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Rubriche di
Patrizia Fontana Roca

I DOTTORI DELLA CHIESA

 

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ATANASIO IL GRANDE

 

 

Atanasio, l Grande (Alessandria d'Egitto, 295 circa, 2 maggio 373), vescovo e  teologogreco, ottavo Papa della Chiesa copta, dal 328 con varie interruzioni fino al 373. Viene ricordato nella Chiesa cattolica come uno dei 36 santi Dottori della chiesa.

Le chiese copta, cattolica e ortodossa lo venerano come santo e viene ricordato nel calendario anglicano e luterano dei santi. La sua festa è celebrata da tutte le Chiese il 2 maggio (data della morte), con esclusione della chiesa Greco-ortodossa che lo ricorda il 18 gennaio (giorno della nascita).

Atanasio nacque  poco prima dell'ultima grande persecuzione di Diocleziano (303-305) contro i cristiani e morì qualche tempo prima dell'adozione del Cristianesimo come religione ufficiale dell'impero romano.,

Legato all'Egitto, scriveva anche in copto e si era formato nell'ambiente alessandrino, dove esisteva un'ottima scuola cristiana; iniziò la carriera ecclesiastica come segretario del vescovo Alessandro, legato al grande sforzo che la Chiesa dovette in quegli anni sostenere sostenere per dirimere le dispute sul dogma trinitario, alla cui difesa Atanasio si dedicò con tutte le sue energie.

Ancora diacono accompagnò, nel 325, al Primo concilio di Nicea, voluto dall'imperatore Costantin, il vescovo Alessandro Il Concilio per discutere della questione sulla predicazione di Ario, all'epoca presbitero nella stessa città, che metteva in dubbio la natura divina di Gesù Cristo.

Il concilio elaborò un "simbolo", cioè una definizione dogmatica sulla fede in Dio, in cui Cristo, compare "della stessa sostanza del Padre", tuttora base dogmatica del Cristianesimo storico, contrariamente ad Ario, che predicava invece la creazione del Figlio ad opera del Padre, negando quindi la divinità del Cristo.


Atanasio fu per tutta la vita testimone e difensore accanito dei principi stabiliti dal concilio e subì cinque condanne all'esilio negli anni dalla sua nomina a vescovo alla sua morte, sempre, però, circondato dall'affetto e dalla fedeltà del suo clero e del suo popolo, che per lui si sarebbe anche battuto, sebbene la sua elezione non fosse stata immune da qualche dubbio di irregolarità e precipitazione.

Gli antichi storici della Chiesa attribuiscono ad Atanasio di Alessandria, la celebre Vita di Antonio, mentre sulla Vita della beata maestra Sincletica, non sono tutti d'accordo su questa paternità.



I primi contrasti

Atanasio dovette affrontare lo scisma dei meleziani, verso i quali il concilio niceno era tollerante. Atanasio, che disapprovava, venne denunciato all'imperatore di violenze e persecuzioni nei loro confronti, ma nel frattempo ne aveva ottenuto la alleanza. Non si presentò al primo sinodo a Cesarea marittima, indetto da Costantino per giudicarlo, ma al secondo sinodo a Tiro. Nonostante le accuse venissero confutate, il sinodo volle nominare una commissione episcopale d'inchiesta, alla quale si oppose il partito di Atanasio: la disputa sfociò in violenze e il sinodo lo condannò alla deposizione e all'esilio, informandone l'imperatore ed il papa. Prima che i vescovi si pronunciassero, Atanasio rincontrò personalmente Costantino, ottenendone una richiesta imperiale indirizzata ai vescovi del sinodo affinché giustificassero la loro posizione, ma le nuove accuse di questi convinsero l'imperatore che in Egitto la pace poteva avvenire solo allontanando il vescovo e quindi ratificò la deposizione di Atanasio dal seggio episcopale.

Nel suo primo esilio, a Treviri,  335/337, fu ospite del vescovo Massimino e là completò il doppio trattato Contro i Gentili – sull'Incarnazione, in cui esponeva le sue ragioni sull'identità di Cristo come "vero Dio" e "vero uomo". In quel momento la cristianità si dibatteva: da una parte la Chiesa di Roma, sede patriarcale d'Occidente con papa Giulio I, ferma sui principi del concilio di Nicea, dall'altra la Chiesa d'Oriente, più culturalmente vivace, presentava molte sfaccettature, dall'arianesimo puro al semi-arianesimo

Alla morte di Costantino I nel 337, l'Impero fu diviso tra i suoi tre figli e la Gallia assegnata a Costantino II.

Approfittando dell'amnistia generale concessa per l'insediamento sul trono e che il nuovo sovrano era decisamente favorevole alle posizioni della Chiesa di Roma, Atanasio chiese di essere reintegrato ad Alessandria, che però rientrava nella giurisdizione di Costanzo II. Costantino gli scrisse, affermando che il reintegro di Atanasio ad Alessandria era stato un desiderio di Costantino I che la morte gli aveva impedito di soddisfare. Lo scopo di Costantino II era far valere il suo ruolo di fratello più anziano, augusto senior e di nominare uomini a lui leali nelle posizioni-chiave nei territori amministrati dai fratelli: Atanasio avrebbe sicuramente recato problemi a Costanzo, propenso all'arianesimo.

Anche Costanzo però si lasciò convincere dal vescovo ariano Eusebio di Nicomedia a combattere le teorie di Atanasio, accusandolo di sabellianismo, eresia propugnata da Marcello d'Ancyra. La morte di Costantino II, nel 340, portò ancora Atanasio alla persecuzione da parte dei suoi avversari, che l'anno successivo indissero un concilio ad Antiochia. I novanta vescovi orientali convenuti stabilirono ufficialmente che un vescovo dichiarato decaduto da un sinodo non potesse essere reintegrato se non da un altro sinodo, confermando la degradazione di Atanasio, insediando al suo posto Gregorio di Cappadocia e l'imperatore ordinò che il nuovo vescovo e le deliberazioni del sinodo fossero sostenute anche con la forza.

Atanasio andò in esilio a Roma, dove rimase circa 3 anni durante i quali ottenne il riconoscimento di innocenza da papa Giulio I, ma anche da un concilio di 50 vescovi della chiesa di Roma.

Il problema, però, richiedeva una definizione: Costante I, che dopo i Costantino II regnava in tutto l'Occidente, d'accordo con papa Giulio I riunì, nel 343, il concilio di Sardica (Sofia), a cui intervennero 94 vescovi occidentali e 66 orientali. Presente Atanasio e assente il papa, diretto da Osio di Cordova, i dibattiti sfociarono in alterchi violenti tanto che gli orientali si ritirarono in un sinodo parallelo a Filippopoli, in Tracia. Le due assemblee continuarono a mandarsi a distanza invettive e accuse, ratificando e pubblicando i propri decreti e rivelando per la prima volta lo scisma “fra le chiese Greca e Latina, le quali si separarono per l'accidentale discordia della fede e la permanente diversità delle lingue.”. Il sinodo di Sardica comunque riaffermò il Credo Niceno e riabilitò Atanasio.

 

Costante giunse a minacciare il fratello di intervenire con la forza delle armi se il vescovo di Alessandria non fosse stato reintegrato nella sua sede, ma Costanzo non rischiò una guerra civile e fratricida per un principio religioso e si riconciliò, invitando Atanasio a riprendere possesso della sua sede, ordinando che tutti i seguaci della diocesi di Alessandria venissero reintegrati nei propri ruoli e funzioni, annullando le sanzioni adottata nei loro confronti. Atanasio poté quindi rientrare ad Alessandria nel 346, dopo un viaggio trionfale che lo portò ad incontrare Costanzo e alcuni dei suoi acerrimi rivali-

 

Nel 350 Costante fu assassinato da Magnenzio e Costanzo rimase unico padrone dell'Impero. Atanasio perse il suo protettore, ma la lotta tra Costanzo e Magnenzio per diventare unico Augustus dell'impero, assicurò un periodo di tranquillità alla Chiesa, anche se vari concilii indetti a Sirmio (residenza di Costanzo), tra il 351/359  non sanarono le divisioni interne sul tema cristologico.
Gli Ariani, chiamati anomei, definivano Cristo (dissimile dal Padre), fino ad arrivare al termine più vicino a quello di Atanasio, (simile nella sostanza al Padre), sostenuto dagli "omeousiani", passando per il concetto intermedio degli "omei", che si accontentavano di definire il Figlio (simile al Padre).

Eliminato l'usurpatore, Costanzo tramò contro Atanasio, dichiarando che la sentenza di Tiro non era mai stata revocata e qualunque atto del vescovo poteva essere considerato illegittimo. Il sostegno che Atanasio aveva ricevuto dalla Chiesa romana convinse però Costanzo a rinviare qualsiasi azione prima di aver ottenuto anche l'appoggio dei vescovi occidentali. Ci vollero due anni di trattative, prima che il problema fosse nuovamente discusso nel sinodo di Arles e poi nel concilio di Milano del 355.

Papa Liberio, appena eletto, aveva capito che le accuse contro Atanasio nascondevano l'intenzione di colpire e demolire il Credo niceno e che era necessario ribadirne con forza i principii e confermarlo con autorità, ma le cose non andarono come il papa desiderava: a causa della corruzione, dei sofismi dei vescovi ariani e delle sollecitazioni dell'imperatore, che voleva la condanna di Atanasio per riportare la pace nella Chiesa, ottennero il risultato voluto dall'imperatore: il sinodo di Arles si sciolse appena dopo che i vescovi occidentali ebbero sottoscritto un documento di condanna e deposizione di Atanasio.

