Rubriche di
Patrizia Fontana Roca

DINTORNI 3


di Patrizia di Cartantica

 

 

 

  LE SFILATE DEL 2 GIUGNO

     L'estate  era già iniziata ma sembrava esplodere  in  pieno proprio  il  2  giugno, il giorno della parata  militare  che  si svolgeva in via dei Fori Imperiali, per onorare la nascita  della Repubblica Italiana.

 

Dal Colosseo al Milite Ignoto, i  preparativi fervevano  già  da  giorni  e giorni;   la  strada  veniva  tutta transennata,  nel  cielo v'era un andirvieni di macchine volanti e nella quiete dell'ultima notte, precedente la Parata, si potevano sentire i mezzi che cominciavano ad affluire nella piazza di raduno, il gran rumore dei carri armati e  dei  mezzi pesanti  che in fila indiana si dirigevano, seguendo via Merulana, verso il  Colosseo  da cui la marcia avrebbe avuto inizio...

Nell'aria serena della notte, si ascoltavano gli elicotteri e gli aerei che  preparavano  le evoluzioni e  la  notte a noi in attesa, sembrava davvero lunga.

La mattina ci svegliavamo presto pieni di energia e ci preparavamo in un lampo per uscire il prima possibile e a passo svelto attraversavamo il Colle Oppio per raggiungere Via dell'Impero e la nostra postazione in una delle tribune preparate già da qualche giorno.

Presentavamo il nostro biglietto di invito e prendevamo posto, compunti e silenziosi, mentre tutto intorno a noi ferveva di vita e davamo un'occhiata al fantastico spettacolo che ci si apriva attorno, aspettando impazienti l'inizio della sfilata.

Poi, tra squilli di trombe e di fanfare, ecco arrivare, colorate garrule, tutte le bandiere e i drappi d'epoca, eppoi i cadetti di Modena, bande, paracadutisti, alpini con gli sci sulle spalle, marina, aereonautica, forze speciali, mercenari, polizia, incursori... era uno schieramento di centinaia di uomini, solo uomini, allora, mentre oggi sono presenti anche le donne, che faceva impressione alla mia mente di bambina... poi arrivavano, festosi e coinvolgenti, i bersaglieri, a passo di corsa, tra gli applausi del pubblico. Le divise indossate dfai militari erano a volte estrose e colorate, a volte quasi incolori, ma tutte meritavano rispetto e applausi...

 

Era davvero uno spettacolo coinvolgente, in cui si sentiva, con orgoglio, di appartenere a un popolo illustre, un popolo di poeti di artisti di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori... Noi fanciulli esultavamo tra la folla vociante, accompagnando i suoni delle fanfare, incitando i bersaglieri, salutando tutti...

A conclusione della Parata, scendevamo dalla tribuna con un pò di malinconia e ci apprestavamo, tra la moltitudine di folla, a tornare a casa, ripercorrendo Via dell'Impero e il Colle Oppio, a passo di parata, con corse improvvise, a passo cadenzato...

Nei giorni dopo le impressioni riportate erano ancora vivide e pregnanti nella nostra memoria e ci accompagnavano ancora per qualche tempo, fino a disfarsi in ricordi di colori e di suoni che avremmo ritrovato l'anno successivo...

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LE SUORE

 

- Foto di Andreea Leganza - https://www.flickr.com/photos - To the sky...and beyond...

 

Proprio davanti casa mia, c'era un ampio caseggiato che culminava con un dritto, acuto campanile che sfidava il cielo...

Era ed appartiene ancora alle Suore di Cluny.

Quando ero piccola, ospitava solo suore, qualche anziana signora ed un asilo pieno di bimbi le cui voci sentivo risuonare fino in casa mia. Avevo sempre desiderato poter diventare un'alunna di quella scuola e, in effetti, per un pò vi avevo frequentato l'asilo. ricordo che mi è sempre rimasto nel cuore.

Anni dopo vi andavo a trovare delle vecchie suore che non potevano uscire e con cui scambiavo notizie. Ne conoscevo parecchie e così conoscevo, per frequentazione e per il fatto di vederle sempre dal mio balcone anche le custodi che vi bazzicavano sempre, come Caterina, la cui età era indefinibile, poteva essere molto giovane oppure molto vecchia, paludata sempre in un vecchio grembiule, i capelli attorcigliati in una crocchia, gli occhiali a pince-nez...

 

E' un posto un pò magico forse perchè c'è dentro un gran silenzio che riempie il cuore di serenità.

Al primo piano rialzato c'è il box dove una suora più o meno indaffarata risponde al telefono o alle richieste dei pensionanti o richiedenti e sulla sinistra si apre un gran portale e là ti abbaglia, di giorno, un gran sole che scalda il tranquillo giardino dove sedie e tavolini all'ombra, invitano ad un sereno tempo di rilassamento.

 

La chiesa, al secondo piano era bianca, ordinata, nulla fuori posto, aspettava le suore che vi andavano a pregare con costanza o occasionali, furtive visite dei bimbi della scuola.

Ricordo le pitture alle pareti che prendevano il mio sguardo e mi affascinavano.

C'era anche il quadro della fondatrice con tanti selvaggi aspiranti alla vera fede, che poi scoprii essere del pittore romano che aveva affrescato chiese in tutta Italia ma anche addirittura a Gerusalemme, nella chiesa della Flagellazione... Era Mario Barberis, di cui ho cercato costantemente di fare collezione delle sue immaginette, sempre molto affascinanti, pregne di sentimento e di fede...


 

 


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IL NEGOZIO DELLA STIRATRICE

LE STIRATRICI. - E. Degas

Accanto alle suore, dalla parte destra che io vedevo, c'era un piccolo negozietto... il negozio di una stiratrice a cui si affidavano i pezzi più belli del corredo o ampie ed antiche coperte di pizzo e di lana, per mantenerle sempre al meglio.

C'erano gli scapoli che andavano a farsi lavare camicie e pantaloni, le ragazze che da poco lavoravano, per tener sempre a portata di mano il tailleur all'ultima moda o i vestiti per una festa, qualche casalinga che chiedeva lumi per rimettere a nuovo il suo corredo.

La stiratrice, Gabriella, era una bella e non tanto attempata signorina, gentile, bionda e grassoccia che nel lavorare parlava abbondantemente con i suoi clienti e sorridendo, dando consigli sul modo di mantenere i tessuti.

A volte, sempre smistando, stirando, piegando passava interi pomeriggi con persone che soffrivano la solitudine e che si trovavano bene a parlare con lei in quel bozzolo caldo e armonioso...

 

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SCIROPPI E LIQUORI

 

Sulla strada, proprio sopra la stanza da letto dei miei genitori, e per anni, anche mia, si apriva una rivendita di sciroppi e liquori che ogni giorno ci teneva compagnia.

Specie nei momenti di requie o in quelle grevi estate romane in cui ad una cert'ora ti prendeva una botta di sonno, che ti faceva chiudere gli occhi per pochi minuti, il rumore delle bottiglie che battevano l'una contro l'altra, che venivano scaricate, eppoi stivate nel negozio e sistemate negli scaffali per una migliore presentazione, faceva da sveglia...

Era proprio nelle ore pomeridiane che Costantini caricava e scaricava i suoi sciroppi e liquori, soprattuttto l'anisetta del cui odore, dolce e accattivante, a volte si riempiva l'aria...

Era un uomo che a quel tempo mi sembrava già anziano - ma nel crescere le cose cambiano e certe sensazioni non sono più quelle di un tempo lontano - che intratteneva una gran parte di gente che andava e veniva per la strada, che si dava un gran da fare con quelle sue bottiglie dai colori invitanti che spesso spostava, certo non per diletto, ma per far posto alle altre, a quelle appena arrivate...

Si diceva di lui che fosse un dongiovanni, che avesse tra le sue amiche anche una graziosa ballerina... e a volte, in quei pomeriggi afosi arrivava in camera anche una vocetta squillante, giovane, allegra...

Ma io non potevo veder nessuno dalla stanza del secondo piano in cui ero spesso costretta e "vietato affacciarsi" era una costante...

 

 

 

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IL NEGOZIO DI CASALINGHI

 

https://www.ilfoglio.it/preghiera/2016/09/28/news/i-negozi-di-casalinghi-sono-scomparsi-dove-comprare-ora-le-padelle-104595/



Poco prima dell'angolo della strada, c'era un piccolissimo bazar di casalinghi dove si poteva trovare ogni cosa utile e dove spesso accompagnavo la mamma per acquistare qualche pentola o qualche tazza.

La signora che vi lavorava era una bruna dalla faccia lunga e triste, magra, ossuta, un tantinello antipatica, il marito, un signore lungo lungo, insipido....
Una volta, stranamente, ci entrai con mio padre che doveva acquistare qualcosa di cui non ricordo e che, al vedere dei vasetti da notte, me ne fece provare uno, volendomelo comprare.

