della quale il presepio costituirà una delle espressioni 
                            più splendide. 
                          
                     
                            Infine, dal momento che la cartapesta, fin dalle sue origini, 
                            rappresenta un’arte tipicamente leccese, molto diffusa 
                            perché i motivi e la lavorazione erano e rimangono 
                            essenzialmente popolari e soprattutto di basso costo, parliamo 
                            del Presepio leccese. La cartapesta è composta da carta 
                            ricavata da stracci o da carta di giornale, perché 
                            non contiene cellulosa, pestata fino ad essere ridotta in 
                            poltiglia, mescolata con colla di farina, e quindi bollita 
                            con acqua avvelenata, per impedire la tarlatura: il composto 
                            così ottenuto viene poi disposto a strati, il cui spessore 
                            varia a seconda delle dimensioni della figura. 
                            Le prime opere in cartapesta vengono datate intorno al sedicesimo 
                            secolo, ma solo nell’Ottocento si hanno dati certi che 
                            indicano il caposcuola nel “Maestro Pietro dei Cristi”, 
                            soprannome attribuitogli perché era solito modellare 
                            immagini sacre. 
                          
                       
                            Alla fine del secolo erano essenzialmente i barbieri, a corto 
                            di clienti, che lavoravano la cartapesta, per incrementare 
                            i loro scarsi guadagni, per cui ogni “salone” 
                            diventava anche laboratorio di “figurinaio”. Le 
                            statuine così realizzate venivano poi vendute alla 
                            Fiera dei Pupi e dei Pastori, che ancora oggi si svolge a 
                            Lecce nel giorno di Santa Lucia. 
                            Per concludere una curiosità. Esiste in Italia sull’autostrada 
                            Milano-Venezia il Museo del Presepio, nato dalla volontà 
                            di don Giacomo Piazzoli, un prete straordinario, seriamente 
                            impegnato nel sociale, che ancora oggi a dieci anni dalla 
                            scomparsa è ricordato con affetto da tutti i suoi parrocchiani 
                            e soprattutto dagli “Amici del Presepio”, un’associazione 
                            di volontari dotati di grande cultura storico-artistica e 
                            religiosa che hanno continuato a svolgere il lavoro iniziato 
                            dal fondatore portando questo museo ai massimi livelli internazionali. 
                            Il museo, sorto nel 1974, raccoglie 800 presepi provenienti 
                            da tutto il mondo, è dotato di archivio, di biblioteca, 
                            di fototeca e di nastroteca che documentano la storia, le 
                            tradizioni, i costumi, la musica, il folklore, le immagini 
                            sacre, i francobolli e le cartoline riguardanti il Natale 
                            ed il Presepio. 
                           
                                                  
                         
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                      LEGGENDE DI NATALE
                            
                        
                          
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                                   Terlizzi. Chiesa dell'Immacolata. Natività 
                                    di Corrado Giaquinto (1703-1766)
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                          Nella magica notte di Natale può accadere di tutto 
                          fioriscono gli alberi, parlano gli animali, nascono tante 
                          leggende, frutto delle credenze popolari che attraverso millenni 
                          sono giunte a noi. 
                          Le leggende, infatti, sono state per tante generazioni il 
                          “mistero” che ha avvolto le tante credenze popolari 
                          frammiste a ingenuità. 
                          Natale non è solo la ricorrenza più importante 
                          del calendario liturgico cristiano ma è legato anche 
                          a varie manifestazioni agrarie che si svolgevano all’inizio 
                          dell’anno e che col passare del tempo hanno acquisito 
                          valenze simboliche diverse, legate soprattutto al mistero 
                          della nascita divina. 
                          Tra gli elementi da considerare c’è il fuoco, 
                          che assume un ruolo di primo piano nella ritualità 
                          delle feste agrarie ma è anche elemento essenziale 
                          nella tradizione natalizia, dal momento che il ceppo ha una 
                          funzione purificatrice. Infatti, le ceneri purificano dal 
                          peccato e dalla malattia, considerate conseguenza del peccato. 
                          Anna Maria Tripputi ricorda che il digiuno della vigilia ha 
                          antiche radici agrarie, dal momento che i contadini lo praticavano 
                          in coincidenza con le pratiche agricole più importanti 
                          che cadevano all’inizio dell’anno. Un proverbio 
                          popolare recita “Ci non fasce u desciune de Natale o 
                          è turche, o è cane” (Chi non fa il digiuno 
                          di Natale o è turco - nel senso che non ha sensibilità 
                          - o è cane), (Placida notte, Malagrinò Editore). 
                        
                          
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                                   Bari, Pinacoteca Provinciale. Natività 
                                    in pietra di Paolo da Cassano (Notizie 1511-1535)
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                          Vito Maurogiovanni, invece, racconta che la notte del 24 dicembre 
                          un bambino fu rapito da briganti e non avendo ottenuto il 
                          riscatto dalla famiglia lo dovevano uccidere. Mentre stavano 
                          per compiere l’orrendo misfatto, una luce vivissima 
                          apparve nel cielo ed accecò gli assassini. Il bambino 
                          si salvò e vide un altro bel Bambino che teneva la 
                          corona in capo, la croce in mano ed il mondo nell’altra. 
                          Era Gesù che scendeva dal cielo con gli angeli per 
                          liberare gli uomini dalla schiavitù del peccato. 
                          Un’altra leggenda di Maurogiovanni “Gesù 
                          e l’usignolo” (Antico Natale, Edipuglia), ricorda 
                          la Madonna che tentava di addormentare il dolce Figliuolo 
                          che invece continuava a frignare come tutti i bambini del 
                          mondo. Quasi disperata pregò il Signore di consolare 
                          il divino Infante che non aveva pace e che la metteva al limite 
                          della cosiddetta santa pazienza. 
                          Fu in quel momento che entrò nella grotta un usignolo 
                          il quale si mise a cantare con tanta soavità e con 
                          tale trasporto che il Messia se ne andò in estasi e 
                          cadde in un sonno profondo e per non disturbarlo l’usignolo 
                          non trillò più e uscì dalla capanna per 
                          annunciare a tutti gli animali del mondo di tacere a lungo 
                          per non interrompere il sonno del santo Fanciullo sceso sulla 
                          terra. 
                        
