Rubriche di
Patrizia Fontana Roca

DIARIO DI UN PELLEGRINAGGIO

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Prima di passare alla lettura del Diario, è necessario sapere che esso è stato scritto al ritorno dal primo pellegrinaggio a Medjugorje, avvenuto nel 1988, quando la vita nel piccolo centro della Bosnia Herzegovina era decisamente molto più semplice e gli abitanti dediti soprattutto ad una vita rurale. All'inizio degli anni '90, poi, la guerra in Jugoslavia, ha portato altri cambiamenti, ma l'atmosfera mistica del luogo, che comunque non è stato toccato - se non marginalmente - dal conflitto, è rimasta la medesima, coinvolgente e sacra. Le apparizioni continuano ancora giornalmente per 3 dei veggenti, ormai adulti, mentre gli altri 3 hanno apparizioni una volta l'anno o in qualche altra occasione.
Ancora una nota riguardante il giovane che nel 1988 è stato la nostra guida: ha studiato in varie Università europee, laureandosi in varie discipline, il 14 Giugno del 1992 è stato ordinato sacerdote in San Pietro da S.S. Papa Giovanni Paolo II, è ritornato nella sua terra natale, la Croazia, a Spalato, dove ha riattivato una chiesa che durante il comunismo era stata chiusa al culto, ha recuperato un altro edificio annesso alla parrocchia anch'esso confiscato, destinandolo a Oratorio, Centro Conferenze, Biblioteca, ecc.. Tutto ciò ha richiesto anni di lavoro ma il risultato è che ora la chiesa e l'oratorio - che si trovano al centro della città - sono frequentati da molti giovani, universitari o semplici lavoratori, che si adoperano in varie attività, ruotando intorno a Don Jozo che rimane il fulcro di tutto, organizzando ogni cosa e indirizzando alcuni di questi giovani, che egli ritiene orientati in tal senso, verso la vita sacerdotale. Già 4 di essi sono, infatti, diventati sacerdoti e già lavorano attivamente in varie parrocchie e istituzioni religiose della Croazia.
Don Jozo, poi, insegna all'Università, organizza ritiri in Italia per i suoi innumerevoli amici, pellegrinaggi a piedi nei vari Santuari mariani della Croazia o dell'Italia - rimarrà memorabile quello che ha effettuato per l'Anno Santo del 2000, a piedi da Spalato a Roma - e realizzando altri innumerevoli progetti. Ringraziando Dio di questi immensi doni che ci ha concesso, Gli chiediamo di proteggere e aiutare sempre Don Jozo e i suoi giovani nell'adempimento del loro laborioso impegno e di dar loro una sempre maggiore determinazione, forza e fede.

Degli altri componenti del primo gruppo partito per la prima volta per Medjugorje, alcuni purtroppo ci hanno lasciato per sempre e ci auguriamo che dal cielo ci guardino e proteggano; degli altri, alcuni li abbiamo persi di vista e speriamo che siano felici e coerenti nella fede, mentre con alcuni abbiamo continuato a vederci ininterrottamente, condividendo molte altre bellissime esperienze, compresi altri 5 viaggi a Medjugorje.

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Il testo e le immagini sotto riprodotti - riguardanti un pellegrinaggio a Medjugorje -sono di esclusiva proprietà di Patrizia Fontana Roca di Cartantica. Tale Diario è depositato presso l'Archivio Diaristico di Pieve Santo Stefano. Previa richiesta e citando la fonte, sarà possibile riprodurlo, specificandone l'utilizzo. Grazie.

 

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TRE GIORNI IN PARADISO


 

DIARIO

 

...di un pellegrinaggio che vuol essere solo un resoconto, soggettivo d'accordo, ma il piu' fedele e minuzioso possibile di questa esperienza che ai piu' forse si presentava come un impegno troppo vincolante e pesante e che si e' rivelato, invece, un approccio gioioso e vivificante con la realta', prima sconosciuta, di Medjugorje.

Realta' che abbiamo vissuto in questi pochi giorni calandoci dentro l'atmosfera che li' si respira, pregna di serenita' e d'un'essenza speciale palpabile nell'aria, nel cielo terso, nel sole, nei volti di molte persone che abbiamo avvicinato. E che, ne sono sicura, in molti di noi e' rimasta radicata nell'animo definitivamente e a poco a poco si dilatera', ci inondera', ci colmera' di pace e di frutti, intangibili forse ma rigogliosi.

Medjugorje non e' certo la panacea per guarire i nostri molti mali spirituali o fisici, ma e' una sorgente a cui attingere forza per sopportarli, una fonte di energia a cui caricarsi per sostenere le nostre battaglie. E' una oasi di pace in questo mondo in cui non c'e' altro che guerra di popoli contro popoli, di uomo contro uomo. E' una verita' in questa nostra societa' di miraggi, una boccata di aria sana e pulita in questa civilta' inquinata.

Facciamo tesoro dei doni che abbiamo ricevuto a Medjugorje e non sprechiamoli, una volta rientrati nel nostro ambiente di sempre, nella nostra citta', nelle nostre famiglie, nei posti di lavoro, per strada e ovunque andremo. Ma utilizziamoli nella nostra vita quotidiana, mentre lavoriamo, mentre ci rechiamo in ufficio, mentre ci affaccendiamo intorno ai fornelli, compiendo insomma i gesti soliti, mettendo in pratica, forse con qualche difficolta' ma con impegno, quanto li' abbiamo ascoltato e visto.

Forse siamo stati "chiamati" a Medjugorje o semplicemente attirati da essa, proprio per portare un messaggio, un esempio ai nostri fratelli, figli, genitori, agli amici, ai colleghi, all'uomo della strada che non ha mai sentito parlare di cio' che li' accade o a coloro che, pur avendone avuto notizia, non sono stati in grado di recepire. Ricordiamolo, con il nostro atteggiamento, a coloro che hanno vissuto la nostra stessa esperienza ma, travolti dai problemi di tutti i giorni, l'hanno dimenticata, non l'hanno messa in pratica, l'hanno relegata in un angolo del loro animo. Diamo loro l'opportunita', con il nostro agire e parlare, di rammentare e trovare nuova forza e nuovo impegno da questo ricordo.

Non indossiamo piu' la maschera quotidiana del cinismo, dell'egoismo, dell'indifferenza ma presentiamoci come siamo ora, con questa veste nuova di fratellanza, di altruismo, di pace.

Se ci ritufferemo nelle nostre esistenze di prima senza che nulla in noi e attorno a noi sia cambiato, senza portare da Medjugorje neanche un segno tangibile nel cuore, allora vorra' dire forse che la nostra anima non era ancora pronta a ricevere il suo messaggio e sara' bene verificarlo con una nuova esperienza.

Ma mi rifiuto di pensare che si possa restare insensibili all'atmosfera che abbiamo respirato, cosi' diversa da quella che aleggia nelle nostre citta' occidentali ricche di vita e di presenze ma imbevute di esteriorita', di solitudine, di follia, di infelicita'...


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PRIMO GIORNO

 

6 Settembre 1988, ore sette meno un quarto : la citta' si sta svegliando pigramente e nell'aria s'odono solo il fruscio di poche auto ed il brusio dei passeri tra i platani. Siamo gia' convenuti quasi tutti dinanzi alla chiesa di San Martino ai Monti, luogo di incontro per i pellegrini diretti a Medjugorje e timidamente ci presentiamo gli uni agli altri; molti vengono da fuori Roma: da Albano, da Rocca Priora, da Allumiere, da Civitavecchia, da Ostia e Suor Maria Alba dalla provincia di Terni, senza contare che Padre Mario vive ad Albany, in America!
Siamo in pochi, provenienti dalla parrocchia, ad essere gia' affiatati.

Inizia la difficile operazione dello stivaggio dei bagagli che occupa una buona mezzora, poi saliamo sul pullman per occupare i posti gia' prestabiliti e siamo pronti per la partenza che avviene alle otto e un quarto, quando la citta' e' ormai ridestata dal traffico gia' caotico.
Inoltrandoci in esso, ci lasciamo alle spalle i nostri problemi quotidiani, la sagoma bianca della chiesa, Padre Angelico che ci saluta un po' triste ed un nastro d'edera brillante di rugiada che s'addensa folto sui muri di palazzo Brancaccio e vibra al vento fresco della mattina.

I tre organizzatori, Paolo G., Paolo R. e Mario M., hanno gia' iniziato il loro compito di sostegno materiale, mentre Padre Antonio, che invece ci guidera' spiritualmente, invita i convenuti a non infierire troppo su di loro se si verifichera' qualche imprevisto o se verra' rilevata qualche manchevolezza durante il pellegrinaggio.

Comincio a guardarmi intorno, a scrutare i volti dei miei compagni, per capire qualcosa dei loro caratteri, dei loro sentimenti e della loro disposizione d'animo nell'affrontare questo viaggio. Alcuni, come ho detto, li conosco gia', so gia' della espansivita' di Mario e della pensosita' di Giuliana, entusiasti della loro prima esperienza a Medjugorje condivisa con Mimma, operosa e simpatica, conosco il volto sereno di Paolo G., quello enigmatico di Michela sua moglie, il volto aperto di Padre Antonio che oggi appare raggiante e rilassato forse perche', una volta tanto, non ha sulle sue spalle il peso dell'organizzazione, quello sornione di Fra' Ignazio,il viso tranquillo della signora Alba, il viso aperto di Aldo, eppoi quelli giovani ma maturi ed espressivi delle ragazze, la faccia giocosa di Lino...

Gli altri imparero' a conoscerli col passare dei giorni vissuti insieme, ma su tutti e' dipinto un sentimento di attesa e di speranza ... Anche sul mio, certamente, saranno disegnati gli stessi sentimenti e le stesse emozioni; dentro, invece, mi si agita un'oscura confusione fatta di dubbi e di certezze, di interrogativi, di negazioni che si alternano, si placano e poi riappaiono come spiritelli maligni in vena di burle.

I tre organizzatori hanno, ovviamente, caratteri diversi che pero' si compensano e si amalgamano compatti, a formare un unico fronte contro cui si spezzeranno gli ostacoli, la confusione, l'indifferenza che incontreremo sulla nostra strada o che involontariamente o meno creeremo noi del gruppo.

I due Paoli fisicamente si somigliano un po' per la corporatura e l'altezza, ambedue hanno quarantadue anni e sfoggiano baffi e barba precocemente ingrigiti ma Paolo G. ha una capigliatura piu' folta e mossa dell'altro e porta occhiali da vista, mentre Paolo R. inforca quelli scuri da sole. Mario M., invece non si puo' confondere con quella zazzera d'un bianco candido e quel vocione roco che spesso assume un tono autoritario di comando.

Paolo G., oltre ad essere stato il promotore del viaggio, e' il piu' maturo dei tre, un po' per carattere, un po' forgiato dalle due precedenti esperienze vissute a Medjugorje e dalla annosa amicizia che lo lega a Jozo - il ragazzo che troveremo ad attenderci a Spalato - che, come ci ha dichiarato : "Fa tutto per me ed io tutto per lui!".
Paolo G. ha capito profondamente il messaggio che dal piccolo centro jugoslavo si va trasmettendo al mondo e vive la sua vita di testimonianza con una tranquillita' ed una coerenza che gli invidio. E' instancabile nelle sue professioni di fede ed ha tempo per ogni cosa e per chiunque si rivolga a lui; si prodiga in chiesa, nella vita sociale, con gli amici ed a Medjugorje risolvera' alcuni problemi con pazienza ed imperturbabilita'. Ed in piu' e' umile, dote oggigiorno dimenticata.

Paolo R. e' il connubio personificato degli altri due: animato dallo stesso spirito di dedizione e generosita' del primo ma piu' pratico e razionale, irruente ed autoritario ma senza la caparbieta' di Mario. Severo quando e' necessario, gentile con i deboli, coi bambini e con gli anziani, tenace come un cane pastore che guida e protegge dalle insidie il suo piccolo gregge, forgiato nella fucina della vita dove alle volte, mettendo in dubbio tutto, si riscopre Dio Padre. Con pazienza ed amore fraterno si prodiga per il raggiungimento del benessere psico-fisico di tutti.

Con la sua solida corporatura e la sua irruenza Mario M. e' una punta d'ariete che sfonda molte resistenze ma, alle volte, dell'ariete sfodera una caparbieta' irragionevole con cui non ottiene il risultato desiderato. Ma il suo impegno e' genuino e piu' d'ogni cosa in lui s'ammira l'entusiasmo che cosi' tanta parte ha avuto nella fase iniziale del viaggio, quando Medjugorje era ancora solo un'idea. L'esperienza precedente in quel luogo lo aveva toccato profondamente, colmandolo d'una carica vivificante che gli ha dato forza nel comunicare il suo ardore ad animi tiepidi e vacillanti, nel trascinare chi gia' s'era prefisso di raggiungere prima o poi la meta. E anche se il suo vocione arrochito ci rimbomba nelle orecchie e se qualche volta vorrebbe rivoluzionare il mondo, lo guardiamo con ammirazione mentre lui, mai stanco, frenetico viaggia dall'uno all'altro capo del gruppo.

 

Il viaggio comincia con la benedizione del nostro sacerdote e con un canto in onore della Madonna, Regina della Pace, che ancora non conosciamo troppo bene ma che impareremo nel corso dei giorni. Una breve sosta sull'autostrada per Pescara, per sgranchirci le gambe e per ristorarci, poi di nuovo via, attraverso il rude paesaggio dell'Abruzzo, i paesetti sperduti nel verde, la Gola dei 3 monti, le gallerie ...
Arriviamo verso le 11,30 a Pescara dove le operazioni d'imbarco si svolgono ordinatamente; entriamo poi nel ventre scuro della nave risalendo subito di nuovo al sole, affascinati dai mille misteri dell'imbarcazione: i ponti, le scale, i boccaporti, le salette, la poppa, gli attrezzi dai nomi astrusi, un groviglio di corde arancioni...

A Pescara abbiamo incontrato due nuove passeggere: Eliana, una bimba intelligente e vivace con problemi di deambulazione e sua madre, amiche di Lucilla, Francesco e Dennis, la simpatica famigliola romana.

A bordo abbiamo un'altra bimba, con problemi diversi e piu' gravi, Francesca, amorevolmente accudita dai genitori, Franco e Graziella. Francesca ad undici mesi venne colpita da una forte febbre che, malamente curata in noti ospedali romani, le ha comportato un arresto nello sviluppo psichico, mentre il fisico rigoglioso segue il suo ritmo naturale. Attenti a tutte le sue necessita', Franco e Graziella ci daranno quotidianamente un esempio d'amore e di fede immensi di cui dovremmo ringraziarli.

Tra di noi ci sono quattro religiosi: oltre a Padre Antonio, il nostro vulcanico Parroco, c'e' Padre Mario un Pallottino originario di Rocca Priora che da anni svolge la sua missione in America e che ora accompagna in questo viaggio i suoi anziani ma vigorosi genitori.

