Questo è il titolo del pellegrinaggio effettuato da alcune famiglie della parrocchia di Roveleto (foto 1) dal 21 al 27 agosto u.s. 
                         
                      
                      
                          
                            
                                  
                                 I partecipanti al pellegrinaggio ripresi al Monte Scopus; sullo sfondo  Gerusalemme. 
                                  (Foto Costi)
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                        Rientrati alle nostre abitazioni, posso affermare che è stato proprio un “bel” pellegrinaggio coordinato dal parroco di Roveleto (don Umberto Ciullo).
                       
                                            
                       Don Umberto, nei vari momenti di lectio divina (foto 2), ci ha aiutato a immergerci in Gesù; non è stato il solito pellegrinaggio “mordi e fuggi” (oso dire turistico); siamo, infatti, abituati a pellegrinaggi in cui chi visita la Terra Santa, si ferma principalmente nei santuari cristiani eretti al di sopra dei “luoghi santi”. E’ questo l’approccio più comune dei pellegrini cristiani, i quali visitano il paese fin dal secolo IV; è triste costatare che, per la mancanza di tempo e anche per una diffusa e insufficiente impostazione metodologica e culturale - e forse anche teologica - questi pellegrinaggi si riducono spesso a una corsa da un santuario all’altro.  
                         
                      
                      
                        
                          
                                
                              Lectio divina a Cafarnao 
                              
                              (Foto Foroni)
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                        Così non è stato per il pellegrinaggio coordinato da don Umberto (con la collaborazione fondamentale, per gli aspetti tecno-organizzativi di Graziella Rapacioli e di Davide Narcisi). 
  Un aspetto che mi ha profondamente colpito e che si è rivelato di fondamentale importanza, per un’ottimale coesione del gruppo dei partecipanti, è stato il non aver soggiornato in alberghi ma in case di “consacrati” (Casanova a Tiberiade e S. Pietro in Gallicantu a Gerusalemme); in esse si è vissuto abbastanza bene ma similmente a un ostello si è operato in autogestione. 
                           
                          Qui di seguito riporto il titolo delle belle riflessioni di don Umberto, fatte in relazione alle divere tappe del pellegrinaggio. “Una giornata con Lui: Gesù a Cafarnao” (Mc 1,14-39; Tiberiade, Cafarnao, Tabga, Monte delle Beatitudini, EinGev); “La grazia dei segni che esplicitano la fede” (Mc 9, 2-10; Monte Tabor); “Tra la coscienza di Gesù e quella dei suoi amici” (Monte Scopus di fronte a Gerusalemme); “Aspettative deluse e tradimenti” (Gerusalemme, città vecchia); “Davvero era il figlio di Dio. Pienezza dell’amore, pienezza della rivelazione” (Mc 15, 25-41; Monte degli Ulivi, Bethesda, Via Crucis, Santo Sepolcro); “Voi cercate Gesù Nazareno” (Mc 16, 1-8; Romitaggio dei Getsemani). 
                           
                        Due incontri hanno caratterizzato questo pellegrinaggio. 
                         
                        Il primo è stato con Yehuda Stolov, fondatore e direttore di Interfaith Encounter Association (IEA, www.interfaith-encounter.org). Quest’associazione d’incontro interreligioso si dedica, fin dal 2001, a promuovere la pace in Terra Santa e in Medio Oriente, attraverso il dialogo interreligioso e interculturale. Lo stesso Stolov ha affermato: ” Crediamo che la religione, piuttosto che essere una causa del problema, può e deve essere una fonte della soluzione per i conflitti che esistono nella regione”. In riconoscimento del suo lavoro, l’UNESCO ha riconosciuto l’IEA come un’organizzazione che sta contribuendo alla cultura della pace. 
                         
                        Il secondo con Fra Pierbattista Pizzaballa , attuale Custode di Terra Santa (it.custodia.org); l’origine della Custodia di Terra Santa è fatta risalire al 1217, anno in cui a Santa Maria degli Angeli, presso Assisi, si celebrava il primo Capitolo Generale dei Frati Minori. S. Francesco, con gesto ispirato, decise di mandare i suoi frati in tutte le nazioni . Nel sito, infatti, si legge: “Francescani missionari a servizio della Terra Santa. Siamo una fraternità di religiosi chiamata da Dio da tutte le parti del Mondo per una missione speciale: "custodire i luoghi della Redenzione". 
                        Siamo parte di un Ordine Religioso della Chiesa Cattolica, l’Ordine dei Frati Minori, conosciuti come i francescani. Il nostro fondatore, san Francesco d’Assisi, all’inizio del secolo XIII mosso dall’amore per Cristo Povero e Crocifisso si recò in Medio Oriente per “toccare” quei luoghi che fino ad oggi costituiscono una testimonianza insostituibile della rivelazione di Dio e del suo amore per l’uomo. 
                        In quel suo pellegrinaggio, nonostante il guerreggiare delle crociate, incontrò e dialogò a Damietta, in Egitto, con il sultano Melek al-Kamel, il cui governo si estendeva fino alla Terra Santa. Fu un incontro pacifico, che diede inizio alla presenza dei francescani in Terra Santa e che segnò anche lo stile della nostra presenza lungo il corso dei secoli, fino ad oggi”. 
                         