                          
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                                   Bari, Pinacoteca Provinciale. Presepio napoletano 
                                    del '700 
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                      SIMBOLOGIA DEL NATALE | 
                     
                    
                      Negli anni recenti, il Natale, festa prettamente cristiana, 
                        è diventata occasione per una corsa al consumismo, 
                        un festeggiamento frenetico, sostituendo il clima di celebrazione 
                        e di riflessione con una gara commerciale, facendo intervenire 
                        spesso la Chiesa a promuoverne con incisione il significato 
                        religioso.  
                          I simboli di Natale sono numerosi ma il più 
                            importante e significativo è rappresentato dal 
                            Presepe che nel medioevo prese il nome latino di praesepium 
                            che significa recinto chiuso o mangiatoia, quella mangiatoia 
                            che vide nascere Gesù. 
                            Il bue e l’asino divengono simboli del popolo 
                            ebreo e pagano, mentre i re Magi, il cui numero tre 
                            è fissato da S. Leone Magno (gli Evangelisti, 
                            quando li citano, non dicono quanti sono), rappresentano 
                            le tre età dell’uomo (gioventù, 
                            maturità e vecchiaia) e le tre razze in cui si 
                            divide l’umanità: semitica (dal nome Sem, 
                            figlio di Noè, che secondo la tradizione biblica, 
                            sarebbe stato il progenitore dei popoli orientali), 
                            camitica (da Cam, figlio di Noè che ha generato 
                            i popoli africani nord-orientali), e giapetica (da Giapeto 
                            uno dei titani della mitologia greca che ha generato 
                            i popoli occidentali). 
                            I loro nomi - Gaspare, Melchiorre e Baldassarre - sono 
                            mutuati dal vangelo apocrifo armeno e ormai sono accettati 
                            anche dalla tradizione occidentale. I doni dei Magi, 
                            invece, sono interpretati in riferimento alla duplice 
                            natura di Gesù: l’incenso per la sua Divinità, 
                            la mirra per la sua umanità, l’oro perché 
                            era un dono riservato ai re. 
                        Gli 
                          angeli rappresentano gli esempi di creature superiori, i pastori 
                          l’umanità da redimere e infine Maria e Giuseppe, 
                          in atteggiamento di adorazione, sottolineano la regalità 
                          dell’infante. 
                          Oltre al Presepe, ideato da San Francesco nel 1223 a Greccio 
                          e che Giotto ha dipinto nell’affresco della Basilica 
                          Superiore di Assisi, i simboli del Natale sono numerosi e 
                          vari. 
                          Il vischio, pianta natalizia per eccellenza, ne parlava anche 
                          Virgilio nell’Eneide, era considerata pianta divina 
                          e miracolosa, tanto che la potevano raccogliere, utilizzando 
                          un falcetto d’oro solo i sacerdoti. 
                          L’agrifoglio e il pungitopo, considerati portatrici 
                          di fortuna, sono piante caratterizzate dalla presenza di foglie 
                          dure e spine, simbolo di forza e prevenzione contro i mali, 
                          ma secondo la leggenda le foglie spinose ricordano le spine 
                          della corona di Gesù. Le bacche rosse simboleggiano 
                          il Natale, ma ricordano anche il rosso del sangue. 
                          La melagrana, simbolo della terra, rappresenta la rigenerazione 
                          della natura, quindi il significato simbolico di rinascita 
                          e resurrezione. 
                          Il cero natalizio rappresenta la luce, infatti nella notte 
                          di Natale arriva la luce tra gli uomini, l’avvento del 
                          bambino Gesù. 
                          La stella di Natale, secondo la tradizione, è stato 
                          il regalo di un bimbo a Gesù. In un lontano 25 dicembre 
                          un bambino povero entrò in Chiesa per offrire un dono 
                          al Signore, ma era talmente povero che offrì solo un 
                          mazzo di erbacce, ma su quei rametti cadde una lacrima del 
                          bimbo che per miracolo si trasformò in uno splendido 
                          fiore rosso: la stella di Natale. 
                          Anche il gioco della Tombola pare avesse origini antiche. 
                          Durante i Saturnali che precedevano il solstizio d’inverno, 
                          nell’antica Roma, si concedeva il gioco d’azzardo, 
                          proibito nel resto dell’anno. Il gioco era quindi strettamente 
                          connesso con la funzione rinnovatrice di Saturno, quindi la 
                          buona sorte del giocatore non era dovuta al caso, ma al volere 
                          della divinità. 
                        Le palline colorate che appendiamo all’albero 
                          pare rappresentino le risate di Gesù bambino. 
                          Infatti, un giocoliere che non aveva nulla da portare 
                          a Gesù si presentò ugualmente a mani vuote, 
                          ma volle offrire quello che meglio sapeva fare, il giocoliere, 
                          facendo ridere Gesù Bambino, e da quel giorno 
                          si dice che le palline colorate da noi utilizzate rappresentano 
                          le risate del piccolo Gesù. 
                          Le campane di Natale ricordano la leggenda di un bambino 
                          cieco desideroso di andare a far visita a Gesù 
                          e non avendo alcun riferimento visivo sentì da 
                          lontano il suono di una campana. Pensò si trattasse 
                          di una mucca che si trovava nella stalle del sacro neonato 
                          e seguendo quel suono, arrivò fino alla mangiatoia 
                          dove si trovava il piccolo Re. 
                          L’Albero di Natale, infine, si diffuse nell’Europa 
                          del Nord verso il secolo XI, ma una documentazione certa 
                          ne dà la nascita in Alsazia nel 1512. 
                          L’abete di Natale simboleggia la figura di Gesù, 
                          Colui che ha sconfitto le tenebre del peccato e per 
                          questo motivo si è cominciato ad adornarlo di 
                          luci. 
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                      EPIFANIA: STORIE E CURIOSITÀ 
                        
