Rubriche di
Patrizia Fontana Roca

COLLABORAZIONI

In questo Settore vengono riportate notizie e immagini fornite da altri redattori.
Nello specifico, il presente articolo è stato realizzato dal Prof. Renzo Barbattini dell'Università di Udine, che ha fornito anche le immagini.

Tutti gli articoli degli altri Settori sono state realizzati da Patrizia di Cartantica che declina ogni responsabilità su quanto fornito dai collaboratori.

"N.B.: L'Autore prescrive che qualora vi fosse un'utilizzazione per lavori a stampa o per lavori/studi diffusi via Internet, da parte di terzi (sia di parte dei testi sia di qualche immagine) essa potrà avvenire solo previa richiesta trasmessa a Cartantica e citando esplicitamente per esteso il lavoro originale (Autore, Titolo, Periodico) ."



******

 

 

 

 

INTERVISTA - L’APE NELL’ARTE

 

LE API PER AMICHE

 

PRIMA PARTE

Don Davide Maloberti, Luisa Follini

 

I lettori di Apinsieme conoscono bene il professor Renzo Barbattini , visto che ci accompagna da anni con i suoi scritti che avvicinano alle api nell’arte, nella religione, nell’araldica, nello sport, nella storia, segno di indiscusso cedimento al fascino del loro mondo. In questa lunga intervista, però, viene fuori non solo il ricercatore ma il professore appassionato al mondo delle api.

Professor Barbattini come e quando è nata la sua passione per le api, che pare trascendere il puro interesse di un professore universitario di entomologia?
Lei ha infatti dedicato studi alle api nell’arte, nella religione, nell’araldica, nello sport, nella storia, segno di indiscusso cedimento al fascino del loro mondo.

 

«È doverosa una premessa. Lo studio dell’entomologia può essere affrontato e approfondito sia da cultori cosiddetti “dilettanti”, amanti e collezionisti di insetti (ne conosco di ottimi e molto preparati) sia da ricercatori (di università o di istituti specializzati).

Io appartengo, certamente, alla seconda categoria: sono entrato in contatto, col mondo degli insetti solo all’università; prima come studente e poi come assistente universitario.

Mi sono laureato in Scienze Agrarie presso la Facoltà di Agraria dell'Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Piacenza), correva il 1979, discutendo una tesi sperimentale in Entomologia agraria sul comportamento degli insetti impollinatori del ciliegio dolce.

Il mio relatore è stato il professor Don Franco Frilli che ho seguito all’Università di Udine, Dipartimento di Scienze Agroalimentari, Ambientali e Animali».

 

Quindi si può dire che Galeotta fu la tesi.
 
«Sì, è stata la mia tesi che mi ha avvicinato al “mondo delle api”! Da allora mi sono interessato ai problemi riguardanti insetti fitofagi di colture diffuse: in particolare ho approfondito le conoscenze circa la biologia della Piralide del mais (Ostrinia nubilalis) e la lotta (tradizionale e biologica) contro quest’organismo.

Per quanto riguarda l’apicoltura, gli studi effettuati hanno riguardato diversi aspetti: la biologia dell’ape, diagnosi e controllo di Varroa jacobsoni (ora Varroa destructor, acaro parassita dell’ape), la flora nettaro-pollinifera del Friuli Venezia Giulia, l’ape “insetto-test” dell’inquinamento ambientale, l’impollinazione entomofila di specie coltivate, la morfologia di Apis mellifera e il miele prodotto dalla melata di Metcalfa pruinosa, noto insetto fitomizo.

 

Negli anni precedenti alla mia quiescenza mi sono dedicato allo studio degli effetti in campo sulle popolazioni di Apis mellifera e di Metcalfa pruinosa di alcuni insetticidi sistemici utilizzati nella concia della semente di mais, coltura molto diffusa. Mi sono impegnato anche nella stesura di un catalogo degli Apoidei del Friuli Venezia Giulia.

Questo percorso ha portato inevitabilmente alla passione per la divulgazione di tanti aspetti che riguardano questo mondo».

 

Che strada ha scelto?

«Da alcuni anni sto compiendo quello che io chiamo “viaggio” (NdR Apinsieme lo colloca in una apposita rubrica: L'ape nell’arte) che sta uscendo a puntate su diverse riviste per apicoltori (Apitalia, Apisieme, Apimondia Italia, L’apis, Vida apicola, Abeille de France).

 

Le puntate finora uscite sono reperibili in:

 

- www.cartantica.it,

- www.apicolturaonline.it/lett.htm

- www.araldicacivica.it

 

Il mio viaggio è iniziato con il caro e compianto dottor Stefano Fugazza (amico e compagno di banco al liceo classico Gioia di Piacenza, già direttore della Pinacoteca Comunale - Galleria Ricci Oddi); oggi continua con il professor Giuseppe Bergamini, direttore del Museo diocesano e galleria del Tiepolo di Udine; sia con Stefano Fugazza sia con Giuseppe Bergamini ci siamo ripartiti compiti: io, entomologo applicato, mi sono impegnato nella ricerca del materiale e in una prima stesura del testo; loro alle eventuali integrazioni e al commento “artistico”.

