Rubriche di
Patrizia Fontana Roca

COLLABORAZIONI

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ARTE

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https://www.giornaledipuglia.com/2020/07/la-cartapesta-nella-scultura-sacra.html

 

 



LA CARTAPESTA NELLA SCULTURA SACRA SALENTINA

 

 

Incerte e misteriose sono le origini della cartapesta, che sembrano perdersi nella notte dei tempi. Spesso considerata un’arte minore, l’arte cartacea è servita a realizzare opere artistiche uniche e di grande bellezza, molte delle quali giunte sino a noi in ottimo stato di conservazione.

Da sempre, quando si voleva risparmiare sulle statue, si sostituiva il marmo o altri materiali pregiati con la cartapesta, alla quale ricorrevano non solo i mediocri scalpellini, ma anche celebri scultori. È il caso di due opere di altissimo pregio che si trovano, l’una in Santa Maria dei Servi e l’altra in San Domenico a Bologna. La prima è un Crocefisso, realizzato su disegno del Giambologna (Jehan Boulogne 1529-1608), unica sua opera fatta nella città di Bologna, oltre il Nettuno ed i relativi bozzetti. L’altra, è quella in Santo Stefano, una splendida “Pietà” policroma, realizzata nel Settecento, da Domenico Piò (1715-1801), forse il massimo scultore bolognese dell’epoca.

La devozione per Santi e Madonne costituisce non solo uno degli aspetti della vita religiosa delle nostre popolazioni, ma anche un fatto culturale e sociale che ha interessato studiosi e sociologi. Spesso la religiosità popolare è stata interpretata più come subcultura o superstizione che come vera fede. Giovanni Paolo II in un discorso ai vescovi di Puglia definì la pietà popolare «La vera espressione dell’anima di un popolo in quanto toccata da grazia e forgiata dall’incontro felice tra l’opera di evangelizzazione e la cultura locale».

La cartapesta si lavorava già nel Rinascimento ed ebbe il suo massimo splendore nell’età del Barocco. Si realizzavano statue sacre o da presepe. Molti dei capolavori migliori, che risalgono al XVII e XVIII secolo, si possono ammirare, in molte chiese, dove le statue sono fatte in legno rivestito di cartapesta o interamente in cartapesta.

Numerose sono le produzioni artistiche religiose e culturali presenti sul nostro territorio, tra le quali occupa un posto importante la scultura sacra cartacea diffusa nel Salento. Mi riferisco alle produzioni di cartapesta, in particolari di statue, che rappresentano l’arte povera, cioè la “cenerentola” dell’arte scultorea, con la quale si produceva e si produce una fine scultura.                                             

È di qualche anno fa l’interessante pubblicazione da parte del Centro Regionale Servizi Educativi e Culturali della Regione Puglia di Tricase (LE), su «La scultura sacra cartacea nel Capo di Leuca (sec. XVIII-XX)» di Francesco Fersini (Besa Editrice).
La tecnica di lavorazione, è rimasta immutata attraverso i secoli. Per tradizione, i maestri, continuano ad usare materiali poveri. L’artigiano prepara la colla con un umile impasto d’acqua e farina, la stende sulla carta e ne ricopre la struttura, formata da semplice filo di ferro e paglia, le mani, i piedi e il volto di terracotta, le finiture e i vestiti, tutte in carta. Il manufatto viene messo in forno e ne esce irrobustito, poi viene ritoccato con dei ferri arroventati, per perfezionarne le forme, alle volte si fa una vera e propria stiratura, per modellare le pieghe, ora è pronto per essere colorato e dipinto dalle abili mani del suo creatore.

L'arte della cartapesta leccese è profondamente viva e radicata nella nostra stessa cultura. Ormai conosciuta nel mondo, come prodotto fine e artisticamente perfetto, è commercializzato ed esportato, per arricchire l’arredamento, personalizzandolo con oggetti di vera Arte.

Curiosità.

Si narra di una improvvisa polemica, scoppiata nel 1933, sull’arte della cartapesta con una pubblicistica denigratoria, operata da monsignor Cornelio Sebastiano Cuccarollo (1870-1963), o.f.m., arcivescovo di Otranto che, in una lettera indirizzata alla Pontificia Commissione per l’arte sacra in Italia, redatta agli inizi degli anni ’30, e presto divenuta una sorta di circolare nelle diocesi pugliesi, espresse un totale disgusto verso una modalità figurativa che riteneva povera e indegna di rappresentare soggetti religiosi.

Egli, dapprima ammiratore delle statue cartacee, avendo avuto sollecitazione da parte del maestro Giuseppe Manzo (1849-1942), per il mancato pagamento di due crocifissi, si scagliò contro la cartapesta leccese a favore della scultura lignea più decorosa e dignitosa per l’arte sacra. Il prelato, di origine veneta, cominciò a commissionare opere lignee a ditte della provincia di Bolzano, quindi la crisi per le botteghe artigianali leccesi. La polemica infuriò sui quotidiani, con la conseguente difesa della cartapesta, a cui prese parte anche il vescovo di Lecce, monsignor Alberto Costa (1873-1950). Durante la “Settimana d’Arte Sacra”, svoltasi a Roma nel 1934, la Pontificia Commissione, con la relazione del professor Corrado Mezzana, esaltava i pregi della cartapesta, lo stile tipicamente meridionale di tradizione barocca e spagnola. Anche Pio II non mancò di esprimere la propria stima verso i cartapestai nel suo famoso “Radiomessaggio alla Città di Lecce”.


Con il conflitto mondiale scoppiato nel 1939, si spense l’aspra polemica, ma la crisi economica generale produsse effetti negativi anche sull’arte della cartapesta. Nel periodo post-bellico la tradizionale arte rinasce finalizzata al recupero della gloriosa tradizione.


 

 

 

https://www.giornaledipuglia.com/2019/09/concerti-settecenteschi-bari-costi-e.html




CONCERTI SETTECENTESCHI A BARI: COSTI E CURIOSITA'


13 settembre 2019

di VITTORIO POLITO

 

- Guido D’Arezzo (992 circa-1050), teorico musicale, affermava che «Non fa meraviglia che l’udito prenda diletto da suoni diversi, dal momento che la vista si compiace della varietà dei colori, che l’olfatto gode della varietà degli odori, che la lingua prende piacere dal variare dei sapori. In tal modo, infatti, attraverso la finestra del corpo, la dolcezza delle sensazioni piacevoli mirabilmente penetra fin nell’intimo del cuore». 

Per Daisaku Ikeda religioso giapponese, invece, la musica «È linguaggio universale; essa trascende tutte le barriere della cultura e delle ideologie. La musica è risonanza tra due cuori». Ne deriva che il concerto è un trattenimento dedicato all'audizione di musica strumentale, vocale-strumentale, sinfonica o da camera, che attraverso melodia, ritmo e/o voce, deliziano il nostro udito. In sostanza la musica è un linguaggio ricco e mai uguale a se stesso che si evolve continuamente, un modo di esprimere pensieri ed emozioni, come la scrittura, la pittura, la poesia o la scultura.

In Italia, dopo un lungo periodo di decadenza, il concerto assunse una notevole importanza nell’Ottocento diffondendosi nel 20° secolo anche grazie agli enti radiofonici e televisivi, mentre a Bari l’amore perla musica è stato sempre un sentimento radicato nell’anima del popolo.

Vito Antonio Melchiorre (1922-2010), noto storico barese, riporta nel suo libro “Storie di Bari” (Adda Editore), l’ammontare delle spese sostenute nell’anno 1790 per l’esecuzione di concerti.

Non si conoscono i brani eseguiti, ma si conosce la composizione dell’orchestra, nella quale erano presenti 4 violini, due trombe e un organo che accompagnavano un soprano, un tenore, un basso e un quarto cantante; completava il gruppo un “tiramantici”, addetto al funzionamento dell’organo (un tempo gli organi non erano elettrici).

Il nome dei violinisti? Rella da Palo, Laricchiuta e Tommaso di Bari ed un altro chiamato “figlio di Ciccillo”.