                        Con la festività dell’Epifania si commemora 
                          la visita dei Re Magi a Gesù in Betlemme. Il termine, 
                          che nel mondo greco indicava le azioni con cui la divinità 
                          si manifestava, passò nel mondo cristiano a designare 
                          la celebrazione delle principali manifestazioni della divinità 
                          di Gesù Cristo (battesimo nel Giordano, adorazione 
                          dei Magi e primo miracolo). 
                          Epifania, dal greco apparizione, è la triplice solennità 
                          istituita dagli Apostoli in cui la Chiesa ricorda tre grandi 
                          miracolosi avvenimenti:  
                          - l’apparizione dell’astro che dall’oriente 
                          fino alla stalla di Betlemme guidò i Re Magi all’adorazione 
                          del neonato, Salvatore del mondo; 
                          - la conversione dell’acqua in vino alle nozze di Cana 
                          in Galilea;  
                          - il battesimo di Gesù Cristo nel Giordano somministrato 
                          da San Giovanni Battista, assistito dallo Spirito Santo in 
                          forma di colomba e dall’eterno Padre, che dichiarò 
                          Gesù essere figlio suo diletto. Non si sa come mai 
                          la celebrazione dei tre diversi avvenimenti accadesse lo stesso 
                          giorno. In maniera del tutto arbitraria fu stabilito che essi 
                          fossero accaduti in uno stesso giorno in differenti epoche. 
                          I Greci chiamavano l’Epifania Teofania, cioè 
                          apparizione di Dio, e la celebrarono insieme a quella del 
                          Natale, almeno per i primi tre secoli. Nel IV secolo, invece, 
                          sotto Giulio I, queste due feste furono separate nella Chiesa 
                          Latina e tale separazione fu adottata al principio del V secolo 
                          nelle Chiese di Siria e di Alessandria. Nel giorno dell’Epifania 
                          il Diacono annuncia il giorno in cui dovrà cadere la 
                          Pasqua. Anticamente all’Epifania precedeva un digiuno 
                          rigoroso di un’intera giornata. 
                          La Befana, (termine che è degenerazione di Epifania, 
                          cioè manifestazione) è nell’immaginario 
                          collettivo un mitico personaggio con l’aspetto da vecchia 
                          che porta doni ai bambini buoni la notte tra il 5 e il 6 gennaio, 
                          festa appunto dell’Epifania, che segue al Natale. 
                      La 
                          sua origine si perde nella notte dei tempi, discende da tradizioni 
                          magiche precristiane e, nella cultura popolare, si fonde con 
                          elementi folcloristici e cristiani: la Befana porta i doni 
                          in ricordo di quelli offerti a Gesù Bambino dai Magi. 
                          L’iconografia è più o meno fissa: un gonnellone 
                          scuro ed ampio, un grembiule con le tasche, uno scialle, un 
                          fazzoletto o un cappellaccio in testa, un paio di ciabatte 
                          consunte, il tutto vivacizzato da numerose toppe colorate. 
                          Una leggenda narra che un giorno i Re Magi partirono carichi 
                          di doni (oro, incenso e mirra) per Gesù Bambino. Attraversarono 
                          molti paesi guidati da una stella, e in ogni luogo in cui 
                          passavano, gli abitanti accorrevano per conoscerli e unirsi 
                          a loro. Ci fu solamente una vecchietta che in un primo tempo 
                          voleva andare, ma all’ultimo minuto cambiò idea, 
                          rifiutandosi di seguirli. Il giorno dopo, pentita, cercò 
                          di raggiungere i Re Magi, che, però erano già 
                          troppo lontani. Per questo la vecchina non vide Gesù 
                          Bambino, né quella volta né mai. Da allora, 
                          nella notte fra il cinque e il sei Gennaio, volando su una 
                          scopa con un sacco sulle spalle, passa per le case a portare 
                          ai bambini buoni i doni che non ha dato a Gesù. 
                          Studiosi delle tradizioni etnico-popolari, fanno notare come 
                          la Befana, al contrario di Gesù Bambino e Santa Lucia, 
                          conservi anche un tratto ambiguo, quasi da strega. Come tutte 
                          le tradizioni, anche la befana si può analizzare con 
                          le tecniche storico-archeologiche, cercando di scavare gli 
                          strati delle varie epoche per arrivare alle tracce di quelle 
                          più antiche. La Befana potrebbe avere una qualche parentela 
                          con la “vecchia” che si brucia in piazza per festeggiare 
                          la fine dell’anno: un simbolo della ciclicità 
                          del tempo che continuamente finisce e ricomincia. È 
                          un simbolo antico e pagano che suggestiona anche noi moderni 
                          dell’era tecnologica. La tradizione della “vecchia” 
                          non è diffusa solo nelle zone in cui la befana distribuisce 
                          i suoi doni, è presente anche nel nord Italia. È 
                          infatti una tradizione dei popoli celtici, che erano insediati 
                          in tutta la pianura padana e in parte sulle Alpi. I Celti 
                          celebravano strani riti (officiati da maghi-sacerdoti chiamati 
                          druidi), durante i quali grandi fantocci di vimini venivano 
                          dati alle fiamme per onorare divinità misteriose. Divinità 
                          che non dovevano essere molto benigne, se è vero quanto 
                          riferiscono alcune fonti: in epoche antiche e feroci, all’interno 
                          dei fantocci si legavano vittime sacrificali, animali e, talvolta, 
                          prigionieri di guerra. 
                          Dalle nostre parti la tradizione vuole che nella notte tra 
                          il 5 e il 6 gennaio, i ragazzi lasciassero in cucina o sull’uscio 
                          di casa una parte del loro pasto o altri piccoli doni, insieme 
                          alla classica calza, che allora era un normale calzino, che 
                          nulla ha a che vedere con quella odierna. Quella della Befana 
                          era una notte di paura e di raccoglimento e tutti i bambini 
                          andavano (e vanno) a letto presto per consentire alla Befana 
                          di non trovare ostacoli durante il suo passaggio. 
                          Purtroppo, però, man mano che gli anni passano diventiamo 
                          più grandi e più disillusi, dimenticandoci di 
                          giocattoli e caramelle e dei sogn; tutta la magica ed impalpabile 
                          atmosfera connessa a questa festa svanisce, lasciando solo 
                          il ricordo dell'attesa fanciullesca legata alla figura della 
                      Befana.   | 
                     
                   
                    
                    
                  
                    
                      NATALE NELLA STORIA
                            
                          
                       
                            Il ciclo natalizio, che rappresenta la principale festività 
                            dell’anno, parte dal solstizio d’inverno (il giorno 
                            più corto dell’anno) e termina con l’Epifania. 
                            L’evento, che appartiene all’anno liturgico cristiano 
                            in cui si commemora la nascita di Gesù, viene ricordato, 
                            nella cristianità occidentale, il 25 dicembre, in quella 
                            orientale il 6 gennaio. 
                            Ma qual’è l’origine della natività? 
                            Pare considerata nell’ottica di una importante festa 
                            pagana, la celebrazione del Sol invictus, dio del Sole e signore 
                            dei pianeti. Il Messia veniva spesso descritto come “Sole 
                            di giustizia” e lo stesso Vangelo ne parla, a volte, 
                            paragonandolo al Sole. Ecco la preferenza per il 25 dicembre, 
                            data che, anche se probabilmente non esatta, è stata 
                            scelta per la necessità di contrapporre una festa cristiana 
                            ad una pagana nel momento in cui si diffondeva una nuova religione, 
                            il Cristianesimo. 
                            In Palestina ed a Gerusalemme, invece, fino al V secolo era 
                            comunque l’Epifania ad essere festeggiata in memoria 
                            della nascita di Cristo. Storici famosi come Clemente Alessandrino 
                            propendevano per il 6 o il 10 gennaio, altri addirittura per 
                            il 25 marzo. 
                            Nell’antica Roma, dal 17 al 24 dicembre, si festeggiavano 
                            i Saturnali in onore di Saturno, dio dell’agricoltura, 
                            un periodo in cui si viveva in pace, si scambiavano doni, 
                            venivano abbandonate le divisioni sociali e si facevano luculliani 
                            banchetti.  
                            Nel 274 d.C. l’Imperatore Aureliano decise che il 25 
                            dicembre si festeggiasse il Sole. Da qui l’origine della 
                            tradizione del ceppo natalizio, ceppo che nelle case doveva 
                            bruciare per 12 giorni consecutivi e doveva essere preferibilmente 
                            di quercia, un legno propiziatorio. Il ceppo natalizio nei 
                            nostri giorni si è trasformato nelle luci e nelle candele 
                            che oggi addobbano case, alberi, e strade. 
                            Ai giorni nostri il Natale deriva da tradizioni borghesi del 
                            secolo scorso, con simboli e usanze sia di origine pagana 
                            che cristiana. Negli ultimi anni però, il Natale, festa 
                            prettamente cristiana, è diventata una specie di gara 
                            commerciale, una corsa al consumismo, trasformando questo 
                            periodo di attesa, di riflessione e di celebrazioni liturgiche 
                            in un festeggiamento frenetico, tanto che la Chiesa è 
                            dovuta intervenire spesso per sottolineare, incisivamente, 
                            il significato religioso di tale festa. 
                            Il pranzo di Natale per tradizione viene consumato in casa 
                            e varia a seconda dei paesi. Abbiamo anche una ricchezza di 
                            dolci preziosi e prelibati, che ricordano spesso simboli solari 
                            o tradizioni rurali; i dolci spesso richiedono lunghi preparativi 
                            e la lavorazione viene fatta diversi giorni prima.  
                            La serie di festeggiamenti continua con il cenone di fine 
                            anno a cui segue, dopo la breve euforia di pranzi, brindisi, 
                            auguri e abbracci, una pausa di riflessione nella giornata 
                            di Capodanno. 
                            Il primo giorno dell’anno, festa di rinnovamento, viene 
                            celebrata in tutte le civiltà ed è caratterizzata 
                            da rituali che simbolicamente chiudono un ciclo annuale e 
                            inaugurano quello successivo.  
                            Infine arriva l’Epifania, una delle principali feste 
                            cristiane, la cui celebrazione ricorre il 6 gennaio. Nata 
                            nella regione orientale per commemorare il battesimo di Gesù, 
                            fu presto introdotta in occidente dove assunse contenuti religiosi 
                            diversi, come la celebrazione delle nozze di Cana e il ricordo 
                            dell’offerta dei doni dei magi nella grotta di Betlemme. 
                            Quest’ultimo aspetto ha finito per prevalere e, sovrapponendosi 
                            a precedenti tradizioni folcloriche, ha determinato la nascita 
                        della figura della Befana che distribuisce doni... 
                          I magi, infatti, erano un gruppo di personaggi che, guidati 
                            da una stella, arrivarono dall’oriente per rendere omaggio 
                            a Gesù appena nato a Betlemme, donandogli oro, incenso 
                            e mirra. Successivamente verranno indicati come i “ 
                            tre re”, chiamati Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. 
                            Questa festa, che dà un supplemento di regali ai bambini, 
                            pone termine al ciclo di festeggiamenti dedicato al Santo 
                            Natale. 
                           
