Rubriche di
Patrizia Fontana Roca

CROCIFISSI MIRACOLOSI II

 


 

IL CROCIFISSO DELLA CHIESA DEL CRISTO DEI DOMENICANI DI BRINDISI

 

 

Racconti sull’arrivo prodigioso di statue e crocifissi dal mare ce ne sono tanti, in tutta la penisola, il mare infatti, nella simbologia biblica, è il termine di paragone di tutte le forze della natura incontrollabili e ostili che attentano alla vita e alla sicurezza degli uomini.

Le pratiche devozionali nei confronti di statue e Crocifissi “venuti dal mare” sono legati alla cultura marinara. Le zone di confine, diventano spesso luoghi di immaginario mitico e religioso dove alcuni eventi vengono spesso narrati come miracolosi, restando conservati e rafforzati nella memoria popolare per generazioni.

 

La devozione nei confronti di statue e Crocifissi “venuti dal mare” hanno il fascino di secoli di comunità cristiane, di cultura marinara, diventano, spesso, luoghi mitici e religiosi di rilevanza, dove alcune situazioni sono spesso narrate come miracolose, restando nella memoria popolare per generazioni.

 

******

Ancora a fine XIX secolo, i geografi inglesi, riguardo alle carte geografiche raffiguranti l’Italia, usavano solo il nome di Adriatic sea, per definire uno dei mari, che bagnano la penisola, mentre tutto il resto, altro non era se non «Mediterranean sea», in cui si trovavano il golfo di Taranto e di Squillace e andando ad est verso sud, quelli di Salerno, Napoli e Genova se, doppiato lo Stretto di Messina e stando più a ovest, decidiamo di risalire verso nord, lungo quella che noi conosciamo (ma in quelle carte non è scritto nulla) come costa del mar Tirreno.

«Mar Adriatico» è il  nome di un mare che bagna l’Italia, coincidendo con "Golfo di Venezia", le insegne di S. Marco, che, dunque, dominavano su quelle acque, portando buone e  cattive notizie, un mare di pirati, solcato dai Turchi che realizzavano battaglie ed eccidii, come quello di Otranto.

Il mare, sul quale  probabilmente navigò l’apostolo Pietro per raggiungere l’Italia, portando Cristo a Roma.

Vari sono i i luoghi del Basso Adriatico e dello Jonio, che cercano  di rivendicare l'arrivo della barca del Pescatore di Galilea, e ancora pescatori sono quelli, che hanno portato sulle coste pugliesi  i corpi di santi, custoditi nelle urne funerarie.

Tutto questo, abbraccia la sfera del «prodigio» e l'Adriatico diventa «mare di prodigi», dove sono giunti sulle coste anche Madonne e Crocifissi come, ad esempio, tre crocifissi ora conservati a Brindisi, Torchiarolo e Latiano.

Le statue e i Crocifissi “del mare” mantengono spesso inalterato il fascino di molti secoli di tante comunità cristiane e di cultura marinara. Le zone di confine, diventano luoghi dell’immaginario mitico e religioso di particolare rilevanza, dove alcuni di essi sembrano miracolosi, restando conservati e rafforzati nella memoria popolare per generazioni.

 

Una tempesta nell'Adriatico, infatti, è alla base dei due prodigi e della presenza dei crocifissi a Brindisi e Torchiarolo.

Del primo avvenimento portentoso lasciò memoria scritta il carmelitano Andrea Della Monaca, quando a Lecce, diede alle stampe, la "Memoria historica dell’antichissima e fedele città di Brindisi", dove si precisa che la "miracolosa Imagine del nostro Salvatore, di rilievo, pendente dal patibolo della Croce", allora come ora è conservata nella Chiesa del Cristo dei Domenicani, dopo esservi giunta evidentemente con l’intenzione divina (per chi crede) di rimanere là.

Il Padre Della Monaca descrisse la Croce, dicendo che era di legno, intatta, per l'immagine da essa portata..

Quindi iniziò a dire "che una nave veneta era giunta da Alessandria d’Egitto, rifuggiandosi in porto perché il mare Adriatico in tempesta, non consentiva la navigazione" .

