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                    Periodico) ." 
                  ****** 
                  MARIO BARBERIS ILLUSTRATORE FRANCESCANO
                   
                    Antonello Nave 
                    (pubblicato in «Frate Francesco. Rivista di cultura 
                    francescana», 73, 2, novembre 2007, pp. 537-553) 
                  
                     
                      |   | 
                        Nato a Roma nel 1893 da una famiglia 
                          di origini piemontesi, Mario Barberis scoprì 
                          precocemente la sua vocazione artistica, cominciando 
                          a disegnare con passione centinaia di schizzi, nei quali 
                          fissò scorci della capitale e dei suoi dintorni. 
                          Da quelle opere rimase assai colpito il paesaggista 
                          Filiberto Petitti, tanto da farle conoscere ad Ugo Fleres, 
                          che nel 1911 ne pubblicò alcune sulla rivista 
                          «Roma» e segnalò il talento del diciottenne 
                          autodidatta.  
                           
                        Tale circostanza determinò l’abbandono 
                          degli studi liceali e la partenza alla volta di Torino, 
                          dove fu presentato al pittore Giacomo Grosso, direttore 
                          all’epoca dell’Accademia Albertina. Alla 
                          prova di ammissione Barberis stupì tutti per 
                          l’insospettata padronanza nel disegno architettonico 
                          e ottenne, con apposito decreto ministeriale, l’ammissione 
                          direttamente al corso di perfezionamento in pittura. 
                         
                        Il suo esordio espositivo avvenne nel 1912 alla Amatori 
                          e Cultori di Roma. Fu costretto tuttavia ad interrompere 
                          gli studi accademici per il servizio militare e poi 
                          per la chiamata in guerra nel Genio. Durante gli anni 
                          al fronte poté continuare a dedicarsi all’arte, 
                          anche grazie ad incarichi da parte del suo comando, 
                          documentando così episodi di guerra e fissando 
                          le quotidiane esperienze di patimenti e di morte, in 
                          una serie di disegni, acquarelli e incisioni, che presenterà 
                      con successo nell’immediato dopoguerra.  | 
                     
                     
                        | 
                      Si lasciò per qualche tempo suggestionare 
                          dalle sperimentazioni del linguaggio cubo-futurista 
                          in dipinti su tela e in alcune opere polimateriche curiosamente 
                          siglate con una sorta di svastica: recentemente segnalate 
                          nel mercato dell’arte, esse sono ancora in attesa 
                          di adeguato vaglio critico. 
                           
                        Tornato a Roma a guerra finita, Mario Barberis fu costretto 
                          dalle contingenze materiali a dedicarsi in prevalenza 
                          all’attività di illustratore di libri, 
                          riviste, manifesti cinematografici, oltre che alla produzione 
                          di immagini devozionali, dove la sua arte spesso inclinerà 
                          verso esiti decisamente oleografici, adeguati a quanto 
                      espressamente richiestogli da editori e committenti.  
                       | 
                     
                   
                   Il tema religioso, tuttavia, trovava in 
                    lui un’autentica e profonda risonanza interiore, frutto 
                    dell’appassionata lettura del Vangelo e dei Fioretti 
                    già durante le lunghe e inquiete veglie di guerra. 
                    Da quella esperienza era uscito con una spiccata propensione, 
                    spirituale ed esistenziale prima ancora che artistica, per 
                    il tema della vicinanza affettuosa di Cristo al dolore e alla 
                    sofferenza degli uomini, in sintonia con quanto egli stesso 
                    aveva letto e sapeva del messaggio francescano.  
                    Non a caso fu proprio un episodio tratto dai Fioretti ad ispirargli 
                    il suo primo dipinto di soggetto religioso, che presentò 
                    nella primavera del 1921 alla I Biennale d’Arte di Roma. 
                    Traendo spunto dall’episodio dell’estasi di fuoco 
                    sperimentata da Francesco e Chiara nella campagna di Assisi, 
                    nella tela intitolata Il convito di luce Mario Barberis felicemente 
                    traduceva in termini di luce e di colore l’esperienza 
                    mistica dei due santi, raccolti in preghiera in un cascinale 
                    (1). 
                    Sulla scorta di una matura e personale assimilazione del linguaggio 
                    divisionista e delle sue potenzialità espressive, Barberis 
                    riusciva a dare piena spiritualizzazione e diafana bellezza 
                    visiva all’episodio francescano, senza scorie estetizzanti 
                    o retorici compiacimenti dannunziani.  
                    L’opera non a caso ebbe l’apprezzamento di Duilio 
                    Cambellotti e dello stesso Giacomo Balla, che proprio del 
                    secondo divisionismo era stato a suo tempo l’esponente 
                    più autorevole, sulla scena artistica della capitale. 
                     