C'e' anche Suor Maria Alba, esile esile nella sua lunga veste nera, silenziosa ed umile. Infine, ma non ultimo, Fra' Ignazio, il frate sardo che vive accanto a Padre Antonio e che, per tener fede al suo ruolo di cuoco, si e' messo in viaggio con un bagaglio di salamini cacciatori ed una tanica di Vernaccia, prelibato vino proveniente dalla sua terra d'origine.

Sul fondo del pullman si sono raggruppati tutti i ragazzi, un folto gruppo che intraprende questo viaggio non solo per curiosita' o come gita di piacere, ma con l'intento di ricercare dentro e fuori se stessi un segno tangibile dell'esistenza di Dio e della Madonna.
Alla loro eta' adolescente sono ricorrenti le crisi spirituali ed esistenziali e questo pellegrinaggio forse chiarira' le mille sensazioni, i mille pensieri che si agitano nelle loro anime cosi' fragili ancora, cosi' indifese contro le insidie e le mistificazioni che la societa' d'oggi ordisce ai loro danni.
Donatella, Katia ed Angela fanno parte del coro di S. Martino e Lino presta la sua opera come chierichetto e conoscono quindi molti canti con cui allietano ed allieteranno il nostro cammino.
Siamo cinquantotto pellegrini, ognuno in cerca della sua strada per arrivare alla meta ultima: Dio e la sua Pace.

Ore 12.00.- La nave puntualmente si allontana dal molo lasciando una scia di schiuma candida e s'avvia verso il mare aperto, mentre tutti osserviamo questo inusitato scenario che cambia continuamente dinanzi a noi e respiriamo a pieni polmoni un'aria diversa da quella ormai mefitica di Roma.

Ci sistemiamo nelle poltrone a noi riservate ed ognuno passa il tempo come piu' gli aggrada (la maggioranza girovaga sui ponti, da poppa a prua, curiosando) finche' non ci ritroviamo tutti al Self Service dove consumiamo assieme il primo pasto composto da un primo, un secondo, un contorno, formaggio e frutta.

Fra' Ignazio dispensa il suo prezioso vino, promettendo per merenda panini col salame innaffiati da Vernaccia, ma poi non se ne fara' nulla, saremo troppo impegnati in altre faccende.

Consumato il pasto, ognuno si dedica a qualcosa, attendendo l'ora della Messa che, come annunciato dal Comandante in piu' lingue, si celebrera' alle 16,30 nella sala di ristoro attrezzata per l'occasione.

C'e' chi dorme in poltrona, chi staziona nel bar dopo un caffe' od un liquore, chi chiacchiera nella saletta superiore e chi, come i ragazzi, preferisce crogiolarsi al sole di questa bellissima giornata, seduto sul sartiame, cantando o scambiandosi confidenze, chi scatta foto mentre io, appollaiata nei posti piu' impensati, scrivo. Alle 16 il free-shop apre i battenti, subito preso d'assalto dai due o tre fumatori piu' accaniti che si accaparrano due stecche di sigarette ad un prezzo quasi dimezzato, mentre altri acquistano liquori o profumi.

Verso le 16 gia' fervono i preparativi per la celebrazione Eucaristica: un piccolo tavolo costituira' l'altare, i chierichetti ( Lino e Dennis ) si vestono, si requisiscono i giovani che ciondolavano in giro per fare le prove di canto e per far leggere loro le Scritture.
Alle 16.30 ci riuniamo per la Messa che si svolge con la piena partecipazione commossa di tutti, anche di Francesca che accompagna i canti con ritmici movimenti del corpo.

I nostri tre organizzatori, che quasi non si discostano l'uno dall'altro, fanno del tutto per soddisfare le necessita' di ognuno; hanno articolato un nutrito programma che sperano di poter seguire senza contrattempi.
Altri passeggeri, che come noi sono diretti a Medjugorje in piccoli gruppi familiari, captano la loro solerzia e ad essi chiedono informazioni e consigli.

Un piccolo imprevisto viene subito risolto: i tre si vedono avvicinare da un padre di famiglia napoletano che li informa di essere stato derubato e chiede loro un prestito di almeno un centinaio di migliaia di lire. Dopo qualche occhiata di intesa essi decidono di dar fiducia all'uomo che ringraziando, dichiara che saldera' il debito una volta tornato a casa.

Ancora un po' di tempo libero - l'arrivo e' previsto per le ore 20 - che ognuno riempie a suo piacimento. La nave la conosciamo ormai in lungo ed in largo, il punto di ritrovo e' pieno di gente, sulle poltrone ci si accalda e ci si annoia, nella saletta superiore si gioca a carte ..., finche' verso le 19 si cominciano a intravvedere le prime propaggini della costa jugoslava, alcuni isolotti rocciosi, qualche luce. La nave scivola sull'acqua ormai nera, in apparenza leggera ma carica di uomini e di speranze, puntando dritta verso le luci del porto di Spalato che si scorgono, laggiu', guidata da altre piccole luci disseminate lungo la costiera.

Siamo finalmente a Split, come dicono qui; in fila indiana ci dirigiamo verso la dogana ognuno con il suo bagaglio. Alcuni piccoli contrattempi - una valigia scambiata con un'altra, alcune incomprensioni linguistiche col doganiere di turno - ci fanno temere il ritardo sulla tabella di marcia e difficolta' impreviste, ma tutto fila liscio e siamo pronti a risalire sul pullman.

Ad attenderci troviamo Jozo, nativo di Split, amico di Paolo G., che ci ha organizzato i pernottamenti presso le suore della Misericordia qui in citta', i pranzi al ristorante, la sistemazione presso le famiglie di Miletina, piccolo centro rurale che fa parte del comprensorio attorno a cui ruota oggi la vita dei pellegrini che si recano a Medjugorje.

Di Jozo, laureato in lettere e filosofia alla Sapienza di Roma e laureando in Teologia, amico delle veggenti, umile e disponibile in ogni attimo della giornata, di Jozo predicatore che ci illustra con parole semplici precetti dimenticati e che ci guida su per le impervie strade del monte, agile e leggero come un cerbiatto, parlero' di giorno in giorno poiche' ci si rivelera' a poco a poco.
Egli ci da' il benvenuto nella sua terra e ci illustra brevemente le caratteristiche della citta' in cui siamo appena sbarcati e di cui possiamo vedere poco mentre viaggiamo in pullman, giacche' e' ormai notte e l'illuminazione e' scarsa. Nel buio pero' brillano mille luci provenienti dalle case, per la maggior parte appartamenti popolari, che si innalzano con la loro mole squadrata uno a fianco dell'altro, in un susseguirsi quasi monotono.

Le suore ci accolgono con sorrisi e solerti ci servono la cena: minestra in brodo, bistecca, peperoni, fagiolini, patate arrosto, cocomero o susine.

Ci rifocilliamo turbolentemente mentre i discorsi si intrecciano dall'uno all'altro capo del lungo tavolo, in un'euforia provocata dalla stanchezza e dalla consapevolezza di aver raggiunto la prima tappa di questo viaggio. Siamo quasi vicini alla nostra meta!

Gli organizzatori studiano un piano di distribuzione delle stanze e ce lo comunicano: 16 persone andranno a dormire presso un altro convento a poche centinaia di metri; tra di essi Paolo R. e Jozo.
Con qualche problema d'avvio, Paolo R. mette in moto il pullmino decrepito e traballante, con un circuito elettrico in pessime condizioni, un cambio che non ingrana, uno sportello che non chiude. Ma anche questi infinitesimali problemi non scoraggiano nessuno, anzi sono motivo di coesione ed anche di ilarita' poiche' l'imprevedibile Vincenzo Priore sfodera la sua ironia tutta partenopea con conseguenti risate da parte degli altri protagonisti della piccola avventura.
Svegliando da un sonno beato le suore gia' addormentate, prendiamo posto nelle nostre stanze, augurandoci scambievolmente un "Buona Notte" sincero, con l'augurio di rivederci riposati la mattina dopo alle 8.00, per essere tutti insieme alle 8.30 dalle suore della Misericordia.

Intanto s'e' alzata la bora - da queste parti e' di casa - che porta via un accenno di pioggia, ma non le zanzare che per molti rappresenteranno un tormento per tutta la notte!



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SECONDO GIORNO

 

Splende di nuovo il sole! La bora di stanotte ha spazzato ogni minaccia di cattivo tempo ed il cielo e' d'un azzurro intenso. Dal nostro balcone ci affacciamo su un paesaggio che non delude le aspettative di noi viaggiatori curiosi.

Rimontiamo sul camioncino, qualcuno s'avvia a piedi per dare un'occhiata ai dintorni e raggiungiamo il grosso della comitiva per la prima colazione a base di the', caffellatte, caffe', burro, marmellata, salumi e formaggi.

Partiamo subito dopo per raggiungere - derogando un poco al programma - la piccola Lourdes, una quasi perfetta copia della grotta francese, dove si venera la Madonna. La strada costeggia il litorale permettendoci d'ammirare un paesaggio di straordinaria bellezza: dinanzi a noi un mare d'un azzurro inimmaginabile da cui emerge l'imponente sagoma dell'isola di Brazza, un susseguirsi di piccoli centri, baie, promontori allungati pigramente nell'acqua...
Il mare e' increspato dalla forte bora e s'agita, destando creste bianche e spumose che si rincorrono mentre il sole dipinge zone d'un blu piu' chiaro sulla tavolozza azzurrissima della distesa d'acque.

Penetriamo nelle vie affollate di alcuni paesetti e ci vengono incontro un piccolo mercato colorato e folkloristico, tanto verde, ragazzi che con guanti di gomma raccolgono le foglie cadute in terra e le gettano in ampi scatoloni di cartone ...
A destra, sempre il mare, a sinistra invece, s'innalzano costanti e brulli i monti su cui dovremo arrampicarci per raggiungere l'altra tappa del viaggio.

Jozo ci invita a recitare il Rosario e ci spiega la sua opinione sul perche' la Madonna ci consiglia la preghiera: anche se all'inizio pregheremo un po' controvoglia o senza molta convinzione, dovremo perseverare poiche' prima o poi entreremo in comunicazione con Dio ed Egli, parlando alla nostra anima, ci indurra' a pregare con il cuore.

Eccola, la piccola Lourdes, un angolo nella roccia su cui, come un gioiello, e' incastonata una piccola statua della Madonna circondata da fiori. Piu' in alto una grande croce di metallo luccica al sole; al di sotto un altare attorno a cui alcune donne del luogo o forse venute da lontano, in ginocchio ne percorrono il perimetro pregando.
Foto di gruppo ed una breve occhiata alla Via Crucis che si inerpica sulla montagna, mentre folate di vento gonfiano le gonne scure delle donne in preghiera.


Mentre noi ci attardiamo sul piccolo piazzale gli organizzatori vengono avvicinati da un giovane slavo vestito di bianco che chiede un piccolo favore: e' venuto sin qui a piedi da Spalato ed e' diretto a Medjugorje per tener fede ad un voto alla Madonna; mesi prima era caduto in coma e miracolosamente s'era salvato. Aveva cosi' deciso di intraprendere a piedi il lungo viaggio, ma ora e' allo stremo delforze, vorrebbe un passaggio sul pullman fino alla nostra prossima meta, il piccolo centro di Ljubuski. L'autista esita un po' perche' nel pullman piu' di tante persone non si possono portare ed ha timore che la Miljcia ci faccia passar dei guai, ma gli organizzatori affidandosi alla Madonna, decidono di caricare anche lui.
Il giovane si siede in fondo, tra i ragazzi e dopo pochi minuti e' gia' nel regno dei sogni, mentre tutti noi cantiamo e preghiamo in coro al momento dell'Angelus.

Jozo ci avverte che a Medjugorje potremo effettuare la Confessione, sulla cui importanza e necessita' Padre Antonio ci intrattiene, cercando di instillare in ogni animo il desiderio di una purificazione completa. Nella strada quasi deserta che si inerpica sulle montagne, d'improvviso incrociamo due bimbi piccolissimi che vengono dalla scuola del paese che ora s'intravvede sul dorso montuoso; le loro figurette in grembiuli bianchi si dileguano svelte sotto il nostro sguardo accompagnate da un agitar di mani.

Il paesaggio e' diventato scarno, estremamente sassoso: da tempo abbiamo lasciato il mare che appariva e scompariva dietro le curve a strapiombo, gli alberi contorti bruciati dagli incendi ed i tronchi bianchi calcinati dalla bora; ora ci sono sentieri impervii, piccoli lembi di terra coltivata tra i sassi, strappata a forza alle montagne, delimitazioni di pietra per recintare i campi, piccoli vigneti, siepi di more e melograni a profusione, in fiore o gia' colmi di frutti rossi e sugosi, collane di tabacco appese all'aria ad asciugare.


Siamo ormai nell'Erzegovina e ci fermiamo a Ljubuski per il pranzo, in un piccolo ristorante gestito da una famiglia di corporatura imponente, tutti bruni e di belle fattezze, specie la ragazza che serve a tavola l'immancabile brodo con i tagliolini, la carne di maiale arrostita, pomodori e verza.

Ci siamo divisi a gruppi di quattro attorno ai tavoli, tranne i ragazzi che stanno tutti assieme ed otto commensali, tra cui siedo anch'io, riuniti ad un unico tavolo piu' grande. Nel prezzo pattuito e' compreso anche il caffe' che ai piu' viene servito all'occidentale, mentre a noi otto viene offerto nel tipico bricco dorato dell'uso turco, poiche' quello espresso non basta per tutti.

E' una vera novita' che viene accolta in maniera contrastante: c'e' chi preferirebbe il solito vecchio metodo e chi, come me, e' entusiasta di scoprire nuovi costumi. Nel piccolo pentolino la polvere di caffe' si gonfia e ribolle, bruna e bollente, sotto il getto di acqua calda; la miscela viene fatta sobbollire piu' volte finche' non si ritiene che la bevanda sia pronta, ma deve riposare ancora un po', affinche' la polvere si depositi sul fondo enon venga ad inquinare l'infuso bruno in superficie.
Persino il napoletanissimo Vincenzo P., che della degustazione del caffe' fa un vero e proprio rito, non puo' esimersi dall'apprezzare la novita'.

Riprendiamo posto sul pullman e ci avviamo verso Miletina senza piu' soste, sotto lo sguardo severo e attento di Tito che prorompe dal versante di una montagna da un'enorme riproduzione bianca e rossa. Finalmente, a destra, compaiono il monte Krizevac e la Collina delle Apparizioni e ci fermiamo nello spazio erboso che s'apre tra le poche case del piccolo centro rurale.