I suoi più fermi sostenitori s'erano rifiutati di firmare il documento e vennero allontanati dalle proprie sedi ed esiliati dall'imperatore, che sostenne di eseguire i decreti della Chiesa. Ai vescovi assenti fu recapitato un modulo di consenso alle decisioni del concilio.

Il 22 maggio 353,  un emissario imperiale informò il patriarca che l'imperatore poteva concedergli un'udienza personale, ma lui, non avendola mai richiesta, non si mosse dalla sua sede, anzi, convocò un sinodo di vescovi egiziani e, a fine maggio, fece pervenire al papa Liberio una lettera in suo favore, sottoscritta da settantacinque (od ottanta) di essi.
Contrariato, Costanzo accusò pubblicamente il papa di non volere la pace e di non tener conto della lettera di accuse dei vescovi orientali. Liberio rispose dichiarando di aver letto pubblicamente la lettera ad un sinodo riunitosi a Roma (probabilmente a maggio 353), ma di non averne potuto tener conto in quanto quella arrivata dall'Egitto era sottoscritta da un numero superiore di vescovi; egli stesso non poteva essere in comunione con gli orientali, poiché alcuni di loro rifiutavano di condannare Ario, appoggiando il vescovo Giorgio di Cappadocia, che accettava i presbiteri ariani, scomunicati da papa Alessandro molto tempo prima. Chiedeva, infine la convocazione di un nuovo concilio ecumenico, in cui la fede esposta dal Credo Niceno potesse essere rafforzata.

 

Nella primavera del 355, si tenne un altro concilio a Milano, sfociato in violenze e nell'intervento diretto dell'imperatore, che ordinò l'unanime condanna di Atanasio e l'esilio per i vescovi dissenzienti. Tra i destinatari dei provvedimentio: papa Liberio, che fu mandato a Berea in Tracia (attuale Veria in Grecia), sostituito dall'antipapa Felice II e Osio di Cordova (consigliere di Costantino I) ma la loro fermezza fu piegata dai rigori della condanna. così entrambi capitolarono, accettando i termini stabiliti dal concilio. In questo brutto periodo, San Girolamo pronunciò la famosa frase: «L'universo gemette nello sbalordimento di vedersi diventato ariano".

Ottenuto finalmente l'appoggio, anche se forzato, della Chiesa latina, Costanzo ordinò ad Atanasio di abbandonare la sua sede episcopale, come disposto dal concilio di Tiro (355). Sebbene la condanna fosse ormai esecutiva, esisteva il timore che potesse creare gravi disordini in una città e una provincia così importanti dell'impero e questo indusse Costanzo a trasmettere il decreto di condanna solo verbalmente per mezzo di due suoi ministri, anziché per iscritto com'era consuetudine. Questo offrì ad Atanasio il pretesto per contestare un ordine che contrastava con le dichiarazioni precedenti dell'imperatore stesso. Concordarono con il partito del vescovo una tregua finché non fosse stata resa nota e più chiara la reale volontà dell'imperatore.

Nel frattempo, un esercito di 5.000 armati occupò Alessandria prima che potesse essere difesa. Per quattro mesi vi furono sommosse, profanazione di chiese, atti di violenza: il popolo in difesa del vescovo si oppose agli occupanti, appoggiati dal clero del partito avversario e, poi, anche da quella numerosa parte di popolazione non cristiana che, per quanto stimasse Atanasio, cominciò a temere per la propria incolumità e per eventuali possibili ritorsioni e si schierò con Giorgio di Cappadocia, vescovo che la fazione ariana aveva designato come successore di Atanasio e che venne finalmente insediato.
Nella lettera di congratulazioni al nuovo vescovo, Costanzo dichiarò di voler perseguire con tutti i mezzi i seguaci di Atanasio che, con la fuga dal meritato castigo aveva di fatto ammesso le sue colpe.

In effetti il vescovo era riuscito a fuggire, protetto dai fedeli, facendo perdere le sue tracce per ben sei anni, nonostante ricerche e promesse di ricompensa per chi ne avesse consentito la cattura e le minacce nei confronti di chiunque gli avesse fornito aiuto e rifugio. Sotto la protezione di anacoreti in monasteri sperduti nel deserto o di fidati amici in piccoli centri, Atanasio si fece vivo scrivendo contro l'imperatore e contro la Chiesa ariana, riuscendo a mantenere unito il partito della sua Chiesa.

Morto Costanzo nel 361, il nuovo imperatore Giuliano, chiamato l' "Apostata", con il suo editto di tolleranza nei confronti di tutte le fedi e confessioni religiose, emesso in quello stesso anno, permise a tutti i vescovi cristiani di fede non ariana di rientrare dall'esilio. Ripreso possesso della sua sede vescovile, Atanasio convocò in Alessandria, nel 362, un concilio d'Oriente che pose fine a tutte le dispute dogmatiche, semplicemente riaffermando i decreti del concilio di Nicea e rifuggendo da qualsiasi discussione sui termini.


Morì nella sua città il 2 maggio del 373. Prima sepolto ad Alessandria, la sua salma comparve nel medioevo a Venezia. Solo nel maggio del 1973 il Patriarca copto di Alessandria, Shenouda III, ottenne da papa Paolo VI la traslazione della salma presso la cattedrale copta di San Marco, ad Alessandria, dove riposa tuttora.

 

 

SANT’ALFONSO DE LIGUORI

 

Fondatore della Congregazione dei Redentoristi
e Cofondatore, assieme a suor Maria Celeste Crostarosa dell’Ordine contemplativo delle Redentoriste

 

Nato a Napoli da una famiglia di nobili natali, venne educato da vari precettori e giovanissimo si iscrisse all'Università, conseguendo entro tempi brevissimi la laurea in diritto civile e canonico, ottenendo poi la carica di giudice e successivamente quella di Ambasciatore del Vicerè.

Nonostante la sua importanza, però, non dimenticava di prodigarsi per i fratelli meno fortunati, i malati dell'Ospedale degli Incurabili di Napoli. Frequentando l'Oratorio dei Filippini, sentì nascere il desiderio di votarsi a Dio e a seguito di una sconfitta nel suo campo professionale, decise di abbandonare tutto e di votarsi a Lui, osteggiato dal padre che lo avrebbe voluto sposato.

Verso la fine del 1724 entrò quindi nella Congregazione delle Apostoliche Missioni, diventando sacerdote due anni dopo, cominciando la sua opera di aggregatore, organizzando associazioni di vari generi, girando per le zone rurali per diffondere il Vangelo e nelle zone più abbandonate di Napoli dove organizzò le Cappelle Serotine, due ore di preghiera e catechismo.
Non trascurando, però, nemmeno le zone più ricche e al contempo spiritualmente più povere, a cui dedicò ancora dell'altro tempo. La sua opera capillare si contrappose al diffondersi delle idee anticlericali nate con l'illuminismo ed il materialismo ed egli era sempre in moto, in giro per paesi e cittadine dell'Italia del Sud per annunciare la Parola.

Per problemi di salute si ritirò per qualche tempo a Scala, vicino ad Amalfi, dove conobbe la venerabile suor Maria Celeste Crostarosa, con cui fondò nel 1731 l'Ordine contemplativo delle Redentoriste, mentre in lui si affacciava l’idea di creare una fondazione consimile per il ramo maschile, con l’obiettivo di dedicarsi alle persone meno fortunate che nel sud Italia sovrabbondavano.
La Congregazione, denominata dapprima del SS. Salvatore, poi del SS. Redentore - quindi i sacerdoti verranno chiamati Redentoristi - fu approvata nel 1749 da papa Benedetto XIV ed iniziò la sua missione di predicazione e di catechesi, a cui anche Sant’Alfonso prese parte attivamente per circa trenta anni e che si diffuse in tutto il sud, nel Lazio e poi in tutta Europa.

Pur occupandosi, come detto, attivamente della Congregazione ed essendo stato nominato Vescovo di Sant'Agata dei Goti, sant'Alfonso si dedicò alla stesura di un imponente numero di testi sacri, opere fondamentali di morale e di ascetica, come pure alla composizione di alcune canzoni, tra cui la conosciutissima "Tu scendi dalle stelle".
Morì il 1° Agosto 1787. Venne beatificato nel 1815, proclamato santo nel 1839 e Dottore della Chiesa nel 1871.

 

Le sue opere:

 

  • Massime Eterne, 1728

  • Pratica di amar Gesù Cristo, 1768

  • Storia delle eresie, 1768

  • Canzoncine spirituali, 1732

  • Visite al Santissimo Sacramento, 1745

  • Theologia moralis (I edizione), 1748

  • Le glorie di Maria, 1750

  • Del gran mezzo della preghiera, 1759

  • Vera sposa di Gesù Cristo, 1760

  • Considerazioni sopra la passione di Gesù Cristo, 1760

  • Dell'uso moderato della opinione probabile, 1765

  • Verità della Fede, 1767

  • Pratica del Confessore per ben esercitare il suo Ministero, 1771

Le opere di Sant'Alfonso sono state tradotte in più di 70 lingue, con più di 21.000 edizioni.

