Rubriche di
Patrizia Fontana Roca

COLLABORAZIONI

In questo Settore vengono riportate notizie e immagini fornite da altri redattori.

Nello specifico, il presente articolo è stato realizzato dal Prof. Renzo Barbattini dell'Università di Udine, che ha fornito anche le immagini.

Tutti gli articoli degli altri Settori sono state realizzati da Patrizia di Cartantica che declina ogni responsabilità su quanto fornito dai collaboratori.

"N.B.: L'Autore prescrive che qualora vi fosse un'utilizzazione per lavori a stampa o per lavori/studi diffusi via Internet, da parte di terzi (sia di parte dei testi sia di qualche immagine) essa potrà avvenire solo previa richiesta trasmessa a Cartantica e citando esplicitamente per esteso il lavoro originale (Autore, Titolo, Periodico) ."


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L’APE, INSETTO PRODIGIOSO

 

L’ape è una specie animale che ha attirato su di sé l’attenzione di numerosissimi scienziati, che nelle varie epoche hanno accumulato un’imponente trattatistica; quest’insetto è stato studiato da tutti i punti di vista: sistematico, morfologico, fisiologico, etologico, patologico, industriale ma raramente i diversi argomenti sono stati ospitati in un soloarticolo solo.
Tra i corredi fotografici, gli ingrandimenti “macro” scattati con il microscopio elettronico a scansione non rappresentano più una novità per gli operatori italiani.
Tutto ciò, però, contribuisce a un miglioramento del bagaglio di conoscenze biotecniche degli apicoltori e, quindi, delle produzioni. Questo prezioso lavoro si rivolge a tutti quelli che amano e utilizzano l’ape, e desiderano aggiornarsi sui suoi maggiori misteri, da poco, e mai completamente, risolti, quali il linguaggio

PREMESSA


Siamo nel terzo millennio: l’ape riesce ancora a catalizzare l’interesse di tanti appassionati, apicoltori e non. Le ricerche sulla biologia dell’ape, sulla morfologia del suo corpo e sul fun
Grazie ai nuovi strumenti di studio (microscopi ottici ed elettronici, attrezzature fotografiche, cinematografiche e televisive per riprese anche a forti ingrandimenti ed esaminate, poi, al rallentatore, ecc.) è possibile approfondire via via le conoscenze su questo insetto “prodigioso” favorendo, nello stesso tempo, la comprensione dei fenomeni biologici ad esso legati.

Non è difficile vedere l’ape al lavoro: all’esterno dell’alveare mentre visita i fiori o dentro all’alveare entre si dedica a diverse operazioni quali l’immagazzinamento del nettare e del polline nelle cellette, l’allevamento della prole e la costruzione dei favi. Spesso, però, non si conoscono le basi biologiche delle numerose attività dell’ape
Ciò è fondamentale non solo per una migliore valutazione di quanto l’ape fa, ma anche per una miglior conduzione degli alveari. L’apicoltore, infatti, meglio conosce il comportamento dell’ape e più è in grado di attuare in modo razionale le diverse operazioni apistiche.

Come può l’ape compiere attività così differenziate? Perché ha un corpo che glielo permette. Anch’essa non sfugge a una regola generale, esistente nel mondo zoologico, secondo la quale in natura ogni organo e ogni apparato è strutturato in modo da poter assolvere a specifiche funzioni; tra struttura e funzione di un organo, infatti, esiste normalmente uno strettissimo legame.

 

La “prodigiosità” dell’ape, quindi, sta nella “prodigiosità” della sua conformazione morfologica, fondamento della biologia ed etologia, altrettanto prodigiose.

IL CORPO DELL’APE

 

 

Figura 1


Come in tutti gli insetti, anche il corpo dell’ape è costituito fondamentalmente da tanti segmenti ad anello più o meno resistenti che nel loro insieme formano una sorta di corazza protettiva avvolgente tutti gli organi interni dell’individuo
Durante il processo di formazione dell’adulto alcuni di questi segmenti subiscono radicali modificazioni e fusioni, tanto che nell’adulto non è più possibile individuarli singolarmente.
Nell’ape a sviluppo completo, s’individuano tre zone ben caratterizzate: il capo, il torace e l’addome (Fig. 1).

Qui di seguito è riportata la descrizione di queste zone e delle relative appendici.
Tale descrizione fa riferimento quasi esclusivamente alle api operaie; esse sono, del resto, gli individui di gran lunga più numerosi e più osservati per i molteplici lavori eseguiti.
Per gli altri individui della società (ape regina e fuchi) saranno, di volta in volta, segnalate, se necessario, le peculiarità.

 


IL CAPO

Figura 2 - Il Capo


La capsula cranica racchiude e protegge organi particolarmente importanti per la vita dell’ape quali il cerebro e lo gnatocerebro (parti fondamentali del sistema nervoso centrale), le glandole mandibolari e faringee (produttrici di feromoni e di gelatina reale), alcune glandole endocrine e numerosi muscoli, fra i quali quelli che agiscono sulla faringe consentendo l’aspirazione dall’esterno dei liquidi alimentari lungo il canale di suzione.

Sulla superficie del capo sono collocate importanti appendici articolate (quelle boccali e le antenne) e gli organi della vista.

 

LE ANTENNE

Figura 3

- Organi di senso (a destra) dell’ultimo antennomero dell’operaia: sulle antenne sono collocate migliaia di sensilli di varia forma che consentono all’ape di percepire sensazioni tattili, odorose, termiche.

Costituite da 12 articoli nelle femmine e da 13 nei maschi, esse sono basilari per la vita di relazione tra le diverse componenti della società. Sono mosse in continuazione per toccare, ad esempio, le antenne di altre compagne durante lo scambio di cibo o per avvicinare gli alimenti zuccherini.
Questi movimenti sono necessari essenzialmente per consentire alle migliaia di sensilli posti sulla superficie delle antenne (Fig. 3), e direttamente collegati al sistema nervoso, di percepire dall’esterno numerosi segnali per lo più di natura biochimica.
Sulle antenne della regina vi sono circa 2000 sensilli, mentre su quelle delle operaie e dei fuchi ve ne sono rispettivamente 6000 e 30000. Il maggior numero di sensilli sulle antenne dei maschi si spiega
probabilmente col fatto che per il fuco è fondamentale, durante il volo nuziale, individuare la regina, tramite i feromoni liberati nell’atmosfera.
Tali organi di senso sono caratterizzati da una diversa forma e sono specializzati nel captare sensazioni di tipo particolare; i sensilli termorecettori permettono di misurare, ad esempio, la temperatura interna dell’alveare, quelli igrorecettori sono utili per captare l’umidità dell’ambiente e la percentuale d’acqua contenuta nel miele in preparazione, gli olfattori sono capaci di percepire gli odori della colonia o quelli di nettari o di alcuni feromoni.
Quest’ultime sostanze sono la base del linguaggio, essenzialmente di tipo chimico, esistente all’interno dell’alveare e intercorrente tra le diverse caste della colonia (la fertile è rappresentata dalla regina e da alcune centinaia di fuchi, la sterile dalle migliaia di operaie).