 

Posso dire di essere riuscito, finalmente, a coniugare il mio interesse per un settore della biologia con la mia formazione umanistica!

I diversi trattati d’apicoltura riportano spesso le origini dell’apicoltura; a corredo di questa “storia” dell’apicoltura sono riportati sempre le stesse cose: ad es. per l’arte rupestre i graffiti di Cueva de l’Arana e di Matopo Hills; per l’arte egizia i geroglifici delle tomba di Pabusa e del cartiglio di Ramsete II; per l’arte cretese il Pendaglio di Mallia. Invece, per quanto riguarda l’ape (e altri soggetti apistici quali l’alveare, la cera, ecc.) rappresentata da artisti di altre epoche e di diverse correnti artistiche è estremamente difficile, per uno che non è del mestiere, ritrovare materiale.

 

 

 

Così obiettivo delle mie ricerche è stato il reperimento di reperti artistici nella pittura e nella scultura raffiguranti l’ape. Ricerca che va oltre quelli più noti e riportati in quasi tutti i manuali di apicoltura per evidenziare l’eventuale legame con la biologia (etologia soprattutto) dell’ape».

 

Soffermiamoci sulle api nella … religione. Forniscono la cera per le candele, da millenni utilizzate nelle chiese, forniscono materiale per l’iconografia di parecchi santi. Ci racconta qualcosa che l’ha particolarmente colpito nelle sue ricerche?

«Alcune parole tratte dal “Preconio” che è declamato o cantato durante la Veglia pasquale nella liturgia ci conducono alle api.

“In questa notte di grazia accogli, Padre santo, il sacrificio di lode, che la Chiesa ti offre per mano dei suoi ministri, nella solenne liturgia del cero, frutto del lavoro delle api, simbolo della nuova luce”.

Il riferimento alle “nostre” api mi ha stimolato a regalare a mio fratello, don Guerrino (Parroco a Sarmato ieri, a Piacenza oggi), il cero pasquale fatto di pura cera d’ape.

La cera per secoli è servita per costruire candele (oggi la Chiesa Ortodossa impone una percentuale di cera d’api variabile dal 10 al 30%), ma le candele di oggi sono solo in minima parte di cera.

Nell’età moderna, infatti, la tecnica ha messo a disposizione materiali alternativi oppure sostanze cerose di sintesi a basso costo e di varia origine con caratteristiche analohe e con possibilità d’impiego simili, che hanno largamente sostituito la cera d’api.

Le candele in cera pura d’api, però, diffondono un gradevole profumo di miele nello spazio liturgico per cui si può affermare che anche il senso dell'odorato è toccato con una fragranza tale da sollevare l’animo verso il Cielo (fig. 1).

Questa è stata la prima tappa del mio “viaggio” nel mondo dell’arte, a cui è seguita una seconda tappa che ha riguardato “L’ape nell’iconografia dei Santi”.

Grazie ad alcune sue caratteristiche comportamentali come la laboriosità, e alla fornitura di prodotti preziosi, quali il miele e la cera, l’ape ha sempre giocato un ruolo significativo nell’immaginario cristiano.

Sant’Ambrogio, ad esempio, paragonò la Chiesa all’alveare e i membri di una comunità alle api, le quali sono in grado di cogliere il meglio da ogni fiore.

Da parte sua, san Bernardo di Chiaravalle considerava l’ape un simbolo dello Spirito Santo, forse sulla base dell’idea che le api vivessero solo del profumo dei fiori, dando così un’immagine di grande purezza e continenza».

 
Sembra di capire che ci sia una grande vicinanza fra fede e mondo dell’apicoltura.

 

«Sicuro. Gli apicoltori hanno diversi santi patroni: il più noto è sant'Ambrogio di Milano ma vi sono anche san Bernardo di Chiaravalle e santa Rita da Cascia.

 

Vi sono, però, altri santi “apistici”. Penso a san Giobbe, sant’Apollinare e san Madonnoc.

 

Mi ha favorevolmente colpito il dipinto eseguito nel 2004 dal pittore sloveno Cusin e presente nell’abside della cappella di San Giuseppe a Lansprez (Slovenia).

 

In esso è raffigurato San Giuseppe, molto pensieroso, appoggiato al suo tavolo da lavoro: era un falegname e così si sarebbe dedicato, secondo l’A., anche alla costruzione di arnie.

Infatti, sul tavolo da lavoro sono appoggiate tre arnie in legno di tipo sloveno (fig. 2)».

Napoleone è certamente il più famoso personaggio che utilizzò le api nei suoi stemmi e come motivi ornamentali del suo manto di imperatore.
Chi altri?
Cosa vuol sottolineare questa scelta oltre all’operosità, certamente confacente a Napoleone, e alla dolcezza del miele, forse a lui molto meno confacente?

 

«Non è proprio alla “operosità” che faceva riferimento Napoleone, quanto a una certa legittimazione del suo potere attraverso quel simbolo.

Allo stesso tempo sostituì i gigli di Francia dei capetingi, tra l’altro la forma dell’ape può “sovrapporsi” graficamente a quella del giglio francese.

Molto diffuso in araldica, si rappresenta montante, di solito in oro, con le ali aperte come pronta a spiccare il volo.