A bordo di quella nave vi era Giovanni Cappello, veneziano, che veniva da Gerusalemme, dove aveva visitato i Santi luoghi, portando con sé molte reliquie e tra l’altre l’Immagine predetta del Santissimo Crocifisso.

 

Il veneziano fu ricevuto nel convento dei Domenicani dal superiore «ch’era di Bergamo, Città soggetta alla Republica Veneta» e fu proprio lui che, saputo del carico della nave, spinto «non tanto dalla curiosità, quanto dalla devotione», pregò il Cappello di far scendere a terra la Santa Croce, per esporla nella Chiesa, per farla adorare dal Popolo Brindisino».

Il veneziano acconsentì e la solenne esposizione determinò la visita ininterrotta e devota di Brindisini, tanto che era quasi tempo di ripartire, ma… il Cristo decise di restare a Brindisi.

Già, perché al veneziano che voleva riportarsi il sacro legno a bordo, non fu possibile rimoverlo da quel luogo dov’era stato messo, nè con la forza, né con preghiere... Si comprese come fosse "volontà di Dio" che la Sacra Immagine non partisse più.....

 

Il nobile si piegò alla divina volontà, ma per ricordo si portò via il dito indice della mano destra....

Giovanni Cappello ritornò a Venezia ed ebbe sicuramente modo di raccontare quanto di singolare gli fosse accaduto, magari mostrando quell’indice del Cristo lasciato a Brindisi.

 

Le ultime volte è stato portato in processione negli Anni Santi: nel 1975 dai pp. Vincenziani, nel 1983 dai pp. Passionisti e dai Sacerdoti di Minervino, sempre durante il venerdì santo del Grande Giubileo dell’anno 2000, dell’anno della Fede, nel 2013 e dell’anno Giubilare Straordinario della Misericordia voluti da Papa Francesco, il 25 marzo 2016, in concomitanza con l’ultimo prodigio della Sacra Spina.

 

Ma, viene spontanea una domanda: ma perchè ora non è più nero come lo era l'originale? È cambiato il Crocifisso?

No, è stato restaurato, perché il legno era stato devastato dal tarlo e si era poi scoperto che l’«originale» era un Cristo in croce dai colori naturali, dai lineamenti dolci ed espressivi.


Di che periodo è? Confrontandolo con alcuni Crocifissi spagnoli del secolo XIV, si notano molte somiglianze: l'acconciatura dei capelli, la corona di spine, il volto che forse è la parte più antica (tra il XIII ed il XVI secolo) messo su un corpo più recente, forse andato bruciato o rovinato.

 

Don Luigi di Canosa (1913-1998), parroco di Maria SS. Incoronata racconta che verso la fine marzo 1994, andò a trovarlo il dott. Domenico Montaruli, che gli propose, a nome di tutti, un omaggio alla sua persona, ed egli chiese semplicemente se fosse stato possibile un restauro del veneratissimo Crocifisso della Cattedrale.

Nel giugno del medesimo anno, Montaruli si rifece vivo accettando la proposta, facendogli poi conoscere sua nipote, la dott.ssa Annamaria Lorusso, direttrice del Castello Svevo di Bari e, tramite lei gli fu presentato il restauratore Cesare Franco, come persona esperta e capace.

Il restauro fu ultimato in estate e il 10 settembre, con una solenne concelebrazione presieduta dal vescovo di Andria, la sacra immagine è stata restituita alla venerazione del popolo”.

 

 

*******

 

 

Tale evento, che la credenza popolare volle attribuire alla “volontà di Dio” il “non partire da quel luogo”, trova diverse analogie con altri simili simulacri di altre località italiane, giunti anch’essi dal mare durante le tempeste.

 

In provincia di Brindisi ve ne sono ben due, il “Cristo del naufrago” di Torchiarolo e il crocifisso di Serranova.

 

IL CROCIFISSO DEL NAUFRAGO DI TORCHIAROLO

 

 

 

 

 

 

Brindisi, una delle più importanti rotte militari e mercantili tra le sponde del Mediterraneo, ha visto l’arrivo di artisti, di maestri operai che hanno favorito le arti, ma anche l'arrivo di reliquie e statue di grande venerazione, come lo straordinario Crocifisso ligneo conservato nella chiesa dei Domenicani, ritenuto da sempre prodigioso, ora custodito in un elegante tabernacolo nella chiesa matrice della cittadina salentina.