                    Il fortunato esordio romano garantì all’artista 
                    l’inizio di un’intensa stagione creativa nel campo 
                    della cosiddetta arte sacra, a cominciare dalla chiamata nel 
                    ’22 a Gerusalemme per realizzare i cartoni dei mosaici 
                    absidali nella Basilica dell’Orto degli Ulivi. Dall’inizio 
                    di quel decennio, insomma, Mario Barberis diventò presto 
                    uno dei più prolifici e più richiesti specialisti 
                    del genere, sia in Italia che all’estero, portando a 
                    compimento un’ingente quantità di affreschi, 
                    pale d’altare, santini, incisioni e disegni per libri 
                    e quant’altro potesse servire a singoli fedeli, parrocchie, 
                    curie, ordini religiosi ed editori, che operavano nel fruttuoso 
                    campo della devozione popolare. 
                  
                     
                      |   In linea col tema che ci siamo qui proposti di trattare, 
                          è opportuno menzionare le sette tavole xilografiche 
                          che Barberis incise nel corso del ‘25 per i "Ricordi 
                          di San Francesco d’Assisi", pubblicati 
                          nell’anno successivo a Firenze dal critico e poeta 
                          Giulio Salvadori (1862-1928) in edizione numerata (2). 
                          Dopo un avvio come studioso di letteratura popolare 
                          e di poesia stilnovista, Salvadori aveva dato una buona 
                          prova di sé come giornalista di impronta dannunziana. 
                           
                          Già insegnante di scuola superiore ad Ascoli 
                          e ad Albano, aveva poi ottenuto l’incarico alla 
                          Sapienza per la cattedra di stilistica. Al 1884 risaliva 
                          la sua conversione dal positivismo agnostico alla fede 
                          cristiana, con una particolare propensione sia per l’esperienza 
                          ascetica che per una fattiva seppur discreta operosità 
                          evangelica. 
                         Nei suoi saggi e contributi di ricerca nel 
                          campo della storia letteraria, che gli valsero nel ’23 
                          la nomina a docente di letteratura italiana alla Cattolica 
                          di Milano, Giulio Salvadori preferiva un approccio etico-psicologico, 
                          che dava i suoi frutti migliori a confronto con figure 
                          e opere più vicine alla sua personale sensibilità 
                          umana e religiosa. Questo è appunto il caso del 
                          libro dedicato a Francesco d’Assisi, verso il 
                          quale egli sentiva particolare attrazione, come dimostra 
                          il fatto che già da tempo aveva scelto di entrare 
                      nel Terzo Ordine.  | 
                        | 
                     
                     
                      L’incarico di illustrare con sobrietà 
                          e insieme con sicurezza di linee il nuovo volume fu 
                          dato, così, all’amico Mario Barberis, che 
                          poi gli renderà un tributo di affetto in occasione 
                          del primo anniversario dalla scomparsa (3). Di particolare 
                          suggestione e limpidezza espressiva sono tre tavole, 
                          in cui Barberis rappresenta lo sposalizio mistico di 
                          Francesco con l’angelicata figura di Madonna Povertà, 
                          il primo presepe di Greccio e la figura del santo nella 
                          beatitudine del creato, circondato da tredici tondi 
                          che illustrano metaforicamente o letteralmente i nuclei 
                      tematici del Cantico.   | 
                     
                     
                       
                            
                          Fra le numerose pubblicazioni che 
                            videro la luce nel corso del 1926, in occasione del 
                            settimo centenario dalla morte di Francesco, va senza 
                            dubbio segnalata un’altra opera di argomento 
                            francescano, alla quale Barberis diede il suo apporto 
                            come illustratore gradevole ed efficace. 
                            Si tratta della Fiorita francescana 
                            (4): una ricca e variegata antologia poetica curata 
                            dal sacerdote romagnolo Tommaso Nediani (1871-1934), 
                            che dopo aver vissuto con passione l’esperienza 
                            politica sturziana, si era ritirato nella quiete studiosa 
                            del convento francescano di Zara. 
                            Già nel 1921 Nediani aveva pubblicato un’ampia 
                            selezione di prose, assai varie per epoca e stile, 
                            legate dal fatto di essere riferite a Francesco, alla 
                            sua storia o alla sua spiritualità evangelica 
                            (5). 
                             