Tutti gli insetti producono feromoni, ma le api, soprattutto la regina e le operaie, ne producono molti e di vario tipo; le funzioni di quelli finora studiati saranno illustrate più avanti quando saranno trattate le regioni del corpo interessate nella loro produzione. Al fine di evitare che l’accumulo di corpuscoli estranei o dello stesso pulviscolo atmosferico possa contrastare la percezione di sensazioni così importanti per la vita dell’intera società, l’apeè in grado di pulire le antenne mediante una particolare struttura, la stregghia, situata a livello dell’articolazione tibio-tarsale delle zampe anteriori.

 

LE APPENDICI BOCCALI


L’apparato boccale dell’ape è di tipo lambente succhiante ed è costituito da alcune appendici, piuttosto complesse sia per la loro struttura sia per il loro funzionamento. Si tratta di varie parti che, addossate le une alle altre, consentono di compiere operazioni quali la suzione di liquidi dall’esterno, l’emissione di saliva verso sostanze zuccherine solide da sciogliere e la lavorazione della cera.

Tra queste appendici si ricordano:• le due mandibole, fortemente sclerificate e munite di bordo arrotondato; per quest’ultima caratteristica esse sono utilizzate per triturare il polline, modellare la cera e afferrare materiali o prede, ma non per lacerare superfici integre, continue, quali l’epidermide di frutti maturi.

Pertanto l’accusa rivolta alle api di essere la causa di danni alla frutta, in particolare all’uva è del tutto infondata; esse, infatti, si recano solo su frutti già lesionati dalla grandine, dalle vespe o da altre cause, per raccogliere le sostanze zuccherine da essi fuoriuscenti (Fig. 4).

Sulla superficie interna di ogni mandibola vi è lo sbocco di un piccolo canale dal quale fuoriesce il secreto delle glandole mandibolari, contenente feromoni molto importanti per la vita sociale della famiglia. della gelatina reale, alimento tipico fornito dalle api nutrici alle larve; inoltre contiene il 2-eptanone, un feromone volatile che, liberato nell’aria dalle api guardiane in prossimità della porticina dell’alveare, può agire da sostanza d’allarme in quanto mette in guardia le api compagne da pericoli incombenti

Le glandole mandibolari sono assenti nei maschi, mentre nella regina secernono sostanze che vanno a costituire, assieme a quelle prodotte dalle glandole addominali, il “feromone reale”, le cui principali funzioni saranno descritte più avanti.

A questo proposito si può evidenziare come vi sia, anche a questo livello, uno stretto legame fra ape regina e operaia; infatti, l’acido 9-cheto-trans-2-decenoico, una delle sostanze secrete dalle glandole mandibolari della regina, non sarebbe elaborato ex novo ma sarebbe il risultato dell’ossidazione dell’acido 9- idrossi-trans-2-decenoico prodotto dalle glandole mandibolari delle api operaie e fornito dalle stesse con l’alimento;• le due mascelle costituite da vari articoli (cardine, stipite, galea e da un piccolo palpo).

Sulla superficie di questi pezzi vi sono sensilli di diverso tipo, alcuni dei quali a funzione gustativa, labbro inferiore, formato d’articoli impari (postmento, premento, ligula) e d’articoli pari (paraglosse e palpi labiali).
La parte più allungata dell’apparato boccale è la ligula, struttura percorsa internamente da un canale attraverso il quale l’ape emette la saliva.
Allo stato di riposo le appendici mascellari e labiali sono tenute ripiegate sotto il capo. Quando l’ape inizia la raccolta di liquidi zuccherini (nettare, melata) o di acqua, protende queste appendici a formare una “proboscide” costituita dalla ligula che è avvolta dalle galee e dai palpi labiali; in questo modo si realizzano due canali: uno salivare più interno e uno più esterno, attraverso il quale si ha la risalita, per aspirazione, degli alimenti (Fig. 5).

 

L’apparato boccale entra in gioco anche in attività prettamente sociali quali l’alimentazione di altri individui della famiglia e lo scambio, da un’ape all’altra, di nettare o di altre sostanze in elaborazione. Quest’ultima operazione, denominata trofallassi, è particolarmente importante per le api, insetti sociali per antonomasia; infatti, tramite tale scambio sono trasmesse, da un’ape all’altra, quelle sostanze secrete dalle glandole mandibolari e dalle glandole addominali dell’ape regina che costituiscono il “feromone reale” e che riescono a condizionare gran parte della vita di tutto l’alveare (Fig. 6).

 

GLI ORGANI DELLA VISTA


L’ape percepisce le sensazioni visive tramite i due occhi composti e i tre occhi semplici. I primi, costituiti da migliaia di piccoli elementi visivi (7000-8000 circa nei maschi, 4000-5000 nelle operaie, 3000-4000 nella regina) permettono la percezione dell’ambiente circostante attraverso parziali immagini che, addossandosi tra di loro, offrono all’ape una visione a mosaico (Fig. 7); i secondi, percependo unicamente la luce polarizzata, funzionano come sensibilizzatori degli occhi composti.

Oltre all’immagine, l’ape percepisce anche alcuni colori e forme. Gli studi di Karl von Frisch, premio Nobel nel 1973, hanno rivelato che l’ape operaia “vede” quattro bande, cioè:

1) l’arancio, il giallo e il verde,
2) il blu-verdastro,
3) il blu e il violetto,
4) l’ultravioletto.



La sensibilità ai raggi ultravioletti, invisibili all’uomo, consente alle api di percepire la posizione del sole anche in caso di cielo coperto. Per quanto riguarda le forme, si è visto che l‘ape riesce a distinguere agevolmente figure segmentate (ad es.: la croce, il quadrato vuoto, un insieme di segmenti paralleli) da figure semplici (ad es.: il cerchio, il quadrato pieno, il triangolo), mentre non coglie differenze tra figure segmentate o tra figure semplici.