 

Simboleggia la concordia, l’obbedienza (perché riconosce una regina, fig. 3) e la dedizione al lavoro, la previdenza e la disponibilità a difendere i propri diritti e il proprio popolo (per via del pungiglione).

 

L’ape, araldicamente, è animale simbolico del lavoro sia materiale che spirituale, e della sensibilità artistica (per la regolarità delle “architetture” delle cellette costruite dalle api ceraiole, fig. 4).

L’ape simboleggia anche l’eloquenza. Per questa ragione è attributo iconografico di alcuni Santi come Sant’Ambrogio, Sant’Apollinare, San Giovanni Crisostomo.

L’alveare è anche simbolo del risparmio, della previdenza e del popolo, dato che le api si organizzano come uno Stato (per questo spesso un alveare con o senza colonia d’api è rappresentato nell’Araldica Civica a simboleggiare la comunità).

 

Nella liturgia cristiana primitiva si faceva assaggiare il miele a chi aveva appena ricevuto il battesimo e alla fine della messa veniva offerta una bevanda di latte e miele in un calice benedetto.

La dolcezza del miele rischiara simbolicamente la vista interiore e favorisce la contemplazione, in riferimento all’episodio biblico di Gionata, il figlio di Saul, che dopo essersi cibato di miele esclama: “Guardate come si sono rischiarati i miei occhi perché ho gustato un poco di questo miele”.

 

Secondo un’antica leggenda le api erano simbolo dei primi re Merovingi, perché a Tournai nel 1653 ne furono trovate diverse in oro (anche se sembra che siano delle cicale!) nella tomba di Childerico I (padre di Clodoveo), poi donate a Luigi XIV e, in seguito, conservate presso la Biblioteca Nazionale di Parigi.

Grazie a questo ritrovamento si pensò (un’analisi più attenta, sembra rivelare che si tratti in realtà di cicale!) che il primo simbolo dei re francesi fossero quindi le api.

In seguito la loro forma stilizzata fu intenzionalmente confusa con quello dei gigli (fleur-de-lys, in francese, con implicazioni legate al culto di Maria “pura come un giglio”) e Napoleone I, forse per legittimare il suo trono, le fece riprodurre sul manto imperiale (al posto dei gigli: della dinastia che aveva sostituito) e come emblema dei grandi dignitari e delle principali città dell’Impero (il cui stemma era caratterizzato da un capo di rosso caricato da tre api d’oro montanti poste in fascia)».

Chi altri oltre Napoleone?

Sono famosissime le tre api dello stemma del papa Urbano VIII (Maffeo Barberini, 1568-1644); le tre api furono scelte, come emblema d’operosità, dallo stesso Urbano VIII in sostituzione di altrettanti tafani, antichi simboli araldici della sua famiglia. In origine, infatti, i Barberini si chiamavano Tafani (o Tavani) da Barberino (fig. 5).

Le api “barberiniane” le ritroviamo in diverse opere nella città di Roma, commissionate soprattutto a Gian Lorenzo Bernini (Napoli 1598 – Roma 1680) dall’illustre casato, quali:

il baldacchino per l’altare maggiore della Basilica di San Pietro; la fontana del Tritone (Piazza Barberini); la fontana delle Api (Via Vittorio Veneto); la fontana della Barcaccia (Piazza di Spagna), il monumento sepolcrale di papa Urbano VIII (Basilica di S. Pietro).

 

Api sono presenti anche negli stemmi gentilizi di un certo numero d’altri casati meno noti, come risulta da una ricerca che da qualche tempo ho intrapreso assieme a Massimo Ghirardi e ad altri studiosi pure interessati a questo tema iconografico».

 

Una curiosità. Che cosa ci dice su quella bufala metropolitana che attribuisce a Einstein la frase secondo cui l’importanza delle api per l’ecosistema dell'intero pianeta è tale che, scomparse loro, a noi restano esattamente quattro anni di vita? Sia come sia, l’asserzione, pur senza la paternità di Einstein, è vera? Se sì, può spiegarne il perché?
 

«O come mito o come mito sfatato, Einstein e le api tornano sempre... insieme, anche questa volta. In una loro approfondita ricerca del 2007, Barbara e David P. Mikkelson, scoprirono che la frase riferita a Einstein gli fu ascritta 40 anni dopo la sua morte! Probabilmente qualcuno attribuì al famoso scienziato l’asserzione sulla sopravvivenza delle api per farla circolare meglio. Ciò però nulla toglie all’importanza dell’affermazione.

In effetti, se mancasse totalmente il lavoro d’impollinazione delle api e degli altri insetti pronubi, sparirebbe l’80% dei tipi di piante coltivate che in termini ponderali ammontano a circa il 35% del cibo necessario alla sopravvivenza dell’uomo.

Nel computo vanno considerati non solo frutta e verdura ma anche carne, in quanto molte piante utilizzate per l’allevamento zootecnico necessitano dell’impollinazione operata dalle api.

La mancanza di questa enorme quantità di cibo (senza considerare le piante spontanee impollinate dalle api e deputate al sostentamento della biodiversità) scatenerebbe, come la storia dell’uomo insegna, carestie, malattie e conflitti sociali difficilmente risolvibili in termini diplomatici».