I suonatori di tromba erano baresi, come pure l’organista che era quello della chiesa. Il soprano era di Polignano, il tenore e il basso di Giovinazzo e, il quarto, senza qualifica, era un certo Pizitelli di Bari.


Al soprano, meglio retribuito, toccarono ducati 4,50, al tenore e al basso 2,80, a Pizitelli 1 ducato e 20 grana, ai violini 1 ducato e 60 grani cadauno, il “figlio di Ciccillo” percepì 30 grana, i suonatori di tromba furono compensati con 1 ducato e 20 grana, l’organista con 50 grana e al povero “tiramantici” solo 10 grana.

Poiché il concerto si tenne di sera, ci fu un gran consumo di candele, costate 43 grana. Mentre agli artisti venuti da fuori Bari, furono offerti alloggio, cena e colazione del mattino.

Ultima curiosità: poiché gli artisti giunsero a Bari a dorso di cavalli, accompagnati da due “pedoni”, si dovette provvedere anche per questi al vitto e, per i cavalli, 5 “stoppelli” d’orzo (antica unità di misura).

 

 

 

BARI: NUOVA CANCELLATA DI ANNA MARIA DI TERLIZZI ALLA CHIESA DI SAN PASQUALE

 

L’Arcivescovo di Bari-Bitonto, Monsignor Francesco Cacucci, inaugurerà e benedirà la nuova cancellata della Chiesa di San Pasquale, opera dell’artista e scultrice barese Anna Maria Di Terlizzi.

La Chiesa di San Pasquale in Bari, situata a metà tra la Chiesa Russa, che rappresenta l’ortodossia russa nella nostra città, e la Cattedrale, quale emblema del cattolicesimo barese, potrebbe rappresentare l’epicentro strutturale dell’ecumenismo, vocazione storica della città di Bari.
L’edificio religioso, la cui costruzione fu decretata nel 1916 e disponendo di un’abside incavata in modo che esce un arco trionfale, si è prestata ad ospitare il mosaico iconografico e teologico “Dies Domini” (giorno del Signore), costituito tra il Triduo pasquale e la Pentecoste, arco di tempo in cui si sintetizza tutta la teologia e la spiritualità del giorno del Signore.
L’opera è stata ideata e realizzata da padre Marco Ivan Rupnik ed inaugurata in occasione del 24° Congresso Eucaristico Nazionale che si è svolto a Bari nell’anno 2005.

Oggi la Parrocchia di San Pasquale, retta da Don Dorino Angelillo, si arricchisce di una nuova opera: la bella cancellata in acciaio con bassorilievo in bronzo ideata e realizzata della scultrice Anna Maria Di Terlizzi. L’arte dell’artista barese è intrisa di cultura millenaria.
Suggestioni provenienti dal fecondo suolo pugliese si intersecano con respiri mediterranei, aneliti africani e memorie orientali, trasformandosi magicamente in oggetti tridimensionali.
Le sue opere raccontano la vita e la storia dell’uomo; le curve morbide e ammiccanti delle donne; la Preistoria, il Medioevo e la contemporaneità, attraverso bronzi, resine, collages, metalli preziosi e pietre dure.

L’artista, già docente di discipline plastiche presso l’Istituto Statale d’Arte di Bari, vive e lavora a Bari.
Ha eseguito molte realizzazioni scultoree in bronzo, tra le quali ricordo, per le istituzioni religiose: il fonte battesimale per le Chiesa di Sant'Enrico in Bari; la fonte battesimale per la Chiesa di Santa Croce in Bari; il fonte battesimale per la Cattedrale di Grumo (Bari); le sculture per altare e cappella del Sacramento per la Chiesa di San Rocco in Bari; il busto della fondatrice delle Suore di San Sisto in Roma; la coppa della fratellanza per la Fondazione Antiusura per S.S. Giovanni Paolo II; il trittico commemorativo in bronzo del IX centenario per la Basilica di San Nicola di Bari.
Per le istituzioni pubbliche: il monumento all'On. G. Di Vittorio, Gravina di Puglia; il bassorilievo per il Sindaco di Londra; il bassorilievo commemorativo nicolaiano per il Camping San Giorgio a Bari; il busto per il fondatore del Conservatorio di Musica di Bari.

Di Terlizzi, ha anche realizzato busti per privati e medaglie commemorative per istituzioni Religiose e laiche: Roma - San Sisto; Bari - San Nicola, Croce per la cappella del porto di Bari.
I premi ottenuti da Anna Maria Di Terlizzi sono prestigiosi: medaglia d'oro alla IV rassegna d'arte contemporanea a Lecce; medaglia d'argento per le celebrazioni del IX centenario della traslazione delle reliquie di S. Nicola da Mira a Bari; "Nicolino d'Oro" nella II Edizione 1999 del Circolo ACLI Dalfino – Bari; 1° premio alla II Biennale d’arte di Rutigliano (Bari) 2005.
È presente in collezioni private straniere (Belgio, USA, Inghilterra, Germania, Kenya ecc.) e italiane (Roma, Milano, Firenze, Prato, Rimini, Bari, ecc.). Numerose anche le partecipazioni dal 1966 a mostre collettive e personali.
L’artista barese ha realizzato anche altre sculture di grandi dimensioni come le dieci figure di Santi che si confrontano e si contrappongono ai severi guerrieri silenziosi. Per le strutture l’artista ha utilizzato vari elementi e oggetti provenienti dalla civiltà contadina opportunamente elaborati e riadattati anche con l’ausilio di piccoli interventi pittorici per dare il massimo della espressione alle sue realizzazioni.

 

Insomma un’artista che fa onore alla città di Bari alla quale non si può che complimentarsi.

 

 

 

 

SANTI, MADONNE E FIORI SOTTO CAMPANA

 

Schena Editore ha pubblicato recentemente nella collana “Puglia Storica, diretta da Giovanni Dotoli, un volume dedicato ad un originale argomento Santi sotto campana e devozione di Liliana De Venuto e Beatrice Andriano Cestari (pagine 270 - € 20). Un oggetto di devozione molto diffuso fino alla metà del nostro secolo, la campana di vetro che ‘protegge’ statuine di Santi, Madonne, altre figure sacre ed anche soggetti profani.


Rara immagine di Gesù Bambino coricato

San Nicola di Bari,
realizzazione di Cristina Linguiti

La palma della sposa

"L’immagine sacra protetta da una campana di vetro è una delle forme attraverso le quali i devoti si sono appropriati di una parte del sacro ad uso domestico.

La fragilità della campana protettiva non consente di risalire troppo indietro nella storia di questo strano ed affascinante manufatto, quasi sempre anonimo, del quale gran parte degli esemplari è andato perduto" (dalla presentazione di Liana Bertoldi Lenoci).

L’uso di conservare soprammobili delicati e preziosi in contenitori di vetro si affermò nel ’700, quando si iniziò a coprire con cupole di vetro orologi e figurine di porcellana che ornavano consolle e cassettoni di stile neoclassico.
Nell’Ottocento la consuetudine si rafforzò, al punto che non si può ipotizzare un salotto dell’epoca senza una campana di vetro in bella mostra su un mobile.

Le autrici presentano una raccolta limitata alla Puglia, ma significativa ed  illustrata con dovizia di particolari, insomma un lavoro di chiaro indirizzo scientifico che ha comportato certamente un gran lavoro di ricerca storica, tecnica e bibliografica.
In realtà non è una semplice elencazione ed esposizione di immagini ma è frutto di un lungo ed approfondito studio sull’argomento.

Il volume si divide in cinque parti: la prima dedicata alla Vergine Maria nel quale sono trattati i temi della storia di Maria, del culto Mariano e delle Protettrici e titolari di Santuari; nella seconda parte si parla del Salvatore e della storia di Gesù; quindi Angeli e Arcangeli (parte terza); la parte quarta è dedicata ai Santi (alto medioevo, Santi dei secoli XI-XII), all’età dei crociati e dei pellegrini, quindi si passa ai secoli XIII-XV con i Santi degli ordini mendicanti, XVI-XVII con i Santi tridentini, per terminare con i secoli XVIII-XX dedicati alla devozione del cuore.