Ricordo solo che feci un salto subitaneo e me ne andai correndo dal negozio, con mio padre dietro, che mi rincorreva...

 

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LA DONNA CHE PARLA TROPPO

 

 

     E'  sempre al centro d'un crocchio  di  gente che   discute  ad  alta  voce  o  che   parlotta, raccontandosi qualche pettegolezzo. Alza ogni tanto il viso a scrutare questa o quella persona  di cui, con la coda dell'occhio  ha  gia' percepito la presenza, il passaggio...     
     Tra  le  voci,  la sua si  distingue  per  un timbro  alto,  sonoro e la parlata  romanesca;  di tanto  in tanto, con un intercalare o un  modo  di dire popolaresco, si fa aggressiva e tagliente.

Sulla cinquantina e forse oltre, la  figura piena,  un pò sformata,  ha  un  volto nè particolarmente simpatico  è estremamente antipatico, due  occhi attenti, curiosi che sanno essere anche  cattivi, se  provocati. 
Ma di solito e' uno sguardo che rapido  intercetta ogni  cosa all'intorno, ogni faccia sconosciuta  o nuova,  un'espressione  di stizza o  un  moto  che indichi desiderio di colloquiare.

 

E cosi', lei prende la palla al balzo,  s'avvicina e con una scusa qualsiasi - ogni pretesto e' buono - attacca bottone...

 

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CIPRIANI, IL PASTICCIERE

 

Cipriani era, ed è, un negozietto-pasticceria dove la mattina si radunavano frotte di mamme e bambini che frequentavano la scuola elementare che ho frequentato anche io, posta dietro l'angolo.

Dal negozio veniva su un effluvio di odori sereni e riempitivi, profumi che si insinuavano nelle narici per un pò di tempo, che preannunciavano già il sapore di biscottti, cornetti, maritozzi, ventagli... Che davano uno strattone ai bambini che si ribellavano all'idea di dover andare a scuola e li portavano fuori del piccolo negozio, per affrontare un'altra giornata, con aleno una golosità desiderata, nella cartella...

https://bubinoblog.altervista.org/bubinocinema-consigli-sui-film-del-7-agosto-in-tv/

 

Il negozio era piccolo, pochi metri stracolmi di dolcezze: fette biscottate, biscotti Osvego, bombe ripiene di crema, al cioccolato ed un elenco infinito di altre prelibatezze, ma accanto c'era il vero e proprio laboratorio dove si impastavano tutte quelle meraviglie, un ambiente lungo e stracarico di squisitezze.

Rimasto poi famoso perchè Sofia Loren, che all'epoca stava interpretando Filumena Marturano, aveva lavorato là, portando nel piccolo laboratorio i 2 bambini - che nel film rappresentavano due dei suoi tre figli piccoli - di cui uno solo era il vero erede di don Soriano, impersonato da Marcello Mastroianni - solo per dar loro una colazione appetibile...

Oggi il negozio è più piccolo, il luogo della scena del film è stato venduto o affittato e quindi rimane solo la parte del negozio con una vetrina e il luogo preposto alla creatività di biscotti, torte, biscottini, ecc.

Il retro si apre nel cortile della mia nuova casa, emettendo, ogni volta che si apre la porta, effluvii deliziosi, che rimangono sospesi nell'aria per un pò, facendo destare fantasie infantili...

All'interno, oltre che le solite delizie, si conservano le vecchie scatole dei biscotti di un tempo e piccoli attrezzi di pesatura...

 

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(A ZIO TEODORO) - L'UOMO CHE LEGGEVA LA MANO

     Quando ti trovi in compagnia, diventi l'anima della riunione con battute allegre e pungenti  che fanno scoppiare in risa brevi e nervose anche  te, scuotendo  il  tuo piccolo corpo  d'uomo  tendente alla  pinguedine,  mentre  il  capo  quasi   calvo s'imperla  di sudore per la foga che  impieghi  in questo impegno.
Con  una voce squillante esordisci: "Causa di  una notte  insonne e' stata la tua partenza..."  e  su questo  tema sciorini una sequela di monologhi  di natura  scherzosa  che  la  platea  dei  pochi  o numerosi  presenti segue con interesse, sottolineando i punti piu' salienti con  divertiti risolini.

     Poi,  come  sempre, quando la  festa  langue, t'improvvisi chiromante, facendo finta di  leggere la  mano  a chi, piu' pronto tra gli  astanti,  si presta al gioco.

 

Cosi' facevi anche con noi ragazzi, anni addietro, nelle tue visite piu' frequenti allora,  quand'io, radunata  una schiera d'amici, ti  presentavo  con orgoglio  come  impareggiabile  animatore. E tu, sulle mani ancora poco segnate dal tempo,  leggevi un avvenire che si presentava straordinario, ricco di positivi sbocchi, presagendo grandi fortune  ed incontri.

     ...  Quasi ci credevamo, per  la  veridicita' delle  tue parole improvvisate e per  la  serieta' con cui conducevi il gioco.


La tua parlantina via via si faceva piu' fluida e sicura e raccontavi di viaggi e di  successi, sciorinavi una serie d'eventi fortunati pronti  ad attenderci.  ma poi, un lampo negli occhi  azzurri vivacissimi  ci faceva intendere ch'era  tutto  un gioco per passare il tempo.
Scherzavi allo stesso modo, tanti anni fa, con mia madre  appena sposa e immagino il riso  che  dalle labbra le saliva agli occhi bruni ed espressivi... non era forse dissimile dal mio, sedicenne allegra e speranzosa.

     Ma a  te l'avranno mai letta  la  mano, sul serio?  Quale avvenire  t'avranno pronosticato, quali belle promesse non mantenute dalla vita?
Avranno  mai  scoperto  l'immensa  solitudine che t'attanaglia l'animo e che tu virilmente  nascondi dentro  il  tuo  essere, dietro il  tuo  volto  da folletto beffardo che si  prende gioco dell'esistenza, per non cedere alla tentazione  di disperarsi?

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IL NEGOZIETTO SOTTO CASA

 

https://libriscolasticitxt.it/blog/cartoleria-articoli-che-fanno-guadagnare/

 

il negozietto  sotto  casa...
sono  passati  anche li' decine di proprietari...  simpatici, antipatici, seri e giovali, fino ad arrivare a quello che ricordo di più... Edmondo...

Era un negozietto messo su in un ambiente piccolissimo dove si ammucchiavano quaderni,  pennini e altri articoli per la scuola.... scaffali e scaffali colmi in poco spazio...

Edmondo, uno degli ultimi proprietari era tipo Panelli, faccia ebete,  occhiali da vista pesanti, che diceva spesso:   "Forse ce l'ho, forse no", lasciandoci in attesa per alcuni minuti, prima di sapere se l'articolo richiesto era là in vendita, oppure no,...

L'attesa, era piuttosto lunga e piena di sorprese... perchè può darsi che c'era, l'articolo richiesto, oppure? ...

Edmondo, faceva anche il  pittore e, spesso, i suoi quadri, erano appesi alle pareti del piccolo negozio... senza infamia e senza lode....

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TOSCA

https://www.noisyroad.it/liste/5-canzonette-al-piano-rimorchiare-ragazze-certa-cultura_9836

La sora Tosca, che abitava nel mezzanino, sotto il mio appartamento, era tutto un poema:  manie di  grandezza, una voce roca, ci faceva ridere... eppoi c'era Ruggero, il marito  elettricista e sua figlia Anna che suonava il piano...

Non ricordo tanto altro, solo che era una gran simpaticona... un tipo alla Magnani e quello che pensava, diceva... mi ispirava una grande attrazione.--

Aveva, lì, al mezzanino, una grande cucina con uno splendido mattonato  rosso, con ancora il vecchio camino, ingrigito, nell'angolo...

Spesso andavo da lei, quando mi necessitava un pò di compagnia e un pò per ascoltare sua figlia al piano...

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LA SORA ITALIA E LA SIGNORA CARMAZZI

La sora  Italia  era seduta  sempre sotto il portone, come aspettando sempre qualcuno. Poichè era la madre di Silvano il pittore, si pensava che aspettasse lui...

Era, allora, una delle poche persone che faceva iniezioni a domiciio e quindi, di quando in quando, la chiamavamo anche da noi.

Era simpatica e comunicativa, alla pari della Signora Carmazzi, l'ostetrica diplomata, un vero asso, che faceva nascere i bambini di tutto il palazzo e tutti quelli dei dintorni...

Aveva fatto nascere anche me e mio fratello e tutti la stimavamo e la portavamo in palmo di mano....

Era una bella donna, sempre ben vestita, riverita da tutto il rione, perchè aveva contribuito alla nascita di tanti fanciulli....

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IL FERRARESE

 

   Ha la faccia arguta, segnata da poche ma profonde rughe d'espressione che disegnano sulla pelle tirata una maschera  bislacca di clown contento e due labbra gonfie che s'aprono  su  di una bocca sdentata e diritta.
Insomma, il suo è' un volto decisamente brutto ma simpatico,  simile ad uno di quei buffi ometti  di legno che nell'incavo del  corpo  nascondono  un tappo di sughero, dell'artigianato tipico del nord Italia.