Studi sulle forme e sui colori percepiti dall’ape sono stati recentemente ripresi anche in Italia. Scopo ultimo di queste ricerche è di pervenire all’elaborazione di una serie di segnali visivi atti a orientare le api all’interno delle colture protette, favorendone l’individuazione degli accessi e delle uscite.
Tali sperimentazioni sono ancora in corso ma già sono stati pubblicati alcuni risultati: il lillà e il giallo sono due colori particolarmente attrattivi per l’ape, mentre tra le figure sperimentate la preferita è la “stella a 10 punte”; in ogni caso, nelle scelte dell’ape, il colore e la forma rivestono una funzione riccamente intrecciata.

Gli organi della vista assumono una grande importanza quando l’ape svolge le attività proprie della bottinatrice. Il colore dei fiori, infatti, è visibile da lontano e attira anche da grandi distanze mentre il profumo, tipico di ciascuna specie vegetale, permette il definitivo riconoscimento dei fiori da vicino; inoltre, la localizzazione visiva del proprio alveare facilita il rientro dell’operaia dal pascolo.
Per far questo l’ape si serve di opportuni punti di riferimento quali siepi, alberi, muri; in loro mancanza, come avviene quando gli alveari sono trasportati in estese radure per la produzione di mieli particolari, le bottinatrici riescono ugualmente a ritrovare la loro “casa”, in ciò aiutate dal sole e dai tipici odori dell’alveare da cui sono uscite, ma con un dispendio energetico certamente maggiore.

 

 

DA APITALIA - MARZO 2016

 

NOTE


1) In questo numero è riportata la prima parte di un lungo articolo “L’Ape insetto prodigioso”. In realtà è la riproposta di un articolo uscito anni fa (1991) nel numero speciale de “l’Italia agricola” (pubblicato da REDA, edizioni per l’agricoltura) dedicato all’ape (apicoltura, ambiente, agricoltura) e coordinato dal dott. Raffaele Cirone. Le fotografie scattate col microscopio a scansione e i disegni del prof. Alessandro Sensidoni sono stati, successivamente (2001), pubblicati nel libro "L’ape, forme e funzioni. Calderini edagricole, Bologna " (di Frilli F., Barbattini R., Milani N.).
Le belle foto di api sono, invece, recenti e sono state scattate da Luca Mazzocchi www.mondoapi.it).

 

 

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II PARTE

 

Continua il nostro viaggio nel mondo infinitamente piccolo dell’ape. Andiamo alla scoperta, grazie agli occhi di un Autore - sì attento, ma specialista in Entomologia apistica - di minuscoli dettagli, forme affascinanti, soluzioni efficaci ed efficienti che dimostrano quanto sia complesso e imponente il percorso evolutivo di questa specie animale.

Basti dire che alcune delle soluzioni pratiche, messe a punto dalle api - ad esempio per muoversi rapidamente o deambulare, volare a grandi distanze trasportando pesi esagerati e senza mai perdere la rotta, decollare o atterrare in tratti brevissimi di spazio, costruire solide strutture che garantiscano la corretta deposizione della regina ed elevati standard igienici alla dispensa alimentare – affascinano i ricercatori che spesso ne traggono ispirazione. per soluzioni tecnologiche applicate alla nostra vita quotidiana.
Pronti dunque, si parte…


IL TORACE


Questa regione, situata tra capo e addome, può essere definita come la “regione del movimento” in quanto reca gli organi per il volo e per la deambulazione rappresentati rispettivamente da due paia di ali (anteriori e posteriori) e da tre paia di zampe (anteriori, medie e posteriori), come si vede nella figura sottostante.

Figura 8 -


Ape operaia: sono indicate le tre zone morfologiche nelle quali è
suddiviso il corpo

 


LE ALI

Figura 9


Gli hamuli permettono il collegamento delle ali di ogni lato durante il volo.

Le ali dell’ape, espansioni del torace, sono membranose; questa caratteristicaè richiamata dal nome stesso dell’ordine di appartenenza delle api e degli insetti affini: Imenotteri (dal greco hymen = membrana e pteron = ala).

Esse presentano una costituzione piuttosto complessa essendo internamente percorse da una fitta rete di tubi sclerificati detti nervature o venature contenenti trachee, terminazioni nervose ed emolinfa.

Tenendo conto di questa complessità morfofunzionale non è da escludere che l’amputazione delle ali dell’ape regina - pratica che era adottata da alcuni apicoltori per ridurre la probabilità di sciamatura e rivelatasi parzialmente inefficace per tale scopo - provochi alterazioni comportamentali di un certo peso.

Allo stato di riposo le ali sono mantenute sopra l’addome, mentre durante il volo quelle anteriori, più grandi e più venulate, si muovono collegate con le posteriori in modo da formare un’unica superficie.

Tale collegamento si realizza grazie ad una serie di hamuli (Fig. 9), uncini a punta presenti sul margine anteriore delle ali posteriori, che si agganciano a una ripiegatura sclerificata del bordo posteriore delle ali anteriori.

Le ali permettono all’ape bottinatrice di compiere rapidi e lunghi voli sostenendo, spesso, pesanti carichi. Infatti, un’ape dal peso medio di 100 mg è in grado di trasportare all’alveare, a una velocità di circa 20 Km/ora, un carico di polline di 15 mg e/o di nettare di 40 mg e/o di acqua di 25 mg percorrendo tratti lunghi anche alcuni chilometri senza fare soste intermedie.

A questo proposito bisogna dire che l’ape per percorrere la distanza tra l’alveare e una sorgente alimentare, consuma meno energia volando che non muovendosi“a piedi”.

Ciò fu dimostrato sperimentalmente dai ricercatori dell’équipe di von Frisch negli anni 60-70 del secolo scorso interpretando il linguaggio delle api, in condizioni naturali e in condizioni obbligate;
tale linguaggio, basato principalmente sulla danza“circolare” e sulla danza “dell’addome”, sarà descritto alla fine di questo capitolo.

Le api che si muovono naturalmente con voli liberi, passano dal primo tipo al secondo tipo di danza quando tra l’alveare e la fonte di cibo vi è una distanza di 50-100 metri; quando le api sono obbligate a camminare, il passaggio tra le due danze avviene già dopo un percorso di 3-4 metri.

È stato constatato, poi, che le api per percorrere 55 m in volo o 3 m a piedi consumano lo stesso quantitativo di zuccheri presenti nell’emolinfa; lo zucchero che si trova nel “sangue” è, quindi, il “combustibile” necessario alle loro attività.

Comunque è bene ricordare che queste acquisizioni scientifiche non sono da considerarsi definitive, in quanto tali aspetti della biologia sono oggetto di continuo studio e di approfondite ricerche che potranno portare a nuove indicazioni.

