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Rubriche di
Patrizia Fontana Roca

 


IMMAGINETTE DELLE MISSIONI, CINESI, GIAPPONESI, INDIANE E AFRICANE

 

 

 

 

Dal Libro suddetto:


ASPETTI DI RILIEVO DELLA LETTERA APOSTOLICA MAXIMUM ILLUD (30 novembre 1919)

Il XX secolo è stato definito: «il secolo delle missioni». Durante questi cento anni, nella vita della Chiesa, che nasce a Pentecoste e continua nel tempo, hanno avuto luogo grandi eventi che ne hanno rafforzato il dinamismo e l'impegno missionario. Ciò non esclude che ci siano state anche prima molte iniziative missionarie: anzi, senza queste il fiorire della missione in tempi successivi sarebbe stato impossibile.

 

All’origine di questo «secolo delle missioni» si colloca il documento missionario pontificio Maximum Illud [MI] del Sommo Pontefice Benedetto XV.. Nonostante sia uno dei documenti più citati nella letteratura missionaria, esso può essere considerato come “la grande sconosciuta”.

Papa Francesco, nel proclamare un Mese Missionario Straordinario nell’ottobre 2019, in occasione del centenario di questa Lettera apostolica, sottolinea che si tratta di un’occasione provvidenziale per rendere giustizia a un testo missionario fondamentale e profetico.

«La Chiesa di Dio, memore del divino mandato, non cessò mai, attraverso il corso dei secoli, di inviare per ogni dove banditori e ministri della divina parola che annunziassero l’eterna salvezza recata al genere umano. Si tenga presente che la celebrazione di questo centenario non può essere semplicemente considerata un altro anniversario nel calendario della Chiesa.

Per questo motivo, è volontà del Santo Padre che tutte le Chiese, in tutte le regioni della terra, si pongano in uno stato permanente di missione". La celebrazione del Mese Missionario Straordinario è un'opportunità per «risvegliare maggiormente la consapevolezza missionaria della missio ad gentes e riprendere con nuovo slancio la trasformazione missionaria della vita e della pastorale»; è la grande occasione «per aprirci… alla novità gioiosa del Vangelo» .

1. La Lettera apostolica Maximum Illud nasce in un momento poco propizio per rafforzare la responsabilità missionaria della Chiesa o è proprio questa situazione che giustifica la sua pubblicazione.

La Prima Guerra Mondiale si è conclusa da poco tempo e all’interno della Chiesa si percepisce la perdita del “fervore” missionario, anche come conseguenza dei grandi fallimenti di quel conflitto bellico e dei fattori che avrebbero portato in seguito alla Seconda Guerra Mondiale.

L’origine di questa crisi postmoderna si verifica in Occidente, tutttavia, Benedetto XV non nasconde la sua soddisfazione e gioia nel vedere l’espansione delle missioni straniere e di alcuni vicariati apostolici, che non hanno smesso di preparare una nuova crescita per il Regno di Dio.

I paesi evangelizzati sono per lo più colonie occidentali ed il colonialismo regna su ogni altro obiettivo evangelico; specialmente se quelli che annunciano la Buona Novella vengono dai paesi colonizzatori. Le esigenze del progresso, dell’industria. dello sviluppo per cercare nuove terre dove vendere i propri prodotti e nuovi luoghi in cui rifornirsi di materie prime, provocano conflitti tra le nazioni europee.

Le motivazioni economiche sono, purtroppo, all’origine delle guerre e si estendono a tutte le colonie, specialmente in Africa, dove lavorano i missionari europei. In breve, i popoli da evangelizzare sono anche vittime delle conseguenze delle guerre mondiali.

 

Per tale motivo, Papa Francesco insiste sulla necessità di purificare l’esercizio dell’attività missionaria da qualsiasi distorsione, come è successo con le adesioni colonizzatrici di quel tempo, evitando così il pericolo delle tendenze nazionaliste e degli etnocentrismi. Anche ora la stessa purezza evangelica può essere distorta per altri interessi, sociali o partigiani, che offuscano la dimensione universale e cattolica che si trova al cuore della missione.

2. Problema delle vocazioni missionarie - Benedetto XV pubblica la Maximum Illud come documento papale profetico e missionario, al punto da essere considerato come l’inizio di quello che, in effetti, venne chiamato «secolo delle missioni». Per tutto il XIX secolo apparvero numerosi documenti pontifici missionari, tra i quali Probe Nostis (Gregorio XVI, 1840), Quanto Conficiamur (Pio IX, 1863), Sancta Dei Civitas (Leone XIII, 1880) e Catholicae Ecclesiae (Leone XIII, 1890), con lo scopo di rafforzare la missione di cooperazione della Chiesa, attraverso le molte istituzioni missionarie che lo Spirito Santo stava facendo nascere nel mondo, soprattutto in Africa.

A tali circostanze si sommarono alcune difficoltà che provenivano dall’interno della Chiesa, la più grave delle quali era la crisi vocazionale.

3. Benedetto XV esemplifica il modo in cui viene messo in chiaro il pericolo delle tendenze nazionaliste: «Poniamo che il missionario non abbia del tutto deposto questi intenti umani e non si comporti pienamente da vero uomo apostolico, ma dia motivo di supporre che egli faccia gli interessi della sua patria; senz’altro tutta l’opera sua diverrà sospetta alla popolazione, che, facilmente, sarà indotta a credere che la religione cristiana non sia altro che la religione di una data nazione, abbracciando la quale uno viene a mettersi alla dipendenza di uno stato estero, rinunciando in tal modo alla propria nazionalità» (MI 46).