     S'avvicina ad un gruppetto  di  anziane signore sedute su una panchina del parco a prendere un pò di fresco, com'è loro giornaliera abitudine.  Sul  suo viso buffo c'è'  un  sorriso animato  e scherzoso come quello d'un ragazzo che abbia in mente qualche marachella.
Le conosce ormai da tempo e le prende bonariamente in giro col suo giocoso spirito  romagnolo, calcando  la  mano su qualche loro  difettuccio e sottolineando  i  suoi  aneddoti con  scroscianti risate che gli gorgogliano in gola, mentre il  suo enorme pomo d'Adamo saltella in su e in giù.

     Si siede  anche  lui  raccontando  al  suo improvvisato  uditorio:  "L'ho vista, sa!  -  dice rivolto alla più giovane del gruppo, una settantenne ancora piacente - l'ho vista mentre passavo dinanzi a casa sua. Lei era alla finestra che sventolava il suo straccetto da spolvero; era avvolta in una bella vestaglia rosa che le donava molto..." e le rivolge altri complimenti  gentili, quasi   fanciulleschi con  quella sua vocina squillante.
La donna ride  contenta,  ringiovanita per un attimo, poichè si sente al centro dell'attenzione di quell'uomo imponente.

     "E la contessa...? - fa poi, rivolto alle altre - oggi non è venuta?" La contessa è' un'altra ultrasettantenne a cui lui "fa  il filo" sempre giocosamente ed una volta le ha persino baciato la mano, rammenta.
Le donne sorridono... la presenza del ferrarese le fa  sentire  femminili nonostante  l'età e gioiscono, parlottando tra loro, sferuzzando veloci i loro interminabili lavori a maglia...

 

  

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IL CESTAIO…


Dietro casa un piccolo negozio un pò incolore, quasi del tutto ingombro di cesti e piccoli mobili in bambù…

Il gestore aveva un volto tondo, piatto quasi come quello del suo piccolo cane aggressivo i cui occhi tondi tondi, sembravano volessero schizzar fuori…


Sembra sempre un po’ fuori del mondo, la testa sempre un pò svagata, è un uomo di mezza età che intreccia vimini chissà da quando.... Un'arte preistorica che ci siamo portati dai tempi dei tempi...

Intrecciava vimini sin da ragazzo, senza attrezzature difficili da reperire e da maneggiare, bastava un coltello, un falcetto, un martello, un pò di fantasia e di abilità, una sedia per sedersi all'aperto, magari sotto un tetto, poggiare l'oggetto da lavorare su un piano rigido, eppoi ecco la fantasia e l'abilità che permettevano la realizzazione, nelle forme più svariate, dal cestino fino ad un capolavoro... Erano rami di salice oppure di giunchi, trattati per qualche tempo, fino a raggiungere la consistenza desiderata...

 

E lui, da buon lavoratore, stava là, davanti al suo negozio ad intrecciare, con pazienza e amore...

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IL MAGAZZINIERE

 


https://www.legaliguria.coop/le-maschere-della-commedia-dellarte-in-scena-ai-centri-commerciali-coop-liguria/

 

     E' un uomo non troppo alto, tarchiato,  rozzo di aspetto e di modi, ma è' un gran lavoratore e a modo  suo  ha buon cuore. Ha fatto ogni  sorta  di mestieri e me li elenca, un giorno,  raccontandomi aneddoti  riguardo  al suo  passato  di  muratore, quando  con  una ditta di  costruzioni  restaurava Castel Sant'Angelo.

Ha persino fatto il cuoco alla Città del Vaticano, iniziando come semplice sguattero e, un giorno che mancava il primo cuoco, s'è ritrovato  a  preparar  manicaretti per centinaia di persone. Ma  ogni volta, e' riuscito con buona  volontà e con  un po' di furbizia a portare a termine  quel che ha iniziato e a cavarsela egregiamente.

     Ogni  giorno imballa, in cassette di legno  o in carta catramata, quintali di materiale che  poi verra' spedito in ogni angolo del mondo. E'  burbero e spiccio di modi ma generoso, tranne quando qualcuno lo fa arrabbiare,  mettendo  in dubbio la sua onestà e la sua esperienza:  allora diventa paonazzo dalla rabbia e tira  giù una decina di moccoli senza tirar fiato e per tutto il giorno  s'aggira nel magazzino polveroso  con una faccia tetra e tirata.
E'  attorniato,  in  quell'ambiente buio, da centinaia di  scatoloni  e  armadi  e   scaffali contenenti  le  merci  piu'  svariate:  manifesti, riviste,  articoli di propaganda, oggetti  di valore. In fondo al locale, poi, tra la polvere e le ragnatele, quasi marciscono, in ampi  scatoloni ricoperti  d'uno spesso strato di polvere, bellissimi vestiti regionali, bandiere da  pennone e da tavolo, un piccolo carretto siciliano dai colori ormai stinti... tutti oggetti che un  tempo venivano inviati all'estero in occasione di manifestazioni fieristiche, per dare un tocco di vero folklore italiano.
Oggi,  invece,   giacciono  là,  in  fondo, nell'oscurità,  come  tanti altri  oggetti dimenticati.
Negli  armadi allineati sulla  destra,  invece, accuratamente inventariati, sono disposti nel disordine più completo, altri  articoli di squisita fattura: ceramiche fatte a mano, vetrerie di Murano, piatti di rame lavorati a sbalzo, pezzi altamente rappresentativi dell'artigianato italiano.  Sopra gli armadi, grigi ormai  per gli anni, dominano le austere teste dei cesari e il corpo vigoroso del David in dimensioni  ridotte, calchi in gesso, qualcuno un po' sbreccato.

     In  questo  guazzabuglio di oggetti, il magazziniere si muove, nel suo consunto camice nero,  come Efesto nella sua  fuligginosa fucina, mobile e svelto, inchiodando con tremende martellate un'asse sopra l'altra e costruendo le sue cassette da riempire; su cui poi incollerà etichette ed indirizzi,  legando, ordinando la merce negli scatoloni per impedire che sciaguatti nel trasporto.

     In questo lavoro l'aiuta il figlio maggiore, un giovanottello dall'aria spaurita e trasognata, esile, con  due occhi quasi  tristi: sul  labbro superiore ancora infantile, appena l'ombra d'una lieve peluria bruna da adulto.
Appena conclusa, tra sforzi e svogliatezza,  la terza  media, il padre l'ha messo a lavorare  sodo nel  magazzino e lui ha indossato il  camice  nero che lo rende ancora pIù esile e triste. A volte lo vedo imperlato di sudore per il troppo sforzo di sollevare quell'enorme cassa piu' grande di lui, ma mai che si lamenti, mai che maledica,  come sovente fa il padre.  Sembra già rassegnato, oppure forse ha dentro di se' risorse e speranze di certezza che un giorno o l'altro troverà un altro lavoro più consono a lui e potra' lasciare quell'antro buio in cui ora gli tocca trascorrere la sua giovinezza.
E a volte, mentre se ne sta fermo ad attendere gli ordini  del padre, il suo sguardo si fissa  su  un punto  indefinito del locale e sul suo viso  magro appare, trasognato e diafano, un sorriso...

 

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I CASSONETTI

Sono passati degli anni ed ora non ci sono più i mondezzai di una volta... Quelli che un giorno sì ed uno no, venivano nei singoli palazzi, ti bussavano e chiedevano se avevi per caso della mondezza da buttare...

Non riesco a capire come fosse possibile una volta, avere dei mondezzai che venivano, un giorno sì e l'altro no a raccogliere direttamente in casa, l'immondizia.

Ormai era diventato un amico a cui consegnare quello che si voleva buttare, di cui si sapeva il nome, a cui offrire un caffè al volo...

Mi sembra quasi inconcepibile, ora, buttare la mondezza, differenziata, in uno di quei tre o quattro cassonetti presenti davanti al proprio domicilio, in mezzo alla strada, senza poter dare un nome, una figura, a chi poi la raccoglie. Di notte, passano i camion per la raccolta, senza nome, senza alcuna distinzione, facendo un rumore assordante nel silenzio della notte---

... E’ una domenica di fine agosto, la città è vuota, un silenzio pesante e quasi innaturale grava sugli antichi palazzi, sulle poche auto parcheggiate nella strada… il caldo piove spietato dall’alto e sale soffocante dall’asfalto, creando una cortina di vapore che offusca la mente...


Nel silenzio, dalle finestre aperte sale sino a me una voce concitata che borbotta quasi tra sé e sé parole senza senso… è un brontolio cupo, poi il rumore secco provocato dall’apertura di un cassonetto.

