Rubriche di
Patrizia Fontana Roca

DINTORNI


di Patrizia di Cartantica

 

 

DINTORNI 4

 

L'altra parte della mia famiglia, quella di mio padre, era sostenuta da nonna Matilde, che forse già l'ho detto, era la sorella di mio nonno Flaviano, il padre di mia madre. Quindi, mio padre e mia madre, erano cugini di primo grado. Uno scandalo? Non lo so... Non me ne parlarono mai, a loro sembrava una cosa natuale...

Non so perchè o percome mio nonno, marito di Matilde, chiamato Tonitto, il padre di mio padre, era nato in Argentina, a Buenos Aires. Forse il mio bisnonno era andato là per fare un pò di soldi con il lavoro, ma non so cosa... Mio padre non me ne raccontò al riguardo e lo seppi solo dopo molti anni.

Ho solo una loro foto in cui si realizza che la famiglia, almeno in quella foto, era una famiglia agiata, ben vestita.... a cui forse le tre sorelle, che forse non si sposarono mai, fecero degna cornice.

Quando mio nonno era già morto - mi ricordo di lui come di un vecchietto, di notevole statura, ma innocuo, che mi trastullava facendomi volare intorno, in un piccolo ambiente scuro, un palloncino colorato che mi dava allegria, ma anche qualche brivido di paura, se mi intercettava nei suoi giri - il mio zio più giovane, Benito, emigrò anche lui in Argentina, negli anni 50/55, come già avevano fatto i suoi fratelli maggiori, Nicola e Alessandro, detto Sandrino, trovando lavoro, portando con sè la nonna Matilde,

 

Mi sembra avesse anche un negozio di stoffe, ma forse era dei genitori di mio nonno e lei vi si dava molto da fare... ma poi il negozio fallì e lei, per arrotondare le magre entrate, incominciò a lavorare a maglia per altre famiglie, non so se avesse una piccola macchina o lavorasse a mano...
Come succedeva a quei tempi i figli più grandicelli venivano tirati su in genere dai nonni paterni... Le notizie sono parecchie ma imprecise perchè quando si è piccoli queste informazioni sugli appartenenti alla tua famiglia, nom ti vengono date e, forse, al momento non ti interessano, ti ricordi, caso mai, di chiederle solo quando è troppo tardi, i protagonisti di queste storie sono ormai morti e non si possono avere ragguagli precisi e seri-

 

Mi è stato detto che poi mio nonno avesse aperto in paese una banca, il banco di Napoli, ma si sa bisogna essere esperti in queste faccende, ma poi, avendo concesso molti prestiti, mai restituiti,  la banca fallì miseramente... Probabilmente ci rimisero tutto quello che avevano, fors'anche la casa.

 

Lei, piccolina ma sempre piena di energie e fantasiosa, che, nonostante la guerra, le difficoltà, il marito nella I guerra mondiale, la piccola statura, uno dei figli malato, ecc. ecc. s'era sempre data da fare, con quella bella famiglia numerosa di 7 figli, non la rividi mai più se non in fotografia, scattata in quella terra, dove i suoi figli avevano trovato riparo, lavoro, prosperità...

Mi piaceva molto, ma avevo passato con lei solo un'estate... poco, troppo poco... .

 

 


Rimasero qui mio padre, mio zio Teodoro, che lavorava presso un noto studio di avvocato, mia zia Elisabetta, detta Bettina, giovane e vedova, che era stata sposata, giovanissima, per pochissimo tempo con un ragazzo, di cui mio padre conservava la fotografia, ma che, andato in guerra, non tornò più.

Dopo molti anni sposò un brav'uomo, Elpidio, molto simpatico e tranquillo, da cui ebbe un bel ragazzino, bruno e intelligente, Paolo, mio cugino, con cui, purtroppo, ci vedevamo poco.

 

Con zia Bettina, che non frequentavo molto, per la verità, ero tuttavia in sintonia perchè quando ero con lei mi riempiva di attenzioni, sia quando sporadicamente veniva a Roma, sia quando andavo io all'Aquila.

Ricordo che un'estate stetti molto da lei, forse era quella in cui doveva nascere Carlo, mio fratello.. e lei mi faceva giocare sempre e mi portava a spasso.

Un giorno, mi rammento, andammo in un posto pieno di alberi e di verde, era una clinica, un ospedale, andammo a trovare un mio zio malato, bel viso, ancora giovane, con un bel nome, Gerardo. Mi ricordo di esser stata al suo capezzale ma niente altro, fu uno di quei momenti fugaci di cui non rammento più nulla... si diceva che avesse estratto un coltello in una certa occasione,,, ma quando, ... perchè? Era tempo di guerra, era tempo di paura...


 

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Andrei  in  giro  per  Roma stamani, se  non  dovessi  andare  in ufficio,  inoltrandomi nei vicoli della Roma Trasteverina,  della Roma papalina, sorniona e graffiante, vagando lungo le sponde  del Tevere calmo e sonnolento dell'estate.

Passavano, per questi stessi vicoli, una volta, gli arrotini  col loro trabiccolo e la ruota montata verticalmente come una piccola pala  di mulino, emettendo il suo stridio/sibilo triste...  e  i rigattieri, "gli  stracciaroli", così si chiamavano una volta, che  nei primi  anni del  '50 setacciavano quegli stessi vicoli, alla ricerca di antichità che poi si  sarebbero  ritrovate sui  banchi di  Porta Portese.
Richiamavano l'attenzione degli abitanti del quartiere, emettendo grida acute. La fame, la miseria del dopoguerra s'erano ormai placate e la gente anelava a rifarsi un guardaroba ed un mobilio decenti, non volendo più ricordare gli stenti patiti.