Molti missionari inviati dalla Chiesa in Occidente erano stati reclutati per unirsi agli eserciti belligeranti. La guerra mondiale causò una crisi che ebbe un’ampia risonanza sul processo missionario: le aree geografiche e culturali in cui nascevano e si formavano le vocazioni furono distrutte, i giovani venivano arruolati e le vocazioni diminuivano, in mancanza di risorse economiche, istituzionali o personali.

La situazione era preoccupante anche da altri punti di vista, come nel caso dei missionari provenienti da paesi sconfitti, come la Germania o di quelli che erano considerati piuttosto come difensori degli interessi della propria patria.

A ciò si aggiunge una questione importante, che Benedetto XV affronta nella sua Lettera apostolica e che fino a quel momento era stata trascurata nell’attività missionaria della Chiesa: la scarsa attenzione alle vocazioni indigene. A queste era sempre stata assegnata una natura sussidiaria, con la conseguente disaffezione verso una formazione dottrinale, missionaria e spirituale.

 

Il Documento profetico e audace del Papa, apre le porte a una riflessione sulla missione ad gentes che resta di grande attualità anche dopo cento anni dalla promulgazione, perché può benissimo essere considerata come linea guida della missionologia, tanto da aiutarci a riconoscere quanto «la missione possa rinnovare la Chiesa», pur non dicendolo esplicitamente, dando uno sguardo all’attività missionaria degli anni Sessanta, con le emancipazioni politiche delle ex colonie, per scoprire che la situazione attuale è stata in qualche modo prevista da Benedetto XV.

La lettura di questa Lettera apostolica non può essere esente da tali analisi e considerazioni storiche. Oltre ad essere il documento missionario pontificio più citato durante questo secolo, i successivi Papi, non si sono lasciati sfuggire l’opportunità di ricordarne o approfondirne il contenuto.

 

È il caso di Pio XI con Rerum Ecclesiae (28 febbraio 1926), in cui si concretizzano molte delle indicazioni di Benedetto XV.

Da parte sua, Pio XII, nel 25° anniversario di questa Enciclica del suo predecessore, pubblica Evangelii Praecones nel 1951.

Pio XII invita al ringraziamento per l’opera evangelizzatrice della Chiesa, ma uno dei suoi grandi successi è l’apertura all’universalità, abbozzata da Benedetto XV, che viene sviluppata ampiamente, promuovendo il ministero episcopale nel clero indigeno.

A queste si aggiungono la conosciuta Fidei Donum (21 aprile 1957) di Pio XII e quella che forse è più esplicita nel riferimento alla Maximum Illud, l’Enciclica Princeps Pastorum (28 novembre 1959) di Giovanni XXIII, nel suo 40° anniversario.

Se la lettura di questi documenti aiuta a comprendere il pensiero di Benedetto XV, il testo di Giovanni XXIII è vincolante. Per questo motivo, Papa Francesco, nella sua lettera al Cardinale Filoni del 22 ottobre 2017, afferma che «Benedetto XV desiderò dare nuovo slancio alla responsabilità missionaria di annunciare il Vangelo».

 

4. Universalità dell’attività missionaria della Chiesa.

Dalle sue prime parole, Maximum Illud si riferisce al fatto che annunciare il Vangelo non è solo proclamarlo per aumentare il numero dei battezzati, ma considerarlo come frutto di incontro con Cristo, nato dalla fede, oltre le razze, le culture, i popoli. Papa Francesco apprezza e Benedetto XV lamenta che vi fossero «Missionari i quali, dimentichi della propria dignità, pensassero più alla loro patria terrestre.

 

Il documento di Benedetto XV, tra le altre ragioni, mostra che la Chiesa è cattolica, missionaria, universale e, in quanto tale, l’azione missionaria risulta paradigmatica di tutta l’opera della Chiesa. Pertanto, il compito missionario non è facoltativo, ma indispensabile e prioritario. All’epoca, la proclamazione del Vangelo sembrava implicare la revisione o la sostituzione della cultura del popolo: per questo la connotazione del colonialismo non è solo di natura politica e sociale, ma anche culturale e danneggia fortemente l’evangelizzazione.

 

La Maximum Illud, invece, fa una valutazione molto positiva di ciò che l’inculturazione della fede è e significa, ponendo la Chiesa in uno stato permanente di missione. Benedetto XV assume l’impegno di affermare che la missione viene definita dall’universalità della salvezza e dalla cattolicità della Chiesa destinata a tutte le genti.

Per la prima volta, la missione entra in maniera evidente a far parte delle preoccupazioni della Chiesa, fissando la sua attenzione sulla necessità di prendersi cura delle Chiese indigene, del loro sviluppo organico ed inculturato. Perciò, una delle principali sfide a cui deve rispondere il Papa è quella di vincere la tentazione di adesioni colonizzatrici fondate su concetti nazionalistici ed etnocentrici, che interessano direttamente non solo i paesi, ma anche alcune istituzioni missionarie, persuase che la Santa Sede avesse dato loro un territorio di missione in proprietà.

 

5 . Era il momento di chiarire, dalla Sede Apostolica, la separazione tra i confini geografici e politici e le circoscrizioni ecclesiastiche della Chiesa. Benedetto XV affronta inizialmente il problema della restituzione alla Chiesa locale di quei territori che erano stati prima affidati ad un’istituzione missionaria. In queste situazioni compaiono altri problemi non trascurabili e, inoltre, la Maximum Illud avverte del danno che può recare all’evangelizzazione il chiudere i confini ad altre realtà culturali o sociali.

Ogni istituzione missionaria a cui la Congregazione de Propaganda Fide (ora «per l’Evangelizzazione dei Popoli») aveva affidato un territorio di missione si occupava di tale circoscrizione e cercava vocazioni o mezzi per le proprie missioni.