                            In vista del settimo centenario, lo stesso Nediani 
                            aveva alacremente atteso all’arduo compito di 
                            raccogliere, selezionare e comporre, in una sapiente 
                            articolazione tematica, un vasto ed eterogeneo materiale 
                            letterario in versi, dal Cantico ai poemetti neo-virgiliani 
                            di Giovanni Pascoli, dalle terzine dantesche alle 
                            elegiache cadenze di Vittoria Aganoor e di Giulio 
                            Salvadori, non trascurando peraltro di includere un 
                            piccolo numero di proprie composizioni.  
                            L’assunto dell’opera e la sua più 
                            profonda motivazione erano dichiarati dall’autore 
                            nella prefazione: “Santo Francesco? Sì: 
                            io l’ho veduto e venerato così; nell’alone 
                            della poesia, come nel grande quadro della storia, 
                            nella psicologia medievale delle corti d’amore, 
                            come nella mistica conventuale. Non è Francesco 
                            d’un secolo o d’una casta isolata, è 
                            di tutti i secoli e di tutti gli uomini” (6). 
                            La struttura della silloge, che raccoglie più 
                            di cento composizioni poetiche, viene articolata in 
                            cinque sezioni, introdotte da altrettante incisioni 
                            monocromatiche, quasi tutte recanti la firma di Barberis. 
                            Pubblicata con raffinata semplicità dall’Istituto 
                            Italiano d’Arti Grafiche di Bergamo, l’antologia 
                            francescana è arricchita da fregi decorativi 
                            e da numerose illustrazioni, che fanno da corredo 
                            alle singole composizioni, oltre a scandire le tappe 
                            stesse del percorso di lettura. 
                             
                            La maggior parte del corredo iconografico è 
                            opera del pittore e illustratore veronese Luigi Zago 
                            (1894-1952), che nel corredare il testo di numerose 
                            figure in sanguigna si attiene ad una assoluta limpidezza 
                            e semplicità di segno e di soluzioni compositive. 
                            Con intrecci decorativi e scenette figurate, volutamente 
                            prive di chiaroscuro, Zago offre alle pagine una grazia 
                            “ingenua” e una sottile eleganza déco, 
                            ben diverse dall’impronta neo-impressionista 
                            dei paesaggi ad olio che egli realizzò per 
                            i tre volumi dei Santuari francescani curati da padre 
                            Vittorino Facchinetti (7). 
                            Quanto all’opera di Barberis, le illustrazioni 
                            per l’antologia di Tommaso Nediani sono senza 
                            dubbio il più significativo contributo che 
                            l’artista romano offrì all’iconografia 
                            francescana, a cominciare dalla copertina a fregi 
                            e caratteri in oro, siglata con le iniziali inframezzate 
                            dal peculiare simbolo solare della svastica: con geometrico 
                            senso di bellezza, un volo di uccelli viene stilizzato 
                            in forma di croce, dentro una cornice circolare in 
                            cui è scritto: “Si divisero in quattro 
                            parti secondo la croce che aveva fatto loro Santo 
                            Francesco”. 
                            Barberis si firma per esteso nella tavola a sanguigna 
                            che apre la prima parte dell’antologia, dove 
                            Nediani aveva raccolto le poesie espressamente dedicate 
                            alla vita e alle opere del santo: in essa viene tratteggiata, 
                            con nitida eleganza e delicatezza di tratto, la figura 
                            serena di Francesco, nel mezzo di un prato erboso 
                            e sullo sfondo di un cielo pieno di uccelli svolazzanti 
                            (8). 
                             