Mentre gli organizzatori si riuniscono per decidere la sistemazione dei vari componenti del gruppo presso le famiglie che vivono a Miletina, noi prendiamo visione dei dintorni: qualche casa una accanto all'altra, alberi da frutto, stalle, per i viottoli bimbi e donne che ci guardano sorridendo con aria interrogativa. Sono le padrone di casa che ci ospiteranno, ma noi ancora non sappiamo a chi siamo destinati. Il dilemma si risolve ben presto: per nuclei familiari o raggruppando le persone sole, seguiamo le nostre ospiti che portano nomi difficili (Neda, Traceka, Ladoika, Branca), lungo le stradine asfaltate da poco ed entriamo nelle case, ognuna delle quali ha attiguo un orto in cui coltivano pomodori, peperoni, cipolle, filari di viti basse e pregne d'uva, qualche albero di fichi.

Fra' Ignazio, Vincenzo e Giuseppe sono destinati a dormire assieme in una stanza, io e Paolo R. nell'altra, nella casa dei Neda. Davanti ad essa un uomo magro e schivo, Marko, sta lavorando di buona lena ad innalzare una parete che permettera' di creare una nuova stanza per ospitare un maggior numero di persone, senza sacrificare la famiglia.
La donna che ci precede, camminando con un incedere che le nostre contadine non possiedono, non e' piu' giovanissima, abbastanza alta e molto magra, quasi scarna come molti da queste parti, con un viso angoloso e due occhi chiari, incastonati sotto l'arco scuro delle sopracciglia, che scrutano cercando di penetrare al di la' delle parole, poche, che tentiamo di scambiarci.

Essa ci mostra le stanze che occuperemo e in cui lasciamo i bagagli e ci invita a sederci in cucina, un ambiente lindo ed ordinato dove ci offre, con i gesti e le parole, un bicchierino di liquore locale.
Vincenzo, con la mimica del suo volto mobilissimo e delle mani, riesce a farle capire che gradirebbe un caffe', un vero caffe' alla napoletana, non quello che si usa qui, una bevanda scura si' ma pressoche' insapore e, meravigliati, vediamo apparire una macchinetta Moka che la donna riempie seguendo le istruzioni del nostro compagno. Riservata e gentile, essa acconsente a sedere accanto a noi ed a degustare un po' di caffe' caldo e forte, profumato.

Dopo questa sosta che e' servita a prender contatto con le famiglie ed a rinfrescarci, ci affolliamo di nuovo attorno al pullman che ci porta al Santuario di Medjugorje, un'imponente Cattedrale che s'innalza in mezzo a un largo spiazzo una volta erboso, ora asfaltato, attorno a cui si sono sviluppati servizi di comunicazione, bancarelle a non finire, strade, illuminazione.

A sentire coloro che alcuni anni fa avevano gia' intrapreso questo viaggio, le cose sono molto cambiate; anche qui, come in molti luoghi in cui e' apparsa la Madonna, gli uomini si danno da fare e lucrano su questi eventi iracolosi. E gia' le case si addossano ad altre case, i souvenirs vengono offerti a prezzi non proprio bassi, si susseguono i chioschi di bibite e persino di pizze, si vendono piccole statuine della Madonna in plastica per dar modo ai turisti di portar via l'acqua di una fontana che sgorga dinanzi alla chiesa e che si dice sia portentosa per guarire alcune malattie.

Qua e la', nelle strade non ancora finite, mucchi di mattoni grigi attendono d'essere usati, molte case sono in costruzione e quelle gia' tirate su si allargano, si ammodernano, si abbelliscono.

La Chiesa domina su questa selva di abitazioni con la sua sagoma essenziale: i due campanili laterali svettano nel cielo azzurrissimo come due lunghe dita che indichino una direzione consigliata.

Nella grande piazza antistante, sono infissi lampioni ed alberi di varie specie, aiuole ben tenute, una fontana ed una statua candida della Madonna. Nella chiesa c'e' gia' una gran folla, moltissimi i pellegrini provenienti da varie parti del mondo, mol- tissimi gli uomini e le donne d'ogni eta' dal volto indurito dalla fatica di strappare a questa terra grama qualche campicello da coltivare. Indossano vestiti semplici e le anziane portano gonne ampie e pesanti, calze di lana, zoccoli o scarpe informi ed in testa scuri fazzoletti.

L'ambiente e' ampio e chiaro, il sole e' ancora al massimo della sua potenza e penetra dalle porte laterali aperte e dalle finestre istoriate, rafforzando le trasparenze dei gialli; alle pareti dei quadri in vetro con pitture naives raffigurano le varie stazioni della Via Crucis.

L'altare, moderno, e' affossato nell'abside bianco su cui spicca una gran Crocdi legno ed una statua di S. Francesco; vari mazzi di fiori danno al candido scenario una nota di colore. A destra dell'altare, la luminosa immagine della Madonna davanti a cui i fedeli sostano a rotazione, per pregare e per chiedere qualche grazia.

Davanti all'altare, un frate francescano ci accoglie parlando la nostra lingua ed illustrando le richieste ed i desideri che la Madonna continuamente trasmette tramite i veggenti e i messaggi settimanali. Cerca di farci comprendere che anche la via dell'amore e del perdono comporta sofferenza, anch'essa e' una strada difficile, irta di ostacoli.

Fuori comincia a far freddo ed il vento solleva i sai dei molti sacerdoti che, seduti intorno alla chiesa, a ridosso delle mura di pietra o sull'erba del prato adiacente, attendono che i penitenti si avvicinino per confessarsi.

Li intravvedo dalla porta laterale aperta, mentre il numero dei fedeli in chiesa aumenta a vista d'occhio; e' l'ora del Rosario ed il francescano avvia la preghiera in croato: i pellegrini e gli abitanti dei dintorni rispondono in coro, ognuno nella propria lingua, piccola Babele in cui pero' ci si comprende.

La folla si fa piu' pressante e ci si sente addosso il fiato altrui, ma e' ordinata e silenziosa, solo qualche flash disturba lo svolgersi delle celebrazioni che culminano, poco piu' tardi, nella Messa concelebrata in forma solenne da sacerdoti di varie nazionalita' giunti a Medjugorje con i gruppi di pellegrini. Anche Padre Antonio e Padre Mario si uniscono ad essi e lo stesso faranno nei giorni seguenti.

 

 




La gente che continuamente entra nella Cattedrale e' come un fiume ininterrotto che s'ingrossa a vista d'occhio, finche' la chiesa e' stracolma e l'aria diventa soffocante. Il cielo ora e' quasi senza colore, inondato com'e' dal sole che brilla come un faro fosforescente: dalla porta aperta la luce penetra lateralmente, sostando prepotente sulla testa dei fedeli. Dio stesso attraverso la natura protende le Sue dita incandescenti ma delicate ad accarezzare i Suoi figli.
L'apparizione della Madonna ai ragazzi, che ora avviene nel coro situato sopra la porta d'entrata, s'e' svolta senza particolari turbamenti tra la gente assiepata; solo qualcuno dei presenti ha volto all'indietro il capo per scrutare oltre la balaustra all'ora solita - verso le sette meno venti - in cui l'avvenimento accade...

Tutto quello che avviene attorno a me e' di tali dimensioni che non riesco a comprenderne quasi la ragione: tutta questa gente, tutto questo fervore, questa esaltata umilta', questa suggestione che vibra nell'aria stessa che respiriamo, mi sembrano caricati, eccessivi, mi fanno mettere in dubbio ogni cosa, anche le mie personali convinzioni e persino tutto quello che vedo con i miei stessi occhi.

Non ce la faccio piu' a restare ammassata tra la folla ad ascoltare l'interminabile omelia in croato: esco all'aperto, mi perdo tra la gente che attende di confessarsi, tra quella che ascolta la Messa tramite gli altoparlanti o rista' inginocchiata nell'erba o sul sagrato.

Osservo i confessori seduti in fila indiana a poca distanza l'uno dall'altro, quel tanto che permetta di non udire le parole dei penitenti, scruto i volti delle decine e decine di fedeli che stazionano sulle panche poste dinanzi alle porte della chiesa o che come me vagano avanti ed indietro in attesa di confessarsi o cercando di far luce nel proprio animo. Molti si fermano in preghiera per lungo tempo in ginocchio, testimoniando pubblicamente la loro conversione.

Ma questo spettacolo enorme e travolgente mi lascia insensibile, come se la mia anima fosse sorda e muta e tutto intorno a me irreale, impossibile... Mi siedo su un muretto mentre la bora si alza gelida ad avvolgermi come un sudario di indifferenza e le luci dei lampioni gettano sul selciato bianco ombre lunghe e indefinibili.

 




La funzione termina a sera inoltrata e il gruppo dei miei compagni esce alla spicciolata; rientriamo in fretta nelle famiglie dove consumiamo una lauta cena servita dalla donna che conosce qualche vocabolo d'italiano e tenta di tradurlo nella sua lingua, ma riusciamo a comprendere solo la parola "Dobro" che vuol dire "Buono"; quasi stupidamente, come fanciulletti cocciuti, la ripetiamo ad ogni occasione, accompagnandola con gesti del capo e con sorrisetti melensi: "Dobro, dobro...".

Appena conclusa la cena un piccolo gruppo di noi, i giovani e quelli un po' meno giovani, si raccoglie di nuovo al pullman per raggiungere la Collina delle Apparizioni che vogliamo scalare recitando il Rosario. Armati di torce e capitanati da Jozo che sembra conoscere le pietre del sentiero una ad una, arranchiamo, ormai gia' stanchi dopo questa lunga giornata,pregando finche' non arriviamo in cima all'altura dove, proprio al centro dello spiazzo, infissa in un ammasso di pietre, c'e' una Croce semplice e nuda con un Cristo in metallo ed una piccola statua della Madonna.

Spegniamo le torce ed attorno a noi cala un buio fitto spezzato solo dalle piccole fiaccole che ardono come segni votivi attorno alla Croce, poi uno di noi punta la sua luce sull'immagine di Maria che sembra risplendere nella notte. Preghiamo ancora ed innalziamo a Lei le nostre intenzioni, le nostre suppliche, ascoltando la voce di Jozo che intercede per noi.

La notte e' un po' fredda ma limpida, nel cielo occhieggiano milioni di stelle che sembrano convenute li' da ogni parte dell'universo; in basso, nell'ampia vallata, brillano invece le tenue luci dei centri abitati, create dagli uomini. E noi siamo quassu', in mezzo tra la terra ed il cielo, incerti tra materia e spirito, piccole cose inerti se non ricevessimo il soffio vitale di Dio.

La mia anima, pur turbata, non si vuol lasciar suggestionare da questa atmosfera di comunione con gli altri e con Dio, che spesso e' in grado di raggiungere da sola, non vuol sottostare all'influenza delle sole emozioni e dei sentimenti anche se positivi. E' qualcosa di piu' che essa attende, a cui anela: una trasformazione integrale e positiva, una convinzione incrollabile, un accrescimento costante della fede giorno dopo giorno, che renda ogni atto ed ogni pensiero compiuti come un dono, un'offerta di tutta se stessa.

Ma e' tempo di tornare di nuovo a valle; silenziosamente discendiamo il colle, facendo attenzione a non inciampare nelle grosse pietre, riprendiamo il pullman e torniamo alle case assegnateci dove ormai tutti dormono. Ma le luci sono ancora accese a significare che il nostro arrivo e' atteso.

Mi accorgo solo adesso che non so neanche il nome della donna che ci ospita me, mio marito e gli altri tre uomini, non gliel'ho chiesto ed ora sta dormendo nell'unica stanza disponibile, quella dove vive sua suocera, una vecchia malata, insieme ai suoi tre figlioli: Luca, Tomislav e Ivan.

A Vincenzo, Giuseppe ed Ignazio ha riservato la sua stanza matrimoniale dopo avervi aggiunto un altro lettino; a noi due ha riservato la stanza dei ragazzi dove due divani ampi e candidi occupano quasi tutta la superficie. Sui mobili ben tenuti, allineati in bell'ordine, si susseguono tazzine da caffe', piatti, soprammobili e qualche giocattolo: una macchinina rossa di metallo, un pupazzetto, dei libri ...

 

 

 

TERZO GIORNO

 

Alle 8, come d'accordo, siamo riuniti nella cucina dove la donna, contrariamente a quanto ci aspettavamo, e' sola, il marito e' gia' partito all'alba per Ljubuski e cosi' pure i due figli piu' grandi, mentre il piccolo va a piedi in una scuola di Medjugorje.
Cosi' come ci hanno consigliato, vorremmo pregare insieme a quelli della casa, ma ora non vi e' che la vecchia malata e la donna che non ne fa accenno; ne' noi ci facciamo avanti coi gesti a ammentarglielo ma poi, dopo aver ascoltato gli altri del gruppo che hanno vissuto quest'esperienza con i loro ospiti e ne hanno ricavato un'inattesa beatitudine, ci porteremo dentro un'afflizione simile alla tristezza. Presto pero' essa scomparira' dai nostri cuori poiche', appena sistemati sul pullman, Marja viene a parlarci.

E' la giovane figlia d'uno degli ospiti di Miletina che conosce da vicino i veggenti e ne segue le ammonizioni, prendendo parte con costanza ed abnegazione ad uno dei gruppi di prghiera che si sono creati a Medjugorje, quello guidato da Jelena.
Marja e' giovane e bionda, indossa un paio di jeans e una maglietta bianca che mettono in evidenza un corpo ben formato, insomma sembra nient'affatto diversa da qualunque altra giovane della sua eta'. Ma basta guardarla in volto ed osservare i suoi occhi ed il suo sorriso per capire che in essa vi e' qualcosa di speciale: la luce della Grazia che erompe dall'interno e si comunica attraverso le sue parole anche a coloro che l'ascoltano.

Ci parla in italiano e ci illustra brevemente, quasi concitatamente, l'importanza della preghiera e del digiuno; ci esorta a raccoglierci in noi stessi senza distrazioni, con l'animo aperto ad ascoltare la voce di Dio e della Madonna e cerca di trasmetterci le sensazioni che prova quando si riunisce insieme agli altri giovani e la Vergine parla attraverso la veggente.

Su sua richiesta alcuni le pongono delle domande a cui lei risponde nel modo piu' semplice per essere compresa facilmente: domande sull'Angelo Custode, sul perche' ad alcuni tocca piu' sofferenza che ad altri, sulle vocazioni, sul problema delle altre religioni, sulla possibilita' di salvazione di chi non e' cristiano, ne' cattolico.
Essa risponde tranquilla, con quel bel viso gaio, sottolineando l'importanza dell'esser cristiani e della responsabilita' che a noi ne deriva, di fronte a Dio, dell'esserlo pienamente e coscientemente.
Marja ci saluta col suo sorriso speciale e discende per avviarsi nella sua giornata colma di Dio mentre noi prendiamo la via della montagna: il Krizevac e' vicino!

 

 

 

E' una salita difficile per via dei molti sassi che formano il sentiero, alcuni aguzzi, altri arrotondati dal continuo andirivieni dei pellegrini. C'incamminiamo tutti, giovani ed anziani, con impeto notevole che pian piano si affievolira' per dar posto ad un consapevole, e per questo meno faticoso, impegno che ci condurra' sino in cima.