                        Queste sono alcune delle parole di Fra Pierbattista Pizzaballa: “Il compito della Custodia è una grande grazia, che la Provvidenza ci ha affidato. 
                        Ma la tensione è sempre quella di interrogarsi sulla persona di Gesù. Perché questi luoghi ci devono rimandare a Lui. Nazareth, Betlemme, Cafarnao Gerusalemme invitano alla preghiera, ma invitano anche a interrogarci su quel Gesù che qui compì i suoi passi e sulla Chiesa che in questi luoghi celebra e ricorda ogni volta un momento particolare della sua vita. Custodire significa innanzitutto amare, curare, avere a cuore, avere vicino. Custodire per noi oggi significa essere su quei luoghi, dar loro vita con la liturgia, pregando e animandoli”. 
                         
                        Il pellegrinaggio è terminato con la celebrazione della liturgia eucaristica presso il Romitaggio dei Getsemani, preceduta da un lungo momento di riflessione in questo luogo dove Gesù era “solito venire”; qui Gesù ha fatto la sua più grande Preghiera, di qui è partito per andare al Calvario e al Sepolcro; sono soprattutto questi i “fatti che ci salvano”. 
                        Nonostante un lieve disturbo causato dalla vicina strada è ugualmente bello pregare qui, perché Gerusalemme è solo qui. 
                         
                      
                      
                        
                          
                                
                              Stemma della Custodia di Terra Santa 
                                (Foto Costi)
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                      Stemma  della Custodia di Terra Santa 
                         
                      
                      Nella  parte inferiore risalta la “croce di Gerusalemme” o croce gerosolimitana (detta  anche “croce cosmica”): una croce greca (avente cioè tutti i bracci uguali) “potenziata”  (cioè con le estremità terminanti in una piccola traversa) di colore rosso su  sfondo bianco cantonata da quattro croci più piccole; dal XV secolo è il  simbolo della Custodia di Terra Santa.
                       
                        Riprende  lo stemma del Regno Cristiano di Gerusalemme, nel quale però la croce, nota  anche come “croce di Goffredo di Buglione” era d’oro su fondo argento (e  presente ancor oggi negli stemmi delle famiglie che hanno avuto membri sul  trono del Regno crociato: Savoia, Asburgo…). Essa contravveniva  volontariamente alla regola araldica che proibisce di "sovrapporre"  gli stessi “colori” (o, come in questo caso, “metallo” su “metallo”), le croci  d'oro sono sovrapposte al fondo d'argento, per meglio marcare il prestigio  totalmente particolare di questa città. Fu anche emblema dei Canonici Regolari  del Santo Sepolcro e, attualmente, la croce in smalto rosso è anche il simbolo  dell’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro di Gerusalemme (Ordine ancora  vigente, da non confondere con i Templari) i cui cavalieri ricevevano  l’investitura dai Francescani (oggi dal Gran Maestro dell’Ordine: un cardinale  residente a Roma).
                      Il  significato per il quale la Custodia francescana l’ha adottato, consiste nel  ricordare la Passione di Cristo e il suo “dominio” universale. Per molti,  infatti, il numero delle croci (quattro piccole più una grande) simboleggia le  cinque piaghe di Gesù sulla croce. 
                         
                        Mentre la croce, da sempre simbolo del cosmo  attraverso il numero quattro che rimanda ai quattro punti cardinali e  dell’infinito, sta a significare la presenza cosmica della potenza divina. Nel  XVII secolo, grazie allo studioso francescano Francesco Quaresmius fu promossa  in modo particolare la devozione delle cinque piaghe di Gesù. Francesco  Quaresmius evidenziò l’unicità del suo Ordine, sottolineando il collegamento  tra le cinque piaghe di Gesù e le cinque stigmate del fondatore dell’Ordine,  san Francesco. Oggi la croce “di Gerusalemme” si trova anche sulla bandiera  nazionale dello stato (ex URSS) della Georgia, negli stemmi dell'isola di  Portorico, della città francese di Aix-en-Provence e negli stemmi dei Comuni  italiani (tra gli altri) di Aci Sant’Antonio, Paesana e Canosa di Puglia. 
                           