La parte quinta, infine, è dedicata alle campane con soggetto profano. In questa sezione sono raccolti manufatti che hanno poco in comune con Santi e Madonne. Sono trofei di frutta e di fiori che le autrici hanno voluto aggiungere come appendice ai soggetti religiosi, poiché anch’essi espressione di arte popolare.

Da sottolineare che nella devozione della terra di Bari il santo miracoloso per eccellenza è San Nicola, personaggio che fin dal primo millennio dell’era cristiana ha legato la sua storia a quella della città pugliese, contribuendo a determinare la fisionomia di città marinara protesa verso l’Oriente.
D’altro canto è arcinoto il riconoscimento di San Nicola quale Santo dell’ecumenismo, riconosciuto non solo in Italia, in Europa, in Russia ed in tutto il mondo.
 
L’opera contiene una corposa bibliografia, ampie annotazioni ed una statistica relativa alla frequenza delle immagini relativamente alla zona della ricerca (la Puglia), dalla quale si notano alle prime posizioni il Bambinello, seguito dalla campana con ramo di fiori, quindi il Sacro Cuore di Gesù con tutto il corteo di Santi e Madonne. 
        

La foto di copertina che rappresenta la Madonna del Carmelo è di Ruggiero Di Corato.

 

 

 

 

 

 

Da Barisera 13 settembre 2010, pag. 22

 

LA MADONNA ODEGITRIA ED I SUOI ORNAMENTI

 
 

Un filo immaginario collega la Turchia all’Italia. Infatti non solo San Nicola viene dall’Oriente, ma anche la Madonna Odegitria. Bari non poteva offrire un segno migliore delle sue connessioni con l’Impero bizantino di quello offerto dalla icona della sua Cattedrale, la “Madonna di Costantinopoli” o “Odegitria”.


Il titolo di “Odegitria” è stato dato nel nostro secolo (anni ’30) e confermato in occasione della settimana “pro Oriente christiano”, svoltosi a Bari nel 1936. Il titolo precedente era quello di “Madonna di Costantinopoli”, attestato per almeno quattro secoli ed il cui ricordo è ancora molto popolare, come testimoniano le edicole del centro storico della città vecchia e venerata ancora oggi nelle Chiese dell’arcidiocesi e della provincia.

 

L’immagine della Madonna Odegitria, venerata nella Cripta della Cattedrale di Bari, è un’opera cinquecentesca, compiuta su un modello più antico e ritoccata due secoli dopo.

Il Dipartimento Geomineralogico dell’Università di Bari con il contributo finanziario della Fondazione della Cassa di Risparmio di Puglia ed in collaborazione con l’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, hanno pubblicato nel 2008, a cura di Eugenio Scandale, per Claudio Grenzi Editore, il bel volume “La Madonna Odegitria di Bari ed i suoi preziosi ornamenti”. 

Il volume, illustratissimo, attraverso gli scritti di mons. Gaetano Barracane, Rita Mavelli, Nicola Melone, Alessandro Monno, Marianna Santigliano, Eugenio Scandale e Gioacchino Tempesta, presenta un’accurata analisi mineralogica, storica ed artistica della bella icona.
In esso si fa, in sostanza, la storia dell’icona, lo studio delle gemme in essa incastonate, l’analisi dei preziosi ornamenti, gli approfondimenti mineralogico-gemmologici (identificazione, valutazione dei colori e dei tagli delle gemme,ecc.). Una serie di schede dei minerali e degli ornamenti ed un’ampia bibliografia completano l’elegante edizione.

Monsignor Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, nella prefazione sottolinea come “I centotrentasette ‘rubini’ incastonati nella veste della patrona della nostra Chiesa locale sono come la sua preziosa ‘merlatura’, ma sono anche le ‘gocce di sangue’ della passione del Figlio e della sua passione, e sono anche le fatiche e i travagli dei tanti fedeli che nel corso dei secoli l’hanno venerata e pregata”.

Corrado Petrocelli, Rettore dell’Università degli Studi di Bari, nella sua presentazione sostiene che “Attraverso questa iniziativa si rinnova il Sodalizio, anch’esso antico e prezioso, fra il Mecenate e lo Studioso, che tanto spesso viene invocato in un Territorio          così scarso di risorse finanziarie, ma così fortunatamente ricco di testimonianze storiche, artistiche e religiose di interesse assoluto e di competenze scientifiche di alta qualificazione. La ‘Scientia’ dei Saperi, tante volte accusata di arroccarsi nella ‘Turris eburnea’, s’è avvalsa, con discrezione, del Sapere della Scienza, per dirimere dubbi e fare luce sulle credenze popolari”. 

Antonio Castorani, presidente della Fondazione della Cassa di Risparmio di Puglia, evidenzia come “La ricerca condotta sapientemente dal prof. Eugenio Scandale ha messo in luce aspetti inediti e poco indagati di opere presenti nella Città di Bari e fornisce utili informazioni per coloro che si accingono a osservare e studiare, ad esempio, l’icona della Madonna dell’Odegitria”.

Eugenio Scandale, ordinario di Mineralogia nella nostra Università e responsabile del Progetto, sottolinea che “La realizzazione del Progetto Culturale complessivo, è stata resa possibile grazie ad una esemplare ed innovativa collaborazione tra Istituzioni diverse – Università, Fondazione, Diocesi, Soprintendenza PSAE – ognuna delle quali si è assunta delle responsabilità. La volontà di collaborazione espressa è segno forte della acquisita consapevolezza della comunità barese dell’importanza della valorizzazione del patrimonio storico ed artistico e contribuisce ad accrescere ed a rafforzare la propria identità culturale”    
                       
         Infine è il caso di sottolineare che la Biblioteca Nazionale di Bari, è forse il luogo presso cui sono conservate le principali testimonianze superstiti della tradizione documentaria e letteraria, manoscritta e a stampa, sulla vicenda della traslazione della icona raffigurante la Madonna col Bambino dalla città di Costantinopoli a Bari.

 

 

 

IL SOLSTIZIO D’ESTATE ALLA CATTEDRALE DI BARI
IL SOLE CHE BACIA LA TERRA

 

Il 21 Giugno di ogni anno, giornodel solstizio d'estate, nella Cattedrale di Bari, si verfica un evento straordinario: il sole che bacia la terra.

In questo giorno, alle ore 17,00 (ora legale), i raggi del sole provenienti dal rosone centrale con i suoi 18 petali o raggi, posizionato sulla facciata principale, vanno a combaciarsi esattamente sul corrispondente rosone in marmo delle stesse dimensioni, collocato sul pavimento della navata.

L'effetto avviene solo una volta l'anno e soltanto in questo giorno. L'eccezionale avvenimento è dovuto al movimento della Terra intorno al Sole ed al fatto che il grande tempio sacro è stato costruito con l'abside rivolto verso Oriente.
Secondo la tradizione, i primi Cristiani pregavano indirizzandosi verso il punto in cui sorge il sole. Nel Medio Evo, infatti, l'uomo aveva uno stretto rapporto con la luce.
La Cattedrale di Bari, definita da Mons. Francesco Cacucci "lo scrigno della fede" è una delle grandi opere romaniche sorte dopo l'anno mille. Essa rappresentava il simbolo della città medievale, l'edificio più importante dove si svolgevano cerimonie religiose, ma anche civili e politiche. Un monumento che grazie alla fede dei nostri padri ha saputo custodire e testimoniare per secoli la sua bellezza artistica.