Le ali funzionano non solo da organi della propulsione, ma servono anche per prendere, mantenere o cambiare la direzione di volo; esse, inoltre, sono strettamente legate ad altre attività indispensabili nella società delle api quali l’accoppiamento tra fuchi e regina, l’eliminazione degli escrementi durante i voli di “purificazione” e la termoregolazione all’interno dell’alveare.

 

LE ZAMPE


Robuste e ben articolate - a partire dal punto di attacco nella zona sternale del torace si trovano la coxa, il trocantere, il femore, la tibia e il tarso plurisegmentato - esse svolgono, oltre a quella locomotoria anche altre funzioni.

Ciò è legato alla particolare conformazione di ciascun paio di zampe.

Figura 10

Particolare delle setole presenti nell’incavo della stregghia


Come già accennato, nelle zampe anterioriè presente la stregghia (Fig. 10); con questa struttura, costituita da un incavo del primo articolo del tarso e da uno sperone flessibile inserito all’estremità della tibia, l’ape aggancia le antenne per pulire i numerosi sensilli su di esse presenti, dai granuli di polvere e di polline che possono attaccarsi durante le diverse attività svolte.
Per staccare le pallottole di polline dalle zampe posteriori quando l’ape rientra all’alveare, per pulire le ali e togliere corpi estranei che possono ostruire le aperture dell’apparato respiratorio, essa utilizza una robusta spina presente nelle tibie del secondo paio di zampe (Fig. 11).

Figura 11

Le tibie delle zampe medie sono dotate di una lunga spina per favorire il distacco delle pallottole di polline, per pulire le ali e le aperture dell’apparato respiratorio

Le zampe posteriori dell’ape operaia sono strutturate per svolgere un’attività basilare per la vita dell’intera società delle api: l’accumulo e il trasporto all’alveare del polline e del propoli (Fig. 12).

È opportuno ricordare che il polline è fonte di proteine, sali minerali e vitamine necessarie per il nutrimento delle larve e delle api adulte, mentre il propoli è una sostanza resinosa prodotta da alcune piante che è utilizzata dalle api per fissare i favi, per chiudere eventuali fessure dell’arnia, per rivestire le pareti delle cellette di covata e anche per imbalsamare i corpi di grossi nemici uccisi, grazie alle sue proprietà batteriostatiche.

Il polline è raccolto dall’ape bottinatrice direttamente dai fiori in quanto durante le visite il suo corpo si “sporca” e la fitta peluria che lo ricopre trattiene i granuli pollinici.

Figura 12
(Illustrazione di Alessandro Sensidoni)

Visione schematica del lato esterno (a) e del lato interno (b) della zampa posteriore

Da qui inizia il “viaggio” del polline verso le cestelle, il luogo naturale di accumulo.

La prima tappa è rappresentata dalla pulizia del corpo con le zampe anteriori e mediane e dalla deposizione dei granuli di polline sulla faccia interna del tarso delle zampe posteriori.

Questa zona, ricoperta da circa dieci serie trasversali di rigide setole, è la spazzola con la funzione di trattenere il polline proveniente dalle altre zampe e dallo “spazzolamento” dell’addome (Fig. 13).

La pulizia del corpo in generale avviene durante gli spostamenti da un fiore all’altro della stessa specie vegetale visitata ma anche durante le soste dell’ape sui fiori.

Durante la seconda tappa avviene il trasferimento del polline dalla spazzola, ad esempio della zampa sinistra, verso il margine superiore appiattito del tarso della zampa destra (auricola).

Figura 13


Faccia interna del tarso con spazzola in evidenza: nella parte sx si notano l’auricola e il pettine

 

Ogni apicoltore, ma anche ogni persona attenta alle bellezze della natura, avrà osservato un’ape bottinatrice intenta a sfregare tra di loro e alternativamente le zampe posteriori tenendole sotto l’addome.
Con questo movimento ritmico d’innalzamento e abbassamento, essa raschia la spazzola con il lato inferiore della tibia della zampa opposta, il pettine, per cui i granuli di polline trattenuti cadono e si ammassano sull’auricola sottostante (Fig. 14).

Figura 14


Particolare del pettine (sopra) e dell’auricola (sotto)

 

A questo punto si ha l’inizio della terza tappa; la masserella di polline, schiacciata da un movimento di chiusura del tarso contro la tibia, è spinta verso la superficie esterna della stessa tibia.
Nonostante il nome (cestella) che potrebbe trarre in inganno, essa è perfettamente liscia, leggermente concava e contornata da una frangia di lunghe setole ricurve.


All’angolo inferiore è inserita un’unica rigida setola che nella sua funzione ricorda l’antico “palo del pagliaio”, poiché attorno ad essa si accumula e si forma la pallottola di polline (Fig. 15).

 


 

Fig. 15

 

Il polline è accumulato nella cestella per essere trasportato all’alveare

I movimenti sopradescritti sono compiuti in rapida successione in modo che si abbia, in breve tempo, la totale copertura della superficie.

 

La pallottola completa di polline, del peso di circa 7,5 mg, è piuttosto consistente e rimane saldamente agganciata alla tibia posteriore perché è trattenuta oltre che dal “palo del pagliaio” anche dalle setole contornanti la cestella (Fig. 16).

Figura 16

L’ape bottinatrice trasferisce il polline dalla spazzola di una zampa alla cestella di quella opposta utilizzando alternativamente i due pettini. Nella sequenza sono indicati i movimenti che spingono il polline trattenuto dal pettine verso la cestella, portando alla formazione della pallotola di polline in quest’ultima.

 

Per la raccolta del propoli le api utilizzano unicamente le cestelle nelle quali accumulano direttamente, aiutandosi con le zampe anteriori e medie, i pezzetti di questa sostanza dopo averli staccati con le mandibole dalle gemme di alcune piante (betulla, pioppo, ippocastano ecc.).

Caratteristica di ogni zampa è quella di essere provvista all’estremità di forti unghie tra le quali è situata una particolare ventosa (arolio); con le prime l’ape può aggrapparsi alle superfici ruvide, con la
seconda riesce a fissarsi e a procedere su superfici lisce. (Fig. 17)

Figura 17


Il pretarso di ogni zampa porta le unghie e l’arolio per
l’adesione e la locomozione su qualsiasi superficie

Un’altra caratteristica delle zampe è quella di essere ricoperte da numerose setole; da pochi anni è stata dimostrata la funzione sensoriale di alcune di queste.
Essa diventa di vitale importanza quando è esplicata da sensilli presenti sugli articoli terminali delle zampe anteriori dell’ape regina.