 

 

 

SAN BASILIO MAGNO

 

 

 

 

(Icona di Basilio Magno risalente al XV secolo, conservata presso il Monte Athos. Secondo la rappresentazione orientale è assente la mitria, mentre, come anche per le raffigurazioni occidentali, tiene con la mano sinistra un rotolo del vangelo, attributo iconografico principale dei vescovi, avendo questi come precipuo compito l'annuncio dello stesso. Da notare la fascia bianca con croci nere detta pallio, altra caratteristica iconografica dei vescovi. Il pallio (dal lat. pallium, mantello) era anticamente l'abito dei filosofi greci e simbolo per i cristiani dell'attività pastorale.)

 

Basilio Magnoil Grande, in latino Basilius Magnus (Cesarea in Cappadocia, 329 – Cesarea, 1º gennaio 379), fu  vescovo e teologo greco, venerato dalle Chiese cristiane;  confessore e Dottore della Chiesa, considerato il primo dei Padri cappadoci. Era figlio di un ricco retore e avvocato, mentre suo nonno, discepolo di Gregorio Taumaturgo del Ponto, morì martire nella persecuzione di Diocleziano.

Sua nonna Macrina, sua madre Emmelia, i fratelli Gregorio (vescovo di Nissa),  Pietro (vescovo di Sebaste) e la sorella Macrina, sono pure venerati dalla Chiesa cattolica come santi. Fu molto amico di Gregorio Nazianzeno, venerato come santo e commemorato nello stesso giorno, il 2 gennaio. Ha scritto la regola che ancora oggi ispira la vita dei Monaci basiliani.

 

Ancora fanciullo venne mandato a Neocesarea sul Ponto dalla nonna Macrina che gli impartì un'educazione basata sui principi cristiani. Al riguardo Basilio affermerà: «Io non dimenticherò mai in vita mia, i forti stimoli che davano al mio cuore, ancora tenero i discorsi e gli esempi di questa piissima donna.»

Ebbe come primo maestro il  pagano Imeriadre, studiò presso la scuola dei grammatici in Cesarea, continuò gli studi a Costantinopoli e poi ad Atene, dove fu allievo del sofismo e conobbe Gregorio Nazianzeno.

Tornò in patria nel 356, dopo un breve periodo di insegnante di retorica e su esortazione della sorella si ritirò a vita ascetica, dopo il Battesimo. Fece visita a molti anacoreti in Egitto, in Siria, in Palestina e nella Mesopotamia per comprendere meglio il loro stile di vita.

 

Ritornato in patria si ritirò sulle rive del fiume Iris vicino a Annosi nel Ponto, dove scrisse la Grande Regola  e la Piccola Regola, come orientamento per la vita dei monaci che da lui presero il nome di monaci basiliani.

Intorno al 360 il vescovo Eusebio chiamò Basilio e gli conferì l'ordine del presbiterato. Nel 363 il santo ebbe l'apparizione della Madonna, che gli promise la sua protezione sul suo operato. Dieci anni dopo, nel 370, dopo la morte di Eusebio, venne eletto vescovo di Cesarea in Cappadocia, metropolita ed esarca dell'intera regione del Ponto.

Combatté molto contro le dottrine ariane che, con l'appoggio dell'imperatore Valente, stavano prendendo piede nella Chiesa. Lo stesso imperatore tentò a più riprese di portare Basilio a queste dottrine considerate dalle Chiese cristiane conciliari eretiche, ma non lo contrastò mai direttamente, limitandosi a dividere in due diocesi la Cappadocia per sottrargli potere. Basilio difese l'ortodossia delle Chiese cristiane conciliari anche contro i Macedoniani e l'imperatore Giuliano.

Fece costruire una cittadella della carità con locande, ospizi e lebbrosario, chiamata Basiliade: fu il primo ospedale della storia. Questa fu la sua più grande opera, che gli valse il nome di Magno.

Dopo l'uccisione dell'imperatore Valente da parte dei Goti nel 378, Teodosio I elevò il Cristianesimo a religione di Stato dell'Impero romano, unica alla quale venisse riconosciuto diritto di culto pubblico, relegando il paganesimo e il giudaismo a religioni private. Sulla sede episcopale di Costantinopoli, con l'appoggio di Basilio, fu insediato Gregorio Nazianzeno. Di lì a breve, provato dalle austerità, dalle malattie e sfinito dalle preoccupazioni, morì il 1º gennaio 379.

 

Opere

 

Scrisse molte opere di carattere dogmatico, ascetico, discorsi ed omelie, oltre a un trattato per i giovani sull'uso e il comportamento da tenersi nello studio dei classici pagani e moltissime lettere sui più svariati argomenti. Scrisse anche l'antologia origeniana Filocalia (con l'amico Gregorio di Nazianzo) e un trattato sullo Spirito Santo in cui affermava la consustanzialità delle tre Persone della Trinità.

 

Celebre è la sua preghiera dedicata agli animali, del 370, in cui sorprendentemente emergono le tematiche moderne a proposito dei diritti animali:

«O Signore, accresci in noi la fratellanza con i nostri piccoli fratelli; concedi che essi possano vivere non per noi, ma per se stessi e per Te; facci capire che essi amano, come noi, la dolcezza della vita e ti servono nel loro posto meglio di quanto facciamo noi nel nostro.»

 

Tra le opere di Basilio, del IV secolo sulla Trinità, bisogna ricordare Contro Eunomio, diretta contro l'Apologia di Eunomio che conteneva eresie e Lo Spirito Santo, indicante la divinità della terza persona trinitaria. Si ricordano anche lettere ed omelie, specie quelle che riguardavano i sei giorni della creazione (Omelie sull'Esamerone). Il suo Asceticon, che rappresenta una tappa cruciale nella storia del monachesimo e della spiritualità cristiane.

Le confutazioni di Basilio sul manicheismo contenute nella Piccola Asketikon furono tradotte in latino da Tirannio Rufino nel IV secolo.

Basilio, vissuto alla fine dell'era delle persecuzioni, occupa un posto di grande importanza nella storia della liturgia cristiana. I riti della Chiesa prima affidati alla memoria e alla estemporaneità iniziarono a strutturarsi, la liturgia iniziò ad essere influenzata da brevi rituali e l sua influenza su questi rituali è ben attestata nelle fonti.

Le attuali liturgie delle Chiese cristiane che portano il nome di Basilio non sono tutto frutto del suo lavoro, nella forma attuale, ma conservano comunque un richiamo alla sua attività, perchè ne formulò le iniziali formule liturgiche e il canto degli inni, ma resta qualche dubbio su quali parti della Divina Liturgia di Basilio Magno siano state composte o riviste da lui e quali si ispirano alle sue opere.

Gli studiosi di patristica riconoscono che l'attuale liturgia di Basilio «porta inconfondibile la traccia della sua penna, della sua mente e del suo cuore». La liturgia di Basilio si usa ancora nelle domeniche di Quaresima, nella liturgia del Giovedì e Sabato Santo, nelle domeniche di Avvento e il giorno della sua festa, il 1º gennaio per le chiese d'oriente.

 

Con il suo esempio e i suoi insegnamenti Basilio esercitò notevole influenza sulla vita monastica del tempo, moderandone l'austerità che fino ad allora l'aveva caratterizzata e fornendo anche un grande contributo nel coordinare le attività di lavoro e quelle di preghiera per la giornata del monaco. A Basilio, riconosciuto, non solo come padre del monachesimo orientale, gli storici attribuiscono anche grande importanza per lo sviluppo di quello occidentale, in particolare per l'influsso che ebbe su San Benedetto.
Benedetto stesso ne riconosce l'importanza quando nella sua "Regola" chiede ai monaci di leggere oltre che la Bibbia anche i Padri della Chiesa e la vita e la «Regola del nostro Santo Padre, Basilio». A riprova di ciò restano i molti ordini religiosi della Chiesa orientale che si rifanno ancora alla sua regola o che portano il suo nome, nell'ambito della chiesa latina si annovera un istituto religioso fondato nel XVIII secolo in Francia, i Preti di San Basilio.

 

Nel 1568 fu proclamato Dottore della Chiesa da papa Pio V, che lo inserì nel Breviario Piano con Sant'Atanasio, san Gregorio Nazianzeno e san Giovanni Crisostomo. Oltre a questi quattro santi delle Chiese Orientali, nel 1567 lo stesso Papa aveva proclamato anche Tommaso D'Aquino quale Dottore della Chiesa.

I cattolici e gli anglicani celebrano la sua memoria liturgica il 2 gennaio, mentre la Chiesa ortodossa il 1º gennaio.

San Basilio è patrono della Cappadocia, dei monaci basiliani, dei responsabili degli ospedali, dei riformatori e di numerose località italiane.

 

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BEDA IL VENERABILE


 

 

 

 

https://www.chiesadimilano.it/almanacco/santo-del-giorno/sdg-anno-a-2019-2020/san-beda-il-venerabile-sacerdote-e-dottore-della-chiesa-309171.html

 

Beda il Venerabile (673 circa – 26 maggio 735)  monaco cristiano e storico anglosassone, vissuto nel monastero benedettino di San Pietro e San Paolo a Wearmouth, in Inghilterra e a Jarrow nel Northumberland. Famoso studioso e autore di numerose opere, tra le quali la più conosciuta è la Historia ecclesiastica gentis Anglorum (Storia ecclesiastica del popolo Inglesi), che gli ha valso il titolo di "Padre della storia inglese".