Ogni tanto il  vento portava la voce  nostalgica  di  qualche organino  magari un  pò stonato che, nelle ore del primo pomeriggio vagava  di strada in strada, rievocando  melodie di tempi andati. In qualche piazzetta stazionavano i Madonnari che coi loro gessetti bianchi o colorati creavano, sui selciati un pò sconnessi, splendidi disegni, per lo più sacri, un Cristo morente sulla croce o una Madonina tutta bianca, simile alla statua che si ergeva proprio nell'angolo della strada...

Passavano anche gli ombrellai e i venditori  di  lupini e di castagne e qualche mendicante... Dalle finestre aperte cadevano dieci, venti lire, talvolta anche cento. E l'omino che suonava non sull'armonica a bocca, ma su una foglia o su un pettine avvolto nella carta velina, ringraziava con un inchino.

Poi a Natale scendevano nelle strade gli zampognari vestiti dei loro velli bianchi e morbidi, che portavano felicità e allo stesso tempo un pò di tristezza...

Figure ormai fuori moda, come i portoncini di legno istoriati, i lunghi lampioni di ghisa, i sanpietrini sconnessi su cui giocavo a campana, le vecchie botteghe dove si potevano trovare le cose più impensate e inutili, i bottoni di varie fogge, tessuti raffinati, vecchie cornici... flash di immmagini ferme a  quel  periodo, miracoloso per noi che fu il boom economico degli anni 50/60:  la Fiat, il televisore, il frigo, la lavatrice.

Sembra di essere estranei, ormai, a questa Roma d'oggi popolata di zingari ladroni e di barboni infelici, di drogati e di folli d'ogni genere e razza, fiumane di gente di colore e non che vive e lavora ai margini della societa'...

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DEDICATA A ETTA -

 

DEDICATA A...

 

 ...Etta che si commuove
alle prime foglie, alle gemme nuove.

Che triste guarda e s'accora, muta,
l'animo colmo di malinconia,
per l'ultima rondine che la saluta.
Che ha il cuore pieno di nostalgia
per le bambole e i giochi dell'infanzia
e i giorni luminosi di vacanza,
per il presepe e il pino di Natale.
Etta che ama le feste, il Carnevale...

E a primavera attende sul balcone
la prima rondine che fa ritorno,
che allegra cuoce crostate in forno,
intenerendosi se un timido piccione
ancora stenta a volare verso il nido...
Etta che mi sopporta, Etta di cui mi fido.

Etta che è allegra o dura e intransigente,
Etta che si deprime, ma poi ama la gente,
Etta che si circonda di mille cose belle,
Etta che è madre e figlia ma che non ha sorelle.
Perciò, sottovoce le dico: "Eccomi, amica mia,
se ti senti un pò sola, ti farò compagnia...!"

*******

 

 

Non  immaginavi  certo,  tu  che hai  avuto  un'infanzia  un  po' solitaria, priva della figura paterna, immersa in un mondo un po' al  di fuori della realtà in cui tua madre, tua zia e tua  nonna si  facevano  un dovere  di farti crescere,  sempre  affaccendate intorno  a  te, a darti il meglio ed anche di più  per  colmare, inutilmente,  quel vuoto, che un giorno avresti davvero riempito con un marito, che potrei davvero definire un santo, e da quattro bambini, tutti maschi, forse per una strana compensazione.

 ...E  tu  che  mi sembravi così poco portata per il ruolo di moglie e madre, ti adattasti bene a questa "parte", nel migliore dei modi, interpretando nel corso delle tue maternità, via via il ruolo della gestante in trepida attesa, bisognosa di cure e di riposo, dalla puerpuera-diva tra svolazzi di camicie rosa fruscianti e flash di foto in cui apparivi sempre in forma, neo mamma premurosa col neonato del momento, con la faccetta tonda ed il pancino gonfio del suo primo pasto, tutto odoroso e tirato a lucido, sembrando già conscio del suo ruolo di attore comprimario, che spalancava gli occhi, sfoderando una smorfia, da tutti poi interpretata come un primo goffo tentativo di sorriso...

Ti  sei adattata  forse anche meglio di me, perchè mi  sembra ancora ieri che eravamo due bimbe senza doveri nè pensieri. Io  ero  grassottella e piccolina ed invidiavo la  tua figuretta slanciata in formazione, il portamento un pò altero, il viso a cui il naso affilato e la piccola bocca rossa davano  un'impronta di  fermezza ed  i lunghi capelli raccolti  ornavano  il viso come una diafana aureola dorata.
E poi non riuscivo a capire come mai potessi ingollare due o tre "ciriole" al  giorno, ripiene di ogni ben di Dio, senza ingrassare, mentre a me bastava un nonnulla perchè la mia figura già tonda, si arrotondasse di più.


Mangiavi i tuoi sfilatini a merenda o di sera, quando, non avendo ancora la televisione venivi da me di corsa per guardare  insieme il  nostro  programma preferito o i nostri beniamini del mondo canoro. Quella sera in cui Pat Boone, di cui eravamo un pò innamorate e un pò tifose, venne al Musichiere fu un vero  avvenimento, indimenticabile. 

Era  il nostro idolo da anni e tu mi avevi iniziato alla sua conoscenza attraverso un album di ritagli di giornali,  come si usava in quegli anni tra noi giovani, che riguardavano  la sua vita e che io ti invidiavo. Poi sulla tua falsariga iniziai anch'io a raccogliere foto e recensioni sui cantanti che più m'interessavano.

 

Ma i miei ricordi vanno ancora più indietro, perchè ti conosco da sempre, un'infanzia intera ci unisce,  tanti giocattoli rotti dalle nostre manine,  tante corse sui prati del Colle Oppio e merende sull'erba e vorrei avere più memoria per rammentare i nostri primi giochi in comune.
Avevi stuoli di bambole con vestiti magnifici (una aveva persino un armadio guardaroba con lo specchio che conteneva tutti i suoi eleganti vestitini, compresa una pelliccia bianca di coniglio) e due di gomma morbidissima con cui giocavamo al dottore e all'infermiera, bucandole a tutto spiano.

http://www.raropiu.com/pat-boone-discografia-italiana-1957-1966/

 

 

GIOCHI

 

Coi vecchi vestiti della mamma,
una vestaglia rossa di velluto
ed una trousse di finta tartaruga,
mi travestivo, poi, da nobildonna,
seduta su di un vecchio seggiolone,
Etta e Carlo, compagni dell'infanzia,
lì ai miei piedi, fedeli paladini.