Perché proprio quattro anni?

 

«Magari “esattamente quattro anni” no, ma in tempi più lunghi l’esito potrebbe essere quello. L’ecosistema è un insieme di elementi - animali, vegetali e perfino cose inanimate - diversissimi tra loro ma tutti in qualche modo legati uno all’altro e quindi in un equilibrio delicato.

Basta che uno scompaia per avviare una serie di reazioni a catena che coinvolgono tutti gli altri. È come in un castello di carte: non importa da dove, se dal vertice o dalla base o dal centro, quando decidi di levare una carta quello che ottieni è sempre il crollo dell’intera costruzione.

Inoltre, nel linguaggio comune, “api” sono tutte le migliaia di specie d’insetti che volano sui fiori. Se dovessero morire tutti i pronubi, la frase del “presunto Einstein” è vera solo in parte ...

 

E le piante a impollinazione anemofila dove le mettiamo?

Cioè quelle piante che necessitano di quel tipo d’impollinazione che utilizza, come mezzo di dispersione del polline, il vento?

l contrario dell’impollinazione zoogama, non c'è l’intervento degli insetti o di altri animali, per questo motivo le piante anemofile non producono nettare o comunque non presentano adattamenti per attirare i pronubi.

 

Il mio collega professor Aulo Manino (Università di Torino) è solito rispondere alla domanda, che spesso gli rivolgono, relativa all’affermazione della veridicità dello “pseudo Einstein” con un modo di dire piemontese “le bestie grame non muoiono mai”, che forse ha l’equivalente anche in altre parti d’Italia.

Con ciò esprime un’opinione che mi trova abbastanza d’accordo: l’uomo è una tale bestia grama che non sparirà dalla faccia della terra per la mancanza delle api. Sicuramente, però, il mondo senza le api sarebbe molto diverso, e peggiore, rispetto a com’è ora, soprattutto a causa della scomparsa di un gran numero d’Angiosperme, e forse molti problemi attuali, come malattie e scarsità di cibo, si aggraverebbero».

 

 

Don Davide Maloberti, Luisa Follini Nuovo Giornale, Piacenza



 

Ringraziamenti

 

Un doveroso ringraziamento a Luca Mazzocchi di Bussolengo – VR (www.mondoapi.it) che ha arricchito quest’intervista con le sue bellissime fotografie.

 

Un ringraziamento anche al prof. Stefano Maini e al dott. Claudio Porrini (entrambi dell’Università di Bologna), al prof. Aulo Manino (Università di Torino), al prof. Rinaldo Nicoli Aldini (Università Cattolica, Piacenza), al prof. Massimo Ghirardi (Reggio Emilia), al dott. Moreno Greatti (Università di Udine) e al dott. Alberto Contessi (Ravenna) per l’amichevole collaborazione.

 

 

 

II PARTE

 

LE API PER AMICHE

 

Don Davide Maloberti, Luisa Follini

intervista a Renzo Barbattini

 

 

 

In questo numero si conclude l’intervista al professor Renzo Barbattini che ha aperto per i nostri lettori-apicoltori uno spazio di conoscenza sul mondo delle api di notevole spessore. A conclusione del nostro viaggio insieme alle api vengono affrontate questioni dalle quali dipende il LORO futuro.

 
Pare che le api siano dei sensibilissimi indicatori ecologici: in caso d’inquinamento muoiono prima di produrre il miele, che rimane dunque sempre indenne da contaminazioni.
Ma oggi suonano tanti campanelli d’allarme per le api, soggette a epidemie e morìe improvvise.
Com’è la situazione in Italia?

 

"Questa domanda mi pare mal impostata, se non altro dal punto di vista semantico: “in caso di inquinamento (le api) muoiono prima di produrre il miele, che rimae dunque sempre indenne da contaminazioni”.

 

Ma se le api muoiono, il miele rimane indenne per forza: non lo produce nessuno.

Suppongo che intendesse quelle che subiscono i danni da inquinamento muoiono e così non danneggiano il miele che altre sane produrranno.

Ma anche in questo caso è difficile che in una colonia come quella delle api in cui i soggetti vivono a stretto contatto, le stesse esperienze e nello stesso habitat, alcuni individui vengano danneggiati e altri no.

 

Ma che le api muoiano prima di fare il miele è ancora tutto da dimostrare! Ciò va bene per gli inquinanti che esplicano un’azione insetticida, ma non ci sono solo quelli ed esiste un'ampia letteratura su mieli contaminati da metalli pesanti e altro».

 

Negli ultimi anni si sente sempre più spesso parlare dell’ape come bioindicatore dell’inquinamento. Ci può chiarire?

 

«Quello dell’ape “insetto-test” dell’inquinamento (precisamente indicato come “biomonitoraggio”) è un argomento vastissimo e complesso.

 

Il biomonitoraggio consiste nella valutazione ambientale globale, attraverso l’utilizzo di bioindicatori, cioè di organismi capaci di avvertire con certezza le alterazioni ecologiche dell’ambiente in cui vivono, alterazioni causate da vari tipi di inquinamento o da fattori di stress ambientale.