Tra queste, infatti, e il risultato dell’ovideposizione esiste una precisa relazione; l’ape regina prima di introdurre l’addome nella celletta in cui deporrà l’uovo tasta i bordi della stessa, oltre che con le antenne anche con il primo paio di zampe.
Così facendo, da alcuni sensilli delle zampe anteriori partono degli stimoli indicanti il “diametro” della celletta, che raggiungono il sistema nervoso centrale da cui viene inviato un messaggio che agisce sul sistema riproduttivo dell’ape regina. In tal modo quando la regina avrà localizzato una cella di covata dal diametro compreso tra i 6,2 e i 7 mm, necessaria per lo sviluppo di un maschio, in esso deporrà un uovo non fecondato, mentre una cella dal diametro leggermente più piccolo (5,3-6,3 mm) potrà ospitare un uovo fecondato da cui nascerà un individuo femminile.

A dimostrazione di questo, se si procede al blocco delle attività delle zampe anteriori dell’ape regina, ad esempio bloccandole con piccoli fili o amputandole, si avrà un’elevata percentuale di errore nell’ovideposizione. Esprimendosi in termini sindacali, si può dire che in questo caso si è in presenza di un condizionamento non più provocato dalla regina verso le api operaie ma dalla “base” verso il “vertice” della società: le stesse operaie, infatti, costruendo celle di covata di diversa grandezza, secondo le esigenze domestiche, condizionano l’ape regina sul tipo di uova da deporre e quindi sul tipo di prole.

Il futuro dell’uovo fecondato - verso una vita d’ape operaia o d’ape regina, soggetti entrambi caratterizzati da una loro morfologia e da specifiche funzioni - non è dovuta al corredo genetico ma a una diversa razione alimentare durante lo sviluppo larvale.

Come già accennato, le larve sono nutrite dalle api nutrici con la gelatina reale, prezioso secreto delle glandole mandibolari e ipofaringee.
Nei primi tre giorni di vita, quest’alimentoè offerto a tutte le larve, indipendentemente dal loro futuro; in seguito, però, il regime dietetico delle larve destinate a diventare api operaie, e così pure quello delle larve maschili, è modificato con la sostituzione di una parte della gelatina reale con un cibo giallastro, costituito soprattutto da miele e da polline (Fig. 18).

Figura 18

Larve d’ape immerse nella gelatina reale


La larva allevata nella cella reale e che darà origine a una regina è, invece, alimentata fino alla maturità con abbondanti quantità di sola gelatina reale. Si può, quindi, parlare di un determinismo di casta condizionato dal tipo di alimentazione larvale che incide anche sulla durata dello sviluppo preimmaginale. Il periodo, infatti, che va dalla deposizione dell’uovo fino allo sfarfallamento dalle cellette opercolate delle api operaie e dei fuchi dura 21 e 24 giorni rispettivamente; l’ape regina, invece, fuoriesce dalla cella reale dopo soli 16 giorni dalla ovodeposizione.


 

- da APITALIA, APRILE 2016

 

 

 

III PARTE

 

 

Le api operaie riconoscono, attraverso dei ricettori di senso, la direzione della gravità.
Possono produrre cera, marcare con segnali olfattivi l’ingresso dell’alveare e le aree di bottinamento. L’ape regina, attraverso il feromone reale, mantiene unita la famiglia e attira i fuchi durante il volo nuziale. Alla base di queste diverse funzioni, vi sono dei sensilli e delle glandole che l’autore, con dovizia di particolari, ci invita a scoprire

 

L’ADDOME

Figura 19 - Ape operaia: sono indicate le tre zone morfologiche nelle quali è
suddiviso il corpo.

Foto Luca Mazzocchi


Osservata dall’esterno, questa regione si presenta segmentata (Fig. 19); i segmenti visibili sono sei e in genere essi sono numerati dal II al VII per tener conto del fatto che il primo (propodeo) è fuso con il torace.
Oltre a questi, però, vi sono altri tre piccoli segmenti profondamente modificati e nascosti dal settimo.
Tra primo e secondo segmento vi è il peziolo, una profonda strozzatura cui segue l’addome propriamente detto (gastro).
I segmenti dell’addome hanno la forma di anelli e si sovrappongono parzialmente tra di loro collegandosi mediante membrane intersegmentali.
Queste membrane, grazie all’azione di muscoli all’interno dei segmenti, permettono all’ape di compiere ampi movimenti ma d’altra parte rappresentano un punto debole per l’insetto.

A questo proposito si può ricordare l’acaro Varroa destructor parassita diffuso in gran parte del globo, il quale si nutre dell’emolinfa dell’ape adulta dopo aver perforato con il proprio apparato boccale queste membrane poco resistenti.
La lunghezza e il colore dei peli che ricoprono questa regione sono, assieme alla colorazione dei primi segmenti addominali, caratteristiche distintive delle più note razze d’ape; si ricorda come l’ape italiana (Apis mellifera ligustica) si distingua dalle altre per i peli corti e gialli che ricoprono i segmenti addominali, anch’essi piuttosto chiari.

Nell’ape tedesca (Apis mellifera mellifera) - diffusa dalla Francia alla Siberia - i peli, brunastri e più lunghi, sovrapponendosi alla colorazione molto scura del corpo fanno sì che tale razza venga comunemente detta “ape nera”.
Probabilmente tali differenze hanno un significato adattativo; infatti, come spesso avviene nel regno animale, gli individui delle popolazioni che vivono in climi più freddi hanno il corpo più scuro per sfruttare le radiazioni solari, e coperto da peli che possono isolarlo termicamente.

Grazie all’utilizzo di particolari arnie sperimentali, dette da “osservazione”, si è potuto osservare l’ape intenta a compiere numerose attività all’interno dell’alveare.
Alcune di queste, ad esempio la costruzione dei favi e la danza dell’addome, presuppongono la conoscenza della direzione verticale; essendo svolte in un ambiente di norma buio, non possono essere orientate da stimoli visivi.

Al fine di raccogliere informazioni circa la posizione reciproca del corpo dell’ape e delle sue parti, entrano in funzione alcuni recettori di senso presenti nelle aree dorsali e laterali del peziolo (Fig. 20).

Fig. 20 - Nelle aree dorsali e laterali del peziolo sono presenti importanti recettori
di senso.