 

Un altro, giunse sul nostro litorale a bordo di una nave veneziana diretta ad Oriente, che il forte vento di tramontana e un’improvvisa bufera notturna fecero inabissare. Il capitano, l’ultimo a lasciare la nave dopo aver cercato in ogni modo di condurla in salvo, abbracciò “come un’ancora di salvezza” un crocifisso in legno e si gettò in mare.

 

Al mattino, si trovò sano e salvo su una spiaggia disabitata vicino a Lendinuso e tenendosi sempre stretto a quella Croce, raggiunse il vicino paese di Torchiarolo dove giurò di lasciare il suo Salvatore in una chiesa da costruire proprio lì, in Suo onore.

Certamente, tutto il fatto ebbe origine dall'Adriatico. Le stesse cose che diedero l’avvio ad un’altra storia, conclusasi appena 17 chilometri più a sud: a Torchiarolo. In effetti, fu l’improvviso mutare del tempo ed il vento del nord che fece naufragare – siamo sempre nel Basso Medio Evo – una nave che da Venezia intendeva raggiungere l’Oriente.

C'era bufera e il capitano dopo aver suonato la campanella di bordo, barcollando e sbattendo contro ogni cosa, raggiunse il posto di comando. strappando il bel Crocefisso di legno, là sistemato. Tutti avevano già abbandonato la nave e solo lui era rimasto, tenendosi stretto quel Crocefisso come un’ancora di salvezza, a cui gridava: “Signore, con Te nella vita e nella morte. O ci salveremo insieme o insieme affonderemo”».

Tutto questo mentre la nave si inaissava e intorno era tutto buio ed il mare agitato  nelle ore notturne, faceva ancor più paura.

Al mattino, il nuovo giorno si presentò meno triste di quello prima e il capitano vide la terra vicina e vì giunse con quella Croce su una spiaggia deserta. Èra la spiaggia di Lendinuso.... Il capitano del vascello affondato, – barcollante e stretto al suo Salvatore – raggiunse la terra ferma, quel villaggio di poche case, dove giurò che avrebbe lasciato il suo Salvatore ed avrebbe fatto costruire in suo onore una Chiesa da cui avrebbe continuato a dispensare grazia a chi a Lui fosse ricorso con fede e amore.


Fin qui il racconto. Di certo c’è che «quei contadini e quella povera gente si strinsero a quel Crocefisso che scelsero come Protettore» e quel Cristo ligneo, festeggiato nella duplice occasione del “rinvenimento” e della “esaltazione” della Croce, è sempre rimasto nella Chiesa matrice a vegliare sulla comunità cittadina.

I Torchiarolesi, anno dopo anno, si legarono sempre più a quel Crocifisso e – come risulta dai Registri parrocchiali del XIX secolo, alcuni cominciano da allora a prendere come nome proprio Crocefisso per i maschi e Crocefissa per le donne, (poi quasi sempre ridotti nei tipici Pisso o Pissa).

.

 

 

********

IL CROCIFISSO DI SERRANOVA

 

 
 

Dal mare giunse anche il Crocifisso di Serranova, ora conservato in una cappella attigua al castello feudale della borgata carovignese. Pure in questo caso la statua del Cristo in croce è legata alla memoria di un naufragio, avvenuto sempre nel Medioevo, questa volta però sulla costa a nord di Brindisi: il mare in tempesta e un violento temporale causarono l’affondamento di una nave nei pressi di Torre Guaceto, l’equipaggio riuscì a salvarsi miracolosamente grazie all’intercessione di quell’immagine sacra in legno, intagliato del XVII secolo.

 

i marinai decisero per questo di donarla alla chiesetta del villaggio come segno di devozione e per grazia ricevuta.


La tradizione popolare attribuisce al crocifisso poteri miracolosi ed ogni anno infatti, nel mese di maggio, veniva portato in processione per scongiurare ogni tipo di calamità naturale.

 

********

 

IL CRISTO DEGLI ZINGARI - LATIANO

 

 

 

 

 

Anche il “Cristo degli zingari” di Latiano ha attinenze con la leggenda del Crocifisso dei Domenicani di Brindisi.