 

La missione ad gentes, origine delle Chiese locali

Questa distinzione non è semplicemente teorica o strategica, ma fondamentale per promuovere la missione ad gentes nelle Chiese particolari. È un passo in avanti decisivo verso la costituzione delle Chiese locali, che darà origine al cambiamento della prospettiva missionaria nella vita della Chiesa del XX secolo.

Da Benedetto XV, le missioni diventano Chiese locali. Da ciò deriva anche la riflessione sulla situazione dei vescovi in queste Chiese locali, finora essenzialmente d'origine occidentale: «Essi, come si dice, devono essere l’anima della loro Missione. Perciò siano specialmente col loro zelo di esemplare edificazione ai loro sacerdoti e cooperatori, esortandoli e incoraggiandoli sempre a maggior bene» (MI 15).

Uno dei grandi contributi del documento, segno che il Vangelo annunciato ha messo radici, è la costituzione della Chiesa locale presieduta da un vescovo e da un clero indigeno, per creare nuovi centri propulsori che avrebbero dato vita a comunità locali con cooperatori ben formati (cfr. MI 22, 33).

Benedetto XV incarica le missioni della cura di questi sacerdoti indigeni, perché saranno loro ad aver un approccio migliore con la gente locale; saranno il frutto di comunità adulte e mature. Soprattutto, nel caso di conflitti armati, non saranno espulsi, come accadeva nei primi decenni del XX secolo. Grazie a queste nuove e opportune direttive ai vicari apostolici e ai vescovi dei diversi luoghi, inizia un lungo e laborioso processo di creazione delle Chiese (plantatio Ecclesiae). Gli effetti di queste raccomandazioni non tardarono a venire: pochi anni dopo avverranno le prime ordinazioni di vescovi indigeni.

 

6. Vocazioni indigene La Maximum Illud sostiene la necessità di promuovere le vocazioni indigene. Il documento pontificio avverte che i migliori evangelizzatori sono persone che conoscono la lingua e cultura locale e sono membri della comunità a cui il Vangelo viene annunciato. Ciò non per una pura efficace pianificazione, ma perché nessuno dovrebbe essere privato del dono della vocazione missionaria.

I missionari stranieri che si rifiutano di adattarsi alle circostanze e non parlano la lingua dei nativi, ma si rivolgono loro attraverso intermediari, vengono associati alle potenze coloniali europee. Anche gli stessi membri del clero indigeno sono considerati, di fatto, come ausiliari e appaiono come stranieri nella loro stessa terra, con il pericolo di generare gruppi isolati e indipendenti. Sebbene le donne non abbiano mai smesso di essere presenti nell’evangelizzazione, il documento fa una scommessa decisiva e sorprendente in favore della vocazione missionaria femminile: non solo al fine di assegnare loro i compiti sociali più vicini alla donna, ma anche per sceglierle semplicemente come inviate dalla Chiesa. Per questo nascono a quel tempo molte istituzioni missionarie femminili (cfr. MI 76).

 

7. Teologia della Missione.

La Lettera apostolica indica alcuni orientamenti che verranno in seguito sviluppati da altri documenti pontifici e dalla stessa Teologia della Missione. Tra le ragioni per avvicinarsi allo studio di tale teologia c’è la necessità di preparare e formare i missionari. Benedetto XV avverte che il loro invio deve essere preceduto da una preparazione e formazione che sia la base di tutto il lavoro missionario.

Molte defezioni di coloro che lasciano il loro incarico hanno a che fare proprio con l’assenza di questa formazione. È vero che la teologia del tempo non dava ancora la possibilità a Benedetto XV di parlare di una fondazione missiologica organica e sistematica, ma la questione compare nella conclusione del documento, perché le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata nelle Chiese emergenti sono il migliore indicatore della maturità di queste comunità cristiane.

A tal fine, il Pontefice promuove la collaborazione tra le istituzioni missionarie, oltre i limiti territoriali assegnati a ciascuna di esse. La prassi di attribuire territori di missione a congregazioni e istituti missionari era stata una risposta adeguata per l’evangelizzazione, ma tali istituzioni correvano il rischio di chiudersi in se stesse, senza accettare, se non come soluzione secondaria, la collaborazione con altre istituzioni missionarie. La Maximum Illud supera questi limiti e apre l’orizzonte alla cooperazione.

 

8. Attualità della Maximum Illud

Non è ardito sottolineare ancora una volta come i contenuti della Lettera apostolica continuino a essere rilevanti a cento anni di distanza dalla sua pubblicazione. Evidenziamo alcuni degli aspetti di maggiore attualità:

 

a) Vitalità della missione Oggi come allora, la missione ad gentes ha bisogno di una riqualificazione. È particolarmente interessante recuperare il contenuto di Evangelii Gaudium 14-15, perché aiuta a «superare le separazioni e le contrapposizioni tra la pastorale ordinaria e la missione» (Lettera del Cardinale Filoni ai vescovi, 3 dicembre 2017).

Come affrontare questo problema oggi, date le nuove circostanze? Viene suggerita una risposta: si deve superare lo squilibrio «tra sfide per l’evangelizzazione in contesti anticamente cristiani

«Pertanto, mentre i seminaristi chiamati da Dio saranno preparati convenientemente per le Missioni estere,oggi indifferenti e secolarizzati, e la missio ad gentes» (ibid.).

È interessante scoprire che questa peculiarità è presente sia nei paesi con una lunga tradizione cristiana, sia nelle Chiese che sono emerse nei paesi di missione, e che, nelle loro differenze, il primo annuncio è centrale in entrambi i casi. È la dimensione spirituale: se non si parte da qui, dalla purezza evangelica e dalla passione per evangelizzare, l’evangelizzazione non sarà possibile. Risulta dunque urgente, come indicava Benedetto XV in Maximum Illud e sottolinea Papa Francesco, riqualificare evangelicamente la missione.