 

Dinanzi a un altarino improvvisato
(un vecchio tavolino, una tovaglia)
simili a sacerdoti sull'altare
celebravamo senza irriverenza
natività di bambolotti ben curati,
un nome imponendo e una carezza.

 

Poi, lieti in cuore, sopra l'altarino
festeggiavamo con il latte ed i biscotti...

https://www.ecococcole.com/sacchetto-nascita-bimbo-bomboniera-con-iniziale.html

 

Ogni nuova bambola che ci veniva regalata, veniva sottoposta ad una rituale cerimonia di Battesimo: innalzavamo un altarino sul mio tavolinetto malfermo, ricoprendolo con una copertina di lino bianco ricamata con dei bei fiori colorati che gira ancora in casa di mia madre. Io e te a turno rappresentavamo il sacerdote e la madrina coprendoci di scialli e di veli e Carlo,  sempre al nostro  seguito, fungeva da chierichetto suonando a più riprese un campanellino  dorato. Eravamo tutti assorti  e compenetrati nelle nostre parti e reggevamo con delicatezza la bambola avvolta nel  suo vestito migliore. La cerimonia si concludeva sempre con dolciumi vari e risate.

A queste cerimonie di una volta ho pensato poco tempo fa,  quando mi  hai  chiesto di tenere a Battesimo il  tuo  terzo e  quarto figlio, Flavio e Giorgio... l'ultimo una palletta di ciccia rosea biondo e bello che mette tenerezza al solo guardarlo.  Ne sono stata immensamente felice proprio perchè i nostri giochi e la  realtà ora si sono fusi in un'unica cosa.

Ma la mia vera passione era giocare a "vendere". La mamma aveva una trousse di tartaruga, forse finta, in cui racchiudevo piccoli tesori, spille dorate e anellini che poi esponevo sul mio letto tirandoli fuori ad uno ad uno, aspettando che tu  e Carlo veniste ad acquistarli. 

 

Oppure  vendevo manciatine di pasta e pezzetti di ortaggi presi alla mamma e messi in bell'ordine sopra un mobiletto bianco che fungeva da cucina per le bambole, che avevo ricevuto in regalo  per  la Befana, con gli  sportelli scorrevoli e i cassettini. 

 

https://www.kijiji.it/annunci/altro-abbigliamento/forli-cesena-annunci-cesena/antico-porta-cipria-porta-trucchi-in-bachelite-con-specchio/52485429

 

 

 

CARNEVALE

https://www.pinterest.it/pin/678143656360341249/

 

Vestita da fata,
bambina con trecce di sole,
nel lieve vento di marzo
mi lancio,
come un gaio aquilone.

 

 

Sull'ampia gonna di carta
cento stelline dipinte,
un cono azzurro il cappello.

In mano, una sottile bacchetta,
fragile talismano dei sogni,
con cui, sono certa,
realizzerò magie...

 

A  Carnevale facevamo delle vere "orge" di gioco, con i vestiti smessi delle nostre  mamme e ci paludavamo nei più astratti e favolosi costumi.  A me piaceva indossare una vestaglia di velluto  rosso bordeaux di mia madre, lunga e calda con un solo grosso  bottone in vita che mi faceva sentire una regina.  Una volta te ne facesti uno vero da spagnola con pizzi neri e stoffa rossa scintillante. Sembravi una gitana purosangue girando intorno a me e abbagliandomi di colori.
Tuo nonno che aveva grande affetto per me e mi teneva spesso sulle sue ginocchia, ci organizzò una volta una recita, creando nella sua stanza quinte e palcoscenico, costumi e luci. Fu un lavoro lungo ed entusiasmante. Io ero la "servetta" con tanto di grembiule, crestina e guanti  bianchi  e dicevo non più di tre battute, ma per me che non riuscivo mai  a dire molte parole di seguito, era un grande sforzo.
La stanza di tuo nonno assumeva ai miei occhi un sapore magico ed ogni volta cercavo un pretesto per gettare uno sguardo nel grande  armadio luminoso, pieni di ferri dall'aspetto enigmatico.

https://teatroleoamici.it/teatroacasa/

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Il  periodo più bello dell'anno era per noi il  Natale. Cominciavamo un mese prima a sentire nell'aria l'atmosfera di dolcezza e di euforia che si impadroniva di noi al vedere le vetrine illuminate in cui sfavillavano verdi abeti finti ammantati di colori e piccole figurine del Presepe.  Facevamo progetti  anche noi per il nostro albero e per il presepe eppoi per i piccoli regalini da fare ai genitori... con i nostri  piccoli  risparmi compravamo  rametti  verdi d'agrifoglio e pigne dorate per decorare le nostre stanze o bengalini colorati da far esplodere e scintillare la notte di Natale e dell'ultimo dell'anno.
Finalmente, un giorno io e Carlo tiravamo fuori dallo scatolone il nostro alberello un po' striminzito che cercavamo di riempire con palline e  luci multicolori. 

Sul tavolino un pò piccolo e tarlato, stendevamo una coperta di muschio e innalzavamo montagnole di carta e grotte da cui scaturivano ruscelli di carta argentata che si allargavano in un laghetto ricavato da uno specchio rotto, che avevamo tenuto da parte questo scopo.

Pecorelle e pastori in miniatura salutavano donne con ampie vesti e sorrisi dipinti, cestini colmi di uova o verdure, casette di  cartapesta sbandieravano comignoli rossi e  finestrelle illuminate da carta stagnola dorata, in un angolo una palma verde e morbida alzava al cielo stellato quattro rami verdi. 