Non si tratta di mare e tempeste, ma di una carovana di zingari nomadi, fermi da qualche giorno a Latiano, paese dell’entroterra della Puglia.
Finita la permanenza, raccolsero la loro mercanzia, la sistemarono in alcune casse e la caricarono sugli animali e carovana, ma uno di questi bauli non si riusciva a sollevare da terra: cercarono, inutilmente, di alleggerirlo togliendo alcuni oggetti dall’interno, venne tirato su dopo diversi tentativi, solo dopo aver estratto dalla cassa “un Crocifisso nero”, nemmeno tanto grande, alto appena 71 centimetri, di poco peso.

Le persone intorno, curiose, che erano nei pressi della locanda dove avevano sostato gli zingari e dove avvenne l’episodio, rimasero impressionati e si scoprirono il capo devotamente davanti al Cristo, poi venne a quel punto il parroco del luogo, che portò l'immagine in processione,...

 

Gli zingari decisero così di cedere ai latianesi quel “Cristo nero” (era questo il colore della statua) che evidentemente voleva rimanere lì, a cui però staccarono un dito della mano per conservarlo,con grande devozione, a futura memoria, così come aveva già fatto il mercante veneziano nella chiesa dei padri Domenicani di Brindisi.

 

La piccola scultura, realizzata in legno di noce probabilmente nel XVI secolo, è posto su una croce rivestita in argento e durante le festività la parte inferiore del corpo del Cristo viene ricoperta con un prezioso drappo azzurro ricamato in oro.


Sulle fondamenta del luogo in cui era stato ritrovato, fu poi innalzata la chiesa in onore del Crocifisso, diventato il protettore della città, dove oggi si conservano le reliquie della Santa Croce e della Santa Spina di Nostro Signore.

 

*******

 

IL CROCEFISSO DI BERGAMO

 

Il Crocifisso in questione, è conservato nella cattedrale di Bergamo, nella Cappella del Crocefisso. Il Cristo è rappresentato con i capelli veri e ha una mano senza chiodo, fermata da un fiocco.

 

Di notte tra, il 3 e il 4 gennaio 1417, in un paese in provincia di Bergamo, Albano Sant'Alessandro,  due ricchi mercanti forestieri, s'erano smarriti nella fitta boscaglia della zona quando, improvvisamente, una scia luminosa comparve in cielo, tanto da far loro ritrovare la strada giusta e il centro abitato. Assieme alla luce, però, ebbero l'Apparizione della Beata Vergine Maria.

Sbigottitti, poichè le porte della città erano chiuse per la notte, pensarono di rifugiarsi in una torre abbandonata, ma la Visione si ripetè: la Madonna era seduta su un trono di rose e aveva in braccio il Bambino che, teneva in mano un mazzetto di rose bianche.

I divini personaggi chiesereo ai due di far costruire una chiesa proprio in quel luogo e i mercanti, ottenuto il permesso dal vescovo, la fecero realizzare col nome di Santa Maria delle Rose. Il luogo, noto come Monticello o Monte Aureo, ma da quel momento si sarebbe chiamato Rosate.

Là già esisteva una chiesa, chiamata Santa Maria della Torre, nella vicinia di Antescolis, menzionata già nel 928 da parte del vescovo Adelberto (888-935) che la cita nel suo testamento come bene posto nella città di Bergamo.

Poi rivenne menzionata nel 982, nel 1049, nel 1187 e nel 1192, in vari documenti pubblici.

Nell'XI° secolo esisteva già un calendario, in cui veniva citato: "III Kalendas Junii. Dedicatio S.Mariae Rosariae in Turres". Il toponimo 'Rosate' era già in uso nel 1300, quindi, un secolo prima dell'Apparizione mariana del 1417.


La nuova chiesa venne consacrata il 30 maggio 1417. Il vescovo ordinò che ogni anno in quella data e in quella  chiesa venisse recitato l'Uffizio che, secondo il Breviario, è prescritto al 5 Agosto, giorno cioè di Santa Maria della Neve.