Michele Cassano, sacrista della Cattedrale, ha curato lo scorso anno il DVD "Il cammino del sole nella Cattedrale di Bari", con foto di Beppe Gernone, nel quale è illustrato molto bene l'evento che, putroppo, per il secondo anno consecutivo, non si è realizzato a causa del maltempo.
Don Franco Lanzolla, Parroco della Cattedrale, ha presentato "Il cammino del sole nella Cattedrale di Bari" ed a seguire si è svolto lo spettacolo di danze e musica previste per l'occasione.
Voci recitanti: Ilaria Cangialosi e Alessandro Piscitelli - voce soilsta: Tecla Tarussio - musiche: Sabino Manzo - Danzatori: Carla Caporusso, Cristina Liuzzi, Claudio Roffo- regia di Marilena Bertossi.

 

 

 

 

APERTO AL PUBBLICO IL SUCCORPO DELLA
CATTEDRALE DI BARI

 


Nella città di Bari da qualche tempo è possibile fare un interessante viaggio alla scoperta delle nostre radici, visitando il sito archeologico del succorpo della Cattedrale (I-XVII sec. d.C.), nel quale si possono vedere, come in un bel viaggio, mosaici romani e paleocristiani, tombe, strade, monumenti sepolcrali, le mura dell’antica cattedrale, una chiesetta altomedievale (IX-XI sec.), reperti ceramici (XIV-XVII sec.), ecc.

Ma, ahimé, da noi si va in senso contrario: infatti è stato disposto l’ingresso gratuito agli ultrasettantacinquenni, mentre normalmente è consentito agli ultrasessantacinquenni. Come dire che l’ingresso gratuito non è consentito quasi a nessuno, neanche ai giornalisti.

Dopo secoli è tornato a vivere un tesoro, ingiustamente oscurato per secoli: un mosaico pavimentale in corrispondenza della navata della cattedrale che reca un disegno geometrico con alla base una iscrizione. L’importante scoperta non mancherà di fomentare dibattiti e tesi storiche controverse degne di un romanzo giallo, non solo per la mancata coincidenza tra l’iscrizione, che reca il nome del vescovo Andrea, la cui biografia è situata storicamente intorno all’VIII secolo, e la presumibile datazione dell’opera (V sec.), ma per la misteriosa presenza di una Rota al centro dell’opera, esattamente identica ad un’altra, che si trova all’interno di una chiesa non datata nella grande città greca di Patrasso.


Nell’anno 2009 una parte fondamentale della nostra cattedrale nonché della nostra storia e identità ha ricevuto la sua giusta attenzione e valorizzazione. Recenti lavori di restauro infatti, hanno consentito di rilevare una stratificazione più complessa del previsto: infatti sono emerse anche tracce romane di un lastricato e di un raffinato pavimento che una iscrizione ritrovata sul luogo farebbe ricondurre ad un edificio pubblico forse legato al Foro.
Il passo successivo è stato quello di musealizzare il succorpo creando un percorso che passa attraverso la cripta per poi uscire, tramite una apposita scaletta, nella piazzetta adiacente. Appositi pannelli illustrativi e vetrine con frammenti di reperti di varie epoche consentono inoltre di acquisire informazioni più approfondite sulla storia del luogo. Alla base dei pilastri della costruzione è stata invece inserita una struttura a igloo che la proteggerà e al tempo stesso permetterà ai visitatori di osservare questo capolavoro dimenticato per troppo tempo.
      
La presentazione ufficiale del restauro è avvenuta presso la Fondazione della Cassa di Risparmio di Puglia di Bari lo scorso maggio, e approfondita grazie al volume sul restauro del succorpo (curato dalla prof.ssa Pina Belli D’Elia in collaborazione con gli architetti Emilia Pellegrino e Francesco Dicarlo e introdotto dalla prof.ssa Luisa De Rosa, per scoprire nel dettaglio come è stato eseguito il restauro che ha reso possibile la restituzione alla comunità di un pezzo di storia barese.

 

 

 

 

 

 

da Barisera del 2 marzo 2009, pag. 19

 



SCOPRENDO LA CATTEDRALE DI BARI

 

 

Michele Cassano
La Cattedra del Vescovo
Levante Editori, Bari
pagg. 64, 10,00

La Cattedrale è una chiesa, solitamente di notevoli dimensioni, sede della Diocesi e del vescovo, ovvero la Cattedra o «seggio» episcopale.
Michele Cassano, sacrista della Cattedrale, ha recentemente pubblicato l’agile volumetto “La Cattedra del Vescovo” (Levante Editori) che, passo dopo passo, illustra e scopre la Cattedrale di Bari, sede di Monsignor Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari-Bitonto,
Il volume riporta una serie di iconografie dell’interno e dell’esterno della Cattedrale di Bari, autorizzate dal Sac. Gaetano Coviello, responsabile dell’Ufficio Amministrativo Diocesano dell’Arcidiocesi di Bari.

La passeggiata interessante e istruttiva inizia dalla imponente facciata con il bel rosone ed il relativo “bestiario” che rappresenta il mondo profano, e prosegue con il battistero, le navate, le colonne, il tabernacolo, l’altare, la Cattedra episcopale e tante altre belle immagini relative anche alla “Casa del Vescovo”, per finire alla Cripta, che ospita tra le altre cose la gloriosa immagine della Madonna Odegitria, patrona anch’essa della nostra città, insieme a San Nicola e San Sabino.

 

Una curiosità: il 21 giugno, giorno del solstizio d’estate, i raggi del sole attraversando il rosone a 18 raggi posizionato ad ovest, va a combaciare alle ore 17,10 (ora legale) esattamente sul corrispondente rosone in marmo posizionato sul pavimento della navata. Uno spettacolo da vedere e contemplare.

Monsignor Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari-Bitonto, che firma la presentazione, sottolinea che la Cattedrale di Bari è uno degli esempi più insigni del romanico pugliese e racchiude come in uno scrigno importanti testimonianze artistiche, tali da farne un simbolo vivo della sua storia plurisecolare.

«Per la comunità dei credenti - scrive ancora Cacucci – la Chiesa Cattedrale non è solo una bella costruzione di pietre, ad essa si fa riferimento come al luogo dove più si sperimenta l’unità della Chiesa, attorno alla cattedra del Vescovo».

 

LA CHIESA DI SAN GREGORIO IN BARI

La Chiesa di San  Gregorio è una piccola chiesa che sorge ai margini della piazzetta di San Nicola, edificata da un certo Adralisto, come ricorda mons. Nicola Milano nel suo libro «Le chiese della Diocesi di Bari» (Levante Editori).

La prima notizia è contenuta in una pergamena dell’Archivio di San Nicola del 1015. Notizie più attendibili risultano da un prezioso documento del 1089 sia per la storia della chiesa di San Gregorio che per la stessa Basilica di San Nicola, dal quale si apprende che l’Abate Elia, arcivescovo di Bari e Canosa, acquista per cento soldi due case “terranee”, di proprietà di un certo “Nicolaus”, che si trovano nella corte del Catapano, forse con lo scopo di fare spazio nella costruenda Basilica ed al complesso edilizio che doveva sorgere intorno.

In un altro documento del 1136 vi è altra citazione con l’indicazione della sua origine gentilizia ed ancora in altra pergamena del 1210 si fa il nome di un certo Giovanni sacerdote di San Gregorio “De Adralisto”, una famiglia armena che la trasformò in cappella privata.

Dalle poche notizie che si dispongono si apprende che gli Adralisto furono al centro di lotte politiche della Bari Medievale, soprattutto intorno al 1040, quando si manifestò la crisi del dominio bizantino e in tutta la Puglia si moltiplicarono le sollevazioni appoggiate dai normanni nel tentativo di sfruttare la situazione a proprio vantaggio. In questa girandola di vicende gli Adralisto furono coinvolti tragicamente e pagarono con la distruzione delle loro case date alle fiamme.

A giudicare dalle frequenti menzioni nei documenti dell’epoca, sembra che la vicinanza con S. Nicola favorisse la vitalità della Chiesa che giuridicamente apparteneva all’Arcivescovo di Bari. In epoca angioina il clero di S. Nicola cominciò a carezzare l’idea di entrarne in possesso. Il momento favorevole si presentò con l’avvento di Carlo II d’Angiò (1285-1309), il più grande benefattore nella storia della Basilica. Su sua richiesta, il 22 novembre 1308, l’Arcivescovo Romualdo e molti canonici firmarono l’atto di donazione di S. Gregorio, allora detto “de Mercatello”, denominazione attribuita per l’esistenza nelle vicinanze di un mercatino probabilmente ittico, concedendo alla Basilica anche la giurisdizione temporale e spirituale.