 

Un indicatore biologico è un organismo che reagisce in maniera osservabile, macroscopicamente o microscopicamente, alle modificazioni della sua nicchia ecologica o più in generale del suo biotopo.

L’ape è considerata un eccellente organismo indicatore dello stato d’inquinamento di un determinato territorio, perché oltre alla facile reperibilità e all’economicità di impiego, è dotata di un efficace apparato sensoriale. È diffusa in tutti gli ambienti, ha un tasso di riproduzione molto elevato che, associato a una vita media relativamente breve, garantisce un rinnovamento ciclico rapido e continuo della famiglia.

Inoltre, quando per raccogliere nettare, polline, propoli, acqua o melata intercetta con il suo corpo peloso le particelle in sospensione nell’atmosfera (fig. 6), si espone facilmente a possibili intossicazioni, dunque può efficacemente essere impiegata come bioindicatore».

 

C’è chi assicura che nei suoi voli alla ricerca di pascoli fioriti, le api controllino ampi spazi di territorio. E’ vero?

 

"Senza dubbio. L’ape si può definire un sensore viaggiante a differenza di altri bioindicatori perlopiù immobili.

In questa andata e ritorno dall’alveare, che coprono un’area di circa 6 km2 è instancabile nella sua attività di raccolta.

Se consideriamo, per fare un calcolo empirico, che in un alveare in buono stato vi sono circa 10.000 bottinatrici e che ogni bottinatrice visita giornalmente circa un migliaio di fiori, si può dedurre che una colonia di api effettua 10 milioni di microprelievi ogni giorno, senza considerare il trasporto di acqua che nelle giornate calde può raggiungere anche il mezzo litro.

 

Di conseguenza l’ape frequenta attivamente il territorio, preleva dei campioni di sostanze eventualmente contaminate, si contamina a sua volta e torna “a casa”; l’insetto stesso diventa così un possibile campione da sottoporre alle analisi di laboratorio.

 

Attualmente, la validità dell’ape come indicatore biologico è stata dimostrata per inquinamenti da pesticidi (inquinamento agricolo), da metalli pesanti (inquinamento urbano), ed infine da radionuclidi (inquinamento radioattivo).

Alcuni di questi prodotti, come i pesticidi, avendo una tossicità elevata, possono far morire le api prevenendo la contaminazione del miele e in altri casi produrre una tossicità detta sub-letale.

Altre sostanze però, come i metalli pesanti, non sono tossici nei confronti delle api. Nel biomonitoraggio, però, oltre alle api possono essere utilizzati anche i prodotti dell’alveare come indicatori dello stato di salute ambientale.

A proposito della radiocontaminazione del miele noi abbiamo fatto studi pluriannuali, in collaborazione con l’ARPA del Friuli Venezia Giulia. I risultati ottenuti dalle moltissime analisi standard di laboratorio per le radiodeterminazioni eseguite sulla matrice miele, utilizzando la spettrofotometria gamma, permettono di ritenere il miele un buon indicatore di contaminazione radioattiva».

 

Quali le ragioni della moria delle api che mette a rischio la sopravvivenza del prezioso insetto, la produzione agricola mondiale e la biodiversità del pianeta?

 

+«I fenomeni di mortalità delle api (in primavera ed estate) e di spopolamento o perdita degli alveari (sostanzialmente da fine estate all’inizio della primavera) registrati negli ultimi anni in Italia, come in molte altre aree del nostro pianeta, sono causate, nella maggioranza dei casi, dall’interazione di molteplici fattori, interni ed esterni dall’alveare, che possono cambiare a seconda della zona e della stagione.

Uno di questi fattori sono i prodotti insetticidi (in gran parte neonicotinoidi) impiegati per la concia del mais che sono dispersi dalle macchine operatrici durante le operazioni di semina.

Dopo la sospensione cautelativa dell’impiego di queste sostanze, decisa dal ministero della Salute in accordo con il ministero dell’Agricoltura e risalente ormai al settembre 2008, le mortalità primaverili delle api nell’area maidicola italiana si sono notevolmente diminuite.

Tuttavia, in Friuli Venezia Giulia negli anni seguenti le morie si sono ripetute a causa dell’utilizzo della la s.a. “mesurol” (sostanza attiva metiocarb), con cui venivano in maniera non corretta conciate le sementi di mais.

Opportunamente, l'impiego del metiocarb è stato revocato nel 2019, anche se per la concia delle sementi si è potuto usare fino a tutto gennaio 2020.

Come stanno le cose oggi riguardo ai neonicotinoidi? Il dott. Alberto Contessi, coordinatore del Tavolo tecnico dell'Intesa Nazionale apicoltura / agricoltura mi scrive:

 

“L’autorizzazione per la s.a. “imidacloprid” è stata revocata, tuttavia può essere ancora impiegato per esaurimento delle scorte fino al 30/11/2021, con limitazione all’uso in serra e per gli utilizzi successivi alla fioritura ad esclusione delle colture raccolte prima (es. lattughe e simili).

Mentre l'impiego di “thiamethoxam” e “clothianidin” è stato revocato definitivamente da tempo”.