 

È stato dichiarato santo e dottore della Chiesa dalla Chiesa cattolica. La sua memoria liturgica è il 25 maggio (nella forma straordinaria del rito romano è il 27 maggio); nel Rito ambrosiano la memoria liturgica è il 23 maggio. Citato da Dante Alighieri nella Divina Commedia,scrisse su molti argomenti, dalla musica alla poesia, ai commentari biblici.

Il motto riportato nello stemma di papa Francesco, Miserando atque eligendo, è tratto da un passo delle sue Omelie.

 

Entrò nel monastero di Wearmouth a soli 7 anni, non si sa nulla della sua famiglia, divenne diacono a 19 e sacerdote a 30 anni. Fu educato dagli abati Benedetto Biscop e Ceolfrid e fu forse quest'ultimo ad accompagnarlo, nel 682 a Jarrow, dove trascorse il resto della sua vita impegnandosi nello studio, nell'insegnamento, nella scrittura e nell'assolvimento delle funzioni monastiche.

Quasi tutto quello che sappiamo della sua vita è stato da lui narrato direttamente nella sua Historia, scritta poco prima di morire, nel  731.

 

Il titolo di Venerabilis è stato dato a Beda già due generazioni dopo la sua morte. La sua influenza per la religione cattolica fu riconosciuta solo nel 1899, quando venne dichiarato Dottore della Chiesa, con il nome di San Beda il Venerabile.

Sulla parola "venerabile" viene riportata una leggenda secondo cui un monaco, volendo comporre l'epitaffio di Beda, non sarebbe stato capace di portare a termine il compito, lasciando incisa una frase sconclusionata: Hac sunt in fossa Bedae... ossa. La mattina dopo, tuttavia, trovò che gli angeli avevano completato il lavoro interrotto riempiendo la lacuna con la parola venerabilis. La leggenda, tuttavia, è riportata solo da Thomas Fuller ma di essa non si registra alcuna menzione in fonti e auctoritates di epoche precedenti.

Il titolo venne usato da molti e il concilio di Aquisgrana dell'835 lo descrive come "il venerabile e meraviglioso dottore dei nostri tempi Beda".

Questo decreto faceva riferimento alla petizione che il Card- Wiseman e varii vescovi inglesi indirizzarono alla Santa Sede nel 1859, chiedendo che Beda fosse dichiarato dottore della Chiesa.

La questione era già stata discussa prima di Benedetto XIV, ma solo nel novembre 1899,  Leone XIII decretò che la festa di San Beda il Venerabile con il titolo di Doctor Ecclesiae fosse celebrata da tutta la Chiesa cattolica il 25 maggio.

Durante il MedioEvo un culto locale si era mantenuto a York e nel nord dell'Inghilterra, ma la sua festa non era osservata in genere al sud dello stesso paese, dove era seguito il rito di Sarum.

 

I suoi scritti mostrano una profonda conoscenza del suo tempo e del passato, ottenuta dalla lettura dei libri delle biblioteche di Wearmouth e di Jarrow, le più grandi di Inghilterra, che contenevano dai 300 ai 500 volumi. Una delle sue fonti più importanti è la Storia dei Bretoni di Gildas, scritta poco prima del 547.

Beda fu grande esperto in letteratura patristica e nei suoi scritti si ritrovano citazioni di Plinio il Giovane, Virgilio, Lucrezio, OvidioOrazioe di altri autori classici.

Conosceva il greco e un po' di ebraico. Il suo latino era semplice e fluido nella narrazione. Egli utilizzava il metodo di interpretazione allegorica ed aveva un atteggiamento "moderno" di fronte all'interpretazione dei miracoli. Aveva buon senso, simpatia, amore per la verità ed era imparziale, usava misericordia  e si mettevai al servizio degli altri.

Gli scritti di Beda sono classificati in scientifici, storici e teologici.

 

Tra gli scritti scientifici troviamo trattati di grammatica (scritti per i suoi allievi), un'opera sui fenomeni naturali (De Rerum Natura) e due sulla cronologia (De temporibus e De temporum ratione).


Quest'ultima  ha un'appendice che contiene la sua tabella di Pasqua che va dal a-d 532 fino al 1063, un ciclo pasquale di 532 anni fondato su un ciclo lunare metonico di 19 anni. È un' estensione esatta della tabella pasquale di Dionigi il Piccolo.

Per quanto riguarda le origini della tabella di Pasqua di Beda, bisogna riconoscerne la sua raffinata struttura metonica prodotta dagli sforzi mentali dei suoi predecessori computistici: Anatolius (ca. 260), il vescovo Teofilo di Alessandria (ca. 390), Anniano (ca. 412), che fu il primo a scoprire che la sua sequenza di date di domenica pasquale basata sul suo ciclo lunare metonico di 19 anni ha un periodo di 532 anni, il vescovo Cirillo di Alessandria e Dionigi il Piccolo (ca. 525). Questo chiarisce che la tabella di Pasqua di Beda il Venerabile è provenuta dal computus paschalis dal terzo al settimo secolo.

Beda fece anche un calcolo approssimato dell'età della Terra e iniziò a dividere gli anni nei due evi: prima di Cristo e dopo Cristo. Scrisse che la Terra è rotonda "come una palla da gioco".

In ambito storico a proposito del mito del Colosseo e di Roma, già nel VII secolo aveva profetizzato sul destino dell'Urbe, legato alla fine del mondo: «Finché resterà in piedi il Colosseo, resterà in piedi anche Roma; quando cadrà il Colosseo cadrà anche Roma e quando cadrà Roma cadrà il mondo.» Questa profezia, anteriore a Beda, si riferiva però non all'anfiteatro, ma al colosso neroniano, dedicato al dio Sole e ricollocato da Adriano tra l'anfiteatro e il Tempio di Venere e Roma.

 

Storia ecclesiastica

La più importante e conosciuta delle sue opere, in 5 libri, composta nel 731 è la Historia ecclesiastic gentis Anglorum (Storia ecclesiastica del popolo degli Angli), che narra la storia dell'Inghilterra, sia dal punto di vista politico che ecclesiastico, dal tempo di Cesare alla data di composizione.

 

Altre opere

La sua edizione della Bibbia fu molto importante e fu utilizzata dalla Chiesa anglicana fino al 1966. Quest'opera originale è il risultato di molte ricerche per ciascuno dei libri della Bibbia.

Altre sue opere importanti sono le vite degli abati di Wermouth e Jarrow e le vite in versi e in prosa di Cutberto di Lindisfarne.

La maggior parte dei suoi scritti di teologia consiste in commentari di tipo esegetico di libri dell'Antico e Nuovo Testamento, tra cui i famosi Proverbia di Re Salomone dal Libro dei Proverbi,  omelie e trattati su brani della Sacra Scrittura.

La sua ultima opera, finita mentre stava morendo, fu la traduzione in lingua anglosassone del Vangelo secondo Giovanni.

 

E' sepolto nella Cattedrale di Durham.

 

 

BONAVENTURA DA BAGNOREGIO

 


https://www.cantualeantonianum.com/2012/07/

 

Bonaventura da Bagnoregio (Bagnoregio, 1217/1221 ca – Lione, 15 luglio 1274), Doctor Seraphicus, cardinale, filosofo e teologo italiano. e vescovo, studiò e insegnò alla Sorbona di Parigi e fu amico di san Tommaso d'Aquino.

È venerato come santo dalla Chiesa cattolica, che celebra la sua memoria obbligatoria il 15 luglio o il giorno precedente nella forma straordinaria. Venne canonizzato da papa Sisto IV nel 1482, proclamato Dottore della Chiesa da papa Sisto V nel 1588 ed è considerato uno tra i più importanti biografi di san Francesco d'Assisi. Infatti, Giotto per il suo ciclo pittorico delle storie sul santo, nella basilica di Assisi, si ispirò alla Legenda Maior, scritta appunto da S. Bonaventura.

Dal 1257 fu ministro generale dell'Ordine francescano, del quale è ritenuto quasi un secondo fondatore. Sotto la sua guida furono pubblicate le Costituzioni narbonesi, su cui si basarono tutte le successive costituzioni dell'Ordine.

 

La visione filosofica di Bonaventura presupponeva che ogni conoscenza derivasse dai sensi: l'anima conosce Dio e se stessa senza l'aiuto dei sensi esterni. Risolse il problema del rapporto tra ragione e fede in chiave platonico-agostiniana.

 

La sua data di nascita non è certa, viene collocata tra il 1217 e il 1221. Nacque a Civita di Bagnoregio, in Tuscia, oggi provincia di Viterbo. Era figlio di Giovanni di Fidanza, medico e di Rita (o Ritella). Iniziò i suoi studi nel convento di San Francesco "vecchio", tra Bagnoregio e Civita. Nel 1235 andò a studiare a Parigi nella facoltà delle Arti e nel 1243, nella facoltà di teologia. Probabilmente in quello stesso anno entrò tra i Frati Minori (Minoriti). I suoi studi di teologia terminarono nel 1253, quando divenne magister di teologia e ottiene la licentia docendi (la "licenza d'insegnare").