Jozo, esile e giovane com'e', cosi' animato d'ardore spirituale, ci guida saltellando da un sasso all'altro come un'agile gazzella. Le due coppie d'anziani che toccano quasi l'ottantina, s'ingegnano per stare al passo con i piu' giovani, alcuni dei quali sembrano fare una gran fatica abituati come sono alla vita sedentaria della citta' e non avendo mai, prima d'ora, affrontato una scalata del genere. I vecchi, invece, previdenti e gia' esperti, si sono attrezzati con bastoni da montagna e non sembrano risentire della salita.

Francesca con la sua carrozzella viene portata a braccia da quattro uomini e precede il corteo per non intralciare il cammino, mentre Eliana per un primo tratto procede in braccio, ora a Francesco, ora a Leandro, ora a Giuseppe. Poi, come per una decisione improvvisa ma perentoria, esprime il desiderio di affrontare, malferma sui piedi, l'erta rocciosa, tenuta per la mano da Angela. Ci fermiamo ad ogni stazione della Via Crucis, dinanzi a cui una lapide scultorea in bronzo, donata da un artista italiano che ha ricevuto una grazia, ricorda gli avvenimenti dolorosi delle ultime ore del Cristo e sostiamo per qualche momento in preghiera, poi proseguiamo sgranando il Rosario.

 

 

 

Incontriamo altri gruppi di pellegrini sul sentiero: alcuni vengono giu' dalla vetta, altri come noi salgono e ci sorpassano; alcuni, forse per ringraziamento, si cimentano nella salita a piedi scalzi, ma a quanto possiamo constatare le pietre sia pure aguzze non procurano loro alcun disagio. C'e' gente di ogni nazionalita' e nell'incontrarci scambiamo un breve cenno di saluto.
La scalata dura circa due ore e solo pochissimi rinunciano a meta' strada, tutti vogliamo arrivare in cima e vedere la grande Croce bianca stagliarsi contro l'azzurro del cielo, anche gli anziani che si inerpicano lenti ma sicuri.
Eccoci finalmente sulla vetta: la Croce domina imponente e solenne su tutta la vallata sottostante da cui emerge il Santuario di Medjugorje. Nell'animo di tutti nasce un sentimento di soddisfazione e di pace al tempo stesso: e' come aver compiuto un'impresa impensabile, aver raggiunto una meta insperata.
Ci disperdiamo intorno al basamento della Croce lieti e ciarlieri e ci vuole un po' di tempo per raccoglierci di nuovo in gruppo per qualche foto che rimanga poi a rammentarci questa nostra piccola fatica.

La discesa ci sembra ormai piu' semplice, anche se ugualmente pericolosa poiche' i sassi sono levigati e i piu' giovani sono delegati a sostenere le persone piu' anziane; come Angeli Custodi impacciati essi si prendono cura dei loro protetti e li condurranno fino alle pendici del monte.

Io mi affianco alla signora Margherita, la mamma di padre Mario che con grinta prorompente si avvia, decisa e vigorosa sul sentiero, sondando il terreno col suo bastone da montagna. S'instaura subito un sentimento d'amicizia e ci diamo la mano per sostenerci a vicenda, raccontandoci aneddoti e qualche informazione sulle nostre esistenze. Accaldate e euforiche raggiungiamo la strada liscia e piana dove ci attende il pullman.

In questa discesa, che ci e' sembrata tanto breve, si sono cementate nuove amicizie, come quella tra me e Margherita che ammiro incondizionatamente per la sua grinta vivace, per quel suo modo di parlare schietto, senza fronzoli, per la ferma fede nella Provvidenza; si e' avuta conferma dell'affetto filiale di Gabriella D.A. di Giuliana M.. di Padre Mario, si sono avute dimostrazioni di volonta' da parte di Eliana che si e' impegnata, coi suoi piedini malati, a calarsi dal Krizevac...

E si e' avuta la sorpresa di scoprire Cosimo, la cui opera silenziosa ma efficace era passata quasi inosservata: sempre paziente nonostante i cambiamenti di programma, solerte ad ogni richiesta, e' stato coinvolto anche lui dall'atmosfera di Medjugorje. Taciturno ed introverso per carattere, all'inizio sembrava quasi non fosse animato dallo stesso spirito che ispirava tutto il gruppo, quasi seccato del compito che gli era stato assegnato.

 

Ma via via che le ore passavano e specialmente dopo l'arrivo al Santuario il suo atteggiamento era cambiato a tal punto che anche esteriormente si sono avvertite delle modifiche: il suo volto chiuso al sorriso si era disteso, cosi' come a poco a poco si andavano spianando anche le "rughe" dell'anima. Ci aveva seguito quieto nella grande chiesa brulicante di gente, nella passeggiata notturna sulla Collina delle Apparizioni ed ora era appena disceso dal Krizevac dove aveva aiutato gli anziani, senza spazientirsi mai.

Di corsa montiamo sul pullman per recarci al ristorante dove ci stanno gia' attendendo per il pasto, che si svolge piu' o meno come il giorno precedente.
Per primo sempre brodo, ma per secondo oggi assaggiamo uno dei piatti nazionali i cipavich, salsiccette saporitissime di cui non riusciamo a penetrare il segreto dell'impasto.

Torniamo a Miletina per una breve pausa presso le famiglie e per un caffe' che la nostra servizievole signora Neda ci offre amabilmente, poi di nuovo sul pullman rombante che ci condurra' davanti la casa di una delle Veggenti, Marja, che pare abbia acconsentito a ricevere il nostro gruppo per trasmetterci alcuni dei messaggi che la Madonna le affida.

Restera' a parlare con noi alcuni minuti e noi ne "approfitteremo" per raccomandarle due o tre casi particolari. Arriviamo nella stradina pietrosa e soleggiata ed attendiamo pochi attimi, giusto il tempo necessario a Jozo per salire la breve scalinata che porta alla casa della ragazza ed ecco lo vediamo ridiscendere parlottando tranquillo con una giovane dai capelli castani che, arricciandosi, le incorniciano il volto chiaro un po' largo.

E' Viska, l'altra veggente, quella che non si tira mai indietro quando si tratta di parlare in pubblico.

Scambia con Jozo, che conosce da tempo, alcune parole: e' calma, allegra, una ragazza come tante che indossa un paio di pantaloni ed una casacca a righe. Il suo volto che il sole, penetrando tra le chiome frondose degli alberi piantati nel piccolo spazio antistante la casa, copre d'ombre e', purtuttavia, luminoso e da esso traspare una serenita' che infonde pace e beatitudine.


La sua voce, mentre ci parla, e' come il cinguettio di un uccello, armoniosa, gradevole e scorre sulla mia anima come un unguento che istantaneamente rimargini le cicatrici che il tempo e le vicende della vita vi hanno impresso.

Jozo traduce simultaneamente cio' che lei dice e riversa su di noi i messaggi della Madonna che chiede: Pace - Conversione - Preghiere - Digiuno; un piccolo malinteso tra i due giovani viene chiarito con una risata spontanea: il viso gia' splendente di Viska s'illumina ancora di piu' e riflette una sincera, cordiale ilarita'.

 

Quello che di lei colpisce e rimane impresso nel mio ricordo - e cosi' penso per la maggior parte di noi - e' proprio quel suo sorriso che mette in mostra una fila di denti rilucenti, un sorriso che ancora conserva qualcosa di infantile e di candido, qualcosa di perenne e di celestiale e che ci rende sicuri che un essere cosi' puo' "vedere" la Madonna, puo' "parlarLe" ed "ascoltarLa".

Con gesti affettuosi ed incomprensibili frasi, ella s'accosta a confortare chi le si affolla intorno e le chiede di implorare Maria affinche' intervenga a favore dei piu' sfortunati; oggi s'e' impegnata a presentarLe non solo le istanze urgenti di alcune famiglie del nostro gruppo, ma anche quelle che ognuno di noi ha scritto in fretta su un piccolo pezzo di carta.


La breve udienza s'e' conclusa, Viska ci saluta guardandoci un'ultima volta e, precedendoci, esce dal cancelletto dell'abitazione, s'avvia per la strada scoscesa dove gia' l'attende un'altra piccola folla di gente, fedeli, curiosi che le vogliono parlare o solo toccarla, gente infelice o sofferente con richieste piccole o grandi, ugualmente importanti.

Lei se ne va per le strade di questo piccolo paese, in cui ogni giorno arriva una gran folla sempre diversa eppure uguale per patimenti, problemi e speranze; se ne va con quel suo sorriso sicuro ed ineffabile nonostante la miseria ed i dolori che vede, con quella sua faccia angelica, ilare a volte come oggi l'abbiamo vista mentre parlava con Jozo.

Tranquilla, nonostante la sua croce personale di malattia che essa porta con se' come un piccolo vessillo da sbandierare sulla terra, nonostante il gravoso impegno di parlare ai pellegrini che occupa gran parte delle sue giornate e a cui non si sottrae ...


Siamo di nuovo dinanzi alla grande chiesa; su un piccolo spiazzo si apre l'ufficio parrocchiale dove si vendono immaginette sacre e coroncine e dove una lunga fila di gente di varie nazionalita' attende il suo turno per entrare. E' una piccola stanza affollata in cui ognuno cerca un ricordino di questo straordinario luogo, che si creda o no nelle apparizioni. Anch'io mi tuffo nella mischia per conquistare medagliette e spilline che mi hanno commissionato, addirittura, alla mia partenza da Roma.

Nell'aria risuonano, attraverso gli altoparlanti, le voci dei fedeli che rispondono al Rosario ed il chiacchierio festante di centinaia di uccelli che brulicano tra i rami. Si dice che nel momento dell'apparizione della Madonna ai ragazzi, anch'essi tacciano, quieti ed assorti, per qualche attimo.
Intorno alla chiesa, il solito affollarsi dei fedeli seduti sull'erba a pregare, solitariamente o in piccoli gruppi o in attesa dei sacerdoti che arrivano nel piazzale, prendono da un apposito carrettino il cartello che indica le lingue in cui confessano e si siedono attendendo i pellegrini.

Il grosso del gruppo s'introduce in chiesa mentre molti altri, me compresa, ristanno all'aperto, come in attesa di qualcosa. Ma qualcosa, dentro, e' gia' accaduto in alcuni di noi ancora titubanti, timorosi quasi di scoprire in se un cambiamento radicale, il sovvertimento d'un mondo, dominato dai falsi idoli del progresso, consolidato da tempo scorrendo sui binari diretti verso l'egoismo, l'indifferenza, il rancore.
Dentro di me le sensazioni di ieri, di dubbio, di confusione, non sono quasi cambiate, s'alternano nel mio animo l'una dopo l'altra in una ridda disordinata che mi preme dall'interno e mi spinge a vagare attorno alla chiesa, accanto ai penitenti, lungo la fila dei sacerdoti in attesa dietro l'edificio dove ancora sostano folti gruppi di persone, dove il sole che sta tramontando irrora ogni cosa d'una luce arcana e il lieve vento della sera lambisce le fiamme delle candele accese che vibrano come canne d'organo.

M'attardo ancora un po', maturando dentro di me la decisione d'una Confessione piu' convinta e sincera possibile, cercando di mettere a nudo di fronte a me le molte manchevolezze; non trovo difficolta' - se non quel naturale disagio di inginocchiarsi dinanzi ad un altro essere umano - a riconoscere la mia pochezza dinanzi all'inviato di Dio, trovo che sia giusto cosi': rendersi piccolo dinanzi a Lui cosi' grande.

Molti provano, pero', nei confronti dell'atto penitenziale una certa resistenza, un moto di orgoglio e di superbia, non ammettendo di doversi umiliare innanzi ad un uomo simile a loro, poiche' non vedono nel sacerdote - e quindi in Dio stesso - un Amico, un Padre con un cuore immenso che tutto perdona a chi si presenta a Lui in tutta sincerita', davvero pentito d'averLo offeso, con la consapevolezza d'aver contravvenuto alle Sue leggi.

Quello che mi trattiene ora e' solo il non aver chiaro in me se credere o no a quanto qui si vive e si predica, a quest'atmosfera di estrema pace cosi' assurda per noi, provenienti dal caos e dall'angoscia che dominano nella nostra citta'

...Ma proprio da tutto cio' che ho visto e vissuto in queste poche ore mi deriva la necessita' incalzante di decidermi: mi inginocchio e tutto avviene semplicemente dentro e fuori di me, mentre il sacerdote con le sue parole rasserena la mia anima inquieta e le trasfonde sentimenti di mansuetudine e di levita'.
Ha un volto compatto color terracotta, due occhi azzurrissimi che sembrano rispecchiare la trasparenza imperturbabile del cielo e penetrare fino al fondo oscuro della mia coscienza dove affiorano i dubbi, le contraddizioni e le intemperanze che subito si acquietano.

Mi rituffo nella folla, felice e frastornata, placata e traboccante di serena fiducia, raggiungo il gruppo riunito in chiesa, partecipo al rito Eucaristico, mi comunico con piu' gioia d'ogni altra volta. I sacerdoti che hanno concelebrato la Messa scendono dall'altare e penetrano nella massa della folla, che si dilata e si allinea al loro passaggio in file ordinate; chi e' pronto a ricevere l'Ostia consacrata attende col viso rivolto a loro, altrimenti si gira, discretamente, su se stesso.
Alla fine della Messa, restiamo ancora un po' in chiesa per recitare i sette Pater, Ave e Gloria secondo le richieste della Vergine, poi assistiamo alla benedizione delle immaginette e dei ricordini, infine preghiamo per gli ammalati.

 

 

 

A tarda sera, ci dislochiamo, di nuovo a gruppi, nelle case di Miletina per la cena che come ieri e' ottima ed abbondante: minestrone con piccoli pezzi di carne, pomodori in insalata, carne, patate fritte ed una squisita pizza rustica imbottita di formaggio fresco, anche questo fatto in casa dalla donna che ci ospita.

I nostri anfitrioni accudiscono all'orto ed alla stalla dove hanno due mucche da cui ricavano latte, formaggio e burro, producono ortaggi e frutta; anche l'uva dolce e succosa ed i piccoli fichi verdi e saporiti che ci offre la signora Neda sono coltivati nel loro terreno.

Non vediamo mai il padrone di casa, e' sempre la donna (le ho chiesto come si chiamasse e lei mi ha risposto Branca, ma io sono rimasta nell'indecisione: questo sara' il suo nome di battesimo o il suo cognome?) a mantenere i rapporti con noi pellegrini, e' lei che cucina, che serve in tavola, che si sforza di capire i nostri desideri e i discorsi mentre siede accanto a noi, fumando un po' nervosamente le sigarette locali dal nome incomprensibile, Opatija.

Ad un tratto arriva Jozo che, finalmente, puo' tradurre i nostri pensieri e ringrazia da parte nostra per l'accoglienza che ci e' stata data; la signora Neda si schermisce e sorride imbarazzata. Certo questo per lei e' un lavoro e viene ricompensata adeguatamente poiche' nel prezzo da noi versato e' compresa la quota che le spetta per l'alloggio e il vitto; ad ogni famiglia di Miletina che ospita dei pellegrini verra' corrisposto un tanto che permettera' una vita tranquilla per un bel po' di tempo nonostante le difficili condizioni economiche in cui versa la Jugoslavia oggi.