                           
                          Le immagini sono tratte dal volume “Antico 
                            Natale” di autori vari, edito da Edipuglia, 
                      Bari  | 
                     
                   
                    
                    
                   
                  
                    
                      LA COMETA, I RE MAGI E GIOTTO 
                        
                         
  “Quando Gesù fu nato a Betlemme di Giudea ai 
                          tempi di Re Erode, ecco apparire dall’Oriente a Gerusalemme 
                          alcuni Magi, i quali andavano chiedendo dove fosse nato il 
                          Re dei Giudei, perché – dicevano – avevano 
                          visto la sua stella al suo sorgere ed erano venuti ad adorarlo 
                          […]”. Matteo (II, 1-2). 
                         In ogni presepio del mondo, sopra la grotta 
                          che ospita la Sacra Famiglia, o sulla punta dell’albero 
                          addobbato per la festa, trova posto da tempo immemorabile 
                          una splendente “stella cometa”. Si tratta di una 
                          locuzione popolare impropria che gli astronomi chiamano semplicemente 
                          “cometa”, ossia astro chiomato. 
                       La tradizione vuole che i re Magi fossero stati guidati nel 
                          luogo dove nacque Gesù proprio da una luminosa cometa, 
                          divino messaggero del glorioso evento. Ma quanto c’è 
                          di verificabile, dal punto di vista astronomico, in questa 
                          affascinante rappresentazione? La stella dei Magi è 
                          esistita davvero? Da oltre un secolo si sa che si tratta di 
                          un corpo del sistema solare fatto in gran parte di ghiaccio, 
                          quindi proprio il contrario di una stella. La trasformazione 
                          di questa stella in cometa risale addirittura al 1301 e il 
                          merito va a Giotto. 
                          Egli infatti osservò personalmente in quel periodo 
                          una fantastica apparizione della cometa di Halley e, comprensibilmente, 
                          non resistette all’idea di disegnare la grande cometa 
                          sulla scena della natività nella Cappella degli Scrovegni 
                          a Padova. 
                          I progressi odierni della scienza permettono, grazie a computer 
                          con programmi di calcolo sempre più potenti ed all’affinamento 
                          dell’indagine storiografica ed archeologica di ricostruire 
                          con grande precisione il cielo notturno osservato dai nostri 
                          progenitori e di dare un contributo decisivo alla risoluzione 
                          di un “caso” affascinante ed assai complicato. 
                          L’interesse degli astronomi per la stella di Betlemme 
                          è sempre stato vivo e non accenna a diminuire: dopo 
                          duemila anni si susseguono ancora interpretazioni e studi 
                          al riguardo. Superata, come è giusto che sia, la volontà 
                          di far corrispondere fatti ed eventi scientificamente provati 
                          ai riferimenti degli Evangelisti. 
                          I Magi, che secondo il Vangelo armeno erano tre fratelli: 
                          Melkon, che regnava sui Persiani, Balthasar, che regnava sugli 
                          Indiani e il terzo, Gaspar, che possedeva il paese degli Arabi, 
                          appartenevano originariamente ad una delle tribù in 
                          cui era diviso il popolo dei Medi. Essi costituivano la classe 
                          sacerdotale. In Persia, infatti, dove vivevano, il loro nome 
                          assunse il significato generico di sacerdoti.  
                          I Magi esercitavano la professione che oggi definiremmo astrologia. 
                          Alla corte di Babilonia essi interpretavano i segni celesti, 
                          osservando i moti delle stelle e dei pianeti, traendone auspici 
                          favorevoli o meno. La “stella” che essi videro 
                          era uno di quei segnali con i quali presso i pagani la divinità 
                          rendeva noti i propri disegni. Alcuni testi arabi collegano 
                          i Magi alla religione iranica e a Zoroastro “fondatore 
                          della dottrina del magismo”, al quale veniva attribuita 
                          tra le altre cose anche la profezia della nascita di Cristo. 
                          Oggi sorridiamo del fatto che gli astri possono avere un’influenza 
                          prevedibile sul nostro agire quotidiano, o che tanto meno, 
                          permettano di predire eventi futuri. L’astrologia ha 
                          perso ogni fondamento e scientificità, anche presunta, 
                          con l’avvento del metodo scientifico del 16° secolo. 
                          Non dobbiamo dimenticare, tuttavia, che astronomia e astrologia 
                          hanno proceduto di pari passo per secoli, la prima al servizio 
                          della seconda. Fu a causa della creduta influenza dei corpi 
                          celesti sul destino dell’uomo che i sapienti dell’epoca 
                          affinarono la propria conoscenza sull’astronomia posizionale. 
                          I Vangeli sono una fonte privilegiata per inquadrare con una 
                          certa precisione la “stella” che videro i Magi. 
                          Dal Vangelo di Matteo proviene un’utile informazione: 
                          il fenomeno astronomico osservato dai Magi fu si importante 
                          ma non certo eclatante, ossia perfettamente evidente a chiunque. 
                          In caso contrario anche Erode ne sarebbe stato a conoscenza 
                          e non avrebbe dovuto chiedere informazioni dettagliate. Da 
                          perfetti conoscitori della volta celeste, quali erano i Magi, 
                          sicuramente si resero conto che ciò che videro, nel 
                          loro lungo viaggio da Babilonia a Betlemme, era qualcosa di 
                          importante per la propria esperienza di studiosi del cielo, 
                          anche se poi, a livello popolare, poteva passare del tutto 
                          inosservato. Ecco dunque perché furono i Magi a notare 
                          “la stella” e non altri: solo loro erano in grado, 
                          come esperti osservatori delle stelle, di apprezzarne la particolarità. 
  È possibile che in futuro emergano nuovi elementi archeologici 
                          o storiografici risalenti ai primi anni della cristianità: 
                          essi potranno così dar peso ad un’interpretazione 
                      piuttosto che ad un’altra.  | 
                     