                        Da notare che i bracci della croce sono  “potenziati”, essi ricordano una “T” (tau) e questo simbolo, mutuato dalla  tradizione ebraica, era il simbolo degli eletti, ricordava il sangue  dell’agnello pasquale con il quale furono cosparsi gli stipiti e l’architrave  delle porte di casa degli ebrei durante la cattività egiziana, la notte che  l’angelo della morte passò per prendere con sé i primogeniti di coloro che non  avessero adempiuto a questa prescrizione (è una delle celebri “Piaghe” della  Bibbia). Per i primi Cristiani la “tau” rappresentava la croce di Cristo (studi  recenti hanno dimostrato che lo strumento romano per la pena capitale aveva una  forma più simile a una T che a una vera e propria croce). 
                       
                      San Francesco usò il  simbolo della “tau” nell’unico suo autografo pervenutoci: la “Benedizione a  Frate Leone” e ne prescrisse la rappresentazione nelle celle dei monaci. Inoltre  egli aveva visto come questo simbolo fosse portato anche dai Frati dell’Ordine  Ospedaliero di Sant’Antonio di Vienne (città del Definato), organizzazione  dedita all’assistenza dei poveri e dei viandanti, diffuso in tutto l’Occidente,  che egli aveva incontrato e ammirato per la loro dedizione a Roma. Per questa  ragione ancora oggi la “T” è un diffusissimo simbolo francescano.  
                        Quaresmius introdusse  un’importante aggiunta nella parte superiore dello stemma della Custodia di  Terra Santa: le braccia incrociate simbolo dell’ordine Francescano. Questa  rappresentazione è molto conosciuta, si trova su tutti i monumenti legati  all’Ordine e si blasona: “D’azzurro, alle due braccia passate in decusse (incrociata  ad X) uscenti dai lati, il sinistro vestito del saio francescano con il segno  del chiodo nel palmo della mano, il secondo nudo al naturale e attraversante  con lo stesso segno alla palma della mano; alla croce latina d’oro raggiante  tra le braccia”. Non è chiara l’origine  di questo simbolo: secondo la leggenda più nota, narrata da San  Bonaventura, sul punto di morte il santo fece chiamare tutti i fratelli e “…quasi cieco e ormai prossimo a morire,  incrociò le braccia e stese su di loro le mani in forma di croce (aveva sempre  amato questo gesto) e benedisse tutti i frati, presenti e assenti, nella  potenza e nel nome del Crocifisso”. Per indicare che la benedizione era  impartita da Francesco “nella potenza del Crocifisso”, le due braccia dello  stemma sono raffigurate una vestita e una nuda a indicare il braccio di  Francesco e quello di Gesù. 
                         
                        Un’altra  leggenda racconta che nel 1213 Francesco fu ospite a Susa della contessa  Adelaide, moglie di Tommaso I di Savoia, il quale donò al santo un terreno per  edificarvi un monastero. In cambio ella chiese un ricordo e Francesco gli donò  una manica del suo saio (che è tutt’ora venerata nella cattedrale di Chambery  in Savoia) e durante il viaggio di ritorno ad Assisi tutti lo videro benedire  con un braccio nudo e uno vestito. 
                         
                        Questo stemma è sovrastato dalla  colomba dello Spirito Santo, indicante che in quella Terra è avvenuta  l’incarnazione di Gesù, e da una corona nobiliare simbolo di sovranità  (tecnicamente si dice che lo scudo è timbrato  dalla corona) a  sottolineare l’indipendenza della Custodia dal potere temporale locale (e  soggetta, purtuttavia, al Santo Padre), in passato indicava anche che la sede  deteneva un titolo nobiliare (in questo caso di rango Principesco) o che il  Capitolo Canonicale possedeva un titolo nobiliare per i loro membri). Lo scudo,  posto all’interno di un “cartoccio” di forma neo-barocca è contornato da due  rami: uno di palma (simbolo di regalità e martirio) e uno di alloro (simbolo di  gloria e immortalità). 
                        
                      Dallo stemma si  diparte un motto (S[anctus] Mons Sion in Jerusalem) che sta a indicare “il  Sacro Monte Sion in Gerusalemme”: il Sion è una modesta altura di circa 700  metri d’altezza sul livello del mare, sulla quale avvenne l’insediamento del  nucleo originario della città di Gerusalemme, sede dell’Ente.
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