Forse proprio i contadini sono i piu' favoriti in questa situazione, in quanto producono cio' che e' necessario a sfamarsi, ma in special modo costoro che abitano nel comprensorio di Medjugorje. La parrocchia e le famiglie sono abbastanza agiate - ci ha detto Jozo - non hanno bisogno di soldi, che gia' da piu' parti e attraverso diverse vie vi giungono, scarseggiano solo di alcuni generi particolari, come il caffe' per esempio, di cui ogni nucleo familiare italiano ha portato con se' un Kg, da dividere equamente tra gli ospiti di Miletina.

Non e' poco per la signora Neda guadagnare una bella sommetta in due giorni, ma e' anche molto il venir sloggiati dai propri letti ed arrangiarsi a dormire in casa della cognata per Marko, o dormire tutti in una sola stanza nonna, madre e tre figlioli di varie eta' che devono alzarsi presto la mattina per raggiungere le scuole lontane.
Non e' poco davvero dover sobbalzare dalla sedia, come ha fatto stamane la donna all'apparire, nel piccolo orto, della Miljcia che eseguiva i controlli sugli stranieri. Essa non aveva ancora compilato il piccolo registro verde su cui doveva segnare i nostri nomi e si e' precipitata a farlo fremente di paura ...

La serata non finisce qui: a gruppi di due o tre, gli altri pellegrini giungono nella casa e ci confidano che i nostri ospiti attendono che noi usciamo per poter cenare, benche' la nostra Neda Branca ci assicuri di no col capo. Allora decidiamo di raggiungere gli altri, riuniti nella casa piu' grande di Miletina che ospita una decina di noi.

La cucina che ci accoglie tutti e' ampia, intorno al lungo tavolo sono seduti i nostri compagni che stanno dando fondo alla grappa locale fatta in casa ed ai biscotti che Margherita ha portato con se' dall'Italia.
I nostri anfitrioni, lui un omone alto, biondastro con una fisionomia larga e sorridente e lei magra, servizievole, ci accolgono con gesti amichevoli e ci invitano ad unirci all'allegra brigata che sta cantando alcune melodie italiane.
Con quanto fiato abbiamo in gola, tutti insieme intoniamo canzoni antiche e moderne, condotti dalla voce piena di Padre Antonio a cui si contrappone quella ancora esile di Dennis; i padroni di casa seguono il ritmo ondeggiando e lanciandoci lunghi sorrisi. Ma gia' sui loro volti s'insinua l'ombra della stanchezza, domattina debbono alzarsi al levar del sole, percio' li salutiamo e ci rituffiamo nel buio della notte, lungo corteo brulicante nelle strade sterrate.

C'e' un'altro gruppo di nostri compagni dinanzi alla casa di Anna, l'avvenente bionda presso cui sono ospitate Edda le sue sorelle e nipoti e verso di essa ci dirigiamo per concludere questa serata.
Padre Antonio non ha piu' voce, ma ci da' il la per attaccare stornelli romaneschi e canzoni napoletane, incitando Vincenzo a partecipare perche' pensiamo, erroneamente, che dovrebbe conoscere a memoria le melodie ma lui, forse perche' stonato, lascia a noi questo impegno. Arrivano ancora Franco e Graziella che si esibiscono rivelando eccellenti doti canore che non sospettavamo.

Anna, intanto, va avanti e indietro dalla casa alla cantina dando fondo alle riserve di vino che offre in giro ed aggiunge ebbrezza alla nostra euforia; tutti indistintamente cantiamo con gioia e dentro di noi proviamo una leggerezza d'animo, una serenita' cosi' prorompente che dobbiamo esternare in qualche modo ed il canto ci sembra il mezzo piu' naturale per comunicarci vicendevolmente queste sensazioni, poiche' le sole parole non basterebbero ad esprimere la gamma di sentimenti che ora ci riempiono.

L'aria ora s'e' fatta scura, e' giunto il momento di sciogliere il gioioso convivio e di salutare Anna e la sua famiglia, tornando ognuno al proprio letto per un meritato riposo.
In alto, nel cielo spazzato dalla bora, le stelle lucenti e misteriose, immobili ed eterne ascoltano le nostre voci ilari che si disperdono nella notte ...

 

 

 

 

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QUARTO GIORNO

 

E' una giornata splendida con questo sole caldo che il vento gia' stempera un po' e quest'aria pulita, tersa, cosi' differente dall'aria tumefatta di Roma.

Salutiamo le nostre famiglie con un pizzico di quella nostalgia malinconica che si prova lasciando qualcosa che ci ha riempito lo spirito di sensazioni meravigliose; ognuno porta con se dei doni che le famiglie hanno preparato: uva, formaggi freschi e bottiglie di grappa che stiviamo nel ventre accogliente del pullman gia' traboccante di souvenir (tappeti, pietre del Krizevac o della Collina delle Apparizioni).

Saliamo e prendiamo i nostri soliti posti, agitando le mani a salutare alcuni dei contadini di Miletina che restano a guardarci addossati alle case, pochi pero' poiche' la maggioranza e' al lavoro nelle fabbriche di Ljubuski o nei campi. Lasciamo questa piccola isola di semplicita' cosi' dissimile dall'ambiente in cui viviamo, cosi' pacifica, cosi' vera.

 



Cosimo si impegna al massimo della sua bravura penetrando col grosso pullman all'interno dei vicoli stretti e angolosi del piccolo sobborgo in cui vivono le veggenti, ai piedi della Collina delle Apparizioni, su cui fra poco saliremo.

A piedi costeggiamo le mura di pietre antiche delle case ed iniziamo questa nuova scalata piuttosto sveltamente e speditamente, sempre guidati da Jozo.

Il carrozzino di Francesca viene portato su con vigore dagli uomini tra cui bisogna ricordare Augusto, solerte e silente che a Franco e Graziella ha risparmiato, senza farsene un vanto, molto lavoro ed impegno, coadiuvato da Rina, sua moglie, ciarliera e battagliera eppure cosi' fragile ed emotiva.

La cima e' segnata dalla Croce con il piccolo Crocifisso e la statuetta della Madonna ma intorno, infisse tra i sassi s'innalzano altre Croci piccole e grandi su cui ignoti pelllegrini hanno inciso una data, una piccola frase.
Ci aggiriamo un po' tra le pietre aguzze, fermi dinanzi ad ognuno di questi segnali che scandiscono come inni solenni la fede di chi qui li ha lasciati.

Sotto di noi si estende l'ampia vallata verde che ora brulica di costruzioni e proprio alla nostra destra s'alza impervio, quasi glabro, il monte Krizevac su cui eravamo ieri.
L'ascesa alla collina, pero', e' stata molto piu' facile, e tanto piu' lo e' la discesa che percorriamo in un battibaleno.

 

 

 



Ma la nostra corsa - alle ore 11 ci attendono in chiesa per la Messa che verra' celebrata in italiano - si ferma di nuovo dinanzi alla casa di Viska dove lei, benchè impegnata a parlare con dei pellegrini francesi, ci rivolge uno sguardo ed un sorriso radiosi e ci saluta con un semplice gesto della mano, come se riconoscesse ognuno di noi.

La Chiesa e' meno affollata dei pomeriggi precedenti, la maggioranza dei fedeli e' costituita dai due gruppi di italiani e l'ampia volta bianca e' rischiarata dalla luce del giorno che pero' lascia l'angolo in cui e' situata la statua della Madonna in una lieve penombra; il Santuario e' ora meno suggestivo che nel tramonto quando il sole perfora le trasparenti vetrate coi suoi bagliori dorati e colpisce il quadro delle apparizioni posto proprio sul muro del coro.

Dinanzi alla statua della Vergine ininterrottamente pregano i fedeli; io mi avvicino e ne ammiro le mirabili fattezze, il lungo manto grigio, la corona di stelle posata sul suo capo ma non m'inginocchio lungo la balaustra, non scatto alcuna foto, quasi non formulo le preghiere che ho in cuore: mi sembra di disturbarLa, cosi' indaffarata com'e' ad ascoltare le richieste piu' disparate e forse piu' urgenti ed importanti delle mie.

Qualche anziano e dei poveri dementi sembrano aver stabilito nella chiesa la loro dimora abituale e seguono la Messa con attenzione anche se in una lingua sconosciuta.

Con una spina nel cuore seguo la Celebrazione: una povera donna dietro di me non connette e non ha freni; si agita di continuo e parla, gestiscola e parla a voce sempre più alta, presto condotta via da qualche pia conoscente.

Mi angoscia il pensiero che la nostra mente superiore, intelligente sia cosi' debole, cosi' facilmente preda della malattia, della follia e che l'uomo - essere privilegiato da Dio - si riduca a volte ad uno stadio quasi animalesco.


La voce confortevole e potente di Padre Antonio mi rida' coraggio e canto anch'io, piccola voce nel brusio della folla, avviandomi alla Comunione, preceduta nella fila da Cosimo, nostra fedele ombra che tenta di passare inosservato.

Abbiamo un po' di tempo libero ora dopo la Messa e ci riversiamo sulla strada bianca dove le bancarelle si susseguono una all'altra vendendo souvenirs, artigianato locale e di provenienza turca, ricordini religiosi, orecchini e collane come in ogni mercato che si rispetti. Chi piu', chi meno, ognuno di noi acquista un qualche oggetto e con questi piccoli trofei ci raccogliamo, dopo poco, di nuovo davanti al Santuario per le ultime fotografie; ancora qualche ricordo da portar via, da conservare con cura in un bell'album che mostreremo agli amici ed ai parenti a cui racconteremo i particolari che, forse nel tempo, si faranno labili nella nostra mente tanto da confondere date, volti e luoghi, mentre nell'animo, invece godremo dei frutti tangibili di questa esperienza.

Ore 13. Durante la mattinata alcuni del gruppo hanno disertato ai nostri appuntamenti per raggiungere Jelena, l'altra veggente che possiede la locuzione interiore, non vede cioe' la Madonna ma ne ascolta la voce e gli ammonimenti. Ora ci ritroviamo tutti sull'ampio piazzale dove si ammucchiano i pullman, saliamo sul nostro e ripercorriamo le strette stradine per risalire nel paese vecchio, poiche' Jelena ha espresso la volonta' di riceverci tutti ma, purtroppo, data l'ora ormai tarda, la visita va a monte.
Un po' di delusione si dipinge sui nostri volti ma - come dice Jozo - non e' importante vedere ma credere.

Al ristorante, oltre al solito brodo ci servono trote, calamaretti, patate, pomodori, verza e caffe', espresso stavolta.
Dando un po' di fastidio, io approfitto di quest'attimo di pausa, per girare tra i tavoli chiedendo ai miei compagni una firma, un pensiero, l'indirizzo da riportare sul mio inseparabile libretto giallo paglierino su cui ho raccolto ricordi e idee e gentilmente tutti si prestano a soddisfare il mio desiderio.

Verso le 15 salutiamo i gestori del ristorante e ci dirigiamo all'interno. Mentre viaggiamo, Jozo di tanto in tanto ci ragguaglia sul suo Paese che e' formato da sei diverse nazioni, sui luoghi attraverso cui passiamo, sulla condizione politica che avversa la religione; la popolazione non e' unita ma smembrata a causa delle diverse origini, delle culture dissimili, dei costumi, delle religioni.
Il governo nel periodo attuale attraversa un momento di ristrettezze economiche e gradualmente sta dando via libera al cattolicesimo, chiudendo un occhio su Medjugorje che comincia a rappresentare per la Nazione una fonte di guadagno.

Ci fermiamo a Tihaljna dove vive Padre Jozo, il parroco di Medjugorje all'epoca delle prime apparizioni che in un primo momento aveva osteggiato i veggenti non credendo alle loro visioni.
Ma poi, dopo aver ricevuto anch'egli la "visita" della Madonna, si e' schierato con loro, e' diventato la voce di Medjugorje ed ha lottato personalmente scontando un anno e mezzo di carcere per l'ostilita' del governo jugoslavo.

A lui ora giungono i pellegrini che prima sostano al Santuario delle Apparizioni e poi vengono qui per un ulteriore conferma - se ce ne fosse bisogno - di cio' che hanno visto ed udito in quel luogo.

Ci ritroviamo immersi in un'atmosfera serena, in un oasi di pace e di fiori che contrasta con le vallate intorno, glabre e deserte; i pellegrini sostano attorno alle aiuole, girovagano sul piazzale asfaltato, attendono udienza.

Padre Jozo ora sta predicando ad un gruppo inglese e quando noi ci affacciamo alla porta della chiesa gia' pronti ad entrare, ci ricaccia indietro poiche' durante le omelie non vuole essere disturbato e diventa persino severo con gli intrusi.
E' giusto cosi': per pregare bisogna concentrarsi senza interferenze, senza distrazioni; il contatto con Dio e la Madonna non e' possibile se si e' mentalmente svagati.

Ma intanto si sta' facendo tardi, non possiamo far attendere il Vescovo che ci riceverà a Split e quindi rinunciamo a questa visita, riprendendo la nostra strada, attraversando varie localita' e facendo una piccola sosta in un paesino depresso dell'interno.
In pullman Mario M. propone di ascoltare la registrazione d'un discorso di Padre Jozo ai pellegrini, effettuata durante l'esperienza da lui gia' vissuta a Medjugorje nel periodo pasquale. E' un surrogato della mancata udienza a Tihaljna, ma la voce calda, intensa del frate ci avvince, rimbomba nelle nostre orecchie e nei nostri animi invocando un rinnovamento dei cuori, la pace, la conversione ed incitando alla preghiera ...


Di nuovo il nostro giovane cicerone ci ragguaglia sulla sua terra, questa Croazia religiosa in cui fioriscono i santuari e le immagini miracolose, ma affascinati quasi dalla voce che poco prima ci indicava un cammino nuovo, chiediamo di ascoltare l'altra facciata della cassetta registrata.
Padre Jozo continua a parlare alle nostre anime, facendoci riflettere sulla tiepida fede che a malapena riscalda i nostri cuori occidentali cosi' frastornati, cosi' infedeli, cosi scaltriti, cosi' induriti dal benessere, dal consumismo, da questo che noi chiamiamo un vivere civile.

La presenza dei pellegrini a Medjugorje e' da lui considerata una "chiamata" a cui bisogna dar risposta. Anche la Madonna nell'accostare i veggenti ha detto loro: "Io te ho chiamato!"; parole su cui bisogna riflettere, non ora forse che siamo cosi' frastornati, ma piu' tardi, quando quest'euforia gioiosa passera' e resteremo a tu per tu con noi stessi e con la nostra coscienza, con le nostre abitudini e debolezze, con le nostre virtu' e i nostri desideri.