                   
                    
                    
                  
  
                  
                    
                      IL NATALE BARESE TRA LEGGENDE E DIALETTO 
                         
                             
                         
  “Placida notte quella di Natale; magica notte nella 
                          quale tutto può accadere: l’universo si ferma 
                          per un attimo, gli animali parlano, gli alberi fioriscono 
                          in pieno inverno, i fiumi si trasformano in colate di oro 
                          e miele”. 
                          Natale, un evento cristiano ricordato nella cristianità 
                          occidentale il 25 dicembre è una delle feste più 
                          belle dell’anno sotto molteplici aspetti: religioso, 
                          tradizionale, folcloristico, poetico, ecc. 
                          Nino Lavermicocca e Anna Maria Tripputi, hanno curato per 
                          l’editore Paolo Malagrinò (pag. 108, euro 15,00), 
                          una bella pubblicazione dal titolo “Placida notte”, 
                          da sempre sinonimo della notte di Natale, e che in collaborazione 
                          con Vito Maurogiovanni, Nicola Cortone, Vincenzo Carlone, 
                          Pietro Squeo e Alfredo Ventola indirizzano ai lettori una 
                          sorta di messaggio augurale inconsueto. Infatti, gli autori 
                          illustrano riti, tradizioni, racconti, culto, poesie, iconografia 
                          e tutta la suggestione della importante festività, 
                          quale testimonianza del patrimonio barese del Natale. 
                          Vari i temi trattati: il lungo cammino del Presepio (Lavermicocca) 
                          il Natale nella letteratura popolare (Tripputi), il colore 
                          della festa tra ricordi e racconti (Maurogiovanni), l’alfabeto 
                          del Natale barese (Lavermicocca), le poesie “baresi” 
                          per il Natale barese (Nicola Cortone), il presepe arcaico 
                          di Raffaele Spizzico (Carlone) ed anche le delizie natalizie 
                          (Squeo e Ventola), che sono parte integrante ed insostituibile 
                          della solenne festività.  
                          Ed anche il dialetto, che “oltre ad assolvere la funzione 
                          di soddisfare le esigenze espressive di uso giornaliero e 
                          di carattere popolare, ha anche quella di rievocare tradizioni 
                          e costumi della civiltà del passato”, entra di 
                          prepotenza in questa pubblicazione, che Nicola Cortone ha 
                          voluto rappresentare con tre belle poesie: “La Pastorale 
                          au Prisebie de Gesù Bammine” di F. Saverio Abbrescia, 
                          “Pastorella natalizia” di F. Babudri e “U 
                          Natale de le poveridde” di P. Santoro. Foto di Beppe 
                          Gernone, copertina su progetto grafico di Stefano Lavermicocca. 
                          Una bella pubblicazione da leggere, conservare e regalare. 
                      Ne vale la pena.
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                      SAN NICOLA? UN SANTO NATALIZIO | 
                     
                    
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                      Che San Nicola sia un Santo natalizio è fuor di dubbio 
                          dal momento che fin dalla sua giovane età si fece ammirare 
                          per la bontà e la generosità che animavano il 
                          suo operato, soprattutto verso i più poveri, ai quali 
                          donò le ricchezze ereditate dai genitori.  
                          In diversi paesi la sentita devozione verso il Santo di Mira 
                          ha dato origine a tradizioni che si intrecciano con la grande 
                          festa della Natività di Cristo. 
                          Pare che lo stesso Santa Claus (S. Nicola) americano, sia 
                          di derivazione olandese, come ricorda p. Gerardo Cioffari 
                          o.p. nel suo volume “San Nicola – La vita, i miracoli, 
                          le leggende”, edito dal Centro Studi Nicolaiani per 
                          i tipi di Levante Editori. 
                          La storia viene narrata per la prima volta dallo scrittore 
                          umoristico americano Washington Irving, nel suo volume “A 
                          history of New York by Diedrich Knickerbocker "(1809), 
                          una vicenda dei primi colonizzatori inglesi. Anche l’Olanda 
                          ha dato il suo contribuito attraverso il trasferimento delle 
                          proprie tradizioni verso il Nuovo Mondo per mezzo del suo 
                          Sinter Klaus (Santa Claus) con l’abito rosso, la barba 
                          bianca e la mitra vescovile in testa, adottato come portatore 
                          di doni per i più piccoli. 
                          Con il passare del tempo il suo aspetto mutò, la mitra 
                          si trasformò in cappuccio a punta, l’abito, pur 
                          rimanendo rosso, si trasformò in giacca e pantaloni 
                          ornati di pelliccia bianca, mantenendo la folta barba bianca, 
                          ma un po’ ingrassato. 
                          Dall’America ritornò in Europa trasformato da 
                          Babbo Natale, sorridente e instancabile nel distribuire regali 
                      ai più piccoli.                         | 
                     
                    
                      “San Nicola e i bambini” rappresenta anche un 
                          progetto artistico che Bari, porta avanti da alcuni anni in 
                          onore del suo Santo patrono, che è anche protettore 
                          dei bambini. Progetto che sta raccogliendo una cospicua collezione 
                          di immagini dedicata ai Santi delle tradizioni pugliesi e 
                          che l’Amministrazione comunale intende donare alla cittadinanza, 
                          esponendola in un museo dedicato ai piccoli cittadini. Trattasi 
                          di una interpretazione iconografica contemporanea dell’eterno 
                          fascino che il protettore dei bambini esercita da sempre in 
                      tutte le latitudini.                         | 
                     
                    
                      
                      Foto 2 | 
                      
                        Foto 1
                          
                        Le foto mostrano un collage dell’artista 
                                barese Anna Maria Di Terlizzi, che propone un San 
                                Nicola con i bambini (foto 1) ed un altro San Nicola 
                                in trono (foto 2), un’installazione che da sola 
                                è capace di animare lo spazio intorno a sé. 
                                Il lavoro possiede, infatti, una notevole dimensione 
                                ambientale per l’imponenza del vescovo insediato, 
                                ma a parlare sono soprattutto i simboli: dalla mitria, 
                                alla stola, al pastorale, alle tre sfere, ai puttini. 
                                Un’opera veramente bella che l’autrice, 
                                com’è solita fare, è ricorsa al 
                                suo colto bricolage, tra oggetti della tradizione 
                      popolare.  | 
                     