Nel 1446, la chiesa venne nuovamente restaurata e ingrandita, consacrata il 30 maggio dal vescovo Foscari, che mantenne le consuetudini del predecessore e questa 'prassi' fu sicuramente ancora in vigore nella seconda metà del '700.

 

Nel gennaio 1421 vi fu a Rosate, un'apparizione anche di demoni a Elisabetta Avogadro, sposa di un nobile cavaliere, tale Cenati, una donna fatua e dispendiosa, che si terrorizzò vedendo riflessi nello specchio dei demoni che la aggredivano e, urlando dalla paura, richiamò il marito, che pure li vide. Tale fatto provocò in loro un radicale mutamento, diedero tutto ai poveri e si ritirarono a vivere in due sole celle che avevano ricavato dalla loro casa, costruita attigua alla chiesa di S.Maria di Rosate.

I due morirono lo stesso giorno, vennero sepolti e le loro tombe visitate in pellegrinaggio poichè sarebbero state oggetto di fatti miracolosi. Molta gente, sulla scia del loro esempio, si fece costruire celle in quel luogo, così a poco a poco si creò un vero e proprio complesso che andava sovrapponendosi, allargandosi e che diventò un monastero, grazie a lasciti e donazioni.

Il primo nucleo era gestito dalle Romite, che non seguirono nessuna regola particolare fino al 1434, quando si misero sotto la regola di S.Chiara. Nel 1575, San Carlo Borromeo fu in visita alla città di Bergamo e, in quel momento, il monastero contava 60 monache, non aveva altro reddito che l'elemosina e beneficenza.


Ma cosa c'entra il Crocefisso, dunque?

Una suora, Emilia Tiraboschi, venne incaricata di raccogliere tutto il materiale documentario sulla 'venuta miracolosa del crocefisso nel monastero', nel 1662. I fatti erano per la verità accaduti molti anni prima e quindi la nostra suora si avvalse, per le sue ricerche, delle testimonianze orali, di coloro che lo avevano sentito a loro volta e di alcuni manoscritti (poi andati distrutti in un incendio. avvenuto in epoca posteriore).

Nel monastero, nell'anno 1509 si rifugiarono le donne venete residenti a Bergamo, poichè i Veneziani erano stati dichiarati prigionieri dalle truppe Francesi, che il 14 maggio 1509 erano entrate vittoriose nella città.

I Francesi allora chiusero con assi inchiodate ogni apertura del convento per far sì che le donne morissero affamate, ma poi i membri della MIA (Consorzio della Misericordia) intervennero e quindi furono tolte le spranghe.

In una notte tra il 1509 e il 1512 si sentì battere forte alla porta del monastero per ben tre volte, però quella porta non era quella più esterna, perciò, chiunque fosse, come aveva potuto introdursi fino a quella porta? Subito si pensò alla suora incaricata della chiusura, che aveva sicuramente dimenticato di chiudere! Ma non era così: le suore decisero di andare a vedere, prima chiedendo invano a gran voce chi fosse, ma non ricevendo risposta, si decisero ad aprire ed un Crocefisso quasi piombò all'interno, tanto premeva contro il portale.

Non videro nessuno, ma presero ad adorarlo, successivamente proteggendolo sotto una protezione di cristallo per preservarlo dalla polvere.


Veramente l'apparizione di questo crocefisso è riferita in più versioni: una prima volta sarebbe apparso alle Romite e le avrebbe rassicurate, in un momento di particolare difficoltà, che le avrebbe sempre protette. Una seconda molto più tardi, quando alcuni ladri volevano introdursi nel monastero e il Crocifisso apparve con le Plaghe splendenti come luminose stelle e i ladri, atterriti, fuggirono.

Questo Crocefisso ebbe fama di grandi miracoli  e grazie ricevute da fedeli e devoti. Testimonianze giunte fino a noi e documentate. Sarà un caso che, durante la seconda guerra mondiale, il Crocefisso venne portato in processione in momenti tragici e, infatti, pare che la città di Bergamo abbia subìto pochi danni. 

Si narra che un giorno una suora, accusata ingiustamente di una mancanza da una sua superiora, parlando da sola  con il Crocefisso, si chiese cosa avesse fatto per meritarselo, fu allora che la mano sinistra si staccò dalla croce e abbracciò la suora.Da allora, si decise che la mano non venisse più inchiodata ma ancora oggi ha un nastro che la tiene fissa al legno.