                            La seconda parte del florilegio, intitolata “Aureole 
                            d’oro francescane”, viene illustrata da 
                            Barberis con lo scorcio ravvicinato di un tetto, da 
                            cui numerosissimi uccelli stanno per librarsi in volo, 
                            sulla scia del fitto stormo che già solca il 
                            cielo, come metafora dei tanti frati inviati per le 
                            vie del mondo (9). 
                            Mentre Luigi Zago firma la cornice a motivi geometrici 
                            per il frontespizio della terza parte dell’opera, 
                            che raccoglie i versi danteschi, quelli neo-latini 
                            di Sofia Alessio e un poemetto francescano di Agostino 
                            Fattori (10), a Mario Barberis si devono le tavole 
                            per le due restanti sezioni dell’antologia. 
                            La parte dedicata ai “Conventi e paesaggi francescani” 
                            viene introdotta dalla veduta d’angolo della 
                            basilica e del convento di Assisi, cui stavolta egli 
                            appone la sua inconfondibile sigla (11); mentre quella 
                            dedicata a “La poesia e la leggenda 
                            francescana” viene impreziosita da 
                            un’incisioni color seppia, in cui Barberis tratteggia 
                            un aspro sperone rupestre, su cui è adagiato 
                            un piccolo convento, circondato e in parte avvolto 
                            dalla radura (12). 
                            In questa ultima sezione dell’antologia, Tommaso 
                            Nediani inserì anche una composizione poetica 
                            di cui era autrice Lina Barberis, moglie dell’artista 
                            (13). E che vi fosse un diretto e personale legame 
                            di Mario Barberis con Nediani e la sua cerchia di 
                            letterati di ispirazione francescana, viene confermato 
                            dal fatto che tra gli autori presenti nella raccolta 
                            troviamo la scrittrice Edvige Pesce Gorini (14), di 
                            cui proprio Barberis illustrerà due volumi 
                            di racconti per ragazzi (15). 
                            Allo stesso Barberis appartengono le undici tavole 
                            a colori prive di firma, che illustrano il 
                            Cantico delle Creature e scandiscono con 
                            irregolare cadenza l’intero percorso di lettura 
                            del libro. Si comincia con l’invocazione all’Altissimo 
                            da parte di un angelo a mani giunte, reso con morbida 
                            eleganza di panneggi, cui fa seguito la sineddoche 
                            di due mani in primo piano, realisticamente espressive 
                            ne loro tendersi verso un grande sole stilizzato (16). 
                            Nella xilografia dedicata alla luna e alle stelle, 
                            pur nella densità cromatica dell’ampia 
                            campitura di azzurro, l’artista giunge ai limiti 
                            della rarefazione suprematista; analoga e suggestiva 
                            essenzialità presenta la tavola in verde dedicata 
                            all’acqua, rappresentata mentre scroscia giù 
                            da un folto sperone roccioso (17). Assai efficace 
                            visivamente anche la tavola in cui divampa il rosso 
                            vivido di “frate focu”; 
                            più didascalica appare l’incisione a 
                            sanguigna dedicata alla “madre terra” 
                            e all’“herba”, 
                            con la zolla al cui interno è visibile il seme, 
                            che ha dato vita ad un esile stelo, accanto ad altri 
                            sparsi qua e là sul fertile terreno; di un 
                            verde cupo, invece, la tavola col cipresso piegato 
                            da “frate vento”, sullo 
                            sfondo di maestose nubi (18). 
                             
                            Sicuramente dovuta a Barberis l’ideazione della 
                            tavola dedicata al perdono, condensata in un braccio 
                            che si leva tra le spine per reggere tra le dita un 
                            piccolo fiore, mentre, ad illustrare gli ultimi passi 
                            del Cantico, torna per tre volte la più convenzionale 
                            figura dell’angelo: con le mani chiuse a pugno 
                            sugli occhi; con le braccia levate al cielo nella 
                            consolante certezza che “la morte seconda nol 
                            farà male”; e nell’atto di sostenere, 
                            con ieratica compostezza, un libro aperto coi versi 
                            conclusivi del componimento francescano (19). 
                            | 
                     