 

A tal proposito, sono d’accordo con il mio collega/amico prof. Stefano Maini (Università di Bologna) che così commenta:

 

“Ok Renzo adesso sarebbero da provare le varie miscele che si trovano in campo!! cioè: insetticida + fungicida + erbicida e vedere cosa succede per le api e per l'uomo ... Poi hai visto come son tutti contenti quelli di agrofarma che ancora si possano impiegare - da parte dei non professionisti!! - e vendere pesticidi per orti e giardini... sic!!

e che ne dici dei vari collarini antipulci che in casa continuano a essere attivi sulle larve delle pulci per sei mesi!! Infatti c'è il fitofarmaco - ecco l'errore semantico! - che non è altro che un insieme = miscela di pesticidi (adoperiamo termini appropriati!) quali fipronil + imidacloprid + piretroide... va beh... mi dirai... le api non vanno sui cani e gatti ... ma un bimbo può andare ad accarezzare ben bene il suo “pet” e non credo che sia una buona cosa!

Inoltre se nell'industria chimica si può continuare a produrre insetticidi xenobiotici sai quanti vengono impiegati sottobanco?

Anni fa mi dicevano che il mercato clandestino dei pesticidi rendeva ai trafficanti quasi di più del contrabbando di sigarette nonché di altre droghe!!! Esempi aggiornati a luglio 2021 per pets - senza considerare insetticidi per blatte, formiche, vespe, tarme, zanzare e mosche, acari polvere e formaggi, prosciutti e insaccati!

 

Un esempio di insetticidi per i nostri animali d’affezione.

Non sempre è facile scoprire qual è il principio attivo e come somministrare i prodotti.

 

A volte sono dati in pasto: Frontline= fipronil + permetrina o fipronil + metoprene Advantix= imidacloprid + permetrina Seresto= midacloprid + flumetrina Beaphar= collare al diazinone Scalibor= deltametrina + biossido di tatanio E171».

 

Ma è facile trovare in vendita sostanze che sembrano a tutti gli effetti tossiche non solo per l’ape?
 

«Come si può constatare al supermercato per animali ma anche nella grande distribuzione organizzata (GDO) si trova, ad esempio, per i non “professionisti”, una gran varietà di insetticidi da usare per le piante in casa e terrazzi fioriti (dove apoidei vanno a bottinare!) … Imidacloprid per scarafaggi e company, per mosche e zanzare.

Insomma, a disposizione c’è di tutto e di più e poi adulticidi per zanzare… anche questi pesticidi danneggiano le api che vanno in ogni luogo…

Vedo spruzzare e spargere nei cortili condominiali polveri insetticide contro formiche… tutti insetticidi sistemici che poi vanno nell’acqua di pozzanghere dove bevono api e altri animali!!

Con la pandemia c’è stata una esagerazione nell’uso di disinfettanti e pesticidi … invece di essere moderati e vaccinarsi!».

 

La vita sociale delle api. Così ben organizzata, in ruoli ben definiti.
E’ un bene o un male la rigida divisione in caste? Possono manifestarsi eccezioni? Ci sono evidenze scientifiche di un’evoluzione nella loro organizzazione sociale?
O è sempre stata così?
E’ possibile instaurare un parallelo con la società degli uomini, dal momento che svariati personaggi le prendono a simbolo?

 

 

E' doverosa una premessa.

Per alveare intendiamo l'arnia (la casa dellle api), abitata da una colonia di api. Quindi: arnia + api = alveare.

Questa è una “pluridomanda” per la cui risposta non sarebbe sufficiente un intero corso di apicoltura!

 

Lei mi chiede: “La vita sociale delle api. Così ben organizzata, in ruoli ben definiti. E’ un bene o un male la rigida divisione in caste?”.

 

Le rispondo: “Chi lo sa?”. Le api campano bene con la loro organizzazione sociale, ma esistono anche molte specie di apidi solitari, presociali e primitivamente sociali che campano altrettanto bene!

È convinzione ormai comune che le api sociali abbiano avuto origine, così come le formiche, da insetti molto simili alle vespe cacciatrici, diversificandosi in modo spettacolare durante l’ultima fase del periodo cretacico (60 – 70 milioni di anni fa) quando, fra l’altro, sono comparse le Angiosperme, cioè piante con gli organi riproduttivi evidenti.

L’ape domestica si è originata in qualche zona delle regioni tropicali e subtropicali dell’Africa o dell’Asia ed è penetrata in climi più freddi prima che venisse allevata dall’uomo.

Il modello sociale, con i ruoli ben definiti e la divisione in caste, è impiegato dagli animali sostanzialmente per risolvere problemi ecologici e per affrontare le tante sfide ambientali.

Molti autori, a questo proposito, hanno definito le società animali, tra cui le api, un “superorganismo” in cui ogni ape può essere assimilata a una singola cellula del corpo di un organismo superiore in cui, a seconda dell’età e della casta, esplica varie funzioni.

 

E non è tutto.

L’ape per l’uomo è un modello sociobiologico. La sociobiologia, infatti, afferma che non siamo noi che lottiamo tutti i giorni, ma i nostri geni che “vogliono” sopravvivere alla nostra morte ed essere trasmessi alle generazioni future.