La chiesa che durante i secoli fu soggetta a gravissime deturpazioni: ai muri esterni vennero addossate alcune fabbriche, che attaccandosi alla torre sinistra della Chiesa di S. Nicola chiudevano completamente da quel lato il primo cortile della Basilica.

La facciata è cuspidata al centro e a spioventi ai lati e tripartita da lesene, mentre il portale è sormontato da tre monofore centinate adorne tutt’intorno da grani di rosario.

La chiesa ospita sull’altare maggiore un pregevole Crocifisso in legno dipinto. Trattasi di una notevole scultura del secolo XVII.

Nella Chiesa di San Gregorio sono anche conservate le statue lignee dei “Misteri” della Passione che, in seguito ad un decreto di Mons. Michele Basilio Clary del 1825 il Venerdì Santo vengono portate in processione, alternativamente con quelle della Vallisa. Motivo di questa disposizione la rivalità esistente tra gli appartenenti di due confraternite.

E così dal 1825, come ricorda Vito Maurogiovanni, per evitare frequenti controversie tra le due opposte fazioni, i Misteri della Vallisa escono negli anni pari, e quelli di San Gregorio nei dispari. Pace fatta, anche se l’ironia popolare, determinata indubbiamente dall’antica rivalità, è rimasta ancora oggi. 

Ai Misteri della Vallisa non è stato tolto il soprannome di chiangiamiuue (piagnoni), mentre quelli della Chiesa di San Gregorio sono soprannominati vendelùse (da vento).

 

 

 

LA CHIESA DI SAN FRANCESCO DA PAOLA IN CAPURSO (BA)

Gino Pastore, appassionato cultore della storia del suo paese, ha scritto diverse opere dedicate alla città della Madonna del Pozzo di Capurso (Bari). Ha trattato diversi argomenti: dialetto, sport, religione, storia, giungendo oggi all’ultimo suo lavoro “San Francesco di Paola” in Capurso , pag. 218, euro 18, (Levante Editori) nel quale fa la storia della Chiesa dedicata al Santo della carità, San Francesco di Paola, erede di San Francesco d’Assisi.

L’autore dà in questo libro un notevole contributo per la conoscenza dei tanti aspetti presenti nella storia di una istituzione che per circa due secoli ha alimentato la fede religiosa dei Capursesi, ispirando anche comportamenti di solidarietà umana.
Pastore, partendo dalle notizie sulla vita del Santo di Paola, fa un po’ la storia del convento e della chiesa a lui dedicata non tralasciando arte e architettura, notizie socio-economiche, sviluppo urbano, il lento declino del Convento dei Paolotti, ma evidenzia anche la necessità di una nuova parrocchia che nonostante i vari iter intercorsi tra Comune e Curia Arcivescovile al fine di costruirne una nuova, a tutt’oggi non è stata ancora realizzata.

L’autore ha fatto di più. Ha analizzato fino in fondo gli aspetti del secolo, dalle feste religiose alle elezioni amministrative, dall’assistenza medica alle gabelle ingiuste, dalle processioni propiziatrici di pioggia allo sviluppo urbano, ecc.
L’auspicio auspica che la nuova amministrazione comunale, possa dare felice conclusione alla vicenda che si protrae ormai da diversi anni.

Gino Pastore con questa pubblicazione, molto ben illustrata, ha dato un notevole contributo alla causa, mentre padre Bernardino Palmieri, attuale parroco, sta contribuendo anch’egli per la migliore e rapida soluzione del problema. Un notevole aiuto viene anche dalla collettività capursese, che con l’opera di volontariato e l’impegno sociale e culturale dà una mano ad assistere i meno fortunati.
La presentazione del volume è di Franco Pesole.

La Madonna del Pozzo di Capurso, appare a San Pietro d'Alcantara (a sinistra) e a San Pasquale Baylon (a destra).
Immaginetta sacra del 1906.

 

 

LE CATTEDRALI DI PUGLIA

Lungo il percorso delle Cattedrali di Puglia si snoda anche la storia della civiltà della regione che nell’edificio di culto ha da sempre il simbolo della sua identità ed il segno concreto della presenza divina.

La Puglia è una regione che ha un gran numero di cattedrali e basiliche nelle quali si identifica la forza e il ruolo della regione. Svettanti campanili che altro non sono che punti di riferimento per il cittadino o il forestiero. Se poi consideriamo che la Puglia rappresenta il crocevia del Mediterraneo allora si capisce come le espressioni artistiche sono frutto anche dei vari “passaggi” di stranieri, anche illustri, che nel corso della storia si sono avvicendati su questa terra ed hanno lasciato i segni della loro presenza. Basti ricordare Federico II di Svevia.

Stefania Mola ha pubblicato per i tipi di Adda Editore di Bari, per la serie “Puglia in tasca”, l’agile volumetto “Puglia. Le Cattedrali” (pag. 190, euro 10,00), dedicato alle numerose Cattedrali che si snodano come una corona in ogni parte della Puglia, isole comprese, come le Tremiti.

Sulle tracce di re, santi, mercanti, pellegrini e guerrieri, una delle tappe di grande interesse è rappresentata dal Gargano con la Montagna Sacra (Monte S. Angelo) dedicata a San Michele Arcangelo, polo di incontro tra le culture d’Oriente ed Occidente.

Bari vanta la presenza di una stupenda Basilica, dedicata ad un Santo mondiale, San Nicola. Non è una Cattedrale poiché non è sede del vescovo, ma è uno dei più importanti Santuari della cristianità occidentale e meta di pellegrini provenienti da ogni angolo del mondo, soprattutto dalla Russia, ove San Nicola è considerato “il Santo”. Solenne e severa nel cuore di Bari vecchia, a metà tra fortezza ed edificio di culto, sorge in un’area, vicinissima al mare, detta “cittadella nicolaiana”. Qui riposano le spoglie di San Nicola, un Santo ecumenico venerato con identico entusiasmo da Oriente e Occidente.

A Trani è presente la stupenda Cattedrale bianca e monumentale dedicata a San Nicola Pellegrino (XI secolo), che si leva altissima come una gigantesca nave arenata, determinando il centro antico della città. La Chiesa prende il posto di una basilica più antica dedicata a Santa Maria.


La Cattedrale di Ruvo di Puglia, eretta tra XI e XII secolo nell’area di una più antica sede vescovile, si distingue per il singolare slancio della facciata, dagli spioventi particolarmente inclinati, aperta al centro di un ampio rosone e nella zona inferiore da tre portali.

Anche a Bitonto (BA) è presente una Cattedrale costruita tra XII-XIII secolo, secondo il modello della Basilica di San Nicola di Bari. Ha una imponente facciata tripartita verticalmente da lesene, aperta da tre portali. Il fianco meridionale, affacciato sulla piazza, presenta un elegante loggiato ad esafore su colonnine e capitelli riccamente scolpiti.

A Ostuni (BR), città completamente imbiancata dalla calce, fa bella mostra la straordinaria Cattedrale dall’elegante profilo ondulato, aperta da un monumentale rosone, eretta in pieno quattrocento. Al modello adriatico di Ostuni, si avvicinano altri edifici della zona, primi fra tutti la parrocchiale di Laterza e la collegiata di Manduria, entrambe in provincia di Taranto.

Le Cattedrali presentate sono solo un piccolissimo esempio degli importanti edifici di culto di notevole interesse artistico e religioso presenti nel territorio pugliese. Per coloro che volessero saperne di più rimando al citato volume di Stefania Mola, ma soprattutto li invito a visitare la Puglia con i suoi Castelli e Cattedrali, che proprio non si contano, tanto sono numerosi e belli sparsi per l’intera regione.