                    
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                      Anche Nino Lavermicocca nel suo libro “Bari vecchia” 
                          (Adda editore) ricorda che San Nicola è diventato il 
                          buon vegliardo che distribuisce doni dal camino anziché 
                          dalla finestra nella notte tra il 5 e 6 dicembre, soprattutto 
                          nei paesi dell’Europa centrale (Austria, Svizzera, Lussemburgo, 
                          Germania, Francia, Olanda e Belgio), accompagnato dal paziente 
                          asinello carico di regali e dall’irrequieto “uomo 
                          nero” (chiamato in modo diverso nei vari paesi), che 
                          minaccia con un fascio di verghe i più discoli. 
                          Per l’occasione si formano pittoreschi cortei con le 
                          tre figure, i carri allegorici e le bande musicali. I più 
                          fastosi sono segnalati a Nancy, Strasburgo, Friburgo, Magonza, 
                          Colonia, Amsterdam, Bruxelles, Gand), mentre minicortei girano 
                          per le case. 
E in questa atmosfera natalizia anche i nostri bambini attendono 
                          fiduciosi il buon Babbo Natale che elargisce doni, ma in Italia 
                      questo avviene il 24 dicembre.                         | 
                     
                   
                    
                    
                  
                    
                      NATALE NEL MONDO
                         
                          La festività di Natale non è soltanto la ricorrenza 
                          più importante del calendario liturgico ma è 
                          una celebrazione che viene da molto lontano. Si festeggiava 
                          infatti presso quasi tutti i popoli già prima della 
                          nascita di Gesù. Forse per questi motivi nelle varie 
                          parti del mondo il Natale ha inizio in date diverse e si celebra 
                          in modo differente. Vediamone qualcuno. 
                       
                          In Svizzera le mamme acquistano all’inizio 
                          di dicembre una varietà di calendari che danno la possibilità 
                          di aprire finestrelle e mangiare il cioccolatino che vi è 
                          contenuto, aspettando pazientemente la ricorrenza. Uno scampanellio 
                          annuncia che il Bambino sta arrivando ed entra in tutte le 
                          case a distribuire doni. 
                       
                          In Francia i bambini lasciano le loro scarpe 
                          presso il camino per ritrovarle con i doni elargiti da Babbo 
                          Natale. Nelle piazze delle Cattedrali viene rappresentata 
                          la natività con attori e marionette. Nel sud della 
                          Francia vengono bruciati tronchi d’albero dalla vigilia 
                          fino alla fine dell’anno. 
                       
                      Gli Inglesi amano molto le musiche natalizie, 
                          decorare gli alberi ed appendere rametti sempreverdi, in attesa 
                          di Babbo Natale con la veste rossa che alla vigilia lascia 
                          regali. Generalmente i doni, al contrario di quanto avviene 
                          in Italia, non vengono aperti fino al pomeriggio successivo. 
                          Pare che i festeggiamenti per il Natale in Inghilterra sia 
                          iniziato nel lontano 596, quando Sant’Agostino approdò 
                          nell'isola per evangelizzare i popoli anglo-sassoni. 
                        
                         
                             
                          In Spagna, sia nelle case che nelle chiese, 
                          il presepe viene realizzato utilizzando figure completamente 
                          intagliate a mano. Nella settimana precedente il Natale le 
                          famiglie si riuniscono cantando intorno ai loro presepi, mentre 
                          i bambini suonano tamburelli e ballano. Per la Befana mettono 
                          le loro scarpette sui balconi nella speranza di trovare i 
                          doni. 
                         
                         
                        
                          
                        In Grecia alla vigilia di Natale si suonano 
                          canti natalizi ed i piccoli accompagnano i canti suonando 
                          tamburello e triangolo. Vanno di casa in casa a portare fichi 
                          secchi, mandorle, noci, dolcetti o altri piccoli doni. A Natale 
                          vengono scambiati molti regali e ci si reca con un piccolo 
                          dono a trovare le persone povere, sole e ammalate. La vigilia 
                          è anche occasione per radunarsi festosi e consumare 
                          insieme fichi secchi e un pane preparato con spezie chiamato 
                          “Chrisopsomo”. 
                        
                           
                        Negli Stati Uniti il Natale è celebrato 
                          in molti modi, a seconda delle regioni e delle tante popolazioni 
                          di culture diverse che vi abitano. 
                          Nel Sud, il giorno di Natale si sparano colpi d’arma 
                          da fuoco, mentre a Washington il Presidente accende le luci 
                          di un enorme e spettacolare albero. A Boston, invece, i cantanti 
                          di musiche natalizie, che sono molto famosi, sono accompagnati 
                          da campanelle suonate a mano. In Arizona si inscena una specie 
                          di presepe vivente e peregrinante, nel quale Maria e Giuseppe 
                          fanno il giro delle locande per cercare un alloggio dove far 
                          nascere Gesù, ammirando i presepi delle famiglie visitate. 
                          Alle Hawaii, il Natale comincia con l’arrivo di una 
                          “Barca di Natale”, carica di tanti abeti, dalla 
                          quale sbarca anche Babbo Natale. In California Babbo Natale 
                          “viaggia” su una tavola da surf. 
                         
                             
                          E in Africa, paese dalle mille etnie che 
                          succede? 
                          In Nigeria alberi e presepi sono presenti 
                          solo nelle regioni con più alta concentrazione cristiana 
                          e la tradizione più diffusa è quella del pranzo 
                          con la famiglia allargata. 
                       
                          Nel Ghana chiese addobbate festosamente, 
                          musica, processioni e parate. Una festa che diventa occasione 
                          per incontrare parenti e amici che vivono in villaggi diversi 
                          e lontani. Il pranzo prevede riso, pollo agnello e frutta 
                          di ogni tipo. Le famiglie cristiane preparano l’albero, 
                          ma non é né pino e neanche abete: il mango è 
                          quello più diffuso. 
                       
                          In Kenia le non numerose chiese cristiane 
                          vengono addobbate con fiori coloratissimi, gli stessi che 
                          decorano anche gli alberi di Natale. Il piatto tradizionale 
                          è il “nyama choma” un arrosto di capra. 
                       
                          L’Egitto, paese musulmano con una forte 
                          presenza cristiana, anche se copta, ha un calendario diverso 
                          dal nostro. Natale è festeggiato, infatti, il 7 gennaio, 
                          mentre le celebrazioni iniziano il 25 novembre e per 40 giorni 
                          spariscono dalla tavola carne e latte e il “digiuno” 
                          termina la sera del 6 gennaio. Il piatto tradizionale è 
                          il “fatta”, a base di carne e riso. Da alcuni 
                          anni è comparso l’albero di Natale, ma rigorosamente 
                          artificiale. 
                       
                          In Cina il Natale riflette le particolari 
                          condizioni politiche del gigante asiatico. I cristiani sono 
                          una piccolissima minoranza, ma possono celebrare il Natale, 
                          anche se in modo poco tradizionale, solo in alcune grandi 
                          città dove c’è una più alta concentrazione 
                          di cristiani. Quasi impossibile rintracciare un presepe, anche 
                          se tre anni fa una spedizione archeologica ne rinvenne uno 
                          databile all’800 d.C. Il Babbo Natale locale si chiama 
                          “Dun Che Lao Ren”. 
                        