                   
                   Un’ulteriore impresa artistica nel segno del francescanesimo 
                    sarà compiuta da Mario Barberis due anni più 
                    tardi. Nel corso del 1928, infatti, egli fu chiamato in Basilicata, 
                    ad Avigliano, per affrescare l’interno della chiesa 
                    di San Filippo Neri, eretta da Filippo Andrea Doria Pamphili 
                    per dare degno completamento al suo vasto insediamento produttivo, 
                    nella conca bonificata di un antico bacino lacustre. Accanto 
                    agli impianti per l’allevamento e la produzione casearia, 
                    era già sorta una scuola agraria e un convitto per 
                    orfani di guerra, che all’epoca era gestito dall’Opera 
                    Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia, fondata da Giovanni 
                    Semeria. Probabilmente furono i seguaci del padre barnabita 
                    a indicare in Mario Barberis l’artista più idoneo 
                    per affrescare le pareti della nuova cappella a navata unica. 
                    E su quelle pareti Barberis celebrò il valore etico 
                    e spirituale dell’agricoltura in una serie di figurazioni 
                    allegoriche, corredate da alcuni versi del Cantico francescano 
                    (20). 
                     
                    Nel frattempo l’artista aveva cominciato ad illustrare 
                    libri legati alla politica e alla propaganda del regime fascista. 
                    Dopo aver realizzato, infatti, la copertina e il corredo di 
                    immagini per un discorso di Mussolini (21), Barberis aveva 
                    ottenuto significativi incarichi da parte del Ministero delle 
                    Colonie, di cui soltanto recentemente è stato avviato 
                    il recupero in sede critica e storiografica (22). 
                    Gli anni Trenta videro l’artista romano variamente impegnato 
                    in numerosi e molteplici lavori. Al ’32 risale un’incisione 
                    per la biografia del padre cappuccino Innocenzo da Caltagirone 
                    (1589-1655), redatta da Samuele Cultrera (23), mentre nel 
                    corso dell’anno successivo Barberis accompagnò 
                    con i suoi disegni i poetici itinerari romani tracciati, al 
                    suo esordio, da uno scrittore e critico poliedrico quale Giorgio 
                    Vigolo (24). 
                    Mario Barberis lavorava, intanto, ad una più complessa 
                    e personalissima opera di soggetto religioso, frutto di un’approfondita 
                    meditazione sulla vivificante presenza di Cristo nell’esistenza 
                    umana di ogni tempo. Nacquero così, i quarantacinque 
                    disegni su tavola del Gesù fra noi, 
                    raccolti in cinque “novene”, dove originalmente 
                    si intrecciano icone simboliste e accenti realisti di lontana 
                    ascendenza masaccesca, accompagnate da commenti, riflessioni 
                    e note esplicative dello stesso Barberis (25). 
                    Per opere come queste, così si esprimerà l’amico 
                    e pittore Aristide Capanna: “Nei quadri suoi conserva 
                    la sua libera, talvolta ardita inventiva, […] il suo 
                    anelito di purificazione della materia e di trasfigurazione 
                    della stessa in spirito (26). 
                     
                    Sorvolando su molte imprese pittoriche compiute per ordini 
                    e parrocchie, sia in Italia che all’estero, nel solco 
                    di un descrittivismo spesso alquanto stucchevole e oleografico, 
                    possiamo qui limitarci a segnalare alcune opere grafiche di 
                    soggetto francescano o relative a personaggi e santi appartenenti 
                    agli ordini francescani, a cominciare dalle incisioni per 
                    un opuscolo in cui padre Francesco da Verona ricostruiva la 
                    vita di Raniero da S. Sepolcro (27). 
                    Barberis fu anche illustratore per «Le Missioni 
                    Francescane» (28), la rivista mensile pubblicata 
                    a Roma dai frati minori e diretta da padre Cipriano Silvestri 
                    (1871-1955), che aveva operato per un ventennio in Cina (29). 
                    Fornì poi un disegno in bianco e nero per il volumetto 
                    agiografico che lo stesso Silvestri dedicò al beato 
                    francescano Giovanni da Montecorvino (1247-1328), primo apostolo 
                    della Cina. Rispetto alla copertina e alle altre illustrazioni, 
                    eseguite da una mano meno raffinata, quella di Barberis risulta 
                    stilisticamente diversa e piuttosto “eccentrica” 
                    dal punto di vista narrativo: essa illustra, infatti, con 
                    accenti di sobrio realismo, la morte del beato Giovanni da 
                    Parma (1208-1289), il vecchio francescano che morì 
                    a Camerino, mentre avrebbe desiderato seguire il confratello 
                    nel viaggio apostolico in Estremo Oriente (30). 
                     