 

 

 


LA CHIESA DI SAN LUIGI DI TRANI
STORIA, RESTAURO E RIUSO


Con lo scopo di raggiungere la piena conoscenza della settecentesca Chiesa di S. Luigi, il Centro Servizi Regionale e Culturali (C.R.S.E.C.) di Trani-Bisceglie (BA), ha pubblicato recentemente il volume fuori commercio “La Chiesa di San Luigi e l’ex Conservatorio di San Lorenzo a Trani – Storia, restauro, riuso”, edito da Levante Editori di Bari.

La città di Trani che ha molte testimonianze di cultura ha, forse, sensibilizzato i responsabili del C.R.S.E.C., i quali, proseguendo in un itinerario culturale attraverso i secoli, come testimoniano precedenti opere edite dallo stesso Centro di Trani: “Aspetti della Storia degli Ebrei in Trani e Bisceglie” e “La Campagna di Trani”, e grazie alla specifica coincidenza con gli studi svolti dagli architetti Dario Natalicchio, Rosa Nicastri e Laura Romanelli, ha reso possibile la citata pubblicazione. L’opera di cui sopra si propone di raggiungere la piena conoscenza del manufatto finalizzata al recupero e alla restituzione di questo bene storico e artistico alla città di Trani.

La Chiesa di San Luigi, costruita nel 1753, rappresenta un monumento che offre la chiave di lettura di strutture preesistenti che vanno dal medioevo alla fine dell’ottocento.
La ricostruzione storica delle origini del complesso della Chiesa di San Luigi e dell’ex Conservatorio di San Lorenzo è stata affrontata, come si legge in premessa, attraverso la lettura e l’interpretazione dei documenti d’archivio. Tra questi ultimi, il primo che parla direttamente del complesso del Conservatorio è datato 1628. Questo giustifica la scelta di iniziare il testo con l’analisi di quel documento. Anche l’ordine dell’opera è stato eseguito con lo stesso criterio in cui si è svolto lo studio: lettura e analisi sistematica dei documenti con il massimo rispetto della sequenza cronologica. Il metodo ha consentito di avere un quadro completo circa le origini, le trasformazioni e le vicende che hanno interessato la struttura dando la possibilità agli studiosi di predisporre un progetto per il suo possibile restauro e riuso.
La pubblicazione, che si inserisce a pieno titolo nella bibliografia tranese, riporta documenti, planimetrie, rilievi fotografici e tecnici che comprovano l’attuale stato di degrado. Inoltre, illustra le ipotesi di restauro e di riutilizzo, i rilievi, gli interventi di consolidamento, il risanamento della facciata ed il problema del fastigio (la parte più alta del coronamento dell’edificio), colmando così un vuoto nel campo degli studi sul patrimonio monumentale della città.

Il volume, ben presentato, non vuole essere solo un documento da aggiungere a quelli esistenti, ma uno stimolo agli amministratori della cosa pubblica a voler disporre i fondi necessari da destinare al restauro della storica ed importante struttura per riportarla all’originario splendore.


 


LA CATTEDRALE DI BISCEGLIE FRA STORIA ED ARTE


La città di Bisceglie (BA), che in origine aveva il nome di “Viscile” o “Visciglia” - un tipo di quercia selvatica diffusa nella zona, riportata anche nello stemma civico - nell’XI secolo assunse il nome di “Vigilae”, una trascrizione dotta di quella prima forma dialettale.

La sua Cattedrale, una delle più antiche di Puglia, fu costruita nel 1073, (1044 secondo la tradizione) e consacrata nel 1295.

Margherita Pasquale, spinta dal desiderio di indagarne le vicende storiche ed artistiche e, ritenendo opportuno far conoscere i risultati ad un pubblico sia con interesse scientifico che spinto da curiosità storica o turistica, ha dato alle stampe il volume “La Cattedrale di Bisceglie”, edita da Levante Editori di Bari (pp. 204. € 13,43).

L’opera si propone di ricostruire le vicende storiche ed architettoniche del Duomo di Bisceglie, inserendola nel più vasto contesto socio-religioso che ha determinato il fiore del romanico-pugliese. Essa attinge a fonti documentarie in gran parte inedite per restituire l’originario assetto del monumento e seguirne l’evoluzione attraverso i secoli. Inoltre, si avvale di un notevole corredo illustrativo per rendere più agibile la lettura dell’itinerario cronologico del massimo tempio biscegliese, anche alla luce dei recenti restauri che lo hanno liberato dalle sovrastrutture, di epoca posteriore, che ne mascheravano la purezza di linee e ne compromettevano, tra l’altro, la stabilità.
L’opera narra delle fonti storiche, della cronologia, delle vicende architettoniche del monumento, dei rapporti con la cultura artistica contemporanea facendo anche alcune considerazioni sulla forma della città.

La pubblicazione, che è alla seconda edizione, è arricchita da numerose illustrazioni fotografiche che mostrano i vari particolari della Cattedrale insieme ad una serie di tavole che segnalano le tracce del passaggio del monumento attraverso i secoli. Inoltre è stata aggiornata la bibliografia, ampliato l’indice analitico ed aggiunte note e ragguagli circa le ulteriori operazioni di restauro o di ricerca fatte negli ultimi anni.

La copertina è di Lillo Dellino, mentre le referenze fotografiche sono dell’Archivio Resta, di V. Pellegrini e A. Loprete.


 

CONFRONTO TRA DUOMO DI MOLFETTA E
BASILICA DI SAN MARCO DI VENEZIA


Pare che la Puglia sia in sintonia con il Veneto, in particolare con Venezia. Infatti, mentre Bari è legata a Venezia per via dell’aiuto da parte della flotta veneziana, guidata dal Doge Pietro Orseolo II nel 1002, finalizzato a liberare la nostra città dall’assedio dei saraceni, Molfetta e Venezia, invece, sono congiunte tra loro attraverso i loro Duomi, entrambi con architettura a cupola, come scrive Vincenzo Maria Valente nel suo bel libro “Il Duomo di Molfetta e la Basilica di S. Marco a Venezia”, molto ben presentato da Levante Editori di Bari (pag. 240, euro 41,32).
L’autore, poeta, scultore, storico dell’arte, studioso e saggista di Arte Romanica, collabora con varie riviste e alcune sue opere si trovano presso il Museo Nazionale di Modena, il Museo dell’Incisione Artistica di Verona e il Museo di Carpi.

Con la sua pubblicazione, Valente, intende riproporre all’attenzione del pubblico e degli studiosi uno dei beni di maggior interesse dell’architettura medievale: il Duomo Vecchio di Molfetta, dedicato a S. Corrado, che rappresenta l’esempio più noto ed evoluto tra le chiese della Puglia con copertura a cupola, caratteristica peculiare dell’architettura romanica della nostra regione. Ma Valente l’attenzione la rivolge anche ad un’altra costruzione con volte a cupola, quella della Basilica di S. Marco a Venezia. Un raro confronto, da un lato il Duomo di Molfetta, che vibra di consonanza per la spiritualità del vicino Oriente, realizzato in un periodo in cui viene raggiunta una grande maturità nella costruzione a volta, dall’altro la Basilica di S. Marco che esprime la predilezione della Repubblica Serenissima verso il mondo bizantino.

Il volume si divide sostanzialmente in due parti: la prima dedicata al Duomo di Molfetta con la storia delle origini della città, le caratteristiche della Chiesa ed il Santo protettore, Corrado, corredato con la documentazione delle caratteristiche del monumento. La seconda riservata alla Basilica di San Marco di Venezia.

In sostanza il libro, come sottolinea l’arch. Riccardo Mola, oltre a contenere originali contributi per la conoscenza dei monumenti, ha anche il pregio di offrire un panorama ampio e approfondito del dibattito storico e critico, ricorda le origini delle due città e delle due chiese, riporta planimetrie e caratteristiche architettoniche, fotografie, cenni storici e bibliografia. Insomma tutto quello che può essere utile per portare a compimento uno studio particolareggiato o per saperne di più sulle due esclusive edificazioni sacre.