Per le api tale fenomeno si basa sull’aplodiploidia (maschi aploidi e femmine diploidi) in base alla quale si ha maggior vantaggio, in termini di informazione genetica trasmessa alla generazione seguente, esprimendo, così, un comportamento altruistico.

Credo che, limitatamente ad Apis mellifera, facendo riferimento al diverso comportamento delle sottospecie europee (sempre e solo una sola regina alla volta nell’alveare) rispetto ad alcune “africane”, siciliana compresa (convivenza, nello stesso alveare, di regina madre e figlie per un certo periodo), ci sia materiale a sufficienza per evidenziare la plasticità della specie».

 

E la suddivisione in caste che funzione ha?
 

«La suddivisione in caste evidentemente è funzionale e necessaria, come si è detto, al realizzarsi della piena socialità (eusocialità) e all’armonico svolgersi delle attività di ogni singola colonia, che è stata felicemente paragonata a un “superorganismo” di cui ogni componente è parte integrante e imprescindibile.

L’evidenza che l’organizzazione sociale dell’ape “domestica” (Apis mellifera) è il risultato finale di un lungo processo di evoluzione la scorgiamo nel fatto che nella vastissima superfamiglia di Imenotteri a cui appartiene anche Apis mellifera – la superfamiglia degli Apoidei, che solo in Italia comprende parecchie centinaia di specie diverse – esiste una gamma molto ampia di comportamenti per quanto riguarda la socialità, comportamenti che possono essere da noi collocati su una quantomeno ideale “scala” di livelli sociali, dai più bassi (specie di Apoidei “solitari”) ai più elevati, rappresentati appunto dall’alta eusocialità di cui il più noto, diffuso e importante esponente è l’ape da miele.

Tra questi due estremi comportamentali si può individuare tutta una gradazione di comportamenti intermedi (complessivamente raggruppabili nella “presocialità” e nella “eusocialità primitiva”) a seconda delle specie di Apoidei. Sui livelli di socialità negli Apoidei può essere illuminante per il pubblico italiano la sintesi pubblicata in “APOidea”, la più qualificata rivista italiana di apidologia e apicoltura, dal mio collega Rinaldo Nicoli Aldini della Facoltà di Agraria dell’Università Cattolica (Piacenza).

Sembra intuitivo che la complessa organizzazione sociale dell’ape da miele non sia altro che il traguardo finale di un lunghissimo processo di trasformazioni e adattamenti che ha caratterizzato, anche attraverso imponenti fenomeni di speciazione, la linea evolutiva degli Apoidei nel corso delle ere geologiche".

C’è chi ama accostare la società delle api alla società umana. E’ corretto?

«I paralleli con la società umana sono sempre instaurabili, e ne sono stati fatti fin dall’antichità.

Nel paragone tra società delle api e società umana occorre far salve, ovviamente, le opportune distinzioni: la principale differenza sta senza dubbio nel fatto che gli uomini sono esseri dotati di libero arbitrio, le api invece – come gli altri insetti e gli altri animali – nei loro comportamenti rispondono a “istinti” che in qualche modo predeterminano il loro agire, lo rendono prevedibile.

Anche per questo le società delle api, come quelle degli altri insetti sociali (termiti, formiche, vespe) si presentano come gruppi di individui che cooperano in modo estremamente armonico, produttivo e funzionale alla vita della colonia; questo invece nella società umana, indubbiamente molto più articolata e complessa, non si realizza mai in modo completo, anzi talvolta sembra utopistico.

Mi riesce quindi difficile pensare a grandi stravolgimenti per una colonia d’api come quelli avvenuti per l’uomo che, anche solo per il ristretto ambito familiare, è riuscito a passare da patriarcati a matriarcati, a famiglie allargate, ecc.

Però è anche vero che pensare a una struttura immutabile è difficile, trattandosi di esseri viventi in cui l’adattamento all’ambiente è una delle caratteristiche distintive. Poi, bisogna anche considerare che gli uomini non sono insetti. Wilson, nel suo libro sulla sociobiologia, indica quattro diverse forme di socialità animale, una delle quali peculiare dell’uomo.

Al massimo si potrebbe trovare qualche parallelismo tra la società umana e quella di altri mammiferi.

I feromoni (sostanze chimiche emesse da ghiandole esocrine con la funzione di “portare” messaggi-ordine dal soggetto emettitore agli altri individui della propria specie) sono fondamentali nelle api, ma hanno importanza modesta per l'uomo, mentre il nostro linguaggio è enormemente più articolato.

Le migliaia di api operaie di una colonia, si dedicano, durante la loro vita a numerose attività di “casa” (nutrici delle larve e dell’ape regina, costruttrici delle cellette, immagazzinatrici, pulitrici, arieggiatrici e guardiane) e a un’importantissima attività da svolgersi “fuori casa”: quella di bottinatrici (raccoglitrici) di nettare, polline, propoli, melata e acqua.

Molte di tali attività sono regolate da feromoni, semiochimici, emessi per lo più dall’ape regina ma anche dalle api operaie. Abbiamo, quindi, messaggi-ordine in partenza non solo dal “vertice” ma anche dalla “base”.