 

b) Cooperazione multidirezionale.

La cooperazione missionaria fino ad allora aveva una connotazione unidirezionale: il Vangelo arrivava da fuori, l’aiuto proveniva da molto lontano. Pertanto, queste Chiese locali avevano la percezione di essere solo destinatarie della missione. In ogni caso, quando capitava che qualcuno venisse inviato da una Chiesa locale all’altra, vi si recava e veniva accolto come un ausiliario, come un aiuto secondario, che aveva l’incarico di servire in quella terra della Chiesa.

Per la prima volta, la missione è posta al centro delle preoccupazioni della Chiesa. Purtroppo, nonostante questo documento, per molto tempo si continuerà a percepire la missione o le missioni, come qualcosa di aggiuntivo e secondario.

Benedetto XV insiste su una delle problematiche più urgenti, la promozione delle vocazioni indigene. La nascita e l’accompagnamento di queste vocazioni sono i migliori segnali di crescita di una comunità cristiana: «Dove dunque esisterà una quantità sufficiente di clero indigeno ben istruito e degno della sua santa vocazione, ivi la Chiesa potrà dirsi bene fondata e l’opera del Missionario compiuta» (MI 36; cfr. 39, 89).

 

c) L’ universalità.

La Maximum Illud, sorprendentemente, ha una forte connotazione di cattolicità e di universalità culturale e geografica. La sua lettura, oggi, rivela che l’espressione «discepoli missionari», frequentemente usata dal Santo Padre, avrebbe potuto essere parafrasata da Benedetto XV. Questa espressione non è altro, nel linguaggio di Francesco, che l’unione della «passione per Gesù» (discepoli) e della «passione per il popolo» (missionari). Si può comprendere l’attualità della Maximum Illud rileggendo affermazioni come queste: «Se tutti faranno, come ne siamo certi, il loro dovere, i Missionari all’estero e i fedeli in patria, possiamo fondatamente sperare che le sacre Missioni, riavutesi dai gravissimi danni della guerra, ritorneranno a prosperare» (MI 109).

 

d) La Maximum Illud e le Pontificie Opere Missionarie (POM)

In occasione del centenario della Maximum Illud, è opportuno ripensare, promuovere e rivalutare il significato attuale delle POM. La Sede Apostolica, attraverso la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, assume la responsabilità missionaria che le compete. È uno dei momenti in cui si vede l’importanza del primato del Successore di Pietro a servizio dell’universalità della Chiesa e della missionarietà delle Chiese locali: al di sopra dei particolarismi delle congregazioni, delle nazioni, dell’ideologia, della politica, dell’economia ecc., quale istituzione ecclesiale dovrebbe assumersi la responsabilità dell’evangelizzazione? Il Papa, quale Successore di Pietro, è decisamente impegnato nel suo servizio di comunione, mostrando una prospettiva globale, cattolica, di universalità e unità. È allora che le diverse opere di sostegno missionario emerse – molte delle quali sorte in Francia (secolo XIX) – passano a Roma (1922), manifestando in modo più esplicito la loro carismatica cattolicità.

 

Vale a dire, il centro del BATTEZZATI E INVIATI: LA CHIESA DI CRISTO IN MISSIONE NEL MONDO, servizio universale alla missionarietà non si trova più a Lione o in Francia, ma passando a Roma diviene universale, stimolando la collaborazione tra Chiesa universale e Chiese particolari.

L’interesse missionario dovrebbe passare simultaneamente al centro delle preoccupazioni della Chiesa. Questo non indica ancora la ripresa di un vigoroso dinamismo missionario, ma è anche un invito alle Segreterie internazionali delle POM a sostenere la responsabilità missionaria delle comunità cristiane diffuse nelle Chiese particolari e animate dal popolo di Dio. Per questo anche la Chiesa locale, nella Maximum Illud, acquista la sua centralità grazie alla missione.

 

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Molte Istituzioni

 

Nata nel maggio 1843, da un'idea di Monsignor Forbin, la Pontificia Opera della Santa Infanzia o Infanzia Missionaria, assieme alla Pontificia Opera delle Propagazione della Fede, destinata ai paesi più poveri ma soprattutto pagani, attraverso le immaginette religiose, propagava obiettivi che andavano dalla salvezza dell'anima, con opere assistenziali e materiali, non solo la vita di esseri poveri e non battezzati, ma soprattutto per istruirli ed ispirarli all'evangelizzazione, condividendo fede e beni materiali e aiutando le vocazioni missionarie.

 

Gli obiettivi principali dell'Opera sono:

  • dare forma alla responsabilità per le missioni;

  • assistere spiritualmente e materialmente le missioni;

  • informare sui vari bisogni della missione;

  • formare animatori e collaboratori della missione.

 

Il giorno patronale dell'Opera è la giornata missionaria mondiale che viene celebrata ogni anno nela penultima domenica di ottobre. Fu istituita da papa Pio XI con decreto nel 1926 su richiesta del consiglio superiore della Pontificia Opera della Propagazione della Fede. È una giornata di solidarietà missionaria in tutta la Chiesa universale e, per l'occasione viene pubblicato regolarmente dal 1963, dall'inizio del pontificato di papa Paolo VI, un messaggio pontificio.

I soci restavano tali fino ai 12 anni, pagavano 12 soldi l'anno, si raggruppavano in serie di 12 associati, 12 serie di associati formavano una sotto-divisione e 12 sotto-divisioni, infine, formavano una divisione. Insomma, una specie di piccolo esercito pacifico sotto la protezione del Bambino Gesù.

Anche i ragazzi più grandi e gli adulti potevano partecipare, quali associati e aggregati. In Italia, dopo i 21 anni, per diventare di fatto soci, si doveva essere anche membri dell'Opera di Propagazione della Fede.