Tra il 1262 e il 1264 Bonaventura fu priore del convento di San Francesco ad Orvieto che fece ristrutturare. I Mendicanti di Francesco erano in città fin dal 1216 (prima dell'approvazione della Regola) nel luogo stesso dove poi sarà edificato il complesso attuale, chiesa e convento. Quello dei Frati Minori fu il primo Ordine ad insediarsi ufficialmente in Orvieto nel 1228 o 1229 presso S. Pietro in Vetera. Francesco era morto il 3 ottobre 1226, la Regola era stata approvata da Onorio III nell'ottobre 1223. Tracce del passaggio di Francesco nel territorio orvietano restano a La Scarzuola, dove è raffigurato il suo ritratto più antico; a Pantanelli, dove dimorò e predicò ai pesci sul Tevere; ad Alviano e Lugnano, dove predicò agli uccelli.

 

Insegnamento

San Bonaventura, francescano, venti giorni dopo l'indizione della festa del Corpus Domini predicò il Sermo de sanctissimo corpore Christialla presenza di papa Urbano IV e del concistoro generale. Con Tommaso d'Aquino, egli è stato tra i protagonisti di quell'evento rilevante sia nella storia religiosa che nella storia della cultura: veniva istituita, infatti, una nuova festa per la Chiesa latina, incentrata sul mistero dell'eucaristia.

Bonaventura e Tommaso, i dottori "seraphicus" ed "angelicus", furono due protagonisti del pensiero filosofico e teologico del tempo: erano stati entrambi cattedratici presso lo Studium orvietano, l'antica università della città.

 

Nel 1250 il papa aveva autorizzato il cancelliere dell'Università a conferire la licenza di insegnamento a religiosi degli ordini mendicanti, ma questo cozzava con il diritto di cooptare i nuovi maestri rivendicato dalla corporazione universitaria. Nel 1253, difatti, scoppiò uno sciopero a cui tuttavia i membri degli ordini mendicanti non si associarono e la corporazione universitaria richiese loro un giuramento di obbedienza agli statuti. Essi, rifiutandolo, vennero esclusi dall'insegnamento.

Questa esclusione colpì anche Bonaventura, che fu maestro reggente fra il 1253 e il 1257. Nel 1254 i maestri secolari denunciarono a papa Innocenzo IV il libro del francescano Gerardo di Borgo San Donnino, Introduzione al Vangelo eterno, in cui, rifacendosi al pensiero di Gioacchino da Fiore, annunciava l'avvento di una «nuova età dello Spirito Santo» e di una «Chiesa cattolica puramente spirituale fondata sulla povertà», profezia che si doveva realizzare attorno al 1260. In conseguenza di questo, il Papa — poco prima di morire — annullò i privilegi concessi agli ordini mendicanti.

 

Il nuovo pontefice papa Alessandro IV condannò il libro di Gerardo con una bolla nel 1255, prendendo però posizione a favore degli ordini mendicanti, senza porre limiti al numero delle cattedre che potevano ricoprire. I secolari rifiutarono tali decisioni e vennero scomunicati, anche perchè boicottarono i frati degli ordini mendicanti. Tutto ciò, nonostante che i primi avessero l'appoggio del clero e dei vescovi, mentre il re di Francia Luigi IX si trovava a sostenere le posizioni dei mendicanti.

 

Nel 1257 Bonaventura venne riconosciuto magister e nello stesso anno fu eletto Ministro generale dell'Ordine, rinunciando così alla cattedra. A partire da questa data, preso dagli impegni del nuovo servizio, accantonò gli studi e compì vari viaggi per l'Europa.

Obiettivo principale quello di conservare l'unità dei Frati Minori, prendendo posizione sia contro la corrente spirituale (influenzata dalle idee di Gioacchino da Fiore e incline ad accentuare la povertà del francescanesimo primitivo), sia contro le tendenze mondane insorte in seno all'Ordine.

Favorevole a coinvolgere l'Ordine francescano nel ministero pastorale e nella struttura organizzativa della Chiesa, nel Capitolo generale di Narbona del 1260 definì alcune regole che dovevano guidare la vita dei suoi membri: le Costituzioni, dette appunto Narbonensi. Per questo Capitolo, redasse una nuova biografia su san Francesco d'Assisi, intitolata Legenda Maior, che diventerà la biografia ufficiale nell'Ordine.

II Capitolo generale del 1263 (Pisa), approvò l'opera composta dal Ministro generale; mentre il Capitolo del 1266, riunito a Parigi, giunse a decretare la distruzione di tutte le biografie precedenti alla Legenda Maior, probabilmente per proporre all'Ordine un'immagine unica del proprio fondatore, in un momento in cui diverse interpretazioni fomentavano contrapposizioni e conducevano alla divisione.

Analogamente a Tommaso d'Aquino che rifiutò più volte la proposta di essere nominato Arcivescovo di Napoli, nel 1265 venne nominato arcivescovo di York da papa Clemente IV, incarico che, dopo numerose richieste al Sommo Pontefice, gli fu consentito di lasciare l'anno seguente.

Negli ultimi anni della sua vita, Bonaventura intervenne nelle lotte contro l'aristotelismo e nella rinata polemica fra maestri secolari e mendicanti. A Parigi, tra il 1267 e il 1269, tenne una serie di conferenze sulla necessità di subordinare e finalizzare la filosofia alla teologia. Nel 1270 lasciò Parigi tornandovi poi tra il 1269 ed il 1271, fu spesso a Viterbo ove si svolgeva un lunghissimo conclave, per tenere numerosi sermoni volti ad accelerare ed indirizzare la scelta dei cardinali; alla fine fu eletto papa Gregorio X, cioè quel Tedaldo Visconti di cui Bonaventura era amico da molti anni.

Fu proprio papa Gregorio X a designarlo  cardinale vescovo con titolo di Albano nel concistoro del 3 giugno 1273, mentre Bonaventura era nel convento del Bosco ai Frati presso Firenze; l'anno successivo partecipò al Concilio di Lione (in cui favorì un riavvicinamento fra la Chiesa latina e quella greca), nel corso del quale morì, forse a causa di un avvelenamento, stando almeno a quanto affermò in seguito il suo segretario, Pellegrino da Bologna.

Pierre de Tarentaise, futuro papa Innocenzo V, ne celebrò le esequie e Bonaventura venne inumato nella chiesa francescana di Lione. Intorno all'anno 1450 la salma venne traslata in una nuova chiesa, dedicata a San Francesco d'Assisi; la tomba venne aperta e la sua lingua venne trovata in perfetto stato di conservazione: questo fatto ne facilitò la canonizzazione, che avvenne ad opera del papa francescano Sisto IV il 14 aprile 1482 e la nomina a dottore della Chiesa, compiuta il 14 marzo1588 da un altro francescano, papa Sisto V.

 

Il 14 marzo 1490, a seguito della ricognizione del corpo del santo a Lione, venne estratta una parte del braccio destro del santo e composta in un reliquiario d'argento che l'anno seguente fu traslato a Bagnoregio. Oggi il «santo braccio» è la più grande delle reliquie rimaste di san Bonaventura dopo la profanazione del suo sepolcro e la dispersione dei suoi resti compiuta dagli Ugonotti nel 1562. Si trova custodito a Bagnoregio nella concattedrale di San Nicola. Da esso, nel corso degli anni, sono state ricavate alcune reliquie minori.

L'itinerario della mente verso Dio

 

Bonaventura è considerato uno dei pensatori maggiori della tradizione francescana, che anche grazie a lui si avviò a diventare una vera e propria scuola di pensiero, sia per teologia che per filosofia. Difese e ripropose la tradizione patristica, in particolare il pensiero e l'impostazione di sant'Agostino, combattendo apertamente l'aristotelismo, anche se ne acquisì alcuni concetti, fondamentali per il suo pensiero. Valorizzò alcune tesi della filosofia arabo-ebraica, in particolare quelle di Avicenna e di Avicebron, ispirate al neoplatonismo. Nelle sue opere ricorre continuamente l'idea del primato della sapienza, alternativa ad una razionalità filosofica isolata dalle altre facoltà dell'uomo.

Egli sostiene, infatti, che:

E' il Cristo la via a tutte le scienze, sia per la filosofia che per la teologia.

Il progetto di Bonaventura è una riduzione non è un depotenziamento delle arti liberali, bensì la loro unificazione sotto la luce della verità rivelata, la sola che possa orientarle verso l'obiettivo perfetto a cui tende imperfettamente ogni conoscenza, il vero in sé che è Dio.

La distinzione delle nove arti in tre categorie, naturali (fisica, matematica, meccanica), razionali (logica, retorica, grammatica) e morali(politica, monastica, economica) riflette la distinzione di res, signa ed actiones la cui verticalità non è che cammino iniziatico per gradi di perfezione verso l'unione mistica. La parzialità delle arti è per Bonaventura non altro che il rifrangersi della luce con la quale Dio illumina il mondo: prima del peccato originale Adamo sapeva leggere indirettamente Dio nel creato, ma la caduta fu anche perdita di questa capacità.

Per aiutare l'uomo a recuperare la contemplazione della somma verità, Dio ha inviato all'uomo il Liber Scripturae, conoscenza supplementare che unifica ed orienta la conoscenza umana, che altrimenti smarrirebbe se stessa nell'autoreferenzialità. Attraverso l'illuminazione della rivelazione, l'intelletto è capace di comprendere il riflesso divino delle verità terrene dell'intelletto passivo, quali pallidi riflessi delle verità eterne che Dio perfettamente pensa mediante il Verbo.