Spinta dalla curiosità m’affaccio e guardo sul marciapiedi sotto le mie finestre e lo vedo là, piccolo dall’alto, che fruga con movimenti frenetici, tra la spazzatura. E’ uno dei tanti spostati senza tetto, un poveruomo non tanto malvestito ma con giubbotto, borsello a tracolla e addirittura un sacco a rotelle per una ipotetica spesa, che fruga nell'oscurità del cassonetto, per vedere cosa ci sia da portar via…

Mille cassonetti, una volta verdi ma ora già corrosi dalla ruggine e dallo sporco, stazionano dinanzi ad ogni portone della città per la raccolta delle immondizie; ognuno di essi è come un piccolo cosmo a se stante, un piccolo universo in cui si mescolano rifiuti e tesori.
E centinaia sono le persone che vi frugano dentro, alla ricerca di qualcosa:  i senza tetto, i barboni che vagano senza meta nella città e sperano di trovarvi capi d’abbigliamento ancora decenti e i più disperati cercano forse qualche avanzo ben incartato con cui sfamarsi…

Ma poi ci sono altre figure, forse più anacronistiche e singolari: i signori di una certa età, ben vestiti, signore avanti con gli anni, con cappellini e guanti fuori moda che frugano nelle profondità di questi putrescenti ventri da cui a volte estraggono tesori di epoche passate, residui di vite senza eredi ormai consumate o ricordi inservibili d’un passato lontano: antiche bambole dagli attoniti volti di bisquit, coi loro guardaroba e interi arredamenti, busti, corredini, quadri…

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L'UOMO CON LA VALIGIA

 

https://genovaquotidiana.com/2019/03/23/la-fuga-di-alvise-dalla-residenza-per-anziani-alla-ricerca-della-sua-giovinezza/

   

 

  Percorre una strada deserta, un lungo  viale alberato che porta fuori dal centro della città', diritto nelle esili spalle, con un certo portamento dignitoso che si ritrova, accentuato, nel vestire dimesso, un po' logoro ma pulito  e ordinato.  Un volto che doveva essere stato  bello ma che  ora è incavato,  stanco,  un'aureola  di capelli bianchi tenuti indietro secondo la moda di parecchi anni prima.
In una mano ha una grossa valigia di cuoio marrone un po' rovinata agli angoli ma tenuta in forma da larghe cinghie laterali... è un pò pesante e lui la  porta  quasi a fatica. Di tanto in  tanto, la posa in terra, quasi a voler riprender fiato, poi la passa nell'altra mano e prosegue.

     Fa  una  sosta  in  un  piccolo  giardino  di periferia  dove  quattro  alberelli scheletriti gettano una lieve ombra su quattro panchine di ferro.  Con un sospiro di  sollievo, il  vecchio siede, rimette in forma il bavero della giacca, poi apre la valigia che ha sistemato accanto  a sè'.
Sarà' un lampo di gioia o di tristezza quello che gli passa nello sguardo, mentre ne scorre il contenuto?  L'uomo richiude la valigia dopo aver sistemato  qui  e là qualcosa  che deborda  poi, riprendendola  saldamente in mano,  ricomincia a camminare.
Attraversa una piazza che lo immette in una grande arteria affollata di gente, piena di negozi di cui lui, distrattamente, guarda le vetrine: un via vai di genteoperosa o fannullona che corre, si ferma, vocia, si sfiora lesta o tranquilla. Volti e voci che non gli appartengono, che si  accalcano,  si accavallano gli uni sugli  ltri,  si perdono, diventano un'unica immagine in movimento. Il  vecchio procede lentamente, posa un attimo in terra il suo fardello: un passante  frettoloso e disattento che proviene dall'altro lato,  correndo urta la valigia che, caduta in terra violentemente,  s'apre mostrando il suo contenuto al grigio selciato che si copre di macchie multicolori.

     Il vecchio, con un'esclamazione lamentosa si china e cerca di  salvare i  suoi  tesori dal travolgente ritmo della folla. Qualcuno si  ferma accanto a lui e tenta d'aiutarlo raccattando qui uno  spartito, là'  un archetto da violino, un calamaio di vetro ancora  intatto, una piccola armonica. In  fondo alla valigia sono  rimasti  ancora  in ordine, pochi indumenti puliti e piegati con cura, una  bamboletta di porcellana che lo guarda con occhi attoniti e qualche fotografia d'una  bella bimba bionda e graziosa che sorride dinanzi all'obiettivo.
I ricordi di tutta una vita sono nella valigia del vecchio, ricordi d'un passato senza tempo, di quando lui  suonava il violino, applaudito e famoso, poi caduto in disgrazia a causa di quegli scherzi crudeli che talvolta il destino ci infligge. 
La bambola e le foto sono l'unico frammento ancora esistente, oltre ai ricordi che non lo abbandonano mai, che ancora lo lega alla piccola  Iris, la figlioletta morta a soli dieci anni per un male incurabile.

     L'uomo s'affanna a raccogliere da terra ciò' che  resta  della sua vita d'una volta,  tutto un passato dentro una valigia di cuoio marrone. La richiude e la spolvera con cura col fazzoletto, l'impugna saldamente nella mano e, attento ora alla folla che gli viene incontro, continua a percorrere quella lunga strada piena di gente sconosciuta, diritto nel portamento, con la sua aria dimessa ma dignitosa...

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L'OROLOGIAIO

 

     E' un uomo ancor giovane, bassino di  statura e con una corporatura solida. Due baffi spioventi danno al suo viso dei  tratti prettamente  romani  da ex ragazzo di borgata un chè di sudamericano. Ma la grossolanità del retaggio popolaresco viene riscattata da un paio di occhi azzurro intenso ed estroversi.    
Ha due mani mobilissime  nonostante non siano davvero sottili nè affusolate, agili e pronte a recepire ogni minimo segnale che provenga dal piccolo meccanismo.

     In esso vi è tutto un mondo affascinante che vibra,  palpita ed emana una vita tutta  sua, misteriosa e prodigiosa, un piccolo mondo di congegni e rotelline,  ognuno dei quali è  un micropianeta di un microcosmo dorato che sussulta in sincronia con gli altri e la pulsazione di ognuno di essi si fonde in un ritmo cadenzato più' o meno sonoro ed equilibrato.

Ora questa perfetta sincronia si è  spezzata e l'orologiaio interviene a riparare il guasto. Quando apre l'orologio e ne scruta il contenuto, lo fa con sottile piacere, quasi con meraviglia, come fosse la prima volta che viene a contatto con questto prodotto dell'ingegno umano.
Ogni nuova esperienza produce un fascino sottile, un pizzico d'euforia, la stessa che prova un bimbo che apra il suo giocattolo preferito per osservare cosa contiene.

E quando si appresta ad intervenire sul delicato meccanismo,  per cercare di ovviare alle imperfezioni,  ha la stessa aria meticolosa di un chirurgo che affronti un'operazione delicata ma semplice e  le  sue mani  esperte  ed  abilissime diventano due eccellenti, veloci strumenti che frugano nelle viscere tortuose e complesse del congegno conosciuto sin nei minimi particolari.

     Ecco,  è là,,  sotto quella piccola ruota dentata che si annida il guasto,  è là  che bisogna introdursi con pazienza. Inforca la lente- monocolo e tutto gli si fa  più chiaro,  le apposite pinze vengono manovrate con leggerezza per non alterare l'armonia di quel creato, il meccanismo viene rimesso in moto per un controllo e viene tenuto in osservazione come un malato  di cui si segua la convalescenza.
L'operazione è terminata, si può richiudere la cassa liscia e fredda al contatto; il paziente  è,' ormai,fuori pericolo!

     Gli occhi azzurri ridono silenziosamente per la soddisfazione e le flessibili mani che hanno or ora compiuto una magia, ritornano a tormentare i baffi spioventi...

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I GIOCATORI DI BOCCE

 

 

https://www.cambiaste.com/it/asta-0317/anonimo-del-xx-secolo-6.asp

     Sotto  una  tettoria di ferro, nell'ampio campo al Colle Oppio, due campi da bocce cosparsi d'una polvere  finissima,  color terra di Siena.

I giocatori sono raggruppati lungo un solo versante del campo, ognuno stringe nella mano una boccia che lucida con un panno, prima di tirare. Sono quasi tutti di mezza età, qualcuno proprio anziano, visi larghi e cotti dal sole o lunghi, incavati, presi dal gioco.

     Non conosco le regole e per me è un enigma lo svolgimento del gioco o capire a chi va il punto, ma l'atmosfera che vibra nell'aria mi attrae, mi fa stare all'erta ad ogni  tiro dei singoli partecipanti, attenta alle sfumature di gioia o d'ira repressa che passa sui loro volti. Uno alla volta essi si concentrano, lucidano la boccia, fanno qualche passo indietro, uno di essi lancia il boccino ed ecco, la partita ha inizio.
Il primo giocatore fissa il boccino, fissa la boccia che sta per tirare come per penetrarla, facendosi parte di essa, prende la mira, attira a sè la sfera, allunga il braccio e la lancia: la pesante palla fila sulla terra liscia come se conoscesse già la strada, con una levità inattesa nonostante il peso... poi si ferma a pochi centimetri dal boccino!