La via principale, tracciata con sassolini bianchi, giungeva sino alla stalla in cui S. Giuseppe e Maria attendevano, su una manciata di paglia, la nascita di Gesù, mentre un angioletto dalla  faccia rosea penzolava nell'aria mostrando a tutti la stella cometa ornata di lustrini argentei, sorta sulla cupola azzurra del cielo decorata di stelline d'oro.

Sul tavolino un pò piccolo e tarlato, stendevamo una coperta di muschio e innalzavamo montagnole di carta e grotte da cui scaturivano ruscelli di carta argentata che si allargavano in un laghetto ricavato da uno specchio rotto, che avevamo tenuto da parte questo scopo.

 

Pecorelle e pastori in miniatura salutavano donne con ampie vesti e sorrisi dipinti, cestini colmi di uova o verdure, casette di  cartapesta sbandieravano comignoli rossi e  finestrelle illuminate da carta stagnola dorata, in un angolo una palma verde e morbida alzava al cielo stellato quattro rami verdi. 

 

La via principale, tracciata con sassolini bianchi, giungeva sino alla stalla in cui S. Giuseppe e Maria attendevano, su una manciata di paglia, la nascita di Gesù, mentre un angioletto dalla  faccia rosea penzolava nell'aria mostrando a tutti la stella cometa ornata di lustrini argentei, sorta sulla cupola azzurra del cielo decorata di stelline d'oro.

 

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La vigilia di Natale non riuscivo a vederti che all'ora di cena, quando ci scambiavamo gli auguri e i piccoli regali che avevamo comprato l'una per l'altra ... ma questo avveniva quando eravamo già  grandine poichè anni prima questa tradizione, ma soprattutto i soldi, non c'erano e i regali si ricevevano solo per l'Epifania. 

 

Tua madre era ancora indaffarata a sistemare le ultime luci sull'enorme albero, il tuo vero, a cui doveva spuntare la cima per potervi sistemare il puntale, che troneggiava al centro della stanza da pranzo. Sotto l'albero già si  stendeva una coltre di pacchetti  colorati, tutti regali per te a cui  si aggiungeva il mio, piccolo.

 

Per lo più ci rivedevamo dopo cena o nel pomeriggio del giorno dopo, per giocare interminabili partite a tombola in cui spesso risultavo vincitrice, facendoti un po' rabbia.

 

Passavo interi minuti a guardare con ammirazione l'enorme Presepe costruito da te con l'aiuto del nonno o della mamma, steso sul grande tavolo: montagne e grotte s'innalzavano su un tappeto di muschio e piccole luci si nascondevano negli anfratti aperti sulle  finte rocce, miriadi di pecorelle ed altri animaletti da cortile erano dispersi in mezzo all'erba, aprendo le bocche ad un muto richiamo.

 

Il  Bambinello, dal sorriso dolce apriva le piccole mani ad abbracciare questo piccolo mondo immobile spandendo intorno a sè un alone dorato di luci.

 

RICORDI D'INFANZIA

 

Persa ti trovo, in ricordi infantili
di nonni amorosi, pronti, gentili,
di sonni quieti, sereni e novelle.
Oh, ecco l'albero, il finto scenario
di case, di palme ed un dromedario,
cieli dipinti e manciate di stelle.

 

Brilla su tutte la stella cometa...

Su, quel sipario, azzurro, di seta
(eran i bei tempi di scuola media
e noi piccole attrici d'una commedia)
Tu impersonavi un vecchio dottore
con un completo di panama bianco.

 

Grembiule e crestina, io cameriera,
intimidita recitavo al tuo fianco,
sognando applausi per tutta una sera.
Un orologio batteva le ore...

 

Eccoci ancora, regista tuo nonno,
vestite da brune, gaie gitane:
balze di gonne, orecchini, collane,
cantiamo, balliamo. Poi, ecco che il sonno
ci prende greve e gli occhi socchiude.
Sopra i ricordi il sipario si chiude...

 

Oh, immagini d'allora, ormai perdute.
La brina copre le cose conosciute
e le trasforma in scene surreali.

 

Così il tempo, la dimenticanza
ricopre i ricordi dell'infanzia
e li tramuta in fiabe, in ideali...

 

L'ultimo   dell'anno, invece, ci  ritrovavamo  dopo  cena sul pianerottolo, resi allegri da un goccio di spumante tracannato di nascosto,  tenendo in mano luminarie scintillanti e fette di panettone che divoravamo a quattro palmenti.

Correvamo per le scale, strillando auguri festosi ai nostri coinquilini tappati in casa, suonavamo il campanello delle due vecchiette che abitavano sotto di  noi, ci nascondevamo negli angoli bui delle scale e ritornavamo  di corsa in casa, giusto in tempo per gettare dalle finestre piatti vecchi e telefonare a casaccio a qualche abbonato per augurargli buona  fine e buon principio d'anno.

Al  riparo delle persiane accostate, per non ricevere in testa qualche oggetto gettato dai piani superiori, accendevamo tra risate represse i  nostri bengalini colorati che scoppiettavano allegramente.
Quanti sogni, quante speranze sui nostri visi accaldati e festosi!

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La  Befana naturalmente era la festa che attendevamo di più; la vigilia ci rodevamo dall'impazienza e la sera restavamo alzate fino a tardi, chiacchierando sulle soglie delle nostre case, immaginando i  prossimi regali, esprimendo speranze e, poi, a notte tarda, ognuna nella sua casa, nel suo lettino, sognavamo immaginarie vecchiette sedute a  cavalcioni d'una scopa leggendaria, con un grosso sacco sulle spalle, mai vuoto.

 

I regali che ricevevamo per l'Epifania erano doni che per tutto l'anno avevamo desiderato, sognato... non era quella l'epoca del consumismo, si iniziava appena a star bene ma dai magri stipendi, i genitori non attingevano a piene mani che poche volte per acquistar giocattoli... e noi gia' stavamo bene, non ci mancavano le paste alla domenica, il gelato d'estate, caramelle e dolciumi...
Ma coi giocattoli ci si andava piano.