È noto che queste attività sono in relazione con i diversi stadi di sviluppo delle ghiandole emettitrici: meno noto è che la suddivisone dei compiti tra le numerose api non è così “fissista”, come si pensa, ma esse si dedicano alle diverse operazioni a seconda dei bisogni della colonia.

Quindi, possiamo dire che ci sia una risposta biologica non rigidamente predeterminata, ma plastica, alle esigenze economiche dell’alveare in quel momento!».

Don Davide Maloberti,

Luisa Follini

Nuovo Giornale, Piacenza

 

Ringraziamenti

Un doveroso ringraziamento a Luca Mazzocchi di Bussolengo – VR (www.mondoapi.it) che ha arricchito quest’intervista con le sue bellissime fotografie.

Un ringraziamento anche al prof. Stefano Maini e al dott. Claudio Porrini (entrambi dell’Università di Bologna), al prof. Aulo Manino (Università di Torino), al prof. Rinaldo Nicoli Aldini (Università Cattolica, Piacenza), al prof. Massimo Ghirardi (Reggio Emilia), al dott. Moreno Greatti (Università di Udine) e al dott. Alberto Contessi (Ravenna) per l’amichevole collaborazione.

 

Dello stesso Autore:

 

Api nell'Arte

 

- Api nell'Arte antica

- Api nell'Arte Barocca

 

- Api nell'Arte del Bernini

 

- Api nell' Arte Medievale

- Api nell'Arte Umanistica e rinascimentale

- Api nell'Arte del '700 e dell'800

- Api nell'Arte del Novecento

 

- Api nell'Arte Naif

- Ma quante api sono?

 

- Il monumento equestre al granduca Ferdinando I dei Medici a Firenze

Api e Religione -

 

- Api nell’iconografia dei Santi

 

Api e Arti Varie

 

- Api e Ceroplastica artistica

- Api e Scultura

 

- Api e Vetro

- Api e Street Art

- Connubio tra umanità e natura nei ritratti di Lea Bradovich

- Dentro la natura - L'amico delle api, Enrico Visani

- - L'Ape nelle opere metafisiche di Pier Augusto Breccia


- L'Ape nella metafisica - Le sculture di Rabarama e la sintesi tra umanità e natura

- L'Ape e la natura nelle sculture di Jessica Carroll

- L'ape nell'arte naif di Giuliano Zoppi


- Omaggio agli artisti


- Omaggio agli artisti: Giuseppe Lega-

- L'ape e i dipinti realisti di Nevenka Gorjanc

- Animali ( e l'ape) nell'arte naif di Guido Vedovato

- Eppur volare: l'ape nell'arte di Magrini

- Le realizzazioni "apistiche" di Judi Harvest

- L’Ape fra Romanticismo e Dadaismo nei fotomontaggi di Šivic

- Luisa Carretta: In volo con le api

- I Dipinti I “APISTICI” di Branko Cusin

- Omaggio di un artista equadoregno ad un illustre entomologo e apidologo italiano

- Insetti, pratiche apistiche, Flora e avversità delle api illustrati da Marco Mattei.

- L'Ape nell'Arte Contemporanea

- Le dinamiche api di Wall

- L'ape di Mark Ryden tra mistero e realtà

- Mark Rowney - Circondato dalla natura

 

- L'Ape di Mark Rowney - Circondato dalla natura

- Scene di un piccolo popolo - Michel Favre

 

- Api e Bombi nell'arte pittorica di Pat Gordon

 

- Api e Moda

- Api e Cinema

 

- Le Api, ispirazione per l'artista Jeanette Zippel


- Vedovato e l'uomo delle api

 

Api nel collezionismo e nella pubblicità



- Api e Figurine Liebig

- Api Pubblicitarie

- Le "false api" nell'arte, nell'editoria, nella pubblicità

- Sempre più spesso le api impollinano anche la pubblicità

Il mondo delle Api

- Api e loro linguaggio

 

- Api per amiche

- Api - Perchè pungono

- Ape, insetto prodigioso

- L'entomologo Celli, grande amico delle Api

- Giorgio Celli, amico dell'ambiente e delle Api

Api nel mondo infantile

- Api e Bimbi

- Api e Favole

- Che occhi grandi che hai...

Api e loro prodotti

 

- Dalle Api un liquore davvero speciale

- Il Miele e lo Sport

- La Cera delle api e le Religioni

- Api e Mummie

- Propoli

 

 

 

- 42° Congresso Internazionale di Apicoltura (Apimondia) a Buenos Aires, 2011

- Per un'apicoltura a misura dei disabili

 

e, di altro argomento:

- Appunti di vacanze - Il rifugio di Resy

- Metamorfosi del legno

- Pellegrinaggio in Terrasanta

 

 

Di altri Autori:

- sull'argomento "Miele" in Collaborazioni varie, di Maria Cristina Caldelli: DOLCILOQUIO - A TAVOLA CON IL MIELE ITALIANO.


- sull'argomento "Api e Religione", segnaliamo in Collaborazioni Varie l'articolo del Prof. Franco Frilli - "L'Ape nella Sacra Scrittura".

 

 

 

 

Ciao a Tutti | Contattami | Nota Legale | Ringraziamenti |©2000-2020 Cartantica.it