 


In particolare, questi sensilli contribuiscono a informare l’insetto sulla direzione della gravità.
Quando l’ape, infatti, si muove sui favi stando con il capo rivolto verso il basso, l’addome grava sul torace stimolando i peli sensoriali dell’area dorsale; ciò non avviene quando l’insetto si trova nella direzione opposta.
Nel caso, invece, di movimenti del corpo obliqui rispetto alla direzione verticale l’addome, per effetto del suo peso, tende a ruotare andando a stimolare le setole dell’area laterale destra o quelli dell’area laterale destra.

L’addome è morfologicamente più semplice del torace. L’importanza vitale di questa regione, infatti, sta negli organi che essa contiene: tra questi si ricordano la maggior parte dell’apparato digerente e dell’apparato circolatorio, l’apparato riproduttore, i due ampi sacchi aerei.
Questi ultimi sono utili per il ricambio dell’aria all’interno dell’apparato respiratorio, per diminuire il peso specifico dell’insetto, rendendo così il volo più facile, per l’espulsione delle feci durante i voli di“purificazione” primaverili; nel fuco, durante il volo “nuziale”, i sacchi aerei esercitano anche una compressione sugli organi genitali favorendo l’accoppiamento.

Qui di seguito sono descritte alcune strutture dell’addome che rivestono una particolare importanza nella vita della colonia.

 

LE GLANDOLE DELLA CERA


Una delle prerogative dell’ape operaia è quella di dedicarsi alla costruzione dei favi, strutture abitative in cui avvengono l’allevamento della prole e l’immagazzinamento delle riserve alimentari. La materia prima utilizzata dalle api costruttrici (dette anche ceraiole) è la cera; essa è una miscela piuttosto complessa di sostanze organiche secreta dalle stesse api mediante particolari cellule glandolari situate nella parte ventrale dell’addome (Fig. 21).

Figura 21 - Stendendo l’addome, è possibile osservare gli specchi della cera ( : con presenza di alcuni residui di cera) la cui cuticola è priva dei peli e delle reticolature che caratterizzano quella delle altre regioni del corpo.In :il margine ingrandito di uno di tali specchi


Tali cellule diventano attive all’incirca fra il decimo e il diciottesimo giorno di vita dell’ape adulta, poi si appiattiscono e degenerano. Anche se si procede all’estensione dei segmenti addominali non si notano dei veri e propri sbocchi di queste glandole sulla cuticola; la cera, infatti, fuoriesce in forma liquida attraverso piccolissime strutture (i cosiddetti porocanali) per solidificare sottoforma di scagliette a contatto con l’aria.

Queste lamelle, del peso medio di 0,8 mg, sono afferrate con le zampe e con le mandibole per essere modellate e utilizzate per la costruzione dei favi e degli opercoli delle cellette. La produzione di cera è assai modesta: ogni ape ne produce circa 6 mg; essa, inoltre, richiede il consumo di rilevanti quantità di polline e di miele fresco; si pensi che le api ceraiole hanno bisogno di 10 Kg di miele per poter produrre 1 Kg di cera.

 

LA GLANDOLA DI NASONOV

Un atteggiamento del tutto particolareè quello assunto da alcune api operaie sul predellino dell’arnia in occasione, ad esempio, del rientro di numerose bottinatrici dai pascoli visitati.
Queste api di casa sostano davanti alla porticina dell’alveare con il capo rivolto verso l’entrata dell’arnia e con i segmenti terminali dell’addome verso l’esterno.
Così facendo piegano l’estremità dell’addome verso il basso e scoprono la membrana posta tra la parte dorsale del VI e quella del VII segmento; a questo livello si ha lo sbocco dei dotti di un insieme di cellule glandolari denominato glandola odorifera o glandola di Nasonov (Fig. 22).

Fig. 22 - . Ape operaia con l’addome proteso e con l’ultimo segmento
addominale ricurvo verso il basso in modo da esporre le piccolissime aperture
attraverso cui sono liberati i secreti della glandola di Nasanov.


Il secreto di questa glandola, una volta liberato nell’aria, facilita il ritrovamento del proprio alveare da parte delle api bottinatrici; le api esploratrici di nuovi territori, invece, utilizzano tale sostanza - in realtà si tratta di un miscuglio di sostanze molto aromatiche e molto volatili, fra le quali sono stati individuati il citrale, il geraniolo, l’acido geranico, il nerolo, l’acido nerolico e il farnesolo - per contrassegnare i luoghi di bottino.
Questi, perciò, saranno individuati dalle altre api bottinatrici oltre che in base alle indicazioni contenute nelle tipiche danze ma anche per mezzo di segnali olfattivi.
Il secreto della glandola di Nasonov entra a far parte dell’odore caratteristico di ciascuna famiglia d’api. In esso si ritrovano, oltre a quelli provenienti dal metabolismo delle stesse sostanze, anche odori presenti nell’alveare ma non prodotti dalle api che sono facilmente assorbiti dalle cere e dalla cuticola.
Ad esempio, le scorte di miele e di polline rilasciano un odore strettamente legato all’origine botanica; esso può caratterizzare olfattivamente la colonia in modo diverso durante i periodi di raccolta.

 

LE GLANDOLE ADDOMINALI DELL’APE REGINA

L’ape vive in una società di tipo matriarcale governata cioè da una regina cui le operaie conferiscono la massima“autorità”. Spetta all’ape regina, infatti, il compito di perpetuare la specie e mantenere unita la famiglia, controllandone l’ordine sociale.
Essa governa la colonia attraverso il cosiddetto feromone reale, insieme di sostanze secrete dalle glandole mandibolari e dalle glandole addominali. Quest’ultime sboccano a livello di alcune membrane intersegmentali addominali. Il feromone reale impregna tutto il tegumento della regina feconda ed è direttamente assunto dalla corte di api operaie che la circondano e la lambiscono (Fig. 23).

Fig. 23 - Ape regina con la “corte” di api operaie

La composizione chimica della sostanza reale non è ancora del tutto conosciuta come, d’altra parte, sono ancora da scoprire alcune delle molteplici funzioni svolte. Essa, fra l’altro, inibisce lo sviluppo degli ovari nelle operaie per cui l’ape regina, finché essa è presente, è depositaria esclusiva della facoltà di ovideposizione; questa sostanza, inoltre, stimola le api ceraiole a costruire in certi periodi un maggior numero di cellette per l’immagazzinamento delle scorte alimentari e di celle per lo sviluppo di covata di operai

Mentre l’unità della famiglia è dovuta all’azione del secreto delle glandole mandibolari, il secreto delle glandole addominali è responsabile dell’aggregazione della corte all’ape regina. Il feromone reale, inoltre, funge da attrattivo sessuale nei confronti dei fuchi durante il volo “nuziale”.