La mattina dopo, non so com'era, ci svegliavamo prestissimo per vedere  i regali arrivati durante la notte. Gridolini di gioia e di sorpresa rimbombavano tra le pareti delle nostre case e subito ci  ritrovavamo  sul pianerottolo per mostrarci  a  vicenda quei tesori.

Il  pomeriggio era poi dedicato interamente ai giochi coi nuovi giocattoli, finchè a sera non cadevamo, sfinite ed euforiche per l'emozione.

Certo, perà, conmvenivo tra me e me, che i tuoi erano regali più belli... anche perchè spesso "ereditati" da una cugina più grande e ricca, che abitava a Como, e che, di tanto in tanto, ti riciclava i suoi giocattoli smessi.

A me sembravano bellissimi, inimitabilli, una volta avevi ricevuto una bambola con un intero armadio-guardaroba pieno di pellicce, abitini, cappelli, borsette...

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Un'altra volta ci vestimmo da dama e cavaliere del 700,  tu con una parrucca bianca e neo sul mento e vestiti fruscianti, io con pantaloni al  ginocchio e parrucchino. Cercavi  d'insegnarmi  il minuetto e facevamo prove su prove, perchè io ero sempre un po' restia all'apprendimento del ballo, ma sopratutto mi sentivo goffa e spaesata in quelle vesti...



 

 

L'unico ballo ch'io sia mai riuscita ad  imparare bene, molto più avanti negli anni, sempre sotto la tua guida e pazienza, è stato il cha-cha-cha.


Io ero sempre da te o tu da me. I nostri appartamenti erano uno di fronte all'altro e bastava che io battessi in un vuoto del muro comunicante, che avevamo scoperto, perchè a questo richiamo ci ritrovassimo sul pianerottolo, fresco d'estate e gelido d'inverno. L'ampia volta delle scale accoglieva le nostre risate, i nostri giochi ed i segreti sussurrati all'orecchio.


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Eccole, finalmente, le rondini di questa tardiva primavera...

 

 

http://best5.it/post/le-rondini-simbolo-della-primavera-di-buon-augurio-di-fedelta-e-di-rinascita/

 

 

Un giorno di primavera, arrivavano, finalmente le rondini... Sole o a gruppi folti, solcavano il cielo terso di Roma, rallegrando le nostre mattine, tra campanili, tetti, alberi, con le loro giravolte, con i loro versi canori, con le loro corse, abbrivii, frenate. Le loro piume brillavano al sole, le loro gole emettevano garriti festosi...

Ed Etta si commuoveva, come sempre, al loro arrivo. Stavamo, per ore, davanti a quello spettacolo che la riempiva di felicità.

Io, invece, al contrario di lei, non provavo alcun sentimento di gioia, ma mi piaceva, ero contenta che lei si ravvivasse tutta in quegli incontri.

 

Io non amavo alcun tipo di bestia, salvo il piccolo Black con cui avevo fatto stranamente amicizia, ma non amavo il loro contatto, il fatto che gli uccelli svolazzassero, che i cani e i gatti leccassero le mani o il viso... ecc. ecc. Non amavo e non amo gli animali.

Sarà stato forse perchè al piano al di sopra di dove abitavo io c'erano due ragazzi che avevano un cane, bianco e nero, forse un setter, che lasciavano scendere a corsa pazza per le scale, talvolta incrociandomi e incutendomi un'immensa paura, oppure...? non lo so.

Sta di fatto che, invece, Etta amava ogni genere di animali, a cominciare dai gattini randagi che talvolta incontrava nei dintorni e che non si peritava di stringere ed accarezzare, portandoseli anche a casa, suscitando le ire della nonna... Ma le piacevano anche i cani ed anch'essi, talvolta, facevano parte del suo seguito.

Nel corso degli anni, la sua casa divenne il refugium peccatorum di tante diverse specie animali. A cominciare da una gallina che invecchiò a casa loro e poi tirò le cuoia a tempo debito. Quando eravamo piccole, al mercato vendevano anche pollastri e galline, specie sotto Natale e molti erano gli acquirenti che se le portavano a casa, magari 10 giorni prima, per renderle ancora più appetibii per il pranzo natalizio. Le galline venivano nutrite, pulite, accudite, per qualche giorno e in prossimità delle feste gli veniva poi tirato il collo, venivano appese in cucina a un gancio, si lasciavano frollare, poi si passava alla spiumatura, alla pulitura e, finalmente, venivano cotte. Con le loro carni si faceva dapprima un bel brodo che si sarebbe servito con i tortellini, poi la carne veniva messa al forno con le patate, olio, rosmarino e sale. Ed era una vera festa...

 

A proposito del brodo, era tassativo farlo con i tortellini e, qualche giorno prima di Natale, mia madre attrezzava tutto per creare un'imponente sfilza di tortellini ripieni di carne, coinvolgendo anche me che, stranamente consentivo, con pazienza, a svolgere quell'operazione. Ovviamente, era lei che preparava una larga sfoglia sottile, che stendeva sul tavolo troppo piccolo, era lei che cuoceva a fuoco lento la carne macinata che serviva da ripieno, sagomava i tortellini, li stendeva sul tavolo ed, eccomi finalmente in azione, io mettevo la carne al centro dei tortellini che poi richiudevo con due o tre passaggi, schiacciando bene i contorni... mi sentivo fiera e felice, alla fine di quell'operazione!


Tornando alle tendenze di Etta per gli animali, di cui di alcuni ho perso proprio il ricordo, quella che mi è rimasta scolpita in mente era una tortora che le aveva regalato un ragazzo e che spadroneggiava da un angolo all'altro della casa. Conoscendo la mia fobia per gli animali, ma in modo particolare per gli uccelli, quando andavo a casa sua, la colomba veniva tenuta in un'altra stanza, ma poco dopo sgattaiolava via e si poneva come una sentinella sopra l'armadio scuro che troneggiava nell'ingresso.