 

Si diveniva membri perpetui dell'Opera, offrendo una sola volta una cospicua somma e alle persone più agiate si raccomandava una generosa offerta e la recita quotidiana dell'Ave Maria, con l'invocazione: "Santa Vergine Maria, pregate per noi e per i poveri fanciulli infedeli".

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L'appartenenza all'Opera era anche dichiarata in un'apposita "tesserina" stampata che veniva rilasciata all'atto dell'adesione e su cui veniva scritto il nome dell'aggregato.

 

Dalla metà dell'800 sino agli anni '30 del XX secolo, l'Opera, la cui sede si era trasferita da Parigi a Roma, battezzò più di 20 milioni di bambini, ospitandone circa un milione negli orfanatrofi.

 

L’Opera, oltre al suo carattere missionario, include anche l'impegno a denunciare e condannare con forza le molte violenze subite, contribuendo ad aiutare concretamente ed efficacemente i bambini con l'impegno vivo delle parrocchie locali, delle famiglie e degli insegnanti.

L’Opera organizza ogni anno una Giornata Universale, in cui si dà voce alle necessità spirituali e materiali dei bambini di tutto il mondo. Essi sono incoraggiati ad offrire a quelli meno fortunati di tutto il mondo il loro aiuto con preghiere, sacrifici, offerte, spronandoli a scoprire in loro il volto stesso di Gesù, evidenziando i valori spirituali e non quelli materiali.

L'attività educativa dell'opera deve essere proporzionata all'età, alla mentalità, all'ambiente e alle capacità dei bambini e deve sempre integrarsi nella pastorale d’insieme dell’educazione cristiana, con un'ideale missionario. I responsabili dell’Opera, sia a livello nazionale che diocesano, debbono avere una competenza teologica e catechetica.

Le offerte dei fanciulli dei vari Continenti, costituiscono il Fondo Universale di Solidarietà della Santa Infanzia per sostenere istituzioni ed attività a favore dei fanciulli in territori di missione.

La Chiesa universale chiede a tutte le Istituzioni ed a tutti i Movimenti ecclesiali di collaborare con l'Infanzia Missionaria nel suo servizio ai bambini di tutto il mondo.

La Pontificia Opera della Santa Infanzia o dell’Infanzia Missionaria (POSI) è una delle tante Pontificie Opere Missionarie.

Le altre sono:

- la Pontificia Opera Missionaria della Propagazione della Fede (POPF);
- la Pontificia Opera Missionaria di San Pietro Apostolo (POSPA);
- la Pontificia Unione Missionaria (PUM).

 

L’Opera della Propagazione della Fede ha lo scopo di formare una coscienza cattolica nei fedeli di tutto il mondo, docili alla guida dello Spirito e alla formazione di animatori missionari, giovani e famiglie, che guidino le chiese particolari a questa missione universale.
Quest'Opera viene ricordata con la Giornata Missionaria Mondiale (penultima domenica di ottobre) sin dal 1926.

 

La Pontificia Opera Missionaria della Propagazione della Fede svolge la sua attività durante tutto l’anno, ma si evidenzia maggiornamente durante il mese di ottobre, considerato in tutti i Paesi come il Mese della Missione Universale.
La penultima domenica del mese è stata proclamata Giornata Missionaria Mondiale e viene celebrata in tutte le Chiese particolari come festa cattolica della solidarietà universale.

In questo giorno i cristiani del mondo intero debbono prendere coscienza della loro responsabilità nei confronti della evangelizzazione di tutto il mondo. La raccolta di soldi nelle chiese e parrocchie effettuate durante la Giornata Missionaria Mondiale vanno esclusivamente al Fondo Universale di Solidarietà.

Per un pieno sviluppo dell’Opera, i responsabili cercheranno di sollecitare i parrocchiani a diventare collaboratori dell'Opera, creando associazioni e movimenti parrocchiali a cui verrà fornita un'apposita formazione.

 

L’Opera di San Pietro Apostolo.

Il suo scopo primario è quello di sostenere l’importanza dell’apostolicità nella missione nonchè la necessità che ogni Chiesa possa formare, sia pur in contesti spirituali e culturali diversi, il personale religioso, soprattutto i ministri ordinati. Quest'opera si fonda non solo su un sostegno economico, ma sulla preghiera, sul sacrificio e sulla vita di fede.

L’Unione Missionaria del Clero, ha come scopo quello di rivitalizzare il fervore di fede apostolico dei suoi adepti e attraverso di loro di tutti i cristiani, e quello di incrementare le vocazioni missionarie, per la conversione del mondo intero.
Ogni battezzato ha una sua responsabilità nella missione universale, è quindi invitato ad operare in tal senso, sia con l'ordinazione sacerdotale che con l'impegno laicale, in tutte le sue forme. Dall'impegno di quest'Opera, che è il fulcro delle altre opere pontificie, dipende il successo delle altre.

Per tale formazione e sensibilizzazione missionaria, l’Unione utilizza vari metodi adatti, sia attraverso mezzi propri, sia facendo appello ai seminari minori e maggiori, alle istituzioni già esistenti ed alle iniziative in atto, che hanno per scopo la formazione primaria e permanente del clero e dei religiosi/e.
L’Unione li aiuterà a prendere coscienza della loro responsabilità verso la missione universale della Chiesa, cioè approfondendo la loro conoscenza della missione e potenziandone la sensibilità missionaria in modo che, anche nelle comunità loro affidate, promuovano una coscienza missionaria ed un impegno efficace per la missione della Chiesa.