Le ricerche scientifiche hanno messo in luce una secrezione ciclica di feromone reale da parte della regina. In presenza, infatti, di una regina giovane, quindi produttrice di molto feromone, nell’alveare non si notano le caratteristiche celle reali; a mano a mano che l’età dell’ape regina avanza, si ha una minor produzione di sostanza reale con la conseguente costruzione, da parte delle api ceraiole, delle cellette destinate a ospitare le future api regine in via di sviluppo

Così pure, a primavera inoltrata, quando si ha un calo della secrezione di questo feromone, si assiste alla sciamatura con scissione della colonia in due o più gruppi di api. In questo periodo, inoltre, nell’alveare emerge la necessità della presenza di un certo numero di fuchi per cui, in relazione ad un abbassamento di produzione di feromone reale, è costruito un numero adeguato di cellette in cui l’ape regina deporrà uova non fecondate da cui sgusceranno individui maschili.

La trasmissione di queste informazioni da un’ape all’altra avviene soprattutto per via boccale, tramite la trofallassi, ma i componenti volatili di queste sostanze vengono recepite anche dai numerosi sensilli antennali.

 

 

Fine III Parte

 

DA APITALIA - GIUGNO 2016

 

IV E ULTIMA PARTE

 

Forse non tutti sanno che… di feromoni di allarme le api operaie che pungono ne liberano ben due, e che sui favi le bottinatrici eseguono, oltre che la danza “dell’addome” e quella “circolare”, anche la danza “di gioia” e quella del “massaggio”.
Queste e tante altre curiosità, fanno dell’ape un insetto veramente unico!

IL PUNGIGLIONE


Molti di coloro che sono venuti in contatto con l’ape, o per motivi professionali o per hobby o per pura curiosità, avranno certamente provato di persona l’esperienza di subire una puntura da parte di questo insetto.
Questa esperienza, certamente“dolorosa”, richiama un’altra attività svolta dall’ape durante la sua vita: la difesa della colonia dai nemici. A essa si dedica in modo esclusivo l’ape operaia, dotata di un’importante arma di difesa: il pungiglione; a riposo questo è accolto entro una tasca addominale ed
è estroflesso, dall’estremità dell’addome, solo al momento dell’impiego.
Il pungiglione non è altro che un ovopositore modificato; quest’ultimo è un organo tipico delle femmine di molti Imenotteri che è utilizzato per deporre le uova, inserendole nei substrati in cui si svilupperanno le larve da esse sgusciate.
Poiché le modalità di ovideposizione e di allevamento della prole presso la società delle api, esonerano tale struttura dalla funzione originaria, essa può trasformarsi in un valido organo di difesa e di offesa.
Vista la sua origine, il pungiglione è assente nei fuchi, notoriamente inoffensivi.
Esso è costituito da tre pezzi articolati tra loro: lo stiletto, caratterizzato dalla punta affilata e da due rilievi che corrono lungo la sua lunghezza, e le due lancette, ognuna provvista di una decina di uncini rivolti all’indietro e di un solco longitudinale.
I due rilievi dello stiletto, simili a “rotaie”, s’incastrano nei solchi delle lancette. Gli stessi pezzi delimitano un piccolo canale lungo il quale scorre il veleno prodotto da specifiche glandole e iniettato nella ferita attraverso due solchi presenti sulle lancette

Fig 24 . Sinistra. Nella sezione si notano le “rotaie” dello stiletto e il canale di scorrimento del veleno.
Destra. Il pungiglione dell’ape operaia è composto dallo stiletto e da due lancette.

Al momento della puntura, il pungiglione non penetra “in toto” nei tessuti della vittima ma, grazie all’azione di robusti muscoli, si verifica uno scorrimento reciproco delle diverse parti.
Gli uncini delle lancette sono utilissimi per il successo di questa azione, ma possono anche diventare causa di morte per l’ape che ha inferto il colpo.
Infatti, se la puntura interessa un tessuto elastico, quale quelli del corpo umano, il pungiglione, tramite gli uncini, resta conficcato nel substrato, per cui lo sforzo dell’ape che si vuole allontanare dalla vittima fa sì che si strappino gli ultimi segmenti addominali, una porzione dell’intestino nonché le glandole del veleno che rimangano attaccate al pungiglione stesso.
Quest’ape è destinata, di lì a poco, a morire. Ciò non avviene, invece, quando la puntura interessa il tegumento rigido di altri insetti; in questo caso l’ape può retrarre il pungiglione e tornare a vivere normalmente.

Anche durante l’attività di difesa l’ape dimostra di essere un insetto tipicamente sociale; entrano, infatti, in azione alcuni messaggi feromonici.
Al momento della puntura l’ape libera nell’aria l’isopentil acetato, un feromone d’allarme che provoca nelle api compagne uno “stato di all’erta” richiamandole sull’obiettivo punto; gli eventuali bruschi movimenti della vittima che ha subito la puntura scateneranno un attacco plurimo.

In caso di una puntura d’ape, quindi, è di rigore l’assoluta calma - cosa d’altra parte difficile per chi non è apicoltore ! - altrimenti è facile riceverne altre in tempi immediatamente successivi.
L’isopentil acetato può essere emesso dall’ape guardiana anche senza aver colpito la vittima: per far questo alza l’addome ed estroflette il pungiglione esponendo la membrana a livello della quale è scaricato il feromone.

Come già accennato essa produce, tramite le glandole mandibolari, un altro feromone d’allarme (il 2-eptanone) che però è meno efficace del precedente.
Anche l’ape regina è dotata di un pungiglione, un poco diverso da quello dell’ape operaia, presentando le lancette con alcuni (3-4) piccoli uncini laterali. La loro diversa conformazione permette all’ape di estrarre abbastanza agevolmente il pungiglione dalla vittima colpita, ad esempio altre regine.

Fig. 25
Le danze delle api

1: posto di alimentazione visto dall’alveare nella direzione del sole. Le api percorrono la linea retta della danza dell’addome con il capo rivolto verso l’alto.

2: posto di alimentazione visto dall’alveare a sinistra della direzione del sole; anche la danza dell’addome rispetto alla verticale, si volge a sinistra con n angolo uguale.

3: posto di alimentazione visto dall’alveare a destra della direzione del sole; anche la danza dell’addome rispetto alla verticale, si volge a destra con n angolo uguale.

4: posto di alimentazione visto dall’alveare nella direzione opposta a quella del sole; la danza dell’addome, rispetto alla verticale, si svolge con il capo rivolto in basso (da Laurino et al., 1980).