Ovviamente non rimaneva troppo a lungo e cominciava a svolazzare nelle altre stanze, suscitando le mie urla di paura. Veniva ripresa e coccolata da Etta, mentre io tagliavo corto e dopo poco me ne andavo, gridando a Etta di venire lei da me. Durò qualche stagione, ma per me erano state troppe.

Poi cominciò l'epoca dei roditori: dapprima due topolini bianchi e rosa che fecero figli a più non posso... passati loro fu la volta di due criceti che, una volta, portati in visita casa mia, non si peritarono di lasciare la loro pipì sul bel divano di velluto marrone...


Ma ne sono passati tantissimi altri di cui ora non ho più memoria: uccelli vari, un coniglietto e chissà che altro.... E quando, talvolta, moriva un uccellino oppure qualche pesce, vinto al una Park e vissuto per poco, noi non potevamo far altro che "inscenare" un bel funerale che poi si concludeva con una bella merenda a base di biscotti...

 

 

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Gli anni, intanto, passavano, e passavano i giorni e ad un certo punto ci ritrovammo nella stessa Scuola Media, dove ci recavamo insieme ogni mattina, salutandoci quando suonava la campana della ricreazione fra le risa ed il caos di quel quarto d'ora. Tu facevi la terza media ed io la prima...


Cominciava l'età delle prime cotte, dei balli, delle gite...  Tu eri più grande di me di tre anni e avevi quindi più libertà, più esperienze... così io bevevo le tue parole con cui evocavi le feste a cui avevi partecipato, aspettando con ansia di crescere per poter fare lo stesso.

Ogni ballo importante richiedeva un nuovo vestito secondo la moda, così si susseguivano, per te, corpetti  e gonne di tulle rosato e vaporoso, chiffon azzurro cielo trasparente, lamè dorato e scintillante... mentre i capelli, che di solito scendevano sulle spalle, si alzavano a  contornare, con riccioli o bandeaux lisci il tuo viso addolcito dall'emozione.

Tua  madre e tua zia, infaticabili, ti davano il meglio, l'una lavorando fino a tarda notte per creare modellini sempre più estrosi ed eleganti, l'altra per soddisfare ogni tua richiesta, fino ad una brioche fresca al mattino....  

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NEL CASTELLO DEI SOGNI

 

Se ti sfiora lo spettro della morte,
se una tristezza improvvisa t'assale
dinanzi al declino inarrestabile
degli esseri che ami,
stringi forte la mia mano, amica mia...

Io ti condurrò nella sfera, tersa
come cristallo, dell'immaginario
creando favole senza tempo,
come nella nostra infanzia.


Entreremo nel castello dei sogni
dove nulla è impossibile,
vestiremo bambole antiche,
compagne mai dimenticate.
vivremo e attingeremo forza
dall'illusione del passato.

 

E ancora assorte in esso,
e confortate, ritorneremo poi
a quella che è la nostra realtà...
 

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SPOSA

 

Oggi un pò della mia giovinezza
se ne è andata, amica mia,
oggi che hai offerto la tua vita
all'uomo che nel silenzio solenne
t'attendeva.


L'organo cantava la tua felicità
nuova, di sposa
e sul tappeto celeste
la macchia bianca del tuo vestito
s'allargava come una corolla al sole.


Mentre io pensavo alle cose passate
che ci unirono,
agli attesi Natali di bambine,
al coro di risate trattenute
sotto l'ampia volta di silenzio,
alle corse rumorose per salire
a quattro a quattro i gradini.

Ai voli degli uccelli impazziti
sulla grigia terrazza,
alle incerte paure
e ai nostri giorni spensierati
che risuonavano di voci.


Ricordi, ricordi
di me e di te bambine,
che fuggono lontano.
Afferrali forte, non lasciarli fuggire,
compagna d'una infanzia,
amica mia.

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RINGRAZIAMENTO

 

http://www.lombardiabeniculturali.it/fotografie/schede/IMM-3a130-0006505/

15 Agosto, Festa dell'Assunta.
Nella piccola chiesa suggestiva e sovraccarica di elementi architettonici bizantineggianti, le  luci splendono  ed il sole di mezza estate entra  dalle vetrate istoriate, colpendo al centro dell'altare il vecchio prete prono in preghiera. Sottili lamelle dorate si dipartono anche dalle Via   Crucis appese alle pareti e danzano, inseguendo le tremule fiamme delle candele accese dinanzi alla statua della Madonna dolce e comprensiva.

     D'un tratto, sulla scia del sacerdote che invoca il Figlio Divino, una donna - una vecchia pezzente piccola e sciancata - lasciata in fondo alla chiesa una sporta logora contenente tutti  i suoi  averi, avanza verso l'altare intonando un inno.

     La sua voce s'alza dapprima esile e incerta, poi  si fa più chiara e decisa, man mano  che il canto prosegue.
Inonda tutta la chiesa ed il cuore dei presenti con quel suo gorgheggio solitario ed inaspettato, reso ancor più sonoro da un erre  pronunciata alla francese.
I pochi  fedeli ascoltano nel più assoluto silenzio, vivamente commossi.

     Il canto si conclude con un tono più acuto e prolungato che scuote il piccolo corpo contratto, la voce si smorza lasciando nell'aria  un  lieve trillo.     
     La donna si segna e trascinando il piede offeso torna sulla porta accanto ai suoi fagotti. Pur nella sua  immane debolezza  e povertà, quell'essere minuto e fragile ha ringraziato Dio di quell'unica cosa che il Creatore le ha donato, quella voce armoniosa da usignolo...