Uno  dei giudici di gara ha in mano una stecca  di ferro  con uno spunzone da un lato: s'avvia verso il  punto in cui la boccia s'è  fermata  e già' prima di giungerle vicino, al suo occhio esperto il punteggio è' già chiaro, ma per buona regola misura le distanze, traccia dei segni sul terreno intorno alla boccia, racchiudendola in un'area delimitata.

     Ora s'appresta a tirare a  sua volta lo sfidante che cercherà di battere l'avversario che ha totalizzato un buon punteggio. Decide di bocciare:  prende la mira, alza la palla, la tira con tutte le sue forze facendole percorrere una traiettoria che la porterà a tutta velocità' contro quella avversaria, escludendola dal gioco. A volte riesce nell'intento eliminandola e piazzandosi al suo posto, a volte s'allontana definitivamente dal boccino, preparando però il terreno per i tiri degli altri concorrenti.

     Alcuni dei giocatori sono dei veri maestri ed eseguono tiri irripetibili, da manuale.  Riversano nelle bocce lanciate una tale vitalità che le sfere sembrano dotate di qualità straordinarie, riescono a scansare bocce ben piazzate, ad effetturare curve e giravolte che le portano a pochi millimetri dal boccino. Rari sono i  tiri che finiscono sul fondo del campo destando un fragore di legno percosso.
E il giudice di gara s'avvicina, alza nell'aria la sua bacchetta di ferro, disegna sulla terra i suoi incomprensibili geroglifici e decreta la  vittoria finale.

     E' tutto un rito per me ignoto che ha qualcosa di  magico: la figura del giudice mi rammenta quella d'uno sciamano africano con i suoi gesti rituali, i suoi scongiuri, i suoi misteriosi disegni...
E', comunque, un'atmosfera piacevole, cordiale, allegra e senza alterchi, un'incruenta battaglia senza vincitori nè vinti, in cui la spontanea ammirazione per un giocatore più abile è l'invisibile alloro che cinge la fronte del migliore.
Tutto si conclude con una amichevole stretta di mano, con sorrisi aperti, sinceri su quei  volti già avvizziti...  e con un appuntamento per la prossima partita che si giocherà su quello stesso campo coperto di polvere fine, impalpabile, color terra di Siena...

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LA SIGNORA EVELINA

https://osservatoriosenior.it/2020/01/una-telefonata-di-auguri-e-non-solo/

 

     Su una panchina del giardino siede la signora Evelina, una settantaduenne ancora ben prestante e curata  nell'aspetto e nel vestire,  coi  capelli d'un bel color castano dorato - naturalmente tinti -   ed una dentatura invidiabile, naturalmente ricostruita.
Sta seduta accanto ad altre tre donne, della stessa età: le  prime due, l'altra che lei affettuosamente e con un  pizzico di ironia chiama  "mamma", già ottantenne. Si riuniscono ogni pomeriggio su quella panchina del parco per raccontarsi gli  avvenimenti  della sera prima e della mattinata appena trascorsa,  le loro  piccole gioie, le angherie subite, più o meno immaginarie, o per scambiarsi ricette di cucina e consigli.

     Evelina  si  è avvicinata al gruppo brontolando per  qualcosa che le è capitato la sera avanti e che non le ha fatto chiudere gli occhi, ma è sempre cosi', ogni giorno ha qualche lamentela su cui imbastire un discorso. Le altre tre, che bonariamente la chiamano "la brontolona", sono più tranquille ormai rassegnate su come va il mondo e l'accolgono con un "Benvenuta" sonoro poichè anch'esse si lasciano soggiogare,  senza  volerlo,  dalla personalità dell'Evelina,  una  "ragazzaccia"  dal carattere forte e un pò aqggressivo che poi in fondo è' una gran brava  donna e si sacrifica volentieri e spesso per  le  altre, accompagnandole a  far la spesa, preparando loro qualche pranzetto,  tenendo loro compagnia, dando insomma una mano a  chi  è' più' debole.
Evelina non ha mai dimenticato nè' rinunciato alle sue origini di contadina friulana abituata a lavorare duramente e con amore sin dalla adolescenza, a lottare contro le avversità della vita,  anzi quella connotazione caratteriale, solida, teutonica quasi, ordinata e laboriosa che le deriva dall'ambiente in cui è stata  allevata, le è stata di molto aiuto in vari frangenti della vita.
Anche se - come soggiunge - il mio Amedeo me lo diceva sempre: "Sforzati di cambiar carattere, almeno un cincinino",  ma io non ci sono  mai riuscita in  tutti  i cinquantanni che abbiamo trascorso insieme.

     Tutto questo mi racconta l'Evelina, col  suo cipiglio asburgico, addolcito da un tratto d'innocente femminilità a cui ancora non ha rinunciato,  poichè per caso mi son seduta  sulla panchina accanto a quella in cui siede lei assieme alle  compagne.  E parla, parla, parla  quasi a sfogarsi del  mutismo obbligato a cui  ha dovuto sottostare durante l'intera mattinata nella solitudine che le pesa, specie da quando  Amedeo non c'è più'.
Ma nei  suoi  discorsi  lui  continua  a  viverle accanto una nuova vita fatta di passato e di presente: " Quando c'era  Amedeo avevo  più  voglia di preparar pranzetti...  comunque ora non faccio come tante che si abbattono e tirano via in casa e vanno avanti a mangiar un ovetto o del  formaggio. Io  mi cucino delle belle pietenze gustose, sa?  e non delle piccole quantità', ma dei bei  piattoni...
Poi magari conservo il rimanente nel freezer... (e storpia un pò la parola inglese con la sua calata friulana). Non sono una cattiva donna, sa?, ma  il fatto è che se mi fanno qualche sgarbo non mi riesce di  sopportarlo. Debbo reagire,  almeno a parole. I miei mi dicevano Ama il tuo prossimo, fai del bene, non odiare nessuno ed io non odio, ma se mi fanno arrabbiare...".
 
     Poi racconta dei suoi quasi quotidiani viaggi sino al Cimitero di Prima Porta dove va "a trovare l'Amedeo"  e qualche altro conoscente sperduto nell'immensa  area dove, purtroppo, i  vivi  non vanno con tranquillita'. Anche lì,  nella megalopoli dei morti, si è soggetti a scippi o  a cattivi scherzi e lei è ancora tutta turbata perchè ieri qualche sconosciuto ha tolto dalla tomba di Amedeo una pianticella che lei gli aveva portato con tanto amore qualche giorno prima. - Non per i soldi, sa, ma per il brutto gesto... -
"  E quando son li' - continua senza interruzioni poichè' s'è' accorta che io sto ad ascoltarla, che ho voglia di ascoltarla e di penetrare in quel suo piccolo mondo di cose quotidiane e forse banali, ma  che  per  lei rappresentano la sua  vita  -  e quando sono li, mica mi vergogno a dirlo, io gli parlo all'Amedeo come se fosse vivo e gli racconto le mie giornate, i miei pensieri, i miei desideri.
Lui mi ascolta, lo sento, come faceva in vita e approva o dissente secondo i casi. Prego per  lui ma  poi gli dico, sicura che mi capirà':  "Amedeo, ora  prego un po' per quei morti che non hanno nessuno che  pensi a loro. Tu nei hai  tante di preghiere, puoi ben fare a meno di qualcuna!".

     Il tempo passa nell'assolato giardino e senza che ce ne accorgiamo, scende la sera. Le  quattro signore s'accingono a rientrare in casa: s'alzano, mi salutano e con l'Evelina baldanzosa in testa al piccolo drappello, s'allontanano lentamente  lungo il viale semideserto...

 

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DUE GIOVANI TURISTI

 

 

     Mi vengono incontro nella strada semideserta: hanno qualche somiglianza nel viso bruno, entrambi di statura piccola,  mediterranea.

Camminano  spediti,  quasi con fretta,  come se temessero di far tardi ad un appuntamento ma lei, la  giovane, è'  attenta a  scrutare davanti ed intorno a sè e dopo una breve occhiata confabula sveltamente con il suo compagno.

     Non l'avevo  notato  prima,  ma lui ha un bastone nella mano destra e con la sinistra si aggrappa quasi alla borsa di lei, che lo guida.

Il giovane è cieco, gli occhiali neri nascondono  il suo sguardo atono. La ragazza sta ora consultando una guida di Roma e si  ferma infatti dinanzi al tempio antico: sembra osservarne ogni particolare,  ogni  segno lasciato dal tempo per metterne poi al corrente il ragazzo  che,  immobile, un passo  dietro di lei, attende che lei concluda, ascoltando con interesse ciò che lei gli va descrivendogli.

     Proseguono, ora, ma, mentre avanzano con aria disinvolta, inciampano in un gradino,  lui  che non vede, l'altra che lo guida, senza alcuna differenza. 