CONCLUSIONE


A conclusione di questa carrellata si può ricordare l’attività in cui l’ape raggiunge la massima espressione della sua prodigiosità: il cosiddetto “linguaggio” che si esprime mediante danze.
La scoperta di tale forma di comunicazione tra le api e il suo alto contenuto di informazione è certamente il capolavoro del già ricordato prof. Karl von Frisch.
Poiché il messaggio che è dato è in forma simbolica, nel linguaggio gestuale dell’ape è coinvolto tutto il corpo dell’insetto e non solamente singoli organi o specifiche molecole.
Con questo linguaggio, basato principalmente sulla danza “circolare” e sulla danza “dell’addome”, l’ape bottinatrice informa le compagne sull’ubicazione della sorgente di nutrimento che ha scoperto e che merita di essere sfruttata.
Le danze sono serie di movimenti che la bottinatrice compie sui favi dell’alveare dopo aver individuato
una fonte nettarifera interessante e aver raccolto un poco di nettare da far assaggiare alle compagne (Fig. 25).
Quando la distanza del pascolo dall’alveareè inferiore ai 100 metri, la bottinatrice esegue la danza “circolare”; essa, cioè, descrive alcuni movimenti circolari quasi completi, variando spesso la direzione. Stimolate da questi movimenti, altre api si avvicinano a essa toccandola con le antenne protese in avanti.

Così facendo, esse possono recepire anche informazioni sulla qualità del nettare raccolto che, nel frattempo,è stato rigurgitato in piccole gocce dalla bottinatric
Dal nettare a loro offerto e dall’odore dei fiori di cui il corpo dell’ape danzatrice è impregnato, le api, quindi, sono in grado di riconoscere l’odore del pascolo che dovranno cercare.
La rapidità e la velocità con cui questa danza è eseguita indicano l’abbondanza della sorgente alimentare, per cui maggiore è la vivacità e maggiore è il numero delle bottinatrici“reclutate” che lasciano il nido per andare alla sua ricerca.

Se, invece, la sorgente alimentare si trova a una distanza dall’alveare superiore ai 100 metri, la bottinatrice esegue la danza “dell’addome”. La danza“circolare” e quella “dell’addome” non sono nettamente separate, perché se le distanze dei pascoli scoperti sono intermedie, si hanno danze di transizione dall’una all’altra.
Durante la danza “dell’addome” la bottinatrice percorre sul favo un tratto rettilineo, compie un semicerchio all’indietro fino all’inizio di questo tratto, lo ripercorre nuovamente e ripete un semicerchio nella direzione opposta a quella del precedente fino al tratto rettilineo e così via
Mentre percorre il tratto rettilineo l’ape muove con rapidità l’addome a destra e a sinistra (13-15 volte al secondo) vibrando contemporaneamente le ali.
La frequenza di queste evoluzioni sul favo, il numero degli “scodinzolamenti” lungo la linea retta e il numero di volte che è percorso tale tratto indicano la distanza della fonte nettarifera dall’alveare.
Più l’ape è lenta e più la sorgente è lontana: ad esempio, se la bottinatrice in 60 secondi percorre 24 volte la linea retta allora il pascolo si trova a 500 metri, se invece il tratto viene percorso, nella medesima unità di tempo, solamente 8 volte ciò indica una distanza del pascolo di circa 2500- 3000 metri.

La danza “dell’addome”, tramite l’assaggio di piccole gocce di nettare rigurgitato, fornisce alle altre api anche informazioni circa la qualità del bottino ma, soprattutto, da indicazioni circa la direzione che le api “reclutate” devono seguire uscendo dall’alveare per andare direttamente verso i luoghi di bottino.
La posizione del tratto rettilineo rispetto alla verticale durante la danza sui favi indica l’angolo da assumere rispetto al sole nel viaggio di andata verso la sorgente segnalata.

Le conoscenze riguardanti il linguaggio gestuale delle api non si limitano alle danze sopradescritte; in particolari circostanze le api eseguono altri tipi di danze, ad esempio quella “di gioia” quando sta per sfarfallare un nuova regina o al termine di una giornata di intensa e proficua raccolta del cibo,
oppure quella del “massaggio” per rianimare altre api ferme sulla porticina perché intirizzite dal freddo e quindi incapaci di rientrare nell’alveare.

Molto probabilmente in futuro la ricerca scientifica giungerà alla scoperta di altre danze e di altre forme di comunicazione; ad esempio non si conoscono ancora i mezzi d’informazione che regolano la raccolta del polline.
L’insieme di queste conoscenze, note e meno note, acquisite e future, spesso porta a descrivere l’ape come un insetto non solo prodigioso ma anche “intelligente”. Quest’ultima definizioneè, a nostro avviso, piuttosto azzardata.
L’ape, infatti, pur essendo dotata di un sistema nervoso dal cerebro molto più sviluppato di quello di altri insetti, dimostra di possedere sì notevoli facoltà psichiche; esse, però, non sfociano in un’intelligenza simile a quella dell’uomo - capace di repentini adattamenti a situazioni nuove - ma in istinti.
Questi istinti, comunque, rivestono una grande importanza: si pensi alle numerose attività cui l’ape si dedica durante la sua vita e alle capacità di orientamento, di memoria e di trasmissione delle informazioni.
Quanto esposto in quest’articolo non è probabilmente sufficiente per illustrare a pieno la vita della società delle api, di quell’insieme che alcuni hanno definito come “superorganismo” vedendo in esso delle attività vitali proprie quali la nutrizione, la sopravvivenza, la riproduzione e la difesa; tutto ciò dovrebbe, comunque, essere utile per meglio valutare gli stretti rapporti esistenti tra le principali strutture del corpo, il loro funzionamento e i comportamenti di questo imenottero aculeato.


Foto di Giancarlo Martire

 

 

 

 

DA APITALIA 6 - 2016

 

NOTA

“L’Ape insetto prodigioso”. è la riproposta di un articolo uscito anni fa (1991) nel numero speciale de “l’Italia agricola” (pubblicato da REDA, edizioni per l’agricoltura) dedicato all’ape (apicoltura, ambiente, agricoltura) e coordinato dal dott. Raffaele Cirone.
Le fotografie scattate col microscopio a scansione dal prof. Norberto Milani e i disegni del prof. Alessandro Sensidoni sono stati, successivamente (2001), pubblicati nel libro “L’ape, forme e funzioni. Calderini edagricole, Bologna “ (di Frilli F., Barbattini R., Milani N.).
Le belle foto di api sono, invece, recenti e sono state scattate da Luca Mazzocchi (www.mondoapi.it)

 

 

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