 

Queste Opere sono definite Pontificie ed episcopali e costituiscono uno strumento specifico, privilegiato e principale per l’educazione allo spirito missionario universale, per la comunione e la collaborazione inter-ecclesiale nel servizio all’annuncio del Vangelo, ma nel contempo sono autonome. Il loro obiettivo primario è il sostegno all’evangelizzazione propriamente detta "il miglior servizio al fratello è l’evangelizzazione, che lo dispone a realizzarsi come figlio di Dio, lo libera dalle ingiustizie e lo promuove integralmente".

 

Le Pontificie Opere Missionarie sostengono le Chiese in situazioni di precarietà, aiutandole a far fronte ai loro bisogni pastorali e missionari, avendo come obiettivo l'autonomia che permetterà loro di fronteggiare le altrui necessità.

Sorte in tempi diversi e da fondatori o fondatrici diversi, le quattro Opere costituiscono oggi un'unica istituzione dipendente dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, si gestiscono autonomamente come indicato nel proprio Statuto e sono suddivise in sezioni organizzative centrali, nazionali e diocesane. A livello diocesano dipendono dal Vescovo, facendo riferimento, a livello nazionale, alla Conferenza Episcopale e a livello internazionale agli Organismi Episcopali regionali e continentali a norma del diritto.

 

Nell'ambito di tutte queste Organizzazioni, importante è la diffusione tramite le immaginette religiose, o santini, che riproducono scene della nascita di Gesù, della sua infanzia, della sua vita familiare, della sua predicazione, inserite nei contesti della vita quotidiana, ovviamente surrogate da immagini originali dei Paesi in cui si effettua la predicazione. Ecco molte immagini di vita quotidina, ambientata in Cina, India, Africa...

 

CINA

 

 

NASCITA DI GESU'

 
 
 
 

GESU' BAMBINO CON LA MADRE

 
 
 
 
 

INFANZIA OPEROSA DI GESU'

 

 

RIMANI CON NOI SIGNORE, PERCHE' SI FA SERA....

PREGAVA INTENSAMENTE...

 

ECCO, TUO FIGLIO

CRISTO, MIA SPERANZA, E' RISORTO

 

IL FIGLIOL PRODIGO

L'ANGELO CUSTODE

 

 

 

LA FUGA IN EGITTO

La fuga in Egitto, episodio dell'infanzia di Gesù, è riportato solo dal Vangelo secondo Matteo (2,13-23[1]), in cui Giuseppe, assieme a Maria e Gesù bambino, fugge in Egitto dopo la visita dei Magi, avendo appreso che re Erode il Grande intende far uccidere i bambini della zona (strage degli innocenti).

L'episodio è presente anche in fonti non canoniche e in tradizioni della Chiesa copta.

 

Nel racconto del Vangelo secondo Matteo i Magi, si recano da re Erode il Grande a chiedergli dove trovare il "Re dei Giudei"; i sacerdoti, consultate le Sacre Scritture, indicano ai Magi la città di Betlemme. Erode, timoroso che il bambino possa minacciare il suo trono, tenta di ucciderlo (2,1-8[2]), ordinando la morte di tutti i bambini sotto i due anni (2,16-18[3]).

Ma dopo la visita dei Magi un angelo appare in sogno a Giuseppe e lo avverte del pericolo, dicendogli di prendere madre e figlio e recarsi in Egitto (2,13-14[4]), cosicché Gesù poté scampare alla strage degli innocenti.

Dopo la morte di Erode, l'angelo appare di nuovo in sogno a Giuseppe per dirgli che possono tornare nella loro terra: Giuseppe, però, viene a sapere che in Giudea regna il figlio di Erode, Erode Archelao, e temendo per il bambino invece di tornare in Giudea, si reca con la famiglia a Nazaret, in Galilea.

Il vangelo di Matteo non dice nulla sulla strada seguita dalla Sacra Famiglia per effettuare il viaggio, ma tenendo conto del percorso normalmente seguito dalle carovane dell'epoca è ipotizzabile che da Betlemme si sia recata a sud fino a Hebron per prendere poi la strada che portava a Gaza e da lì abbia seguito la Via Maris entrando in Egitto dalla città di Pelusio.

Seguendo tale percorso, il viaggio durava circa dieci giorni. C'era una alternativa che invece di seguire la costa passava attraverso il deserto, ma sarebbe stata molto più pericolosa per una coppia sola con un bambino piccolo.

Secondo un'altra teoria, la Sacra famiglia avrebbe incontrato i Magi a Betania mentre stavano per tornare a Nazaret dopo la presentazione al Tempio, deviando poi per Gereico e attraversato il Giordano entrando in Perea, quindi si sarebbe recata in Egitto seguendo la Via Regia, probabilmente aggregandosi ad una carovana.

Matteo non specifica la durata del soggiorno in Egitto, ma solo l'epoca della sua conclusione (dopo la morte di Erode, che è avvenuta nel 4 a.C.). Ritenendo che l'anno di nascita di Gesù sia compreso tra l'8 e il 4 a.C. (comunque prima della morte di Erode) con una maggiore preferenza per il 7-6 a.C., alcuni biblisti hanno ipotizzato che la durata più probabile della permanenza sia compresa fra due e tre anni e mezzo.

Viene fatto da Matteo un riferimento al Libro di Osea «Quando Israele era fanciullo, io lo amai e chiamai mio figlio fuori d'Egitto»), che secondo l'autore del vangelo era una profezia soddisfatta dal ritorno di Gesù dall'Egitto: «Là rimase fino alla morte di Erode, affinché si adempisse quello che fu detto dal Signore per mezzo del profeta: "Fuori d'Egitto chiamai mio figlio"».

Si tratta di un verso che fa riferimento all'esodo degli Ebrei dall'Egitto, in cui il popolo di Israele è chiamato da Dio "mio figlio", come nel Libro dell'Esodo 4,22-23[10], «[...] Israele è mio figlio [...] lascia andare mio figlio».