  

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UNA MADRE

 

 

https://caserta.occhionotizie.it/marcianise-morta-mamma-mariagrazia-zibideo/

Quando talvolta ci incontriamo per caso, ci scambiamo uno sguardo frettoloso e appena un accenno di saluto col capo o con la contrazione lieve d'un muscolo facciale.
Non sopporto il tuo sguardo, quasi mi sentissi colpevole,  io nei tuoi confronti,  poichè il destino o la  vita, come  preferisci,  t'hanno riservato stigmate di dolore: un'infanzia orfana di padre, un giovane cognato, quasi un fratello, ucciso in un incidente stradale su di un'autostrada... 

Sarà un anno -  ma l'orologio della sofferenza segna un altro tempo, interminabile, oscuro - che hai perso tua figlia tredicenne a causa d'un embolo.

Ed io sento il tuo dolore, spesso come una lastra di piombo, lo sento come un sudario su di me ogni volta che i nostri occhi si  sfiorano. anch'io ho una figlia tredicenne che è viva, bella, sana e cresce...

E vorrei venirti  vicino, tenderti una mano con un sorriso, parlarti, veder sparire dal tuo volto dolente la maschera grigia della tristezza. Invece resto ferma al mio posto, di fronte a  te, compenetrandomi in  te, nel tormento che vivi attimo dopo attimo. 

Chi può consolarti?

La tua figura fragile ondeggia lievemente mentre prosegui e mi oltrepassi, col tuo vestito nero, i tuoi capelli neri, i tuoi occhi neri, come intagliata nell'ebano. Sola e sperduta in un'eternità di spazi e di tempi dolorosi, come un asteroide disperso in siderali silenzi.

 

    

 

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UNA RAGAZZA

 

https://www.pinterest.it/pin/307159637092928122/

 

     Vai in giro con quella gonna troppo corta e stretta che ti scopre due belle gambe curate, alta e slanciata, ma con quel viso!

Un viso che forse è bello dietro la maschera colorata che porti in giro, fatta di cerone ed ombretti e rossetti vistosissimi.
Un viso di cui profani la bellezza quando, ridendo con spregiudicatezza ed estroversione, scambi baci, innocui ma superflui - anche questa è una moda  - coi componenti del gruppo rumoroso che si raccoglie sotto il portone...

   Si vede che sei giovane, che non hai più di sedici, diciassette anni, ma la freschezza  della tua  età si perde dietro il pesante trucco  quasi clownesco.  Come tante le ragazze della tua età vuoi essere al centro dell'attenzione - si sa, si può capire - ma in te questo desiderio è sfrenato, va al di là del semplice esibizionismo giovanile... al di là, nel profondo c'è qualche altra cosa più intima, qualche ferita dell'anima che non si rimargina e a cui reagisci, creandoti una  maschera dietro cui tenti di nascondere la tua solitudine.

     Vorrei poter lenire la tua pena, guarirti, parlarti, ma forse il mio intervento materno verrebbe frainteso... Forse mia figlia, tua amica e coetanea, riuscirà a penetrare nel folto dei tuoi problemi e così non sentirai più il bisogno d'indossare ad ogni istante una maschera colorata e vistosa che desta riprovazione negli anziani  e desiderio nei giovani...

 

 

 

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L'INDOSSATRICE

 

 

     S'accendono i riflettori che convergono verso l'alto dell'enorme sala  affollata  e fumosa, creando un gioco di luci sulla sommità della scala dove ci si aspetta, da un momento all'altro, la comparsa delle indossatrici,  giovani ragazze che mostreranno alla platea curiosa alcuni modelli di abiti da sposa. Una alla volta appaiono in cima alla scalinata, sostano un attimo facendo una piccola giravolta per dar modo di ammirare da ogni lato il vestito, poi discendono con più o meno grazia e disinvoltura, sostano di nuovo e, percorrendo un corridoio ai cui lati s'affollano gli spettatori, raggiungono la giuria. Ritornano infine sui loro passi e scompaiono nei locali interni, adibiti per l'occasione a spogliatoi.

     La  prima è una brunetta sinuosa con due occhi ed un sorriso tentacolari;  non perde occasione per mettersi in mostra, apre le braccia ad afferrare un fatuo successo e compie ampie piroette...  ma i suoi movimenti sono inesperti, goffi.
Ora avanza una biondina forse tinta; sembra inquieta, delusa, ha un viso triste e un pò segnato, come se avesse pianto poco prima di presentarsi in pubblico. Percorre di corsa, quasi a balzelloni, la lunga scalea, trattenendo ai lati il lungo strascico di pizzo.

La terza è una castana aggraziata e simpatica, si muove con un'andatura sicura, forse non è nuova a questa esperienza.  Viene accolta da qualche applauso  e  sorride alla folla con garbo ed un piccolo inchino. E' forse questo il suo momento di successo?
Rallenta il passo, gira su se stessa più volte, lentamente si pavoneggia nell'ampia veste bianca come un candido cigno che si chini sulla lucida superficie di un lago e cerchi la  sua  immagine riflessa sul pavimento specchiato della sala.
E' delicata  e sontuosa al tempo  stesso,  quasi bella con  quel sorriso raggiante  sul  volto. Vorrebbe che quest'attimo non finisse mai!

     Ma già le luci aggressive dei riflettori  si spostano dal suo corpo flessuoso, tornano sulla giuria. E lei, candida vestale di questo ben misero tempio, rientra nel buio non più protagonista. E' ormai solo una macchia bianca nell'oscurità'. Non le resta che ritornare, a malincuore, nell'anonimità' degli spogliatoi...

 

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I PESCATORI

 

https://www.ebay.it/itm/1954-Press-Photo-fishermen-cast-fishing-nets-on-Tiber-River-in-Rome-Italy/203343130311?hash=item2f5831eec7:g:jlkAAOSwjGVgQMpM

Il Tevere disegna innumerevoli anse,  si annoda e si distende formando gorghi concentrici quando la forza della corrente si scontra con  la stabile massa dell'Isola Tiberiina  o  contro  i grossi pilastri dei ponti.
Le acque fangose del fiume racchiudono  genie di microscopiche larve che non diverranno mai adulte in quell'habitat alterato da correnti  sotterranee e dalla  mota;  poche specie di  pesci,  forti  e battagliere, riescono a sopravvivere e a riprodursi.