 

Ciò rappresenta l'accesso al terzo libro, Liber Vitae, leggibile solo se animati da fede e ragione: la perfetta verità, assoluta ed eterna in Dio non è un dato acquisito, ma una forza dinamica che si attua storicamente nella reggenza delle verità con cui Dio mantiene l'ordine del creato. Lo svelamento di quest'ordine è la lettura del terzo libro chei avvicina l'uomo alla fonte di ogni verità.


La primitas divina o "primalità di Dio" è il sostegno a tutto l'impianto teologico di Bonaventura.

Nella sua prima opera, il Breviloquium, egli definisce i caratteri della teologia affermando che, poiché il suo oggetto è Dio, essa deve dimostrare che la verità della sacra scrittura è da Dio, su Dio, secondo Dio ed ha come fine Dio.Tale oggetto determina come unitaria ed ordinata la teologia perché la sua struttura corrisponde ai caratteri del suo oggetto. Nella sua opera più famosa,"L'itinerario della mente verso Dio", Bonaventura spiega che tutto sta nella fede e non nella ragione (come sostenevano gli averroisti).


Nel primo quarto del XIII secolo, Guglielmo d'Auxerre, Filippo il Cancelliere, Guglielmo d'Alvernia e Alessandro di Hales erano attivi a Parigi nella traduzione dal greco e dall'arabo delle opere di Aristotele, Avicenna, Averroè e Boezio. Parallelamente, Roberto Grossatesta portava avanti un'opera simile all'Università di Oxford. Alessandro di Hales, Roberto Anglico e Bonaventura animarono la corrente agostiniana del nuovo movimento culturale europeo, accettando fra i nuovi testi di Aristotele tradotti direttamente dal greco, principalmente quelli le cui asserzioni risultavano compatibili con il santo di Ippona.

DSi consegue che la filosofia serve a dare aiuto alla ricerca umana di Dio, e può farlo, come diceva sant'Agostino, solo riportando l'uomo alla propria dimensione interiore (cioè l'anima), e, attraverso essa, ricondurlo a Dio. Secondo Bonaventura, dunque, il «viaggio» spirituale verso Dio è frutto d'illuminazione divina, proveniente dalla «ragione suprema» di Dio stesso. Per giungere a Dio, quindi, l'uomo deve passare attraverso tre gradi, che, preceduti dall'intensa ed umile preghiera, poiché:

La "scala" dei 3 gradi dell'ascesa a Dio è simile alla "scala" dei 4 gradi dell'amore di Bernardo di Chiaravalle, anche se non uguale; tali gradi sono:

  • 1) Il grado esteriore:in cui bisogna considerare gli oggetti corporei, temporali e fuori di noi, nei quali è l'orma di Dio, e questo significa incamminarsi per la via di Dio.»

  • 2) Il grado interiore: in cui è necessario rientrare in noi stessi, perché la nostra mente è immagine di Dio, immortale, spirituale e dentro di noi, il che ci conduce nella verità di Dio.»

3) Il grado eterno: in cui bisogna elevarsi a ciò che è eterno, spiritualissimo e sopra di noi, aprendoci al primo principio, e questo dona gioia nella conoscenza di Dio e omaggio alla Sua maestà.»

Inoltre, afferma Bonaventura, in corrispondenza a tali gradi l'anima ha anche tre diverse direzioni:

«(...) L'una si riferisce alle cose esteriori: l'altra ha per oggetto lo spirito, rivolto in sé e a sé; la terza ha per oggetto la mente, che si eleva spiritualmente sopra di sé. L'uomo deve elevarsi a Dio, perché l'ami con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutta l'anima (...).»

Dunque, per Bonaventura, l'unica conoscenza possibile è quella contemplativa, la via dell'illuminazione, che porta a cogliere le essenze eterne e l'accostarsi a Dio misticamente. L'illuminazione guida anche l'azione umanaipoichè solo essa determina la disposizione pratica al bene.

L'ordine trinitario del mondo

Bonaventura, seguendo Agostino, elaborò una teologia trinitaria, in quanto volle evidenziare l'unità del Dio-Trino, come forza, che unisce le tre person unità e trinità sono sempre insieme. I dati presenti nella Scrittura presentano all'uomo la verità rivelata: in Dio vi sono tre persone. Due sono le fasi dell'auto-rivelazione di Dio: la prima nella creazione, la seconda in Cristo. Il mondo, per Bonaventura, è un libro da cui traspare la Trinità che l'ha creato. Noi possiamo ritrovare la Trinità extra nos , intra nos  e super nos. Infatti, la Trinità si rivela in 3 modi:

  • come impronta di Dio, che si manifesta in ogni essere, animato o inanimato che sia;

  • come immagine di Dio, che si trova solo nelle creature dotate d'intelletto, in cui risplendono memoria, intelligenza e volontà;

  • come similitudine di Dio, che è qualità propria delle creature giuste e sante, toccate dalla Grazia e animate da fede, speranza e carità; quindi, quest'ultima è ciò che ci rende "figli di Dio".

La Creazione è ordinata in scala gerarchica trinitaria e la natura si rivela come segno visibile del principio divino che l'ha creata; solo in questo ha il suo significato. Bonaventura trae questo principio anche da un passo evangelico. Le creature, dunque, sono impronte, immagini, similitudini di Dio e persino le pietre "gridano" un legame col divino.

 

Opere

  • Breviloquium (Breviloquio)

  • Raccolte su dieci precetti

  • Raccolte sui sette doni dello Spirito Santo

  • Raccolte nei Sei Giorni della Creazione

  • Commentari in quattro libri delle sentenze del maestro Pietro Lombardo

  • Il mistero della Trinità; questione disputata)

  • La perfezione della vita alle sorelle

  • La riduzione della arti alla teologia

  • Il Regno di Dio descritto nelle parabole evangeliche

  • La conoscenza di Cristo ed il mistero della Trinità

  • Le sei ali dei Serafini

  • La triplice via

  • Itinerario della mente verso Dio

  • La leggenda maggiore di San Francesco

    La leggenda minore di San Frncesco

    L'Albero della vita

    L'Ufficio della passione del Signore

    Soliloquio

    Complesso di teologia

    La vite mistica

 

 

 

 

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San Cirillo di Alessandria, Patrono dei letterati 376-444, 27 giugno, patriarca

 

http://www.rosarydelsudartnews.com/2019/06/san-cirillo-dalessandria.html

 

Cirillo di Alessandria (Teodosia d'Egitto, 370 – Alessandria d'Egitto, 27 giugno 444) fu il quindicesimo Papa della Chiesa copta (massima carica del Patriarcato di Alessandria d'Egitto) dal 412 alla sua morte. La Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse lo venerano come santo.

Come teologo, fu coinvolto nelle dispute cristologiche che infiammarono la sua epoca. Si oppose a Nestorio durante il concilio di Efesodel 431, del quale fu la figura centrale. In tale ambito, per contrastare Nestorio (che negava la maternità divina di Maria), sviluppò una teoria dell'Incarnazione che gli valse il titolo di doctor Incarnationis  ancora valida per i teologi cristiani contemporanei.

Perseguitò i novaziani, gli ebrei ed i pagani, sino a quasi annientarne la presenza nella città. Alcuni storici lo indicano come il mandante dell'omicidio della scienziata e filosofa neoplatonica Ipazia.

Divenuto vescovo e patriarca di Alessandria nel 412, secondo lo storico Socrate Scolastico acquistò «molto più potere di quanto ne avesse avuto il suo predecessore» e il suo episcopato «andò oltre i limiti delle sue funzioni sacerdotali». Cirillo giunse a svolgere anche un ruolo politico e sociale nell'Egitto greco-romano di quel tempo. Difese l'ortodossia cristiana a ogni costo: espulse gli ebrei dalla città; chiuse le chiese dei novaziani, confiscandone il vasellame sacro e spogliando il loro vescovo Teopempto di tutti i suoi possedimenti; entrò in grave conflitto con il prefetto imperiale Oreste.

 

Nel 403 accompagnò lo zio Teofilo, vescovo di Alessandria, al concilio di Encina, presso Calcedonia. Alla morte dello zio, 15 ottobre 412, fu eletto vescovo di Alessandria, malgrado l'opposizione di molti che lo giudicavano violento e autoritario come lo zio; fu, infatti, tale contro i novaziani, gli ebrei (fece distruggere la colonia ebraica di Alessandria) e persino col governatore imperiale di Alessandria Oreste.

Si oppose alle tesi cristologiche di Nestorio inviando una lettera pastorale a tutti i fedeli nel 429, una lettera enciclica ai monaci egiziani ed ebbe una corrispondenza con lo stesso Nestorio invitandolo invano a ritrattare le proprie tesi. Nestorio e Cirillo si appellarono a papa Celestino I, che convocò un concilio a Roma, in cui Nestorio fu condannato e minacciato di deposizione se non avesse ritrattato entro dieci giorni le proprie teorie. Cirillo fu incaricato di trasmettere a Nestorio la lettera di diffida del papa, alla quale aggiunse la formula di fede approvata nel 430 in un sinodo ad Alessandria e una lista di dodici anatemi. Di fronte al mancato accordo, l'imperatore Teodosio II (408-40) convocò nel 431 un concilio a Efeso che dopo varie e opposte decisioni, condannò Nestorio.

È considerato il più importante padre della Chiesa alessandrina dopo AtaNasio di Alessandria, venerato dalla Chiesa ortodossa, dalla Chiesa copta e dalla Chiesa cattolica.