La migrazione in Egitto in Matteo 2:15 richiama la profezia di Osea 11:1 (<Ho chiamato mio figlio, fuori dall'Egitto>), con un parallelismo fra Gesù e Mosè:

 

FESTA DELLE LANTERNE

 

E' la festa che chiude il ciclo delle festività del Capodanno cinese. E' una Festa notturna, chiamata anche «piccolo capodanno». È consuetudine odierna che la popolazione (in particolare bambini accompagnati dai genitori) esca per una passeggiata notturna con una lanterna in mano.

 

Sebbene i modelli tradizionali di carta a candela siano ancora popolari, sempre più lanterne sono realizzate in plastica e dotate di batterie. Le effigi dei personaggi dei cartoni animati preferiti dei giovani competono con motivi tradizionali (animali e piante, scene leggendarie o mitologiche).

La festa deriva da una tradizione antichissima che divideva l'anno in tre parti, la prima delle quali iniziava il quindicesimo giorno del primo mese con una festa per il compleanno di Tiānguāndàdì, il divino governatore del cielo introdotto nel periodo Han dalla Scuola delle cinque staia di riso.


Le leggende sull'origine del festival raccontano di un dio adirato che minacciava di incendiare la capitale il quindicesimo giorno del primo mese lunare. Sorse dunque l'idea di far uscire tutti gli abitanti in strada, quella notte, con delle lanterne rosse, e di appenderne a tutte le porte in modo che il dio, credendo la città già in preda alle fiamme, si ritirasse.


Nella versione più popolare, la minaccia divina era una beffa orchestrata da un consigliere imperiale di buon cuore per permettere a una servetta di palazzo di uscire e rivedere la famiglia per una notte.

Un'altra versione fa risalire la festa al tempo della dinastia Han (206-220) e della diffusione del buddhismo in Cina.

 

Si tratterebbe di un rito dei monaci buddhisti, che accendevano lampade nella contemplazione delle reliquie del Buddha proprio il quindicesimo giorno del primo mese: un imperatore avrebbe poi adottato tale usanza, ordinando di accendere delle lanterne nel palazzo imperiale e nei templi, creando così la festa popolare.

 

 

SANTA TERESINA DEL BAMBINO GESU'

Ultima di 5 sorelle - che entreranno tutte in Convento - Teresa Martin, nata ad Alençon il 2 gennaio 1873, perse la mamma all'età di 4 anni, ma ebbe nel padre, che trovò necessario trasferirsi a Lisieux, un valido supporto materiale ma soprattutto spirituale. Egli la chiamava scherzosamente "piccola Regina di Francia e di Navarra", o anche "l'orfanella della Beresina", quasi prevedendo il freddo che la piccola Teresa avrebbe sofferto senza mai un lamento, nel Convento del Carmelo.

A 15 anni, con uno speciale permesso del Papa, Leone XIII, che l'aveva ricevuta a Roma, dove si era recata con il padre, per implorare da Lui tale grazia e che le aveva detto: "Se Dio vorrà, c'entrerai", entrerà a far parte del Carmelo, come le sue sorelle, con il nome di Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo.

Teresa aveva uno scopo, quello "di salvare le anime e soprattutto di pregare per i sacerdoti".

Nel solco della tradizione carmelitana scoprì la sua "Piccola Via" dell'infanzia spirituale ispirata alla semplicità e all'umile confidenza nell'amore misericordioso del Padre.

Questo percorso spirituale si può ricavare dai suoi scritti autobiografici, raccolti in quella che verrà definita "Storia di un'anima", compilati in parte durante la grave e lunga malattia che l'affliggerà negli ultimi anni.

E' la storia esemplare e notevole di un'anima che giunge alla più luminosa delle santità attraverso una quantità di piccole mortificazioni e sacrifici: piccolissimi e, nello stesso tempo, grandissimi, appunto per la loro modestia e la loro umiltà.

E cercherà, con semplicità evangelica e con il sorriso, espressione di quella gioia ultraterrena che la anima, di trasmettere ciò che sente e ciò a cui anela alle sue consorelle, con la parola e con l'esempio. "Non c'è che una cosa da fare ~ ella scrive nel suo libro: gettare a Gesù i fiori dei piccoli sacrifici".

E ancora: "lo voglio insegnare i piccoli modi che mi sono riusciti"; oppure "0 mio Ben amato, ti supplico d'abbassare il tuo sguardo divino su un gran numero di piccole anime; ti supplico di sceglierti in questo mondo una legione di piccole anime, degne del tuo amore" e ancora "Io non ho altro mezzo per provarti il mio amore, o Gesù, che di gettar sotto i vostri passi i fiori dei piccoli sacrifici".

Spesso però questi gesti, la sua umiltà e le sue parole saranno incomprese.

Ma ella non se ne cura e accetta e sopporta pazientemente dolori, malattie, ingiustizie e piccole persecuzioni, non rifiuta alcun lavoro e offre risolutamente e serenamente tutti i sacrifici "per le anime dei peccatori e per i bisogni della Chiesa" e, come dice con parole che sono diventate il suo segno distintivo, "per gettare rose su tutti, giusti o peccatori" o "l'indulgenza plenaria, che tutti possono acquistare, non è forse quella della Carità che copre la moltitudine dei peccati?"