Padre Antonio, che ha animato il viaggio in pullman, ora e' stanco per il troppo agire, cantare, parlare, star sempre in piedi cedendo il posto ora a questo ora a quello; si ferma un momento a sedere accanto a me e sembra appisolarsi. Ma forse sta solo meditando dentro di se' i fatti svoltisi in questi giorni.
Era rimasto d'accordo con gli organizzatori che a Spalato avrebbe preso il primo aereo utile per tornare a Roma, alla sua parrocchia, dove il daffare e' davvero molto ed i suoi confratelli ormai anziani si dovrebbero prodigare troppo, domani, nella celebrazione di vari matrimoni; strada facendo pero' ha cambiato idea: ha iniziato questo cammino con noi e con noi vuole portarlo a termine. La Provvidenza aiutera' Padre Angelico e Padre Francesco, dando loro forza e salute bastevoli a portare a buon fine i loro impegni.

...In lontananza ci appare la citta'-fortezza situata in un punto strategico per coprire le spalle a Spalato poi eccola, finalmente, Split che si allunga sulla costa dalmata fronteggiata da piccole isole con nomi strani per noi.
Ecco la citta' antica di Salona, un cimitero paleocristiano ancora interrato, benche' saccheggiato a piu' riprese dagli Arabi.

Spalato è' una grande e moderna citta' di circa 300.000 abitanti di cui 15.000 disoccupati, quasi tutti giovani. Cemento, plastica, raffinerie, cantieri navali sono le risorse industriali che danno lavoro ma deturpano la sua estetica, poi ricompaiono i palazzi, i casermoni popolari, uguali in tutte le grandi metropoli ed ugualmente squallidi.

Qui il cielo non e' ne' terso ne' azzurro come a Medjugorje, e' di un grigio cinereo velato dai vapori delle fabbriche e dagli umori di tanta umanita'.
La cattedrale verso cui ci dirigiamo e' bassa, schiacciata dagli enormi grattacieli che la dominano, quasi a voler minimizzare l'importanza della Chiesa e dei suoi ministri nel laico mondo jugoslavo, ma all'interno del palazzo vescovile la sala e' ampia e moderna.

Jozo inizia a recitare il Rosario, subito dopo Padre Antonio da' il via al canto gioioso con cui accogliamo il Vescovo, Mons. Frane Franic.

E' un uomo grande, imponente con una gran croce d'oro al collo che c'intrattiene sulle parole di Paolo ai Corinzi, il cui apostolato s'e' servito prima di ammonimenti blandi per iniziare i pagani al Cristianesimo ma che, via via, ha preso toni e parole severe, forti.
Mons. Franic interrompe un attimo il suo discorso notando in prima fila Francesca che attira la sua attenzione e, commosso, si dirige verso di lei implorando la Vergine Maria ed imponendo sul suo capo le mani in segno di benedizione, cio' che ripetera' anche per Eliana.
Riprende poi a parlarci della Madonna che chiede amore, una grande disponibilita' d'animo nei confronti di tutti gli esseri umani prima di ogni altra cosa, prima ancora della preghiera e del digiuno.

E' disposto ad ascoltare e a rispondere alla domande che vorremo rivolgergli; si fa avanti Paolo R. che chiede cosa intende la Madonna per pace, una delle cose che Ella raccomanda con piu' fervore e trasmette senza sosta ai fedeli attraverso i veggenti. Si tratta - dice il Vescovo - non solo dell'antitesi della guerra, bensi' d'una tranquillita' dei cuori che porta purezza, serenita', amore ... "come quando ci sentiamo leggeri e felici e vorremmo abbracciare tutto il mondo!".

Mario M. gli pone il quesito di come debba comportarsi con chi non crede nei fatti di Medjugorje e Mons. Franic lo esorta a non voler convincere a tuttii costi gli increduli, ma a rendere testimonianza affermando: "Io ci credo!".
Lucilla, invece, e' preoccupata per il ritorno a casa dove, nello scorrere caotico della vita di tutti i giorni, non trovera' piu' forse la serenita' provata a Medjugorje, in questi luoghi dove la pace sembra esser di casa. Egli la incita ad una fede e ad un impegno maggiori, ad una conversione fatta di tenacia e di preghiera, di voglia di migliorarsi.
Padre Antonio, mettendo il dito sulla piaga, lo interroga sulla diatriba accesasi tra lui, Vescovo di Split, ed il Vescovo di Mostar che e' contrario ad accettare Medjugorje come realta' miracolosa, mentre il nostro interlocutore ne e' un assertore tenace. Tra i due e' nato un antagonismo affettuoso che durera' probabilmente fintanto che il Vaticano non emettera' il suo giudizio.

Nel continuare il suo discorso Mons. Franic accenna in sordina ai contrasti con le autorita' locali che osteggiano la religione e dalle sue parole traspare, oltre alla giusta indignazione, un pizzico di dispiacere e di timore insieme.
Ormai e' tardi e ci accalchiamo attorno a lui per baciargli la mano in segno di rispetto, per avere la sua benedizione e gli chiediamo ancora un attimo di pazienza, giusto il tempo per scattare alcune foto e chiedergli di pregare per noi, cosa che assicura avverra', esortandoci a fare altrettanto per Lui.
Domani, sapremo poco dopo, egli andra' in pensione - se cosi' si puo' dire - e quindi lo abbiamo colto in un momento delicato della sua vita sacerdotale.

Il pullman riparte in direzione del Convento delle suore che ci hanno gia' ospitato al nostro arrivo, lasciando a terra Aldo e la sua famiglia che avevano espresso il desiderio di passare fuori la serata.
Le suore hanno gia' preparato la cena a base di pesce ed insalate e persino di dolce. Jozo non tocca altro che pane ed acqua, rispettando la richiesta della Vergine di digiunare una, ma anche due volte a settimana "per liberare lo spirito" mi conferma lui. Anche Suor Alba e Giuliana hanno seguito il suo esempio, hanno compiuto questo piccolo sforzo di volonta' derivante non da una imposizione ma solo da una esortazione.

Ho alcune domande da porre a Jozo e lui, come sempre, risponde con quel suo tono pacato e rispettoso: gli chiedo conferma del fatto che il digiuno non e' inteso solo in senso strettamente alimentare. Digiuno e' infatti la rinuncia a qualcosa a cui teniamo particolarmente, oltreche' a un pasto o a un dolce, e' staccarsi dalle cose terrene per avvicinarsi di piu' alle cose spirituali; l'offerta di un dolce di cui siamo golosi, di alcune sigarette non accese per un fumatore accanito, d'uno spettacolo televisivo che attendevamo da tempo, rappresenta un sacrificio da dedicare alla Madonna e a Dio.
Voglio poi sapere se, non potendo effettuare con la famiglia la preghiera comunitaria mattutina, per gli orari ed il traffico che ci costringe a corse ed a stress, possiamo farla separatamente, durante l'attesa dell'autobus, durante il tragitto per raggiungere il posto di lavoro o la scuola, per esempio.

Lui risponde deciso che le orazioni in gruppo hanno senza dubbio piu' valore, non foss'altro per il fatto che l'eseguirle comporta un piccolo sforzo da parte di tutti ed inoltre rappresenta un momento di unione tra i vari componenti della famiglia.


Gli organizzatori parlottano ancora un po' per accordarsi sul da farsi e tirare un po' di conti quindi, ormai stanchi, c'invitano ad andare nelle nostre rispettive stanze.
Il piccolo gruppo che alloggia presso l'altro convento, rivive le peripezie della volta precedente e arriva ciarliero e rumoroso negli alloggi silenziosi.

Purtroppo il viaggio intrapreso insieme si sta avvicinando alla sua conclusione e si dà sfogo turbolentemente alle amicizie e simpatie che hanno preso corpo in questi pochi giorni.

 



Ma la nostra corsa - alle ore 11 ci attendono in chiesa per la Messa che verra' celebrata in italiano - si ferma di nuovo dinanzi alla casa di Viska dove lei, benchè impegnata a parlare con dei pellegrini francesi, ci rivolge uno sguardo ed un sorriso radiosi e ci saluta con un semplice gesto della mano, come se riconoscesse ognuno di noi.

La Chiesa e' meno affollata dei pomeriggi precedenti, la maggioranza dei fedeli e' costituita dai due gruppi di italiani e l'ampia volta bianca e' rischiarata dalla luce del giorno che pero' lascia l'angolo in cui e' situata la statua della Madonna in una lieve penombra; il Santuario e' ora meno suggestivo che nel tramonto quando il sole perfora le trasparenti vetrate coi suoi bagliori dorati e colpisce il quadro delle apparizioni posto proprio sul muro del coro.

Dinanzi alla statua della Vergine ininterrottamente pregano i fedeli; io mi avvicino e ne ammiro le mirabili fattezze, il lungo manto grigio, la corona di stelle posata sul suo capo ma non m'inginocchio lungo la balaustra, non scatto alcuna foto, quasi non formulo le preghiere che ho in cuore: mi sembra di disturbarLa, cosi' indaffarata com'e' ad ascoltare le richieste piu' disparate e forse piu' urgenti ed importanti delle mie.

Qualche anziano e dei poveri dementi sembrano aver stabilito nella chiesa la loro dimora abituale e seguono la Messa con attenzione anche se in una lingua sconosciuta.

Con una spina nel cuore seguo la Celebrazione: una povera donna dietro di me non connette e non ha freni; si agita di continuo e parla, gestiscola e parla a voce sempre più alta, presto condotta via da qualche pia conoscente. Mi angoscia il pensiero che la nostra mente superiore, intelligente sia cosi' debole, cosi' facilmente preda della malattia, della follia e che l'uomo - essere privilegiato da Dio - si riduca a volte ad uno stadio quasi animalesco.
La voce confortevole e potente di Padre Antonio mi rida' coraggio e canto anch'io, piccola voce nel brusio della folla, avviandomi alla Comunione, preceduta nella fila da Cosimo, nostra fedele ombra che tenta di passare inosservato.

Abbiamo un po' di tempo libero ora dopo la Messa e ci riversiamo sulla strada bianca dove le bancarelle si susseguono una all'altra vendendo souvenirs, artigianato locale e di provenienza turca, ricordini religiosi, orecchini e collane come in ogni mercato che si rispetti. Chi piu', chi meno, ognuno di noi acquista un qualche oggetto e con questi piccoli trofei ci raccogliamo, dopo poco, di nuovo davanti al Santuario per le ultime fotografie; ancora qualche ricordo da portar via, da conservare con cura in un bell'album che mostreremo agli amici ed ai parenti a cui racconteremo i particolari che, forse nel tempo, si faranno labili nella nostra mente tanto da confondere date, volti e luoghi, mentre nell'animo, invece godremo dei frutti tangibili di questa esperienza.

Ore 13. Durante la mattinata alcuni del gruppo hanno disertato ai nostri appuntamenti per raggiungere Jelena, l'altra veggente che possiede la locuzione interiore, non vede cioe' la Madonna ma ne ascolta la voce e gli ammonimenti. Ora ci ritroviamo tutti sull'ampio piazzale dove si ammucchiano i pullman, saliamo sul nostro e ripercorriamo le strette stradine per risalire nel paese vecchio, poiche' Jelena ha espresso la volonta' di riceverci tutti ma, purtroppo, data l'ora ormai tarda, la visita va a monte.
Un po' di delusione si dipinge sui nostri volti ma - come dice Jozo - non e' importante vedere ma credere.
Al ristorante, oltre al solito brodo ci servono trote, calamaretti, patate, pomodori, verza e caffe', espresso stavolta.
Dando un po' di fastidio, io approfitto di quest'attimo di pausa, per girare tra i tavoli chiedendo ai miei compagni una firma, un pensiero, l'indirizzo da riportare sul mio inseparabile libretto giallo paglierino su cui ho raccolto ricordi e idee e gentilmente tutti si prestano a soddisfare il mio desiderio.
Verso le 15 salutiamo i gestori del ristorante e ci dirigiamo all'interno. Mentre viaggiamo, Jozo di tanto in tanto ci ragguaglia sul suo Paese che e' formato da sei diverse nazioni, sui luoghi attraverso cui passiamo, sulla condizione politica che avversa la religione; la popolazione non e' unita ma smembrata a causa delle diverse origini, delle culture dissimili, dei costumi, delle religioni.
Il governo nel periodo attuale attraversa un momento di ristrettezze economiche e gradualmente sta dando via libera al cattolicesimo, chiudendo un occhio su Medjugorje che comincia a rappresentare per la Nazione una fonte di guadagno.

Ci fermiamo a Tihaljna dove vive Padre Jozo, il parroco di Medjugorje all'epoca delle prime apparizioni che in un primo momento aveva osteggiato i veggenti non credendo alle loro visioni.
Ma poi, dopo aver ricevuto anch'egli la "visita" della Madonna, si e' schierato con loro, e' diventato la voce di Medjugorje ed ha lottato personalmente scontando un anno e mezzo di carcere per l'ostilita' del governo jugoslavo.
A lui ora giungono i pellegrini che prima sostano al Santuario delle Apparizioni e poi vengono qui per un ulteriore conferma - se ce ne fosse bisogno - di cio' che hanno visto ed udito in quel luogo.
Ci ritroviamo immersi in un'atmosfera serena, in un oasi di pace e di fiori che contrasta con le vallate intorno, glabre e deserte; i pellegrini sostano attorno alle aiuole, girovagano sul piazzale asfaltato, attendono udienza.
Padre Jozo ora sta predicando ad un gruppo inglese e quando noi ci affacciamo alla porta della chiesa gia' pronti ad entrare, ci ricaccia indietro poiche' durante le omelie non vuole essere disturbato e diventa persino severo con gli intrusi.
E' giusto cosi': per pregare bisogna concentrarsi senza interferenze, senza distrazioni; il contatto con Dio e la Madonna non e' possibile se si e' mentalmente svagati.
Ma intanto si sta' facendo tardi, non possiamo far attendere il Vescovo che ci riceverà a Split e quindi rinunciamo a questa visita, riprendendo la nostra strada, attraversando varie localita' e facendo una piccola sosta in un paesino depresso dell'interno.
In pullman Mario M. propone di ascoltare la registrazione d'un discorso di Padre Jozo ai pellegrini, effettuata durante l'esperienza gia' vissuta a Medjugorje nel periodo pasquale. E' un surrogato della mancata udienza a Tihaljna, ma la voce calda, intensa del frate ci avvince, rimbomba nelle nostre orecchie e nei nostri animi invocando un rinnovamento dei cuori, la pace, la conversione ed incitando alla preghiera ...

Di nuovo il nostro giovane cicerone ci ragguaglia sulla sua terra, questa Croazia religiosa in cui fioriscono i santuari e le immagini miracolose, ma affascinati quasi dalla voce che poco prima ci indicava un cammino nuovo, chiediamo di ascoltare l'altra facciata della cassetta registrata.
Padre Jozo continua a parlare alle nostre anime, facendoci riflettere sulla tiepida fede che a malapena riscalda i nostri cuori occidentali cosi' frastornati, cosi' infedeli, cosi scaltriti, cosi' induriti dal benessere, dal consumismo, da questo che noi chiamiamo un vivere civile.