Nel corso del 1700, con le idee illuministe, i monasteri erano visti come inutili ma a Bergamo, durante la dominazione veneta, ne fu soppresso soltanto uno. Con l'avvento dell'era Napoleonica, essi erano stati divisi in categorie: quelli per l'insegnamento, quelli mendicanti  e quelli possidenti.

Inizialmente si salvarono solo i primi e pochissimi dei secondi poi, tra il 1808-1811, tutti. Il 25 aprile 1810 venne soppresso anche quello di Rosate, che non rinacque mai più, e venne acquistato dalla Congregazione di Carità (MIA) che lo trasformò col tempo, in edificio scolastico.

Il Crocefisso, al momento della soppressione del Monastero, venne portato in Duomo e dopo molte discussioni su come realizzare la cappella per ospitarlo, essa fu consacrata il 13 settembre 1866 dal vescovo di Lodi, mons. Benaglio, quasi centenario.

Nel 1932, il Crocefisso  venne arricchito di una preziosa cornice in argento; esso è tutt'oggi molto venerato e viene portato in processione nelle occasioni più speciali.

 



 

*******

 

 

IL CROCIFISSO VENUTO DAL MARE - CASTELDIMEZZO-VALLUGOLA, MARCHE

 

 

Quello del Crocifisso venuto dal mare è un racconto affascinante... Addirittura  Dante Alighieri, il poeta più famoso di sempre, ne aveva voluto parlare nel suo libro massimo, la Divina Commedia, in cui diceva che i poveri naviganti che combattevano contro le tempeste che flagellavano sovente questo fazzoletto di acqua salata avrebbero portato a casa la pelle solo a patto di numerosi voti e preghiere.

C'erano, però, anche navi che naufragavano miseramente, e, talvolta, si salvava solo un Crocifisso di legno, che era stato trasportato...


Come, ad esempio, quello che approdò sulla spiaggia della Vallugola, assieme alla grande cassa che lo conteneva.

La spiaggia della Vallugola si trova a metà strada tra due castelli: quello di Fiorenzuola e quello di Casteldimezzo.


Fu così che gli abitanti dell’uno e dell’altro fortilizio caricarono la cassa e il suo sacro contenuto su di un carro trainato da due buoi, ma al momento di decidere in quale castello portare il Crocifisso venuto dal mare, cominciarono tutti a lamentarsi e a litigare, fino ad aggredirsi... il chè andò avanti per quasi tutta la giornata.

Alla fine i due buoi, stanchi dell’attesa, presero ad arrancare per la ripida stradicciola che portava a Casteldimezzo, fino a raggiungere il borgo, fermandosi proprio davanti alla sua chiesa, lasciando quelli di Fiorenzuola con un palmo di naso.

Ma sono molte le storie straordinarie attribuite al Crocifisso, tra cui quella che lo vuole salvatore di Casteldimezzo nel 1517.


In quell'anno oltre 7000 fiorentini erano in ritirata, sconfitti dalle truppe di Francesco Maria I Della Rovere e assediarono il borgo e la popolazione del luogo, allo stremo delle forze e terrorizzata per un eventuale saccheggio, si rivolse in preghiera al suo Crocifisso venuto dal mare.

Miracolosamente, a quanto si racconta, una fonte d’acqua fresca prese a sgorgare all’interno delle mura, dando l’opportunità agli assediati di non cedere alla sete e di resistere ancora un poco, quel tanto che permise l’arrivo delle truppe urbinate che costrinsero a una nuova fuga i fiorentini.

Oggi il quattrocentesco Crocifisso venuto dal mare, opera presumibilmente riconducibile agli artisti Iacobello del FioreAntonio di Buonvicino, è ancora ospitato in quella stessa piccola chiesa parrocchiale dinanzi alla quale si fermarono i due buoi nel ‘500, poi rinominata per l’appunto Chiesa del Santissimo Crocifisso.


^^^^^^^

 

Continua

Ciao a Tutti | Contattami | Nota Legale | Ringraziamenti |©2000-2020 Cartantica.it