Riprendono subito l'equilibrio, lui prima ancora della sorella,  attraversano svelti la  strada, dirigendosi  verso la chiesa il cui  snello campanile, nel tramonto ncipiente, s'avvampa di tinte  rosse  e dorate. 

Il  sonoro  battito del bastone sul selciato, cadenza il passo rapido  e senza cedimenti del ragazzo...

 

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LA MANO TESA

 

https://www.varesenews.it/2019/12/lelemosina-non-bene-la-riceve-frati-busto-laccattonaggio/884169/

 

     Col suo fagotto colmo di stracci, seduto sul parapetto di marmo che costeggia il sagrato della chiesa, fuma una sigaretta rimediata chissà  come,  ne centellina lentamente  l'aroma.  Bruno di pelle, rossiccio di capelli sotto una patina di polvere e di sporco, forse appartiene ad uno  di quei tanti gruppi di rifugiati stranieri che credono di  trovare qui un lavoro, pane e libertà  e  non trovano altro che  confusione, indifferenza, difficoltà, povertà e forse anche la morte.

     All'approssimarsi  di  qualche gruppo di persone, tende quasi vergognandosi una mano, ma non si attende nè carità' nè comprensione, lo si vede  da  tutto  il suo  atteggiamento che  direi rassegnato.
Ritira  la mano e con lo sguardo perso  nel  vuoto segue, forse, le ultime volute del fumo e  qualche ricordo lontano.

     L'avvicinarsi d'un bimbo con  mille  lire chiuse nel piccolo pugno, lo trova ancora  immerso nelle sue  fantasticherie, da cui si risveglia quasi con stupore... Riceve l'obolo con un moto di sorpresa, sgranandondogli in viso due azzurri occhi splendenti, colmi di gratitudine per quel gesto di  solidarietà. E segue con lo sguardo riconoscente il piccolo che corre via ma poi si volta a guardarlo ancora per un attimo  e  allora lui,  con un sorriso negli occhi, che rende una bellezza imprevista a quel volto tormentato,  gli manda un bacio sulla punta della dita...

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FRA' IGNAZIO

 

   Col saio bruno, attillato  contro un corpo tondeggiante, il  piccolo frate passa lungo le navate affollate di fedeli e, banco dopo banco tende, per raccogliere le offerte, un cestino di vimini che non sempre viene riempito secondo  le aspettative,  poi scompare svelto nel buio della sagrestia da cui, lasciato il saio, percorrendo  i lucidi corridoi della Casa, torna alla sua cucina dove preparerà eccellenti  manicaretti per la Comunità di religiosi e di studenti che  vi abitano.
La  cucina  e'  un ambiente grande, dominata al centro dalle  grandi piastre metalliche su cui pentoloni enormi sobbollono di continuo e dove  la rumorosa,  mastodontica  lavapiatti inghiotte e risputa fuori le stoviglie gia' lavate. 
E'  lì,  tra quelle pareti bianche e ornate di mestoloni argentei, di coltelli d'ogni misura, di ogni genere di attrezzi e dove lui, così  piccolo quasi si sperde, che Frà Ignazio esprime la sua personalità,  correndo di qua e  di  là,  dalla spianatoia ai fornelli, armato di  forchettoni, apparendo e scomparendo tra i vapori del lesso, degli  stufatini,  tra gli aromi speziati dei tortelli, dei bocconcini di maiale, dei contorni all'agro che con incessante fatica, ma soprattutto piacere, egli prepara.

     Nel  suo parlare, l'accento sardo è rimasto indelebile e ritmico a sottolineare alcune sillabe e spesso lui stesso ci scherza su, dicendo d'esser nato a  Firenze o in un'altra  città del  Nord.
Chiacchierando gesticola un pò, muovendo il corpo piccolo e grassoccio, la faccia ilare  illuminata da un sorriso, mettendo involontariamente in mostra i moncherini delle dita d'una mano che, per distrazione o accidente, un giorno gli sono rimaste nell'ingranaggio di un tritacarne.
Nel vicinato conosce tutti e tutti lo  conoscono, lo interpellano allegramente per quella sua  aria da cuor contento e i commercianti presso  cui  si serve nell'antico mercato rionale lo individuano, nonostante la sua piccolezza, nel viavai  caotico degli  avventori,  lo  chiamano  per  nome,  gli combinano  burle  a  cui lui fa  spallucce  e  che ricambia  e  lo  servono  con  cura   particolare, mettendogli a disposizione i migliori esemplari della loro produzione.

     Ma  forse io me lo ricorderò  sempre  così, come  l'ho  visto in quei brevi  giorni  trascorsi insieme  in  Jugoslavia, in quei  giorni di pellegrinaggio  a  Medjugorje, - una  maglietta  a righe,   stretta  sull'addome,   un cappelluccio anch'esso troppo stretto per il suo cranio tondo e quasi  calvo, a tracolla l'immancabile borraccia colma di Vernaccia che s'era portato da Roma e con cui generosamente  ci  dissetava. 
Sembrava la  mascotte d'un  piccolo  esercito  in procinto  d'andare  a combattere  per  una  guerra santa. 
E noi  eravamo  davvero  un   piccolo,   caotico drappello  d'anime, ognuna con i suoi problemi od afflizioni personali, ognuna col cuore aperto alla speranza  di trovare laggiù - in quello  sperduto paesetto della Bosnia-Erzegovina, di  cui all'inizio  non  riuscivamo  neanche a compitare correttamente  il nome - uno spiraglio  aperto  da cui poter intravvedere il cielo...

 

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http://www.ancoraonline.it/2013/12/18/la-bellezza-del-presepe/h-statua-di-pio-ix-che-guarda-la-reliquia-e-altare/

 

  

SANTA MARIA MAGGIORE

 

Santa Maria Maggiore,
chiesa della mia infanzia,
sotto le cui navate, un brivido leggero,
di freddo e commozione,
dietro la schiena mi saliva.

 

Mentre, vanamente tentavo di toccare
il piede bianco e gelido di marmo
della statua severa di Maria,
Regina della Pace, irraggiungibile.
Dinanzi a cui la cera liquefatta
delle candele accese disegnava
immagini di gnomi e vecchie oranti.

 

Il coro delle voci gravi e compunte
delle Messe sontuose, solenne rimbalzava
contro lo splendido soffitto a cassettoni
dove l'oro zecchino risplendeva
ad ogni raggio di sole fuggitivo,
inventando misteriosi arabeschi.

 

Dietro cui mi perdevo, sognatrice in erba,
navigando tra le imponenti colonne levigate,
stordita dal disfatto profumo
dell'incenso e dei fiori.

 

Ma dal segreto dei confessionali,
simili, allora,
a tenebrose celle di tortura,
per quel sottile flagello
infisso nella porta, rifuggivo,
l'animo trepidante di paura...

 

 

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LE SUPERIORI

 

https://curiosando708090.altervista.org/a-scuola-negli-anni-60/

 

 

     Patrizia - sono io - mi presti il quaderno di francese? 

"É sul banco, prendilo, anzi no, aspetta, che controllo se tutto  é in ordine". "Dina, mi dai il tuo?". "Va bene Carla, all  right!".
"Lo  sapete che Maria Grazia oggi é andata ad  un  matrimonio?"

 "Beata  lei..."esclamano in coro venticinque facce sorridenti  di ragazze, nel breve intervallo tra un'ora e l'altra di lezione.

É un  intrecciarsi  di  domande, di battute, di  risate  a  stento trattenute, risate per un nonnulla come capita nell'adolescenza.

Io mi metto a cantare "Ho chiuso le finestre e sto  piangendo..."

"Ma  chiudi  la  bocca, che é meglio"  commenta  Carla  col  suo vocione  e l'irriducibile spirito toscano.

Audino legge,  Daniela sta   stendendosi   lo  smalto  sulle   unghie - trasparente, naturalmente, sennò sarebbero guai, qui non é permesso truccarsi e ci costringono i giovani corpi prorompenti in severi  grembiuli neri  appena rischiarati da un collettino bianco.
Di  Ferdinando, Mirella  e  Andreina,  politicanti  accanite,  s'infervorano   in discorsi  di  cui forse ancora non comprendono la  portata;  altri gruppetti  chiacchierano e chiacchierano senza posa e tra poco  la professoressa di francese - che noi chiamiamo Nonna Abelarda,  le ammonirà  con  la sua voce acuta:

"Taisez vou, taisez  vous,  je vous  en prie!" o quella d'inglese dell'anno passato che  diceva: "Please, be silent..." scuotendo la testa da destra a sinistra ad ogni frase.
Quest'anno  però  abbiamo  quella noiosa della...  non  che  sia antipatica,  ma non la sopporto per quel suo continuo  batter  di piedi  sulla pedana.

"Mi ripeti la lezione, Patrizia?" "Come  no: Les auxiliares du commerce... "

"Ma che sgobbona, lo sai che oggi non ho nemmeno aperto il libro di tecnica?".
"Ragazze, silenzio,  eccolo che arriva!" "Sst, sst".