                          
                        Nella Corea del Sud il Natale religioso 
                          è molto sentito rispetto al vicino Giappone. Dopo la 
                          messa di mezzanotte si celebrano i battesimi dei nuovi fedeli 
                          che hanno deciso di convertirsi al Cristianesimo, successivamente 
                          alcuni gruppi corali intonano una serie di canti tradizionali 
                          nelle strade della città. Il pranzo prevede una torta 
                          salata a base di riso, il “kimki” (verdure grigliate 
                          con spezie) e arrosto di carni. Lo scambio dei regali è 
                          comunque una tradizione diffusissima. 
                          
                          
                         
                          E per concludere ricordo come si dice “Buon Natale” 
                          in alcune lingue europee: Glaedelig (Danese), Joyeux Noel (Francese), Vrolyk Kerstfeast 
                          (Olandese), Boze Narodzenie (Polacco), Feliz 
                      Navidad (Spagnolo), Froelich Weihnacten (Tedesco), Yeliniz Kitu Oslum (Turco).
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                        TRADIZIONI E LEGGENDE
                          DEL NATALE A BARI
                        
                         
                          La Natività di Gesù Cristo è considerata 
                          una delle più solenni ed importanti ricorrenze religiose 
                          dell’umanità. Non è facile risalire 
                          all’epoca in cui è iniziata la celebrazione, 
                          ma certamente non è più antica del Concilio 
                          ecumenico di Nicea (325), anche se all’epoca non era 
                          festeggiata lo stesso giorno in tutto il mondo. Nei paesi 
                          settentrionali d’Europa si usa fare l’albero 
                          di Natale, un abete o un pino, usanza che si è diffusa 
                          anche in Italia dove si era soliti fare il Presepio.  
                          L’uso poi di celebrare tre messe in questa solennità, 
                          una a mezzanotte, l’altra all’aurora e la terza 
                          di giorno, esisteva già prima del VI secolo. Nel 
                          Medioevo per rendere ancora più splendida questa 
                          festa vi si rappresentavano certi misteri tra gli uffizi 
                          divini; il popolo cantava dei natali, cioè piccoli 
                          cantici accompagnati dall’organo e ricordavano i cantici 
                          dei pastori alla nascita del Salvatore. Le rappresentazioni 
                          dei misteri e i natali sono una usanza ormai quasi del tutto 
                          scomparsa. 
                          Qual’era l’atmosfera in questo periodo? Mentre 
                          nelle città vi è un gran via vai di gente, 
                          traffico impazzito, negozi ricolmi di merci, nelle città 
                          vecchie l’atmosfera è forse ancora quella del 
                          buon tempo antico. Infatti, sono pochi coloro che sfuggono 
                          al fascino del messaggio natalizio della bontà, dell’amore, 
                          della fraternità e della pace, insomma ci sentiamo 
                          tutti più buoni e disponibili. 
                          Alcune tradizioni baresi le ricorda Alfredo Giovine nelle 
                          sue pubblicazioni “Bari la zita mè” (Edizioni 
                          Fratelli Laterza, Bari) e “Ricorrenze notevoli del 
                          popolino barese” (Edizione Centro Studi Baresi, Bari).  
                          La prima aria di Natale si avvertiva il giorno di San Nicola 
                          quando la mattina, molto presto, si andava a sentir Messa 
                          nella Basilica di San Nicola (cosa che avviene ancora oggi), 
                          ed in chiesa si suonava la “ninna nanna”. Gli 
                          zampognari, provenienti dall’Abruzzo e dal Molise, 
                          eseguivano per le strade note nenie natalizie creando un 
                          clima di tenerezza che esaltava i valori autentici della 
                          famiglia ed anche per strappare qualche soldino ai passanti.  
                        Con 
                          la festività dell’Immacolata in ogni casa si 
                          preparava il presepe e si recitava la novena. Il giorno 
                          della Vigilia, sul tardi, dopo l’abbondante cena, 
                          si celebrava una specie di funzione religiosa e si faceva 
                          nascere il Bambino, che il più piccolo della famiglia 
                          portava in processione all’interno della casa, cantando 
                          il famoso canto “Tu scendi dalle stelle”, le 
                          cui parole furono scritte da Sant’Alfonso. Non si 
                          faceva a meno degli immancabili “tric e trac” 
                          (piccoli botti natalizi) e delle stelle filanti. Anticamente 
                          si riteneva che poiché la notte di Natale poteva 
                          nascere solo Gesù, ogni altro nato era considerato 
                          uomo lupo (lupo mannaro o licantropo). 
                          Il giorno di Natale gli adulti si recavano ad ascoltare 
                          la Messa mentre i ragazzi si recavano in casa di parenti 
                          per ottenere leccornie, gli amici, invece, si scambiavano 
                          piatti di dolci e assaggi, mentre molti continuavano a finire 
                          i giochi iniziati la vigilia. 
                          Il giorno di Santo Stefano la festa continuava, ma attenuandosi. 
                          La leggenda vuole che Santo Stefano sia nato così: 
                          la sera della vigilia, quando incominciò a spargersi 
                          la voce che Gesù era nato, tutte le donne maritate 
                          potevano recarsi a far visita alla Madonna nella grotta 
                          di Betlemme. C’era una ragazzina che voleva essere 
                          tra le visitatrici, ma per il fatto di essere minorenne 
                          (e non sposata) non poteva entrare. Allora che fare? La 
                          fanciulla prese una pietra, la ravvolse con stracci e se 
                          la pose in braccio come se si trattasse di un lattante in 
                          fasce. Entrò nella grotta e gioì immensamente 
                          nel vedere Gesù bambino. In quel mentre si avvicinarono 
                          a lei due guardiani della Sacra Famiglia per vedere chi 
                          ci fosse sotto gli stracci, la Madonna, che seguiva la scena, 
                          s’accorse del turbamento della ragazzina, e mentre 
                          i guardiani con le mani cercavano di scostare gli stracci 
                          per controllare, si sentì il pianto di un bimbo. 
                          Così la pietra si trasformò in essere umano 
                          e nacque Santo Stefano.  
                          Oggi invece le tradizioni stanno letteralmente cambiando. 
                          C’è uno sfrenato ricorso a internet, infatti, 
                          si può sapere tutto su Babbo Natale attraverso vari 
                          siti disponibili sia italiani che stranieri. Si trovano 
                          cartoline natalizie, barzellette sulle festività, 
                          i piatti preferiti da Babbo Natale e molto altro. Insomma 
                          sono finiti i tempi in cui si preparava il Presepio col 
                          sughero e col muschio raccolto su tetti e terrazze o si 
                          ornava l’albero, rigorosamente di pino o di alloro, 
                          con arance e mandarini.  
                          Oggi tutto è sintetico dall’albero al Presepio, 
                          alle statuine e finanche il gioco della tombola, patrimonio 
                          esclusivo della nonna, ha perduto il suo valore a favore 
                          del più attuale e moderno Bingo o di tutti quegli 
                          altri giochi elettronici che sembrano avere la preferenza 
                      da parte dei giovani. 
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                          COSA SI MANGIA A BARI A NATALE ?
                          