Relazioni con la morte di Ipazia.

Dalle cronache di Socrate Scolastico (scrittore cristiano), nel 414 ci furono violenze contro i cristiani ad opera di ebrei, alle quali Cirillo r

eagì cacciando gli ebrei da Alessandria e trasformando in chiese le sinagoghe. Entrò inoltre in conflitto con il praefectus augustalis (prefetto della città), Oreste. Questi era stato assalito da alcuni monaci che lo accusavano di essere un sanguinario ed era stato ferito da tiro di una pietra. Il colpevole venne torturato fino alla morte, ma Cirillo gli tributò solenni onori funebri, attribuendogli il titolo di martire.

Nel marzo del 415 un gruppo di cristiani, guidati dal lettore Pietro, sorprese Ipazia (filosofa neo-platonica, matematica e astronoma pagana) mentre ritornava a casa, la tirò giù dalla lettiga, la trascinò nella chiesa costruita sul Cesareion e la uccise brutalmente, scorticandola fino alle ossa (secondo altre fonti utilizzando "gusci di ostriche", ma il termine era usato anche per indicare tegole o cocci), e trascinando i resti in un luogo detto Cinarion, dove furono bruciati.

Annota Socrate Scolastico:

«Tale fatto comportò una non piccola ignominia sia a Cirillo sia alla Chiesa alessandrina. Infatti dalle istituzioni dei cristiani sono totalmente estranee le stragi e le lotte e tutte le cose di tal fatta.» (Socrate Scolastico Storia ecclesiastica Libro VII, cap. 15, PG 67 col 769).

 

Cirillo era grandemente apprezzato da Pulcheria, sorella dell'imperatore Teodosio II, ancora minorenne all'epoca dei fatti. L'inchiesta per l'uccisione di Ipazia si risolse con un nulla di fatto, ma i temuti parabolani, chierici "barellieri", che costituivano di fatto una sorta di milizia privata del vescovo, vennero posti sotto l'autorità del prefetto, in seguito ad una richiesta della comunità di Alessandria. La vicenda si concluse con l'ordinanza imperiale del 3 febbraio 418 con cui i parabolani vennero di nuovo affidati al vescovo di Alessandria, che all'epoca era ancora Cirillo.

La versione dei fatti di Socrate Scolastico è considerata una versione "cristiana moderata", che si allineava al punto di vista dell'Impero bizantino. Invece, la versione "cristiana radicale" dei fatti è tramandata cento anni dopo dal vescovo Giovanni di Nikiu, che si allineava alle posizioni copte, favorevoli a Cirillo. Secondo Giovanni di Nikiu, Ipazia era da considerare una strega e la sua eliminazione era un titolo di merito per il vescovo Cirillo di Alessandria.Sempre cent'anni dopo i fatti, il filosofo pagano Damascio, nella sua Vita di Isidoro, individua nell'invidia di Cirillo per l'autorevolezza di Ipazia la ragione del linciaggio, che sarebbe stato da lui stesso organizzato e ordinato.

Una versione pagana più "moderata" dell'omicidio di Ipazia è data da Esichio di Mileto.

La versione dei fatti che prende il sopravvento è quella del cristiano Giovanni Malalas: la sua "Cronografia" era vicina al clero di corte, ma soprattutto alla chiesa di Antiochia, abitualmente ostile a quella di Alessandria.

 

Opere

Le sue opere sono raccolte in dieci volumi della Patrologia Greca del Migne Sull'adorazione e il culto, 17 libri; Glaphyra, 13 libri; Commento al Vangelo di Giovanni, 12 libri di cui due perduti; Commenti a Isaia e ai dodici profeti minori. Contro gli ariani scrive il Thesaurus de sancta et consubstantiali Trinitate e il De sancta et consubstantiali Trinitate. Contro i nestoriani scrive Adversus Nestorii blasphemias contradictionum libri quinqueApologeticus pro duodecim capitibus adversus orientales episcopos, Epístola ad Evoptium adversus impugnationem duodecim capitum a Theodoreto editam e la Explicatio duodecim capitum Ephesi pronuntiata; si conservano poi tre lettere a Nestorio, delle quali la seconda e la terza furono approvate nel concilio di Efeso del 431, nel concilio di Calcedonia del 451 e dal Concilio di Costantinopoli II del 453; sua è la lettera indirizzata a Giovanni di Antiochia, detta Simbolo efesino, approvata nel concilio di Calcedonia.

Degli ultimi anni sono i dieci libri conservatisi della Pro sancta christianorum religione adversus libros athei Juliani, contro l'imperatore romano Giuliano (360-363).

Dottrina cristologica e il concilio di Efeso

Diversamente dai teologi di Antiochia, di scuola aristotelica, che mettevano in risalto l'umanità di Cristo e l'unione delle sue due nature, rimaste integre in una sola persona, Cirillo, alessandrino e perciò di scuola platonica, dà l'assoluta precedenza alla divinità di Cristo. Il Logos divino è l'unico vero centro di azione in Cristo. Diversamente dalla scuola antiochena, che accentuava l'autonomia della natura umana, fino a farla diventare un secondo soggetto accanto al Logos, Cirillo non si riferisce mai a un soggetto umano o a un distinto principio operativo.

In Cristo vi è la perfetta unità del Verbo nella carne: l'uomo è il Verbo, ma il Verbo in quanto unito a un corpo. Per cui, pur rimanendo le due nature distinte e non confuse, in forza dell'unione si può predicare della divinità quanto è dell'umanità e viceversa. È un errore parlare di unione secondo sussistenza o unione secondo natura, dal momento che Cirillo, erroneamente, non pone distinzione tra i due termini; il teologo alessandrino afferma che l'unione delle due nature è un'unione fisica (enosis physikee), non morale.

Per spiegare l'unione delle due nature nell'unica persona di Cristo, Cirillo rifiuta i termini di coabitazione, congiunzione o relazione nonché di avvicinamento e di contatto, come dicono gli antiocheni e giudica insufficiente anche il termine unione perché potrebbe sottintendere che Cristo sia un uomo che porta Dio, un «teoforo». La sintesi della cristologia cirilliana è data dalla formula «un'unica natura del Dio Logos incarnata», che Cirillo riteneva di Atanasio, ma che in realtà era ripresa dalla lettera di Apollinare a Crioviano.

 

Confutando Nestorio, si oppone all'espressione di «Maria madre di Cristo» e sostiene quella di «Maria madre di Dio» perché equivale ad affermare che in Cristo vi è una sola persona, quella del Figlio di Dio.

Le due nature, divina e umana, sono in Cristo distinte (e non confuse in una sola persona divina): per cui, possono predicarsi della persona divina di Cristo tutte le proprietà della natura umana e dire anche che Dio nasce, patisce e muore. Se dunque si può dire che Dio nasce, allora Maria è madre di Dio.

Per dirimere la disputa teologica fu convocato il concilio di Efeso (431) dove vennero invitati i vescovi di Oriente e di Occidente. Alla data fissata per il concilio non erano ancora giunti ad Efeso alcuni vescovi orientali, sia i legati del papa. Nonostante questo Cirillo premette affinché il concilio venisse aperto ugualmente, contro la volontà del rappresentante imperiale. Così lo storico del Cristianesimo Salvatore Pricoco sugli avvenimenti del Concilio di Efeso:

«Vi si sarebbero dovute confrontare e discutere le due tesi in contrapposizione, di Nestorio e di Cirillo, in realtà non ci fu nessuna discussione e non furono rispettate le più elementari garanzie di equità e collegialità. Cirillo presiedette e pilotò il concilio con grande abilità e non senza intimidazioni e corruzioni. Alle porte della chiesa grande, intitolata a Maria, dove si svolgevano i lavori conciliari, e nella città stazionavano i parabalani, i quali ufficialmente erano infermieri al servizio dei poveri negli ospizi ecclesiastici, ma di fatto costituivano la guardia del vescovo alessandrino ed esercitavano una minaccia costante contro i suoi oppositori. Estromesso il legato imperiale e constatato che Nestorio si rifiutava di presentarsi, il giorno successivo all'apertura, il 22 giugno del 431, Cirillo lesse le proprie tesi e chiamò i vescovi, per appello nominale, a dichiararle consone al "credo" di Nicea; lesse le lettere sinodali concordate con Celeino per mostrare che Roma ed Alessandria erano solidali nell'azione contro Nestorio; di quest'ultimo fu letta la seconda e più polemstica tra le risposte a Cirillo e alcuni estratti. Alla fine della giornata Nestorio fu condannato e deposto, con un atto sottoscritto da 197 vescovi, per "aver profferito blasfemia contro il Signor nostro Gesù Cristo". Il giorno dopo gli fu recapitata una notifica nella quale veniva apostrofato "nuovo Giuda".»