     Altri nemici, poi, più subdoli ed agguerriti s'affollano  sin dalle prime luci della mattina sino all'imbrunire, sui ponti o lungo le rive: una schiera di pescatori giornalieri, scansafatiche  o pensionati che provengono dalle più svariate zone della città.
Qualcuno, per raggiungere la sua postazione, si serve dell'autobus, la canna da pesca rientrata nella sua anima di ferro e un giubbetto impermeabile con numerose tasche,  alcuni  che abitano nei quartieri limitrofi portano con  sè seggiolini pieghevoli.
Nei  periodi estivi portano con loro i  figli  più grandi,  augurandosi di trasmettere alla prole quella loro passione.
Così dai ponti e dalle rive  gettano i lunghi filamenti di nylon nella speranza che qualche pesce che stazione nei pressi si lasci andare ad assaggiare  i  bocconcini speciali,  preparati  la sera precedente secondo personali ricette di cui custodiscono gelosamente il segreto.

     Le ore passano lentamente senza risultati notevoli ma ogni tanto qualche pesce meno astuto e più  affamato degli altri abbocca e dai ponti  e dalla rive s'alzano grida di meraviglia che seguono lo scatto del pescatore che tira la  lenza e gli ultimi  guizzi d'un  minuscolo  pesce grigiastro.  Che,  per lo più, viene  buttato di nuovo in acqua o per la taglia troppo esigua o perchè al pescatore bastava solo la soddisfazione d'esser riuscito nell'intento.
Quelli meno fortunati trascorrono, comunque, una felice giornata al sole e all'aria aperta,  benchè al centro della caotica,  rumorosa,  maleodorante Roma.
Ore di relax  passate a parlare con gli altri appassionati o ad ascoltare racconti veritieri  o falsati di  enormi prede pescate  anni  prima  su quello  o  sul talaltro ponte da padri, nonni  o conoscenti.
O, semplicemente a lasciar vagabondare i propri pensieri lungo le acque torbide eppure affascinanti del Tevere su cui, a tratti,  stormi di  gabbiani frastornati roteano, scendono  in picchiata, risalgono svelti attratti dai richiami d'una vecchina che, ferma sulla balaustra d'un ponte, dissemina tra i gorghi ruggenti, briciole di pane...   

    

 

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IL CONCORRENTE

 

     Breve  momento di notorietà questo, che ti permette di apparire in televisione, come uno dei tanti beniamini di un pubblico che nel momento del successo ti applaude e nel momento dell'incertezza o della caduta, subito ti dimentica.
Le luci, i colori, l'atmosfera del set televisivo ti frastornano, l'ansia del non saper forse rispondere ti fa sudare ma, anche se impercettibilmente nervoso,  riesci a dominarti perchè la mente deve essere sgombra per recepire le tante domande a cui dovrai rispondere.

E le risposte ti vengono alle labbra quasi spontaneamente, pescate nell'enorme stiva dei ricordi dell'infanzia.
Premi il pulsante con foga ed ecco, l'elegante e simpatica conduttrice del gioco che ti annuncia che sei milionario, per ora solo di nome, ma  più tardi realmente. Continui a rispondere ad altre domande che si affollano, si accavallano nella mente confusa dall'emozione di quanto ti  sta accadendo, ma con una scioltezza e la  solita ironia giocosa che in te maschera, come  sempre, una natura ombrosa e schiva d'uomo insicuro che, però, al di là dello schermo non viene notata.
Ancora un'altra prova, con un avversario  diverso questa volta e qualche giorno dopo un'altra ancora.

     Parenti ed amici ti seguono da lontano, ti telefonano, i conoscenti ti fermano per la strada per sapere se sei proprio tu quello che partecipa al gioco, per conoscere quali sono le tue impressioni sul mondo televisivo (è davvero così giovane come sembra quella tal annunciatrice?... che sensazione dà l'essere  milonario?...   la trasmissione è in diretta o registrata?...). Insomma, una sequela di domande curiose a cui tu dai risposte con un certo  sussiego. 

Questa notorietà  ti dà prestigio,  ti trae dall'anonimato in cui la tua vita, vuota di affetti e di sorprese, ti relega. E' un modo come un altro per essere, finalmente, al centro dell'attenzione, per avere, finalmente, uno scopo! Tu forse t'immagini che tutto ciò ed il denaro guadagnato con così poco sforzo in questi giorni d'effimero successo possano dare alla tua vita un volto diverso, un avvio verso qualcosa d'insperato che segni una svolta decisiva nella ricerca di un lavoro consono alle tue possibilità, al tuo titolo di studi. Un cambiamento insomma nel tuo modo di vivere così poco soddisfacente, così poco lieto, così inutile.

     E non sai che, invece, anche questa volta le tue speranze saranno deluse, tutto andrà  come ogni volta.

Passato questo momento d'euforia e di luci riflesse, tu tornerai alla tua quotidianità dimessa, nell'ombra dell'anonimato sottotono in cui  vivi, in cui nulla avviene d'eccitante e di meraviglioso.  Ma forse la vita, il destino o chi per esso t'hanno voluto dare, con questo momento d'effimera gloria, un contentino, un regalo inconsistente di lampade e di colori, di microfoni e di tasti, di parole e di speranze.
Ecco, come un meraviglioso albero di  Natale - quello che non abbiamo avuto nella nostra infanzia, perchè il nostro era finto e striminzito  -  nella penombra della tua stanza solitaria potrai accenderlo nella memoria ogni volta che vorrai e veder di nuovo risplendere le luci, i volti sorridenti, ascoltare le voci e  gli applausi, tornando alla ribalta dei sogni...

 

 

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Continua


 

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