E  la  classe piomba improvvisamente  in  un lugubre  raccoglimento. 

Ecco  il professore  "Buon giorno, professore - diciamo noi - "Buna  sera" fa  lui  (chi ha ragione? Sono le 14,30) e sbatte la  porta  con vigore! Bum!

"Uffa, oggi ha i nervi - pensiamo all'unisono -  che bella cosa!".
"Biondi,  mi  dai  il  diario?"  bisbiglia  qualcuno   sottovoce. "Ragazze  zitte, altrimenti ti interrogo" minaccia lui. Tira  una brutta  aria.  "Barbaresi - sibilo io - non ti mettere  vicino  a Zullino oggi, devi stare accanto a me"

"Fontana, fuori! tuona lui e a capo chino, confusa ed un pochino delusa esco di classe, ferita nel mio  amor proprio, poiché  non sono adusa ad un simile trattamento.
La porta si chiude dietro di me ed io trovo la battuta pronta "Beh, meglio essere mandata fuori che interrogata!" come quella barzelletta che mio nonno raccontava ad ogni minima occasione, come  diceva...  sì, quella  del  tema "Il treno passa.  Riflessioni".
Il ragazzo, l'impertinente di turno, scrive: Ed io mi scanso".
Il professore, di rimando:  "Ed io ti  boccio" e da qui la conclusione dell'intelligente  alunno - a cui va tutta la mia comprensione - "Meglio essere bocciato che finire sotto un treno".

Ah, ecco Zullino che sta facendo un giro tra le classi per cercare adesioni al CUS, una specie di gruppo sportivo delle scolaresche.
Mi  rivolgo  a lei, una ripetente alta e simpatica,  che  viene criticata  spesso  dai professori per qualche  lieve  accenno  di matita  attorno agli occhi, rigorosamente vietato alle alunne  di questa  rigorosa  scuola  femminile  superiore  condotta  da  una Preside severa e ossuta, con una gran chioma di capelli lunghi  e ricciuti  che  mi  rammentano un ritratto di  Mozart. 

Mi  faccio coraggio "Vengo anch'io, il caro professore mentre tu eri in giro mi  ha sbattuta fuori dell'aula perché chiacchieravo. Che  bella soddisfazione  dover  passare due ore senza  poter  far  nulla.".
Scendiamo  insieme al piano sottostante e lei trae dal  grembiule nero, che mortifica le sue forme già adulte, un paio di  occhiali neri  "Bella  questa, da quando porti gli occhiali?"  "Lo  faccio solo per nascondere il trucco", è la risposta.
Eccoci in una classe di prima, ragazzine, che vociano come tanti pulcini  che reclamino il mangime "Ragazze - urla Wanda con voce stentorea  - per farsi udire - debbo chiedervi un attimo di silenzio, per illustrarvi questo...

Finalmente,  attratte  dalla  novità, ci  attorniano  come  tanti anatroccoli neri che si raccolgano attorno alle madri, un tantino impressionate dall'apparizione di quella ragazzona grande, ai  loro  occhi  importante, ma poi appena  lei  ha  spiegato  le ragioni della sua intrusione, il chiacchierio ricomincia, ora  in una  tonalità più acuta e concitata di prima.

Pensare che  solo due  anni  fa  eravamo come loro, ancora  immature,  penso  io...
Lanciato  il messaggio, stiamo per andarcene e passare ad  un'altra classe, quando una ragazzina meno timida delle altre ci chiede se abbiamo  da vendere dei libri usati negli anni precedenti.  Sarebbe un'attraente possibilità per delle squattrinate studentesse come noi, ma ogni nostra speranza svanisce dato che le nostre edizioni sono ormai sorpassate. Mi vengono in mente le parole di mia madre "Ladri, sono ladri. Debbono speculare anche sull'istruzione,  sui libri. 
Quando  andavo  a scuola io, i  libri  si  passavano  dal fratello  maggiore  a quello minore, senza bisogno  di  lasciarli inutilizzati, di buttarli o di venderli".

Mentre  Wanda  tenta,  comunque, di  concludere  qualche  piccolo affare   mi  dò  un'occhiata  intorno.  Certo  sono   abbastanza turbolente  queste  bambine.  In  un  angolo  ce  n'é  una  che, specchiandosi  ad  una delle grandi vetrate  della  finestra,  si pettina,  s'aggiusta  una ciocca ribelle, ripassa  con  cura  la spazzola sulle punte. Non so come l'ho conosciuta e spesso viene da   me  per  farsi dare suggerimenti su alcune  lezioni  che  le restano difficili. Ha una frangia spessa due dita, i capelli alla Catherine Spaak, un visetto fresco e furbo, la parlantina facile, sciolta, talvolta un pò sguaiata.
Il  nostro  piccolo tour é terminato,  Wanda  rientra  nell'aula salutandomi con un misto di comprensione per la mia solitudine  e d'invidia  poiché  non mi annoierò ad ascoltare la  lezione  di ragioneria.  Col  peso  di questa solitudine,  mi  avvicino  alla finestra  che dà sul cortile "Unò, dué, unò, dué. (é  l'ora della  ginnastica  per  alcune  classi  più  fortunate)   Muscoli sciolti,   elastici,   movimento...  "   "Movimento,  movimento, movil..."   faccio   io   tra  me,   scimmiottando   uno   slogan pubblicitario di quest'anno.

 

La  prima ora di isolamento, bene o male passa, poi  eludendo  la sorveglianza della custode, vado in bagno a bere, commentando tra me  e me la pulizia poco approfondita dei  gabinetti  scolastici. Uscendo  dal bagno, incontro le ragazze che poco  prima  facevano ginnastica  in  cortile:  sudate,  rosse,  scarmigliate,   bevono avidamente,  una  pettinata, un'occhiata allo specchio,  un  ciao frettoloso  alle mie compagne dell'anno scorso, ora ripetenti,  e rieccomi  di nuovo sola. Ad un tratto la voce della bidella,  che ha  sentito  dei  rumori, mi aggredisce nel  silenzio  "Chi  c'é là?";  io mi faccio più piccola possibile mentre i  suoi  passi s'avvicinano  e poco dopo, superata la timidezza, le  racconto  i particolari della mia vicenda. Mi commisera un pò, poi con  atto di grazia mi invita a sedermi in una classe vuota.
Di nuovo il silenzio... Ripasso mentalmente la lezione per  l'ora successiva  ma sono sicura di saperla a menadito, prego  per  la bidella  compiacente, scaccio quel tanto di malinconia che mi  si é  stretta improvvisamente addosso, fantastico un pò...  quando un  lieve  ticchettio  di  passi mi desta  da  quella  specie  di catalessi. 

"Ah, sei tu Carla?" grido quasi, all'amica che  spunta dalla porta.

"Ma che fai rintanata qua? - mi apostrofa di rimando lei,  un  pò  sfottente  -

"Mi dico il  rosario  -  le  rispondo aggressiva,  a tono.

"Dai - fa lei - entra in classe con  me,  il professore  chiuderà un occhio".

Non me lo faccio  ripetere  due volte,  la seguo passando a capo chino davanti alla cattedra  del professore  che,  con un sorrisetto ironico, dice:  "Beh,  com'é stata fuori?" "Mmm... bofonchio io con una faccia da martire e mi siedo nel banco, mentre intanto suona la campanella che pone fine alla lezione... un'altra se  ne annuncia...

 

Tutti  questi  ricordi  riaffiorano  dall'averti  ritrovato, Mirella, così per caso, guardando fuori dal finestrino dell'auto che mi conduceva in ufficio e trovando di fronte a me -  sull'auto accanto  -  il  tuo  viso sempre liscio,  compatto  e  due  occhi sgranati dallo stupore che mi fissavano, dapprima persi nel vuoto della  noia, poi interessati nello sforzo forse  di  riconoscere, fra i tanti, il mio nome... ...

 

Ricordi di quegli anni e di tante altre ragazze: la dolce Paola col suo  viso seicentesco  e l'aureola di capelli biondi e crespi tirati  sulle tempie sempre persa nel sogno del suo amore adolescente per  Dino, un  ragazzo  allampanato....  e  Carla,  la  fantasiosa,   arguta toscanaccia.... Dina dal viso minuto, triste, pessimista....

 

 

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PORTA PORTESE

https://www.mercatidiroma.com/mercato-di-porta-portese/portaportese

 

Porta  Portese  è  ancora  insonnolita e  i  pochi  banchi  già allestiti  hanno  un chè di precario e di triste.  Ma  è ancora presto, tra un pò col sole alto fioriranno magicamente le numerosissime  bancarelle  su cui occhieggiano  le  più  diverse cose:  paccottiglia a buon mercato o "pezzi" rari per un  amatore di  antichità.