                        Per Giovanni Panza, autore del libro bilingue 
                            (italiano e dialetto barese), “La checine de nononne” 
                            (Schena Editore), “La cucina barese è una cucina 
                            così buona che può anche rianimare i moribondi”. 
                            Alfredo Giovine, invece, nella sua pubblicazione “Bari 
                            la zita mè” (Edizioni Fratelli Laterza), descrive 
                            con dovizia quello che si mangia nelle festività 
                            natalizie. 
                            Ma qual’è l’atmosfera che si vive in 
                            questi giorni? Nella città vi è un gran via 
                            vai di gente, traffico impazzito, mentre nella città 
                            vecchia l’atmosfera è forse ancora quella del 
                            buon tempo antico, quando nell’aria si sentivano i 
                            buoni profumi “du ccuètte” (vin cotto), 
                            o della “tièdde de castaggnèdde” 
                            (teglia di dolci di mandorle), o di “pecciuatèddre” 
                            (taralli di farina scaldati con anice o senza), od anche 
                            di “ècchie de Sanda Lecì” (tarallini 
                            natalizi ricoperti di glassa) e di altro bene della Provvidenza 
                            che provenivano “da le settàne a la strate” 
                            (locali alla strada) o dai forni di pietra a legna.  
                            La prima aria di Natale si avverte il 6 dicembre giorno 
                            di San Nicola, quando si va ad ascoltare la Messa nella 
                            Basilica, o quando si sentono le note della “ninna 
                            nanna” e delle nenie natalizie che gli zampognari, 
                            prevalentemente abruzzesi, eseguono per le strade.  
                            E, come in tutte le circostanze, la satira popolare, che 
                            così recitava, non trascurava i fornai:: “A 
                            PPàsque e a Natàle / s’arrechèscene 
                            le fernàre; / passàte ca so le fiìste 
                            / vonne cercànne terrìse mbriìste” 
                            (A Pasqua e a Natale si arricchiscono i fornai; trascorse 
                            le feste vanno chiedendo soldi in prestito). 
                            Quali sono le tradizioni baresi per questa notevole ricorrenza? 
                            Le rammenta Giovanni Panza nel citato volume, che Franco 
                            Sorrentino ha definito: «... Bellissimo volume scritto 
                            con un amore e con una maestria che lo rendono degno di 
                            ogni casa barese».  
                            Leggiamo, infatti, delle “feste terribele”, 
                            cioè le festività più importanti dell’anno, 
                            come Natale, Capodanno e Pasqua, in occasione delle quali 
                            si prepara un lungo corteo di piatti in perfetto ossequio 
                            alle tradizioni culinarie cittadine e che citerò 
                            in parte per motivi di spazio, rimandando il lettore all’opera 
                            originale.  
                            Ma vediamo in dettaglio cosa ci consiglia Panza per il pranzo 
                            di Natale: 
                          Vescigghie: vermeciidde 
                            cu grenghe o capetone, capetone arrestute mbond’o 
                            spiite che le fronze de llore; u ccrute, tomacchie e mignitte, 
                            baccalà sott’acìte; sopataue, nusce, 
                            aminue, necedde, chiacune, frutte de stagione, pecciuateddre, 
                            carteddate, castagnedde, pastriache, ecchie de Sanda Lecì, 
                            resolie de lemone, de mandarine, anesette, streghe, stomàdeche, 
                            ecc.  
                            (Vigilia di Natale: spaghetti con il gronco (pesce di mare 
                            affine all’anguilla) o capitone, o con frutti di mare 
                            (noci, cozze, datteri, muscoli, o seppie, ecc.); capitone 
                            allo spiedo con foglie di alloro; frutta di mare cruda, 
                            comacchio (anguille e capitone fritti conservati in salamoia 
                            a base di aceto); baccalà e pesciolini fritti e sott’aceto; 
                            verdura cruda, cartellate, castagnelle, paste reali, occhi 
                            di Santa Lucia (tarallini natalizi ricoperti di glassa), 
                            torrone, liquore di limone o di mandarino, anisetta, strega, 
                            amaro, ecc.). 
                          Natale: brote de vicce 
                            che la verdure o granerise o alde cose ca se fàscene 
                            cu bbrote; vicce allesse che l’anzalate; scarcioffe 
                            e lambasciune ndorat’e fritte; u ccrute d’avanze, 
                            ecc. 
                            (Natale: brodo di tacchino con verdura, riso o altro; lesso 
                            di tacchino con contorno di insalata verde; carciofi e lampascioni 
                            indorati e fritti; frutta di mare eventualmente avanzata; 
                            verdura cruda, frutta di stagione e tutto il resto come 
                            il giorno della vigilia). 
                          Sande Stèfene: 
                            tembane ’o furne, carne a ragù; agniidde arrestute 
                            e patane fritte; u reste accom’a l’alde dì. 
                            (Santo Stefano: timballo al forno, carne a ragù, 
                            agnello alla brace con contorno di patatine fritte; il resto 
                            come i giorni precedenti).  
                           Per i baresi sono irrinunciabili certi 
                            antipasti di mare come l’aliscette (alicette); l’allìive 
                            (seppioline); le calamarìidde (calamaretti); la meroske 
                            (piccoli pesci); le pulperizze (piccoli polpi arricciati); 
                            le rizze (i ricci) e, dulcis in fundo, u ccrute (il crudo), 
                            rappresentato dalla varietà di frutti di mare (cozze 
                            pelose, noci, ostriche, canestrelle, tartufi di mare, datteri, 
                            ecc.). Tutte prelibatezze marine da consumare rigorosamente 
                            crude, ma sconsigliate, per motivi di igiene, da alcune 
                            ordinanze comunali, mentre un decreto ministeriale ha proibito, 
                            per motivi di tutela ambientale, il prelievo, la vendita 
                            ed il consumo dei datteri di mare. 
                            Che i frutti di mare siano stati sempre sacri per i baresi, 
                            lo conferma anche un’ordinanza dell’Intendente 
                            di Bari del lontano 1819, con la quale autorizzava barbieri 
                            e marinai a svolgere liberamente le rispettive attività 
                            pure nei giorni di festa. 
                            Come baresi ed estimatori di baresità è doveroso 
                            dare atto a Giovanni Panza del suo particolare attaccamento 
                            alla nostra città e ai valori storici e morali ad 
                            essa collegati, nonché alle tradizioni culinarie 
                            miranti a mettere in risalto il nostro dialetto e le nostre 
                            usanze con le sue preziose ricette, tanto utili alla casalinga 
                            barese e tanto salutari per la dieta mediterranea, ampiamente 
                            riconosciuta dai dietologi, il cui regno è la Puglia.                            
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                    Le foto che accompagnano l'articolo "Simbologia 
                      di Natale" e "Il Natale nel mondo" 
                      sono dell'Archivio di Cartantica 
                      
                     dello stesso Autore: 
                    
                    
                    
                    
                    
                     
                    
                    
                    
                    
                   
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