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LA MADONNA DI COSTANTINOPOLI


 

La Madonna di Costantinopoli o Odegitria, la cui immagine è venerata nella Cattedrale di Bari, è un’opera cinquecentesca, compiuta su un modello più antico e ritoccata due secoli dopo.

Il titolo di “Odegitria” è stato dato nel nostro secolo (anni ’30) e confermato in occasione della settimana “pro Oriente christiano”, svoltasi a Bari nel 1936. Il titolo precedente era quello di “Madonna di Costantinopoli”, - per cui è ancora venerata ancora oggi nelle Chiese dell’arcidiocesi e della provincia - attestato per almeno quattro secoli ed il cui ricordo è ancora molto popolare, come testimoniano le edicole del centro storico della città vecchia.

Ad alimentare la diffusione e la devozione, hanno contribuito notevolmente le Confraternite della Chiesa di S. Maria Venerata di Triggiano, della collegiata di Bitritto, della stessa Cattedrale barese e successivamente della chiesa Matrice di Mola, Binetto e Carbonara, mentre fuori dell’arcidiocesi, si ricordano Gravina, Ruvo, Bitonto Bisceglie, Barletta, Corato e Spinazzola.

La Biblioteca Nazionale di Bari, secondo quanto sostiene Francesco Quarto, collaboratore della stessa Biblioteca, «... può essere indicata come il luogo presso cui sono conservate le principali testimonianze superstiti della tradizione documentaria e letteraria, manoscritta e a stampa, sulla vicenda della traslazione della icona raffigurante la Madonna col Bambino dalla città di Costantinopoli a Bari».
Le prime attestazioni del culto datano proprio alla prima metà del secolo XVI. La datazione delle prima attestazione del culto dell’Odegitria, è tradizionalmente attribuita all’Arcivescovo Antonio Puteo, con l'istituzione della Confraternita di S. Maria di Costantinopoli nel 1580.

Per coloro che volessero approfondire la materia in fatto di storia, arte e culto, si rimanda alla bella pubblicazione “L’Odegitria della Cattedrale” a cura di Nicola Bux, edita da Edipuglia, Bari, contenente gli atti del Seminario di studio, nel quale per la prima volta, viene affrontata l’analisi della Madre di Cristo, venerata nella Cattedrale barese, contemporaneamente e da varie prospettive.
Gli autori sono tutti prestigiosi: don Nicola Bux, Pina Belli D’Elia, Clara Gelao, Emma Lobalsamo, Don Gaetano Barracane, Giovanni Pinto, Rosa Lupoli, Franco Quarto e padre Gerardo Cioffari, presentazione di Salvatore Palese.

Odegitria di Emil Marinov Tzeinski

 



IL MONASTERO DI OGNISSANTI DI VALENZANO




A circa 10 chilometri da Bari, nella campagna valenzanese, nei pressi del centro abitato di Valenzano, sulla strada per Capurso, sorge la chiesa di Ognissanti di Cuti, che è quanto resta di un edificio monastico del secolo XI. La chiesa, attualmente, dipende dal Capitolo di San Nicola.

«L’eredità più preziosa che ci resta dell’antico monastero benedettino di Ognissanti di Cuti è la sua chiesa, con lo straordinario nitore esterno e la rara configurazione dell’interno a tre cupole in asse con semibotti laterali; un gioiello d’arte che occorre riportare al suo antico splendore con un progetto complessivo di tutela e di salvaguardia che ne faccia, una volta per tutte, un riferimento di cultura e di fruibilità turistica».

Così inizia l’introduzione della piacevole pubblicazione “Ognissanti di Valenzano – Il Monastero benedettino e le sue vicende storiche”, edito dal Centro Studi Nicolaiani per i tipi di Levante Editori. L’edizione, che è ottenibile, fino ad esaurimento, presso l’Assessorato alla Cultura o presso la sede della Biblioteca dello stesso Comune, è frutto di una ricerca effettuata da Rosangela Di Monte, giovane laureata barese in Lettere Moderne, che ha approfondito l’argomento nell’ambito della sua tesi di laurea.

Con l’intento di potenziare i movimenti socio-culturali della città di Valenzano, il dott. Nicola Tangorra, attuale primo cittadino, ha disposto l’approfondimento delle ricerche per una maggiore conoscenza del Monastero Benedettino di Cuti, denominato Ognissanti, esistente in territorio di Valenzano (Ba), ai confini con quelli di Capurso e Bari, finanziando l’edizione. Dell’antico Monastero non è rimasta che la sola bellissima chiesetta, della quale i valenzanesi sono molto fieri, custodita e retta, come detto, dai domenicani della Basilica di San Nicola di Bari.

La chiesa è l’unica parte superstite all’opera distruttiva che ha colpito il monastero, le cui pietre sono state utilizzate, nel 1737, per la costruzione della basilica della Madonna del Pozzo di Capurso (Ba). Il tempio che è a tre navate, alle cui spalle sorge un edificio rettangolare con intorno gli orti appartenenti al monastero, è stato descritto da Vincenzo D’Aloja, (1743-1824), primo storico valenzanese, come «Costruzione tutta di pietra viva e d’un lavoro finissimo... che manifesta la gran diligenza e il buon gusto del fondatore, avendo questi cercato che l’opera riuscisse delle più perfette, e che alla medesima nulla mancasse per renderla quasi singolare».

Il volume si divide in cinque capitoli che trattano il Cammino degli studi su Ognissanti, il Monastero dalle origini alla fine del ducato normanno, durante la monarchia normanna ed in età sveva e angioina ed infine il Monastero in età moderna e contemporanea.

L’edizione è corredata da una appendice che riporta molti documenti a partire dalla Bolla datata 1082 dell’arcivescovo di Bari, Ursone, che autorizzava il rettore della chiesa appena edificata a istituire parroci, fare processioni, ordinare gli uffici divini, celebrare funerali e ricevere offerte senza la previa licenza dell’arcivescovo, per finire a quella di Papa Bonifacio VIII, del 1295, che su richiesta del Cardinale Guglielmo Longo, priore della Basilica di San Nicola, annetteva il Monastero di Ognissanti di Cuti (con tutte le sue pertinenze), alla stessa Basilica.


Infine, il volume è arricchito da un elenco di documenti dell’Archivio di San Nicola riprodotti in fac-simile e da una serie di foto di Nico Tangorra che illustrano molto bene i vari profili architettonici del tempio.



Veduta della navata centrale con finestrone absidale.


 


LA CHIESA DI SAN PASQUALE A BARI
E IL MOSAICO “DIES DOMINI”

Conservare la memoria storica della propria città significa ricordare fatti, avvenimenti, cose, persone, monumenti, ecc. A dare un contributo in tal senso ci ha pensato Pio Corbo, armato dal desiderio di non lasciar perdere un patrimonio storico, almeno per quanto riguarda il Rione San Pasquale, con il volume “La Chiesa di San Pasquale in Bari”, edito qualche anno fa da Levante Editori (pag. 332, euro 33,57), ma certamente attuale per chi non ne fosse a conoscenza.

L’iniziativa di Corbo è quanto mai lodevole poiché, pur non essendo nato a Bari, ha pensato di scrivere l’opera in occasione del cinquantenario del suo matrimonio, avvenuto appunto in quella Parrocchia il 4 dicembre 1944, lasciando così ai concittadini d’adozione ed ai posteri, una testimonianza concreta di quelle che furono le preoccupazioni dell’allora Arcivescovo Mons. Giulio Vaccaro. Quest’ultimo decretò (26 giugno 1916), l’erezione della Parrocchia di San Pasquale per soddisfare le esigenze spirituali dei cittadini del rione, ma anche perché si preoccupò del grosso “Complesso Russo” presente nelle immediate vicinanze e per arginare la propaganda degli “Ortodossi russi”

Il volume, che oltre a fornire alcuni cenni storici su Bari e il suo territorio, ricorda la istituzione della circoscrizione ecclesiastica, i parroci e i coadiutori che si sono succeduti, l’opera pastorale, le Associazioni, il patrimonio della Parrocchia, documentando ampiamente tutti i passaggi relativi a donazioni e lasciti. L’autore descrive con precisione il monumentale e prezioso altare settecentesco, vera opera d’arte, ben conservato nella Cappella del SS. Sacramento, con l’interpretazione dei simboli e delle figure scolpite. Detto altare è proveniente dalla diroccata Chiesa di S. Maria della città vecchia, come si legge nell’epigrafe a destra del transetto. Insomma un piccolo museo ed un raro archivio aperto a tutti coloro che desiderano sapere origine, storia e cronaca della Parrocchia che ha da poco superato gli ottant’anni di vita.