                    Negli anni del secondo conflitto mondiale Mario Barberis curò 
                    anche l’illustrazione di un opuscolo in cui il frate 
                    minore conventuale Amedeo Sanvidotto raccontò, con 
                    intenti esplicitamente edificanti, la vita del francescano 
                    Giovanni da Chioggia, che visse la sua intensa esperienza 
                    di fede e di carità tra le mura del convento di S. 
                    Maria Gloriosa dei Frari a Venezia (31). 
                    Stampato nel 1942 a Padova dal Messaggero di S. Antonio, nelle 
                    intenzioni del suo autore il libretto doveva servire a far 
                    conoscere la figura del beato Carissimo, di cui assai scarne 
                    sono invero le notizie, ad un maggior numero di fedeli, con 
                    l’auspicio della sua canonizzazione, dopo sei secoli 
                    di devozione popolare. Non essendoci fatti particolari da 
                    illustrare o una specifica iconografia cui attenersi, Mario 
                    Barberis, stavolta, ebbe modo di articolare il proprio racconto 
                    visivo con notevole libertà rispetto al testo scritto. 
                    Poté così evocare, con finezza di tratto e piacevoli 
                    inquadrature scenografiche, alcuni episodi di vita due-trecentesca 
                    per dare forma agli episodi della vocazione e della vestizione 
                    del saio da parte del giovane chioggiotto (32).  
                    Scorrono così le fresche immagini di un’avventura 
                    di fede nel solco della predicazione e della spiritualità 
                    francescana. Il fatto stesso che la figura del beato Carissimo 
                    fosse così esile dal punto di vista storico e addirittura 
                    evanescente da quello iconografico, permise a Barberis di 
                    scandire la sua storia ispirandosi direttamente a quella di 
                    Francesco, riprendendo esplicitamente alcuni episodi e finanche 
                    le fattezze attribuitegli dalla tradizione figurativa. 
                    Fra le strade di Venezia, sullo sfondo di un ponte e di una 
                    fondamenta animata, Barberis tratteggia, pertanto, la serafica 
                    figura del frate che viene avvicinato con affetto e venerazione 
                    da due bambini, né manca il topos agiografico del mantello 
                    che il francescano dona ad un vecchio mendicante (33). Pregnante 
                    di evangelico conforto è poi la scena in cui Barberis 
                    immagina il beato Carissimo che, come novello Cristo o novello 
                    Francesco, conforta un giovane prodigo e lo invita a fare 
                    fiduciosamente ritorno nella casa del padre (34). Nella scena 
                    in cui si vuole evidenziare la dolcezza esortatrice delle 
                    sue prediche, Barberis ricorre ad una soluzione iconografica 
                    a lui particolarmente cara, delineando con chiarezza didascalica 
                    la figura del santo in mezzo ad una piccola e attenta cerchia 
                    di ascoltatori e di fedeli (35). Altrettanto consueta per 
                    lui la scena del commiato dalla vita terrena, con il frate 
                    sul catafalco e un angelo che lo attrae a sé, mentre 
                    dalla finestra si scorgono le gotiche finestre del convento 
                    (36). 
                    Una tavola viene dedicata all’episodio del disseppellimento 
                    del beato, col prodigioso rinvenimento del corpo inconsunto, 
                    inginocchiato e con la destra in atto benedicente (37). Dopo 
                    la scena della traslazione del suo corpo nella basilica (38), 
                    l’ultima tavola illustra la sua solenne deposizione, 
                    il giorno di Pentecoste del 1347, nel sontuoso monumento funebre 
                    del senatore Scipione Bon (39). 
                     