La presenza dei pellegrini a Medjugorje e' da lui considerata una "chiamata" a cui bisogna dar risposta. Anche la Madonna nell'accostare i veggenti ha detto loro: "Io te ho chiamato!"; parole su cui bisogna riflettere, non ora forse che siamo cosi' frastornati, ma piu' tardi, quando quest'euforia gioiosa passera' e resteremo a tu per tu con noi stessi e con la nostra coscienza, con le nostre abitudini e debolezze, con le nostre virtu' e i nostri desideri.

Padre Antonio, che ha animato il viaggio in pullman ora e' stanco per il troppo agire, cantare, parlare, star sempre in piedi cedendo il posto ora a questo ora a quello; si ferma un momento a sedere accanto a me e sembra appisolarsi. Ma forse sta solo meditando dentro di se' i fatti svoltisi in questi giorni.
Era rimasto d'accordo con gli organizzatori che a Spalato avrebbe preso il primo aereo utile per tornare a Roma, alla sua parrocchia, dove il daffare e' davvero molto ed i suoi confratelli ormai anziani si dovrebbero prodigare molto, domani, nella celebrazione di vari matrimoni; strada facendo pero' ha cambiato idea: ha iniziato questo cammino con noi e con noi vuole portarlo a termine. La Provvidenza aiutera' Padre Angelico e Padre Francesco, dando loro forza e salute bastevoli a portare a buon fine i loro impegni.

...In lontananza ci appare la citta'-fortezza situata in un punto strategico per coprire le spalle a Spalato poi eccola, finalmente, Split che si allunga sulla costa dalmata fronteggiata da piccole isole con nomi strani per noi.
Ecco la citta' antica di Salona, un cimitero paleocristiano ancora interrato, benche' saccheggiato a piu' riprese dagli Arabi.
Spalato è' una grande e moderna citta' di circa 300.000 abitanti di cui 15.000 disoccupati, quasi tutti giovani. Cemento, plastica, raffinerie, cantieri navali sono le risorse industriali che danno lavoro ma deturpano la sua estetica, poi ricompaiono i palazzi, i casermoni popolari, uguali in tutte le grandi metropoli ed ugualmente squallidi.
Qui il cielo non e' ne' terso ne' azzurro come a Medjugorje, e' di un grigio cinereo velato dai vapori delle fabbriche e dagli umori di tanta umanita'.
La cattedrale verso cui ci dirigiamo e' bassa, schiacciata dagli enormi grattacieli che la dominano, quasi a voler minimizzare l'importanza della Chiesa e dei suoi ministri nel laico mondo jugoslavo, ma all'interno del palazzo vescovile la sala e' ampia e moderna.
Jozo inizia a recitare il Rosario, subito dopo Padre Antonio da' il via al canto gioioso con cui accogliamo il Vescovo, Mons. Frane Franic.

E' un uomo grande, imponente con una gran croce d'oro al collo che c'intrattiene sulle parole di Paolo ai Corinzi, il cui apostolato s'e' servito prima di ammonimenti blandi per iniziare i pagani al Cristianesimo ma che, via via, ha preso toni e parole severe, forti.
Mons. Franic interrompe un attimo il suo discorso notando in prima fila Francesca che attira la sua attenzione e, commosso, si dirige verso di lei implorando la Vergine Maria ed imponendo sul suo capo le mani in segno di benedizione, cio' che ripetera' anche per Eliana.
Riprende poi a parlarci della Madonna che chiede amore, una grande disponibilita' d'animo nei confronti di tutti gli esseri umani prima di ogni altra cosa, prima ancora della preghiera e del digiuno.
E' disposto ad ascoltare e a rispondere alla domande che vorremo rivolgergli; si fa avanti Paolo R. che chiede cosa intende la Madonna per pace, una delle cose che Ella raccomanda con piu' fervore e trasmette senza sosta ai fedeli attraverso i veggenti. Si tratta - dice il Vescovo - non solo dell'antitesi della guerra, bensi' d'una tranquillita' dei cuori che porta purezza, serenita', amore ... "come quando ci sentiamo leggeri e felici e vorremmo abbracciare tutto il mondo!".
Mario M. gli pone il quesito di come debba comportarsi con chi non crede nei fatti di Medjugorje e Mons. Franic lo esorta a non voler convincere a tuttii costi gli increduli, ma a rendere testimonianza affermando: "Io ci credo!".
Lucilla, invece, e' preoccupata per il ritorno a casa dove, nello scorrere caotico della vita di tutti i giorni, non trovera' piu' forse la serenita' provata a Medjugorje, in questi luoghi dove la pace sembra esser di casa. Egli la incita ad una fede e ad un impegno maggiori, ad una conversione fatta di tenacia e di preghiera, di voglia di migliorarsi.
Padre Antonio, mettendo il dito sulla piaga, lo interroga sulla diatriba accesasi tra lui, Vescovo di Split, ed il Vescovo di Mostar che e' contrario ad accettare Medjugorje come realta' miracolosa, mentre il nostro interlocutore ne e' un assertore tenace. Tra i due e' nato un antagonismo affettuoso che durera' probabilmente fintanto che il Vaticano non emettera' il suo giudizio.

Nel continuare il suo discorso Mons. Franic accenna in sordina ai contrasti con le autorita' locali che osteggiano la religione e dalle sue parole traspare, oltre alla giusta indignazione, un pizzico di dispiacere e di timore insieme.
Ormai e' tardi e ci accalchiamo attorno a lui per baciargli la mano in segno di rispetto, per avere la sua benedizione e gli chiediamo ancora un attimo di pazienza, giusto il tempo per scattare alcune foto e chiedergli di pregare per noi, cosa che assicura avverra', esortandoci a fare altrettanto per Lui.
Domani, sapremo poco dopo, egli andra' in pensione - se cosi' si puo' dire - e quindi lo abbiamo colto in un momento delicato della sua vita sacerdotale.

Il pullman riparte in direzione del Convento delle suore che ci hanno gia' ospitato al nostro arrivo, lasciando a terra Aldo e la sua famiglia che avevano espresso il desiderio di passare fuori la serata.
Le suore hanno gia' preparato la cena a base di pesce ed insalate e persino di dolce. Jozo non tocca altro che pane ed acqua, rispettando la richiesta della Vergine di digiunare una, ma anche due volte a settimana "per liberare lo spirito" mi conferma lui. Anche Suor Alba e Giuliana hanno seguito il suo esempio, hanno compiuto questo piccolo sforzo di volonta' derivante non da una imposizione ma solo da una esortazione.

Ho alcune domande da porre a Jozo e lui, come sempre, risponde con quel suo tono pacato e rispettoso: gli chiedo conferma del fatto che il digiuno non e' inteso solo in senso strettamente alimentare. Digiuno e' infatti la rinuncia a qualcosa a cui teniamo particolarmente, oltreche' a un pasto o a un dolce, e' staccarsi dalle cose terrene per avvicinarsi di piu' alle cose spirituali; l'offerta di un dolce di cui siamo golosi, di alcune sigarette non accese per un fumatore accanito, d'uno spettacolo televisivo che attendevamo da tempo, rappresenta un sacrificio da dedicare alla Madonna e a Dio.
Voglio poi sapere se, non potendo effettuare con la famiglia la preghiera comunitaria mattutina, per gli orari ed il traffico che ci costringe a corse ed a stress, possiamo farla separatamente, durante l'attesa dell'autobus, durante il tragitto per raggiungere il posto di lavoro o la scuola, per esempio.
Lui risponde deciso che le orazioni in gruppo hanno senza dubbio piu' valore, non foss'altro per il fatto che l'eseguirle comporta un piccolo sforzo da parte di tutti ed inoltre rappresenta un momento di unione tra i vari componenti della famiglia.

Gli organizzatori parlottano ancora un po' per accordarsi sul da farsi e tirare un po' di conti quindi, ormai stanchi, c'invitano ad andare nelle nostre rispettive stanze.

Il piccolo gruppo che alloggia presso l'altro convento, rivive le peripezie della volta precedente e arriva ciarliero e rumoroso negli alloggi silenziosi.
Purtroppo il viaggio intrapreso insieme si sta avvicinando alla sua conclusione e si dà sfogo turbolentemente alle amicizie e simpatie che hanno preso corpo in questi pochi giorni.

 

QUINTO GIORNO


Eccoci in piedi alle 7.30 per radunarci dopo poco nel grande refettorio delle Suore della Misericordia dove consumiamo la prima colazione. I volti di tutti appaiono piu' tirati che nei giorni precedenti, quasi tristi, ognuno di noi pensa con malinconia che ci staccheremo tra poco da questa terra, ci allontaneremo sempre piu' da Medjugorje ...

 

50%

   

Ma poi ci troviamo nell'allegro caos della citta' e del suo porto, c'inoltriamo nell'immenso, imponente palazzo di Diocleziano dove la pietra prende forme di donne, di capitelli, di statue di fattezze squisite.
Ci dividiamo perche' gli interessi sono diversi: chi vuol comprare l'ultimo souvenir, chi vuol scattare foto, chi visitare l'interno dell'edificio, chi girare senza meta nelle viuzze adiacenti, per ritrovarci poi al pullman con cui ci trasferiamo al punto d'imbarco.
Prendiamo d'assalto Jozo che sta per lasciarci, gli chiediamo di pregare per noi, lo esortiamo a raggiungerci presto a Roma, gli imponiamo di star fermo per scattare alcune foto, lo assilliamo, insomma, ma lui sta al gioco docile e gentile.

   
 

Lanciamo un ultimo saluto dalla ripida scaletta della nave a questa citta' a meta' strada tra l'occidente e l'oriente, poi la navigazione ed il paesaggio assorbono tutta la nostra attenzione.
Le isole poco discoste da Spalato ci vengono incontro verdi e ridenti, piccole imbarcazioni da diporto e da pesca tentano di competere con la "Tiziano" in una gara di velocita', il sole continua a splendere in questo cielo terso di questa bella giornata, ma in molti di noi e' costante un'uggia, una nostalgia ...

Il pranzo - la fila al Self-Service, la scelta del menu' e dei compagni di tavolo - ci distrae e ci allieta di nuovo poi ripetiamo per lo piu' gli stessi gesti, le stesse operazioni del viaggio d'andata: si va al bar per un caffe', ci si riposa sulle poltrone, ci si scalda sul ponte prendendo il sole come Michela, che non s'e' vista per quasi tutta la traversata, si prende aria come le ragazze che smaltiscono una breve ebbrezza derivante dall'aver bevuto un sorso di vino di troppo per imbastire uno scherzo a Fra' Ignazio ...
Come nel viaggio precedente viene celebrata la Messa sul piccolo Altare rimediato; i Sacerdoti oggi sono quattro, poiche' a Padre Antonio e Padre Mario se ne sono uniti altri due, come noi italiani, come noi provenienti da Medjugorje, uno sui quarantanni, una folta barba nera, desideroso di comunicare, l'altro anziano, stempiato, introverso e un po' rigido.

Durante il pranzo essi s'erano accordati per riunire prima della Messa, i due gruppi di giovani e provare i canti, ma poi l'intesa non si e' realizzata, ognuno ha eseguito il proprio repertorio.
Il sacerdote piu' anziano, nonostante l'ora, inizia il Rosario con tono quasi autoritario; la Messa quindi si protrae oltre l'ora consentita - con visibile sofferenza dei camerieri che gia' debbono preparare per la cena - anche a causa della lunga omelia del giovane prete che, pervaso di sacro furore, ci incita a non dimenticare questa esperienza vissuta a Medjugorje, ci esorta a far si' che il viaggio che abbiamo compiuto abbia come fine la conversione ad un modo nuovo di pensare e di vivere, che sia uno sprone a far meglio nella vita quotidiana.
E nel dir cio' si esalta, mostrando il turbamento della sua anima al contatto con la realta' mistica che abbiamo appena lasciato, quando solo pochi giorni prima, forse, il suo impegno sacerdotale s'era ridotto nei limitati binari del vivere giornaliero e delle incombenze, sopraffatto dalla negligenza degli uomini, rimpicciolito di fronte al caos e alla follia di questa societa' contemporanea.

Ora egli ha attinto forza e spiritualita', una nuova energia fatta di beatitudine e d'allegrezza interiore ed e' come rinnovato nella Fede, pronto a proseguire il suo cammino, in compagnia di altri fratelli come lui arricchiti spiritualmente e desiderosi di migliorare.

Ricomincia poi l'attesa dell'apertura del Self-Service dove consumiamo anche la cena mentre alcune notizie sconfortanti ci raggiungono dal piano superiore, dalla cabina che Aldo ha prenotato per far si' che sua sorella Edda, sofferente per una recente malattia, potesse riposare un po' e ridurre al minimo lo stress del viaggio. Per tutto il giorno Edda ha lamentato dei disturbi dovuti, come presto si sapra' non appena l'avra' visitata il medico di bordo, ad un rialzo improvviso della pressione pericoloso nel suo stato. Frattanto anche Federica, dal viso minuto e gentile e dagli inconfondibili capelli lunghi lasciati liberi sulla schiena, ha accusato malesseri di stomaco e qualche linea di febbre, ma tutto sembra risolversi con qualche pasticca che lentamente provoca un miglioramento nelle condizioni delle due ammalate.

Nell'aria ora c'e' confusione: la Polizia deve esaminare i passaporti ancor prima di attraccare ad Ancona, gli organizzatori cercano di tenere unito il gruppo che si disperde tra la folla dei passeggeri, Mario urla ordini nel suo roboante megafono ma e' difficile azzittirci; come una scolaresca indisciplinata attendiamo un momento di disattenzione per ciarlare senza posa, per andare alla toilette, per raggiungere il bar.

Ma anche la prassi burocratica viene finalmente esaurita: scendiamo per la traballante scaletta che ci porta a terra, alle 21.30, ad Ancona dove il padre di Eliana sta' gia' attendendola. Diamo quindi alla piccola e a sua madre, che ritornano alla natia Salerno, il nostro saluto d'addio. Passiamo la dogana senza alcun problema, mentre un cane poliziotto annusa ben benino il nostro pullman, su cui saliamo per percorrere gli ultimi chilometri che ci separano da casa.

Riprendiamo il nostro cammino nella notte, mentre Paolo G., con estrema correttezza ed un pizzico di pignoleria, ci sottopone un resoconto economico: le due bimbe, Francesca ed Eliana sono state esentate dal pagamento della quota, per i due ragazzi al di sotto dei 12 anni, Lino e Dennis, e' stata applicata, sul biglietto della nave, una tariffa dimezzata, quanto e' rimasto sara' destinato a Cosimo, per ringraziarlo delle sue attenzioni. S'era parlato anche di fare un regalo a Jozo, ma viene rimandato tutto alla sua non troppo lontana venuta in Italia.

Terminato il suo rendiconto, Paolo ci invita ad andare al microfono - se ce la sentiamo - per comunicare agli altri la propria personale esperienza ricavata dalla visita a Medjugorje.