L'aria è fresca, frizzantina, schiarisce  subito le idee e vagabondare lungo le strade del mercato a quest'ora dà una  sensazione  di libertà. Non più i tentacoli  delle  strade intasate  dal traffico, gli improperi che gli autisti si  lanciano da  una  macchina  all'altra  o  contro  un  malcapitato  pedone ritardatario davanti al semaforo ormai verde.

 

C'è un fervore di  voci e di battute allegre che i proprietari dei banchi  si lanciano  tra loro a mo' di saluto, come a dire:  "Finalmente  ci rivediamo  dopo  una settimana di estraneità!". Ed  io  che  non faccio parte del loro mondo, pure sono immersa in esso e ne capto ogni movimento... Ecco  il  mercante di stoffe che sciorina la  sua  mercanzia  sul banco, distendendo e drappeggiando sete e cotoni multicolori...

Il vasaio che deposita con circospezione i suoi vasi e vasetti multicolori e delicati, magari prendendo qualche fiore delicato dal vicino fioraio a cui promette che al più presto lo pagherà... il libraio disfa le sue valigie colme di libri antichi e polverosi, dentro cui nasconde altri fogli, altre soprese.

 

Cosa  c'e'  di meglio, per un turista in visita a  Roma,  di  una passeggiata domenicale a Porta Portese?

...Si  sale  su un traballante tranvetto - uno dei pochi  ancora  in transito  -  sopravvissuto chissà come  nella  spasmodica  corsa verso una modernità a tutti i costi - e costeggiando il giardino del  Colle  Oppio sotto cui si estende la casa di  Nerone  (Domus Aurea),  s'arriva  proprio  dinanzi al Colosseo  che  si  sviluppa proprio  nell'ampia depressione sottosante in cui  Nerone  voleva costruire  un'immensa piscina.

Più avanti le Terme di  Caracalla (a Roma scherzosamente si aggiunge... dove i romani giocavano  a palla...),  l'interminabile  ombroso viale  Aventino,  la  bianca sagoma  della Piramide, anacronistica fra i numerosi  ruderi,  si passa  il  Tevere  ed ecco la famosa Porta che  da'  il  nome  al mercato.
Ma  la  strada già affollatissima che si  snoda  oltre  l'arcata, brulica  di  bancarelle che vendono accessori per  auto  e  moto, pezzi  di  ricambio, attrezzature per il  campeggio e tanto alro... 

 

Per  vedere qualcosa  di  più interessante, bisogna  proseguire:  dietro  una curva  s'allunga Viale Trastevere. Si  può  scendere qui, dinanzi ad un'antica edicola contornata da lapidi di  marmo ex-voto,  e dopo pochi passi ci si trova nei meandri del  mercato, in  uno dei settori più eterogenei, dove si può trovare un  pò di tutto.
All'occhio  attento  e  curioso  del  turista  s'apre  un   mondo inimmaginabile  e  variopinto: pezzi di  valore,  paccottiglia  e cianfrusaglie  recuperate  in qualche cantina  o  provenienti  da qualche appartamento... Non c'è che da scegliere...

 

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LA VECCHINA PIEGATA IN DUE

 

https://rosanoci.wordpress.com/2012/03/06/buona-gente/vecchiaia_bastone/

 

 ...  Pioviggina oggi e il cielo é coperto, le strade sono lucide,  bisogna  stare attenti a non metter un  piede sui sanpietrini  scivolosi.
Nella  folla eterogenea che anima via Merulana di mattina, mi colpisce come sempre la vecchina piegata in due che arranca faticosamente su per la strada e poi, con  uno scatto  subitaneo, si dirige verso il bordo del  marciapiedi per affrontare il traffico.

Mi avvicino e le domando se ha bisogno di  aiuto per attraversare la strada, annuisce, alzando su di me due occhi grandi e acquosi, tenendo su la testa con fatica, come una tartaruga che esca dal suo carapace e  guardar fuori nel mondo.

Si affida a me aggrappandosi alla mia mano con la destra, mentre con la  sinistra regge una busta di plastica ed io mi avvio a sfidare  il  traffico caotico che rallenta e si ferma al nostro passaggio...  ma poi debbo rallentare anch'io, adattare il mio passo al suo più corto; per ognuno dei miei lei arranca con due, tre  passettini affrettati e pesanti per via delle grosse scarpe scure. Siamo finalmente dall'altro lato della via e lei mi chiede se per caso io non mi stia recando alla posta.

Anche se avevo deciso di farlo in altro momento, le rispondo affermativamente, sì che posso accompagnarla, se lo desidera. Lei  per tutta risposta si stringe più forte alla mia mano e mi indica con fare quasi autoritario che vuole proseguire su per la salita; sembra che si senta più a suo agio là in mezzo alla via anziché sul marciapiedi un pò sconnesso e mi ci vuole un pò per convincerla a non camminare oltre il ciglio della strada, oltre la fila di macchine allineate in sosta.
Un grosso gatto sdraiato su un cofano spalanca su di noi i suoi arguti occhi verdi e osserva con interesse la piccola figura gobba che avanza con fatica...

Ogni tanto le rivolgo la parola ma lei non mi risponde, sembra non ascoltarmi,  forse é sorda oppure fa finta di non capire.
Però mi chiede se sono sposata e d'improvviso mi chiede "Ma lei ha una dentiera?" "No - faccio io, stupita - perché?" "Ha dei bei denti..."  mi  risponde convinta la  vecchina. Forse da quell'altezza rattrappita quel che le sta più a portata di naso sono i denti della gente (io avrei pensato gli occhi, invece).

Ad ogni domanda che mi pone (Vado alla posta per fare che?) tira su con sforzo la parte superiore del corpo tentando di mettersi faccia a faccia con me, allungando il collo e alzando quei suoi occhi interrogativi.

Percorriamo una stradina dissestata, costeggiamo l'ampia piazza Dante al cui centro l'argentea palizzata di lamiera ondulata entro cui fervono i lavori  della nuova centrale elettrica sotterranea, seguiamo l'inferriata nera che cinge  il Ministero delle Poste, poi eccoci in fondo alla strada, a due passi dall'ufficio postale.

Le chiedo se posso aiutarla nell'operazione che dovrà  compiere allo sportello ma lei sorvola con un brontolio... son sicura che non vuol dirmelo, ma ho già capito: sta andando a riscuotere la pensione e non vuole ch'io lo sappia.
Faccio finta di niente e proseguo trascinandomela su per quei quattro alti gradini che ci separano dall'ingresso ed una volta dentro é costretta a chiedermi quale sia lo sportello delle pensioni, poi mi invita a fare i miei  versamenti da un'altra parte.

Ma io la seguo, faccio segno alla signorina  incaricata d'interessarsi alla nuova cliente quasi invisibile dietro la balaustra di marmo; con sforzo la vecchina s'erge su appoggiandosi al ripiano: ha tirato fuori dalla busta di plastica un vecchio libretto pensionistico e lo depone sul bancone ed io lo  spingo  innanzi, a portata di mano della  ragazza  dietro il vetro ma lei, la vecchina, m'invita a pensare agli affari miei, non vuole testimoni!
Mi occupo allora dei miei pagamenti poi mi riaccosto  a lei che con fatica ma anche con gran pignoleria sta contando i suoi soldi, li avvolge in una busta di plastica e li trasferisce nella capace borsa  bianca.

Dà  ora la mano ad un'altra signora, un'anziana pensionata dal volto minuto che forse le ispira una fiducia più immediata e incondizionata per via dell'età, la quale la conduce fuori e le chiede se deve condurla in qualche posto.
La vecchina piegata tergiversa ma poi le indica la via Merulana e la donna, passetto dopo passetto ve la istrada.

Io le seguo da vicino poiché la nuova "conduttrice" mi fa cenno di restare lì accanto. La vecchina nota la mia presenza ed ha un moto quasi di stizza, sembra  essersi già dimenticata di me...  più avanti sembra riconoscermi e quando l'altra signora decide di proseguire per la sua strada, me la affida di nuovo; la vecchina piegata in due alza gravosamente la testa e mi punta addosso quei due occhioni  spiritati... ma poi si acquieta e si aggrappa ancora a me che pazientemente la conduco al di là della strada.

Arrivata finalmente al portone accanto a quello di casa mia, mi fa cenno che lei é arrivata, la guido nell'ampio cortile del palazzo, dinanzi ad una scala interna.
Là vuol essere lasciata, dice che ce la fa ad arrivare a casa sua e, quasi spedita, s'inoltra nella  penombra della scala,  dopo un breve, distaccato arrivederci...  Io di rimando la saluto e la seguo  con lo sguardo...  non  so, non mi convince, non mi pare che abiti in questo palazzo, penso che viva in un appartamento situato un pò più su, non ci giurerei...

Forse non si fida ancora di me e vuol farmi perdere le tracce della sua esistenza, timorosa di chiunque l'avvicini, per paura che si tenti d'ingannarla e depredarle il prezioso involto contenente il suo gruzzolo...

 

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