Il lavoro da certosino eseguito da Corbo è rappresentato, non solo dalla puntuale ricerca della ricca documentazione amministrativa e fotografica, che porta il lettore per mano nell’itinerario della storia e della edificazione della Chiesa, ma soprattutto dall’amore e dalla passione per la “sua” chiesa, acquisite, attraverso la consorte barese. Infatti, nato a Monteverde (AV) si trasferisce a Bari e dopo gli studi filosofici si laurea in Giurisprudenza, operando attivamente nel mondo della scuola, dell’industria, delle attività sindacali, cooperativistiche e sociali.

Don Marco Mancini, parroco pro-tempore, nel presentare l’opera, afferma che «Il non facile compito di ricerca e interpretazione di documenti d’archivio, fotografie, ricordi di persone che per tanti anni sono stati parte attiva nella vita parrocchiale è stato portato avanti con perseverante volontà di non perdere la memoria non solo di un territorio e di una popolazione che hanno quasi trovato una loro identità attorno alla Chiesa di S. Pasquale, ma anche di quella costruzione di una comunità cristiana che tuttora è vivace e convinta di un ruolo importante proprio nella testimonianza e nella trasmissione dei valori ricevuti come patrimonio da trasmettere con fedeltà». Inoltre, esprime «...un grazie riconoscente e ammirato a Pio Corbo per il suo preziosissimo lavoro, che fissa sulla carta elementi di conoscenza della storia della comunità religiosa di San Pasquale».


IL MOSAICO “DIES DOMINI”


La Chiesa di San Pasquale in Bari situata a metà tra la Chiesa Russa, che rappresenta l’ortodossia russa nella nostra città, e la Cattedrale, quale emblema del cattolicesimo barese, può rappresentare l’epicentro strutturale dell’ecumenismo, vocazione storica della città di Bari.
L’edificio relòigioso, la cui costruzione, come già detto fu decretata nel 1916, disponendo di un’abside incavata in modo che esce un arco trionfale, si è prestata adeguatamente ad ospitare il mosaico iconografico e teologico “Dies Domini” (giorno del Signore), costituito tra il Triduo pasquale e la Pentecoste, arco di tempo in cui si sintetizza tutta la teologia e la spiritualità del giorno del Signore.


L’opera è stata ideata e realizzata da padre Marco Ivan Rupnik ed inaugurata in occasione del 24° Congresso Eucaristico Nazionale che si è svolto a Bari.
Padre Rupnik, è direttore del Centro Aletti di Roma, insegna al Pontificio Istituto Orientale, alla Pontificia Università Gregoriana, al Pontificio Istituto Liturgico S. Anselmo e tiene corsi e seminari presso numerose istituzioni accademiche europee. Dal 1999 è consigliere del Pontificio Consiglio per la Cultura. Tra le sue opere la Cappella di Giovanni Paolo II, “Redemptoris Mater”.

 

 

IL MUSEO DIOCESANO DI BARI

 

Per volontà di Mons. Mariano Magrassi, già Arcivescovo di Bari, è stato realizzato nel 1977 e completato nel 1998, il Museo Diocesano nella sede vescovile barese, definendo così gli ambienti museali e quelli destinati all’esposizione dell’arredo liturgico della Cattedrale.

Grazie alla sponsorizzazione di Enti a carattere nazionale e di aziende locali, è stato possibile progettare e concretizzare dignitosamente l’allestimento del Museo. Nel Museo sono conservate testimonianze significative per la comprensione della genesi e della vicenda storica, artistica e liturgica della Cattedrale e della comunità ecclesiale barese di cui sono, insieme, memoria visiva e narrativa.
Il passato può essere nel Museo “visitato” e “ricostruito”».

Particolare menzione meritano gli straordinari rotoli degli Exultet (sec. XI), i frammenti della recinzione presbiteriale di Peregrino da Salerno (sec. XIII), del ciborio di Anseramo da Trani (secc. XIII-XIV), la stauroteca in argento e cristallo di rocca (sec. XII), il reliquiario a testa di San Donato (sec. XIV), il busto argenteo di San Sabino (datato1674), il dipinto raffigurante Cristo Risorto di Andrea Bordone, gli argenti settecenteschi di manifattura napoletana, austriaca e romana, i preziosi paramenti dei vescovi Sersale e Muzio Gaeta I, infine la ricca suppellettile ottocentesca dono dei vescovi Pedicini e Clary.

Mons. Francesco Cacucci, attuale Arcivescovo di Bari, nella presentazione del volume, illustra molto bene le ragioni di disporre di un museo della Cattedrale.
Infatti, egli scrive, «Tra i tesori più preziosi esposti vi sono i rotoli liturgici, gli Exultet, di cui ne sono state ricostruite la genesi, la storia e il contenuto. Così il Museo si presenta come un valido contributo alla riscoperta delle nostre radici. Del resto la storia di oggi non si potrebbe leggere senza la storia di ieri. Le tre dimensioni del tempo – passato – presente – futuro – si intrecciano e si condizionano a vicenda. Il passato può essere nel Museo “visitato” e “ricostruito”».

Ostensorio 1839-1846,
manifattura napoletana,
argento, pietre policrome

Ma cosa sono gli Exultet. Trattasi di manoscritti liturgici, diffusi particolarmente nell’Italia meridionale nei secoli X-XIII, spesso riccamente illustrati con figurazioni simboliche di alta qualità artistica, con la particolarità che le figure sono capovolte rispetto alla scrittura, allo scopo di permetterne l’osservazione ai fedeli mentre si lasciano pendere i rotoli dal pulpito.

La pubblicazione, molto ben curata da Levante Editori di Bari (pp. 128, euro 12,91), sponsorizzata dal Lions Club “Bari Svevo”, riferisce note storiche relative alla Cattedrale (a cura di Nino Lavermicocca), alla Città vecchia e alla Basilica Paleocristiana. Inoltre, passa in rassegna il contenuto delle varie sale espositive relative ai reperti scultorei, ai dipinti ed alla sala del tesoro che raccoglie i più rappresentativi manufatti in metallo prezioso del Duomo barese, scampati alle frequenti confische e fusioni di argenti, che si accompagnarono nei secoli passati ai periodi di calamità e di guerra.

Completa e valorizza l’opera una serie di illustrazioni e di belle foto raffiguranti Madonne, busti dei Santi Donato e Sabino, ostensori, paramenti e arredi sacri, calici, stemmi arcivescovili, ritratti di alcuni arcivescovi che hanno retto l’Archidiocesi di Bari (Ernesto Mazzella, Giulio Vaccaro, Marcello Mimmi ed Enrico Nicodemo). Quest’ultimo successe al Cardinale Mimmi destinato a Napoli.

Il volume, pubblicato a cura di Don Gaetano Barracane, è stato ideato e realizzato da Rosa Angela Finetti, a cui hanno collaborato Mariella Basile, Rosa Lorusso, Angela Melpignano, Sofia di Sciascio, Cesira Raimondi, Anna Saracino. Le foto sono dell’Archivio Museo Diocesano, Archivio Munafò, Giuseppe e Umberto Corcelli, Giuseppe Di Tullio, Fotogramma, Michele Roberto, Angelo e Giuseppe Saponara e Antonio Tartaglione.


 

Cattedrale di Bari

 

 

 

 

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