Morì il 30 settembre del 1897, a soli ventiquattro anni, minata dalla tubercolosi, dicendo: "Non posso respirare; non posso morire. Ma voglio soffrire ancora", promettendo "Voglio passare il mio Cielo a fare del bene sulla terra. Dopo la mia morte farò cadere una pioggia di rose. Nessuno m'invocherà invano. Lavorerò fino alla fine del mondo per i miei fratelli che sono sulla terra fino a che non li vedrò tutti in Paradiso.
Quando l'Angelo del Signore dirà: "Il tempo non è più!" allora riposerò perché il numero degli eletti sarà completo" e offrendo la sua vita per la salvezza delle anime e per il rinnovamento della Chiesa e concludendo con un "Mio Dio, io vi amo".


Non erano passati ventisei anni che veniva proclamata Beata; due anni dopo ~ viva ancora la sorella che l'aveva seguita nel Carmelo - fu canonizzata da Pio XI il 17 maggio 1925 e due anni dopo da lui proclamata, con San Francesco Saverio, Patrona delle Missioni, mentre nel 1944 verrà proclamata co-patrona della Francia, insieme a santa Giovanna d'Arco.

Dopo la sua morte il successo editoriale della sua autobiografia diventa un caso devozionale dilagante e in molti chiederanno di proclamarla "Dottore della Chiesa" ma da Roma si risponde che "sexux obstat": è donna, dunque la cosa non è opportuna.

Soltanto nell'ottobre del 1997 Giovanni Paolo II la proclamerà dottore della Chiesa (terza "eccezione" dopo Caterina da Siena e Teresa d'Avila) e Patrona della Francia, celebrata il primo di Ottobre.

 

Beati

BEATI MARTIRI CINESI

 

UN INVITO A CIASCUNO DI NOI

 

Papa Francesco

 

Il tema della Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno, «Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20), è un invito a ciascuno di noi a “farci carico” e a far conoscere ciò che portiamo nel cuore.

Questa missione è ed è sempre stata l’identità della Chiesa: «essa esiste per evangelizzare» (S. Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 14).

La nostra vita di fede si indebolisce, perde profezia e capacità di stupore e gratitudine nell’isolamento personale o chiudendosi in piccoli gruppi; per sua stessa dinamica esige una crescente apertura capace di raggiungere e abbracciare tutti.

I primi cristiani, lungi dal cedere alla tentazione di chiudersi in un’élite, furono attratti dal Signore e dalla vita nuova che Egli offriva ad andare tra le genti e testimoniare quello che avevano visto e ascoltato: il Regno di Dio è vicino.

Lo fecero con la generosità, la gratitudine e la nobiltà proprie di coloro che seminano sapendo che altri mangeranno il frutto del loro impegno e del loro sacrificio. Perciò mi piace pensare che «anche i più deboli, limitati e feriti possono essere [missionari] a modo loro, perché bisogna sempre permettere che il bene venga comunicato, anche se coesiste con molte fragilità» (Esort. ap. postsin. Christus vivit, 239).

Nella Giornata Missionaria Mondiale, che si celebra ogni anno nella penultima domenica di ottobre, ricordiamo con gratitudine tutte le persone che, con la loro testimonianza di vita, ci aiutano a rinnovare il nostro impegno battesimale di essere apostoli generosi e gioiosi del Vangelo. Ricordiamo specialmente quanti sono stati capaci di mettersi in cammino, lasciare terra e famiglia affinché il Vangelo possa raggiungere senza indugi e senza paure gli angoli di popoli e città dove tante vite si trovano assetate di benedizione.

Contemplare la loro testimonianza missionaria ci sprona ad essere coraggiosi e a pregare con insistenza «il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe» (Lc 10,2); infatti siamo consapevoli che la vocazione alla missione non è una cosa del passato o un ricordo romantico di altri tempi. Oggi, Gesù ha bisogno di cuori che siano capaci di vivere la vocazione come una vera storia d’amore, che li faccia andare alle periferie del mondo e diventare messaggeri e strumenti di compassione.

Ed è una chiamata che Egli rivolge a tutti, seppure non nello stesso modo. Ricordiamo che ci sono periferie che si trovano vicino a noi, nel centro di una città, o nella propria famiglia. C’è anche un aspetto dell’apertura universale dell’amore che non è geografico bensì esistenziale. Sempre, ma specialmente in questi tempi di pandemia, è importante aumentare la capacità quotidiana di allargare la nostra cerchia, di arrivare a quelli che spontaneamente non li sentiremmo parte del “mio mondo di interessi”, benché siano vicino a noi (cfr Enc. Fratelli tutti, 97).

Vivere la missione è avventurarsi a coltivare gli stessi sentimenti di Cristo Gesù e credere con Lui che chi mi sta accanto è pure mio fratello e mia sorella. Che il suo amore di compassione risvegli anche il nostro cuore e ci renda tutti discepoli missionari.

 

Maria, la prima discepola missionaria, faccia crescere in tutti i battezzati il desiderio di essere sale e luce nelle nostre terre (cfr Mt 5,13-14).

 

SANTINI INDIANI

 

AVE, PIENA DI GRAZIA

ANNUNCIAZIONE

 

NATIVITA'

LA SACRA FAMIGLIA

MARIA PROMESSA A GIUSEPPE

IL MIO SPIRITO ESULTA IN DIO

 

MARIA

LA VERGINE MARIA

 

 

 

DEVOZIONE

PREGA IL SIGNORE

 

VIENI, SPIRITO SANTO

PRENDI, SIGNORE

 

GLORIA A DIO IN ALTO

AVE, SANTA MADRE

 

MADRE DEL NOSTRO SALVATORE

MADRE DELLA SAGGEZZA

 

 

SIGNORE

DIO LO HA RISVEGLIATO ALLA VITA

 

PERDONO

CAUSA DELLA NOSTRA GIOIA

 

PIETA'

 

SANTINI AFRICANI

 

MARTIRI DI MBACHE' UN CENTRO ABITATO DEL SENEGAL,

SITUATO NELLA REGIONE DI DIOURBEL

 

 

 

 

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