L'invito viene raccolto per primo da Francesco che, pur vincendo un naturale imbarazzo, ci confessa che aveva intrapreso questo viaggio piu' per accontentare Lucilla che altro; difatti da anni era in guerra con Dio ed i suoi inviati ed anche il suo vivere quotidiano era segnato d'inquietitudine e di incomprensioni in casa, sul lavoro ... Non sa spiegare neanche lui come sia avvenuto, ma l'impatto con la pace e la serenita' che Medjugorje emanano, hanno provocato nel suo animo una mutazione, una volonta' di cambiare, di sconvolgere, migliorandolo, l'ordine dei valori con cui misurava persone, avvenimenti, affetti del suo mondo quotidiano.
Eppoi, osservare Eliana che con volonta' ed impegno s'e' inerpicata su per il Krizevac quando non aveva mai fatto prima d'allora tanto moto, l'ha spronato a "camminare" verso questa nuova sorprendente dimensione. E, difatti, l'ho intravisto inginocchiato sul selciato dinanzi al confessore, in fila con gli altri in attesa della Comunione e sorridere festante, senza pensieri.

Dopo di lui Franco C. si fa avanti raccontando che lui e Graziella avevano da molto tempo in mente di andare a Medjugorje ma avevano scartato l'idea ritenendola troppo azzardata, temendo fosse un'impresa troppo gravosa da sostenere per Francesca e per loro stessi, dovendo contare solo sulle proprie forze. Ma quando Augusto e Rina li hanno informati del pellegrinaggio organizzato da questi tre laici, le loro titubanze si sono infrante misteriosamente e si sono sentiti disposti ad affrontare quest'esperienza, a condividerla con tante persone sconosciute che provvidenzialmente si sono rivelate amichevoli e pronte alla cooperazione, creando un'atmosfera gioiosa e di intensa spiritualita'.

Ci illustra poi la storia di Francesca e della sua malattia, dei viaggi in America per tentare di recuperarla ad una vita piu' normale, all'aiuto prestato giornalmente alla bimba da parte di giovani volontari. Franco parla con serenita' di questi suoi grandi problemi che pero' gli hanno permesso di aiutare altri genitori in condizioni simili alle sue, ringrazia la Madonna del sostegno concesso a tutti durante il viaggio e, poiche' parla anche a nome di Graziella, ambedue ci danno una grande prova di fede e d'amore.

Al microfono c'e' ora Mario M. che ci aggredisce con la stessa impetuosita' di sempre, per via di quel suo vocione che soverchia ogni altro rumore ma che ora si fa umile, quasi mesta, per scusarsi d'essere stato a volte un po' aggressivo o chiassoso e ringrazia tutti per la comprensione.

E' ora la volta di Paolo R. che quasi si costringe a parlare, tanto e' schivo, per trasmettere a tutti un saluto affettuoso e sottolineare con particolare gratitudine le testimonianze di fede e di volonta' che Franco, Graziella ed Eliana ci hanno regalato in questi pochi giorni.

"E' finita troppo presto! - ci dice ora Katia con voce commossa - Quando siamo partiti ero un po' confusa ne' ero sicura di voler intraprendere questo pellegrinaggio ma, ogni minuto che passava, cambiava anche il mio atteggiamento interiore. A Medjugorje ho ritrovato la serenita' che da qualche tempo non avevo, a Medjugorje mi sono resa conto di come sono stata fortunata!"
Sembra questa la nota dominante nel pensiero delle giovani che ci hanno seguito in quest'esperienza e che nell'animo ora portano impressa un'impronta nuova e vivificante, qualcosa di speciale che forse le diversifichera' dalle loro coetanee.

Poiche' Edda ha manifestato segni evidenti di malessere, ci fermiamo ad un'area di servizio dove gli organizzatori si consultano per poi decidere di deviare per Giulianova, nel cui ospedale faremo controllare la signora indisposta. Intanto, approfittiamo tutti della sosta per sgranchirci le gambe o per ingollare in fretta un caffe'.

 

Al bar mi trovo accanto Vincenzo P., il nostro simpaticissimo napoletano che si da' arie di ateo, frutto piu' delle prove della vita - i lager nazisti, la malattia della moglie - che di una convinzione. Gli chiedo se qualcosa e' cambiato dentro di lui da questo contatto con Medjugorje ed egli, con uno sguardo non piu' tanto faceto su quella faccia clownesca e tragica ad un tempo, mi fa : "Se son rose fioriranno! Certo, ho pregato la Madonna di far alzare Francesca da quella carrozzella, sana e felice, di far camminare speditamente Eliana ... Allora si' avrei creduto! Anzi avrei dato la mia vita in cambio, se fosse servito allo scopo!"

E' tutto vero quel che dice, lo vedo cl pullman e ci dirigiamo lentamente verso Giulianova, mentre Paolo G. prende di nuovo il microfono e raccconta come, essendo gia' stato a Medjugorje per due volte, aveva deciso di non ripetere piu' questa esperienza ma, evidentemente, la Madonna aveva disposto diversamente. L'ha chiamato a guidare questo gruppo formatosi quasi per scommessa, l'ha dolcemente piegato alla Sua volonta' ed ora ecco, siamo sulla via del ritorno con l'animo gonfio di tanti sentimenti. E personalmente, ci confida, che in questo pellegrinaggio ha pregato di piu' che negli altri; tutto e' stato una preghiera continua e sentita: aiutare Eliana o un anziano, vivere gomito a gomito, scalare il Krizevac portando su' anche Francesca e anche tacere, in certi momenti, e' stato preghiera.

La sosta a Giulianova e' piuttosto lunga perche' la visita ad Edda da parte dei medici e' stata accurata ed e' stato appurato che i malesseri derivano da uno stato di stress ipertensivo che consiglierebbe un immediato ricovero. Ma lei vuol proseguire e cosi', dopo aver firmato una liberatoria, riprendiamo l'autostrada, che e' piu' comoda ed agevole, evitando curve e sbandamenti che potrebbero recare danno all'ammalata.

Durante l'attesa forzata, rinunciando persino alle sigarette, sono rimasta sul pullman dove avevo appena imbastito un discorso con Padre Mario e Suor Alba relativo alle differenze, nella terminologia religiosa, tra Padre, Fratello e Don per i sacerdoti e tra Sorella e Madre per le suore. Mi ragguagliano abbondantemente sull'argomento e da qui poi ci ingolfiamo in un intrico di discorsi sui cambiamenti e le innovazioni nella liturgia dopo il Concilio Vaticano Secondo che ha portato modifiche sostanziali nella celebrazione della Messa ed in alcuni Sacramenti.

Laureato in Teologia e psicologia, Father Mario, vive negli Stati Uniti da molto tempo ed ogni anno torna in Italia a passare un mese coi suoi genitori, che conduce con se' in qualche luogo sacro o santuario Mariano. E' capitato quasi per caso in questo pellegrinaggio romano col suo viso comunicativo, simpatico ed il suo abbigliamento giovanile (camicia bianca con ghirigori verdi, scarpe da ginnastica ed una giacca jeans anni '60) che ricorda quegli atletici cinquantenni che di continuo la TV ci propina nei serials televisivi. Ed anche lui si e' sentito contagiato non solo dalla mistica atmosfera di Medjugorje ma anche dallo spirito amichevole che subito s'e' sviluppato tra i componenti del gruppo, etereogenei eppure cosi' amalgamati, da sentirsi accomunati non solo dalla Fede, ma anche da simpatie ed interessi affini. Ha cosi' sfoderato un sorriso aperto ed argomentazioni argute che provocano ilarita', di nuovo immerso in una dimensione umana, cosi' diversa da quella americana, edonistica ed alienata.

Nel buio dell'auto, la maggior parte dei passeggeri se la dorme della grossa: i ragazzi riposano addossati l'uno all'altro, Rina e Graziella sfinite dalla stanchezza per le continue cure prestate a Francesca, sono assopite in un dormiveglia da cui si risvegliano di tanto in tanto, Fra' Ignazio e Mario - quest'ultimo fiaccato dalla continua tensione - ronfano beatamente

hiaramente dal suo sguardo quasi triste e da una piega amara della bocca...

Risaliamo susognando, forse, un bel piatto di spaghetti all'italiana.

Francesco e' piombato in un sonno sereno, il capo coperto dal nero cappello di paglia, ciondolante sul petto, mentre Leandro e Claudio Cuneo - l'uno col suo tono indolente, a meta' strada tra la pigrizia e l'indifferenza, l'altro con i suoi moti energici - filosofeggiano senza tregua.
Sono cosi' diversi l'uno dall'altro, antitetici per struttura fisica - imponente l'uno, smilzo l'altro - e per carattere - zelante il primo, indisciplinato il secondo - che e' difficile ipotizzare un interesse in comune ad entrambi ... Eppure durante la scalata al Krizevac, ho visto Leandro sobbarcarsi il peso di Eliana finche' lei non ha insistito per proseguire a piedi, ho ascoltato Claudio C. mentre si pregava e si cantava all'unisono: conosce ogni preghiera, ogni parola degli inni sacri.

Intanto Padre Antonio, infaticabile, cerca di tenere sveglio Cosimo e in una breve sosta presso un autogrill, sgambetta insieme a lui intorno al pullman; Aldo e le sorelle pensano preoccupati a quest'epilogo dolente, Maria Grazia ed il marito - il professore goliardico ed inconfondibile con il suo panama bianco - parlottano sereni, mentre gli anziani dormono il sonno del giusto ...

Dopo le ultime peripezie, e' notte fonda quando arriviamo a Roma e ci fermiamo al San Giovanni per una ulteriore visita ad Edda che scende seguita dalle sue sorelle e dai nostri auguri piu' fervidi; poi proseguiamo per fermarci - ormai definitivamente - dinanzi alla chiesa di S. Martino.

Scendiamo ciarlieri nonostante l'ora - sono ormai le 4 passate - temporeggiando per rimandare, anche solo di qualche attimo, il momento dei saluti; ma poi, dispiaciuti e melanconici, ci abbracciamo l'un l'altro con la promessa di rivederci al piu' presto.

Il nostro pellegrinaggio si conclude qui, proprio in questa accogliente piazzetta da cui siamo partiti cinque giorni orsono, speranzosi o incerti, dubbiosi o curiosi, entusiasmati da quel poco che ci avevano comunicato coloro che ci avevano preceduto a Medjugorje.

Quasi senza conoscersi, abbiamo vissuto assieme questa "avventura", quest'evento che segnera' forse una tappa storica nell'arco della nostra vita di comuni mortali; abbiamo goduto della compagnia e della simpatia reciproca, abbiamo condiviso disagi, pasti, stanze, le ore liete della comunione dello spirito, dell'allegria, della preghiera. Insieme siamo ritornati quasi innocenti, sorpresi ed ilari, come bambini dinanzi alle meraviglie del creato; ci siamo inginocchiati dinanzi alla Regina della Pace ed abbiamo rinnovato i voti della Fede e della Speranza ...
Ci salutiamo un po' tristi poiche' siamo alla fine di questo pellegrinaggio, ma nel fondo dell'anima sappiamo che non si tratta di una conclusione definitiva.

E' solo una tappa importante, questa, da cui ripartiremo - domani stesso - per un viaggio piu' lungo e arduo che di giorno in giorno ci impegnera' anima e corpo; ma, passo dopo passo, se saremo sempre coerenti giungeremo prima o poi alla nostra meta ultima: alla Medjugorje celeste, all'Eden perduto ed ora ritrovato!

 


P.S.

Appena due ore e mezzo di sonno per me e Paolo, poiche' stamani abbiamo un altro impegno: un appuntamento con nostro figlio che ha vissuto in questa settimana un'altra esperienza, quella della vita scout. Io, nonostante tutto, mi sento benissimo, carica di vitalita' nel corpo e nello spirito. Medjugorje e' ancora tangibile dentro di me come una cosa viva e pulsante che mi trasmette calore e benessere.

Insieme con Paolo ripercorro qualche momento del nostro pellegrinaggio, mentre usciamo dal Lazio e ci avviamo verso le Marche. La sensazione che mi ha pervaso traversando la mia citta' e' come una bella donna colma di fascino ma priva d'Amore, gretta ed arrogante, corrotta e pervertitrice, presto il suo aspetto si deteriorera' e di essa non resteranno che le vestigia d'un passato splendore.

Ritorno col pensiero a Medjugorje, alla sua Cattedrale imponente, a tutta quella gente che prega incurante degli scherni, delle derisioni del mondo, al suo cielo terso, alla pace che proviene da tutto cio' che la circonda. Alle famiglie, ai volti di quei contadini ed operai che abbiamo incontrato, rubicondi o incavati ma tutti trasfigurati, alla loro pazienza imperturbabile, al loro pregare, alle centinaia di giovani chini a parlare con Dio e la Madonna. Agli anziani che con noi hanno camminato sul sentiero lastricato di pietre aguzze del Krizevac e del Podbrdo, alle due bimbe sfortunate che - ognuna a suo modo, Francesca con la sua tranquillita', Eliana con la sua ferma volonta' - hanno dimostrato che non ci si deve fermare dinanzi agli ostacoli.

Parliamo, io e Paolo, del giovane sacerdote barbuto che ha concelebrato la Messa sulla nave e che nell'omelia ha esultato con noi per la scoperta di Medjugorje; della figura del giovane Jozo, mistica, quasi carismatica eppure cosi' determinata, mentre intorno a noi genitori di altri scout chiacchierano nel linguaggio corrente che domina questa vita di inani corse, di questa esistenza greve e materialistica in cui si parla di moda, di successo, di danaro, di lavoro.

E capisco che non posso rinchiudermi in me stessa, sprofondare nella sensazione di benessere spirituale che la visita a Medjugore ha prodotto nel mio animo; debbo anche agire, altrimenti questo mio pellegrinaggio non dara' che frutti stentati! E' necessario testimoniare ed io lo faccio cosi' - per mezzo di questo dono che Dio mi ha elargito - parlando al cuore di altri uomini con frasi semplici, come una bimba ai primi balbettii, affinche la mia esperienza e quella di altre persone che hanno come me intrapreso questo cammino fino a Medjugorje non venga dimenticata.

Difficile compito questo che mi accingo ad intraprendere, rientrando nell'atmosfera dantesca in cui ho vissuto prima e che comunque e' quella in cui vivro', ed impegnativo sara' il dover affrontare i mille problemi giornalieri.
Ma grazie a questa nuova serenita' - che vorrei poter comunicare non solo a parole, ma con il comportamento e la coerenza agli insegnamenti recepiti - li risolvero', anche se dentro di me vibrera' un desiderio infinito di fuggire e ritornare laggiu' a Medjugorje dove regna l'essenzialita', la pace, la tolleranza, l'amore a cui lo spirito dell'uomo aspira da sempre, poiche' in esso non s'e' mai sopita l'indefinita nostalgia della sua origine celeste.

 

 

 

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