(Salvatore Pricoco. Da Costantino a Gregorio Magno, in Storia del cristianesimo. Vol.I a cura di Giovanni Filoramo e Daniele Menozzi. Bari, Laterza, 2008, pag. 346-7. ISBN 978-88-420-6558-6)

 

In modo analogo, dopo aver ricordato l'"aggressiva durezza" di Cirillo nei confronti di ebrei e novaziani, il teologo domenicano Antonio Olmi chiosa la discutibile condotta del vescovo nella circostanza del Concilio:

«Con tali premesse, non c'è da meravigliarsi del modo in cui Cirillo fece valere il prestigio ed il potere di Alessandria nel corso della crisi nestoriana. Egli utilizzò mezzi di dubbia correttezza per ingraziare alla sua causa la corte imperiale; forzò le istruzioni ricevute dal papa Celestino, quando questi lo incaricò di curare l'esecuzione del sinodo romano del 430; non rispettò il mandato dell'imperatore, aprendo i lavori del concilio di Efeso senza attendere l'arrivo della delegazione papale e dei vescovi antiocheni; non cercò in alcun modo, nella sua posizione di presidente dell'assemblea sinodale, di porre le condizioni perché si arrivasse ad una discussione oggettiva, concreta e serena tra i rappresentanti delle due posizioni.»

(Antonio Olmi. Il consenso cristologico tra le chiese calcedonesi e non calcedonesi. Roma, Pontificia Università Gregoriana, 2003, pag.87.)

 

Tuttavia il Concilio di Efeso è stato riconosciuto tra quelli ecumenici dalle Chiese conciliari, infatti il Concilio di Costantinopoli II del 553 d.C. condannò la lettera che da una parte accusava il Concilio efesino di aver condannato Nestorio senza il dovuto esame e dall'altra definiva "contrari alla retta fede" i dodici capitoli di Cirillo difendendo così le posizioni di Teodoro e Nestorio.

Cirillo d'Alessandria ricevette quindi un decisivo riconoscimento riguardo alle sue dottrine da parte del Concilio di Costantinopoli II del 553 d.C., il quale decretò: «Cirillo che è tra i santi, il quale ha predicato la retta fede dei cristiani» Questo fatto conferma che già nel VI secolo egli era considerato santo dalle Chiese conciliari.

 

Mariologia

Nel 1917, il medievista M. R. James recensì un apocrifo copto reso pubblico dalla catalogazione del British Museum due anni prima. Esso riportava il ventesimo discorso di Cirillo in onore della Vergine Maria. Il testo descrive il colloquio con l'eretico Annarichos di Maioma secondo il quale già in Paradiso san Michele sarebbe stato scelto da Dio Padre come custode del Figlio Unigenito. Secondo il testo, quando il Verbo decise di incarnarsi in mezzo agli uomini, la dýnamis celeste di nome Michele sarebbe discesa sulla terra incarnandosi in un corpo femminile chiamato Maria la quale dopo sette mesi avrebbe dato alla luce il Signore. Cirillo ribatté: «Dove sta scritto nei Vangeli che la santa Vergine Maria sarebbe una dýnamis?».

L'autenticità del manoscritto attesta l'esistenza di una dottrina della nascita verginale di Gesù Cristo, di una dottrina dell'angelo custode inteso come dýnamis e in particolare di san Michele venerato come angelo custode di Gesù, ma anche la confusione esistente all'epoca circa la natura di Maria, una creatura umana della quale i Vangeli canonici non descrivevano la famiglia di provenienza. Anche da lì poteva nascere il dubbio di una sua sostanza angelica, che sarebbe stato escluso con forza dal Padre della Chiesa.

 

Dottrina dello Spirito Santo

Fino agli anni '80, il pensiero di san Cirillo era noto principalmente per la dottrina dell'Incarnazione e della duplice natura divino-umana di Gesù Cristo-Dio. Gli studi di Marie-Odile Boulnoi e del padre gesuita Brian E. Daley hanno posto in rilievo il ruolo della pneumatologia dinamica negli scritti del padre alessandrino, con particolare riferimenti ai dialoghi. In sostituzione del termine "divinizzazione" , diffuso nel V secolo, nel linguaggio teologico vengono riproposti concetti come grazia, partecipazione e comunione, per indicare che la consustanzialità dello Spirito Santo alle altre due Divine Persone permette al Paraclito di condurre i fedeli ad una piena relazione con Cristo, colmata dei Suoi doni divini.

 

La sua tabella pasquale di 114 anni

Cirillo dedicò al devoto imperatore cristiano Teodosio II (AD 408-450) la sua tabella pasquale. È anche importante notare che la tabella pasquale di Cirillo era munita di una struttura di base metonica nella forma di un ciclo lunare metonico di 19 anni adottato da lui verso l’anno 425, che era molto diverso dal primissimo ciclo lunare metonico di 19 anni inventato verso l’anno 260 da Anatolio di Laodicea, ma esattamente uguale al ciclo lunare che era stato introdotto verso l’anno 412 da Anniano di Alessandria; l'equivalente giuliano di questo ciclo lunare alessandrino adottato da Cirillo e oggi chiamato il ‘ciclo lunare (alessandrino) classico di 19 anni’ apparirà di nuovo solo molto più tardi: un secolo più tardi a Roma come la struttura di base della tabella pasquale di Dionigi il Piccolo (verso l’anno 525) e altri due secoli più tardi in Inghilterra come la tabella di Pasqua di Beda il Venerabile (verso l’anno 725].*

 

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SAN CIRILLO DI GERUSALEMME, PATRONO DI CATECHISTI E CATECUMENI

 

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Poco o nulla si sa della sua gioventù, incerta la data di nascita avvenuta probabilmente nel 313 o 315 a Gerusalemme o nei dintorni, da genitori cristiani. Le informazioni che abbiamo su questo vescovo ci giungono dai suoi contemporanei Rufino, Epifanio e Geronimo e da vari storici del V secolo tra cui Sozomeno, Socrate e Teodoro.

Venne ordinato sacerdote dal vescovo Macario di Gerusalemme o dal suo successore Massimo III nel 335. Sotto Massimo III operò come sacerdote della Diocesi di Gerusalemme. Molto incline al dialogo e alla riconciliazione, partecipò alle dispute teologiche più importanti della sua epoca. Sulla disputa cristologica (la natura di Gesù Cristo), egli abbracciò la corrente di Eusebio di Cesarea, che si situava in una posizione mediana tra la teologia di Atanasio di Alessandria (che divenne poi quella accettata dalla Chiesa), e quella di Ario. Gli ariani non la accettavano, Atanasio sosteneva la consustanzialità (= stessa natura del Padre), mentre Eusebio e Cirillo erano per una posizione dove Cristo era definito simile al Padre.

Cirillo esercitò il suo ministero in una città che, dopo molti anni di violenze e di soprusi, tornava a suscitare l'interesse dei potenti. La madre dell'imperatore, Elena, vi si era recata nel 323, mentre nel 335 lo stesso imperatore Costantino fece erigere la basilica del Santo Sepolcro, che vide in seguito Cirillo operare e predicare. Sotto un altro imperatore, Giuliano, si tentò anche di ricostruire il Tempio di Gerusalemme distrutto duecento anni prima.

Cirillo venne nominato vescovo nel 347 da Acacio vescovo di Cesarea. Tra i due sorsero quasi immediatamente forti attriti, sia per questioni amministrative che per questioni teologiche. Questi dissidi sfociarono nella condanna all'esilio, formulata da un concilio indetto dal patriarca Acacio nel 358: Cirillo venne accusato di aver venduto proprietà della Chiesa per aiutare i poveri. Nel concilio di Seleucia del 359, presente Cirillo, Acacio venne deposto e il nostro vescovo poté, per un breve periodo, rientrare nella sua diocesi. Appena un anno dopo, questa volta ad opera dell'Imperatore Costanzo II, anch'egli filo-ariano, venne di nuovo esiliato. Con l'avvento al potere di Giuliano nel 361, tutti i vescovi esiliati furono riammessi alle loro cariche.

Il 7 maggio 351 fu testimone, insieme a tutto il popolo di Gerusalemme, dell'apparizione di una croce nel cielo.

Nel 367 venne di nuovo esiliato; questo esilio durò fino al 378. Nel 381 partecipò al grande concilio di Costantinopoli, dove venne definitivamente decisa l'adozione del Credo niceno, che diventò verità di fede. Anche Cirillo sottoscrisse la definizione di Cristo come «della stessa sostanza» del Padre, convinto che questa fosse l'unica accettabile. Quando finalmente venne raggiunta, per lui e per la propria Chiesa, una chiara presa di posizione dopo un'intera vita spesa a ragionare e ponderare quale fosse la vera sostanza del Cristo, poté trascorrere gli ultimi anni in serenità.

Mori il 18 o il 20 marzo del 386.

 

Opere

Di questo vescovo ci sono pervenute: un sermone sul lago di Betsaida, una lettera all'imperatore Costanzo II, altri tre piccoli frammenti e ventiquattro sermoni per la Catechesi. La lettera all'imperatore descrive lo straordinario evento avvenuto nel mese di maggio agli inizi del suo episcopato, quando una grande croce comparve nel cielo tra il monte calvario e l'orto degli ulivi. Dei sermoni della catechesi, probabilmente trascritti da un catecumeno, includono la prima introduttiva (Procatechesi), diciotto sermoni tenuti in Quaresima quale preparazione al battesimo indirizzate ai catecumeni e che trattano del peccato, della penitenza, della fede e illustrano il contenuto del Simbolo battesimale molto simile al Credo adottato dal primo concilio di Costantinopoli, e cinque prediche dette mistagogiche, ossia istruzioni rivolte nella settimana dopo la Pasqua ai neo-battezzati per illustrare la dottrina ed il rito dei sacramenti e la liturgia della messa.

Si ricordano anche le parole sugli animali e il Creato nella Catechesi battesimale

Continua

 

- Dottori della Chiesa 1

 

 

 

 

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