                    Nel corso del 1942 Mario Barberis eseguì anche la copertina 
                    a due colori per un volume in cui erano raccolti i più 
                    importanti sermoni tenuti dal cappuccino Roberto da Nove (1869-1939) 
                    nella sua quarantennale attività di predicatore (40): 
                    con realismo alquanto convenzionale Barberis ritrae così, 
                    nel seppia a contrasto con una campitura di azzurro robbiano, 
                    la severa effige del frate vicentino nell’atto di parlare 
                    dal pulpito, col braccio levato in una posa che ricorda il 
                    celebre Arringatore del Museo Archeologico di Firenze. 
                     
                    Al ’42 risale anche la copertina del volume intitolato 
                    Seguiamo S. Francesco: una raccolta di conferenze 
                    e di tracce di riflessione per i terziari, curata dal frate 
                    minore Bernardino Barban, per conto del Commissariato Generale 
                    del Terz’Ordine Francescano (41). Il libro si fregia 
                    di una sobria e gradevole copertina, messa a punto da Barberis 
                    per dare immediata concretezza d’immagine a quanto indicato 
                    nel titolo, con Francesco elegantemente ritratto mentre volge 
                    un dolce e obliquo sguardo in basso, dove molte mani tendono 
                    a lui. 
                  
                     
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                        Gherardo Buonamici | 
                       
                         Per i tipi dell’Unione Francescana, infine, in 
                          quello stesso anno furono pubblicati a Firenze due opuscoli 
                          agiografici di taglio esplicitamente edificante, per 
                          i quali Barberis fornì la sua opera di illustratore. 
                          Si tratta delle incisioni per una biografia del beato 
                          Gherardo Bonamici da S. Miniato, redatta dal cappuccino 
                          Giacinto da Pistoia (42), e di due disegni per il fortunato 
                          opuscolo dedicato dal poligrafo cappuccino Samuele Cultrera 
                          alla figura di Pietro Ballone (1857-1932), un contadino 
                          autodidatta che l’autore aveva casualmente conosciuto 
                          nella campagna agrigentina e che aveva ammirato per 
                          la schiettezza della fede e dell’estro poetico 
                        (43). 
                        Oltre al ritratto idealizzato e alquanto compassato 
                          del protagonista, Mario Barberis eseguì, con 
                          quel facile realismo che troppo spesso gli veniva richiesto, 
                          una tavola in bianco e nero per illustrare l’incontro, 
                          avvenuto un pomeriggio domenicale dell’aprile 
                          del 1916, tra padre Cultrera, che quell’anno predicava 
                          la Quaresima a Casteltermini, e Pietro Ballone, che 
                      gli si presentò recitando i suoi versi dialettali.  | 
                     
                   
                  Dalla stessa tipografia dell’Unione Francescana, nel 
                    corso del 1943 uscì un volumetto dedicato alla figura 
                    di don Luigi Guanella, redatto dal padre cappuccino Luigi 
                    da Gatteo e arricchito da una tavola fuori testo, in bianco 
                    e nero, firmata da Barberis. Nell’ormai consueto gusto 
                    di realismo edulcorato, l’artista romano rappresentava 
                    stavolta Don Guanella nella dolce corona dei suoi beneficati: 
                    i devoti sono tutti rigorosamente a mani giunte e con espressioni 
                    serie e mansuete, mentre don Guanella spicca fra tutti per 
                    dimensioni e postura, con la sua inconfondibile sagoma e uno 
                    sguardo obliquamente rivolto al lettore (44). 
                     
                    Nell’immediato dopoguerra, Mario Barberis continuò 
                    a lavorare intensamente per gli ordini francescani, grazie 
                    soprattutto alla stima e all’amicizia che lo legava 
                    a padre Cipriano Silvestri. Oltre a firmare il corredo illustrativo 
                    per un numero speciale della rivista «Le Missioni Francescane», 
                    apparso nel ’46 in occasione della beatificazione dei 
                    cosiddetti “Martiri della Cina”, 
                    Barberis fu incaricato di realizzare tavole e disegni in bianco 
                    e nero per alcuni libretti divulgativi curati dallo stesso 
                    Cipriani. 
                  
                  Sulla scorta della sua lunga esperienza missionaria, l’instancabile 
                    frate decise di raccogliere in cinque agili volumi, intitolati 
                    Un vecchio missionario racconta, un’ottantina 
                    di suoi scritti di carattere storico-culturale, aneddotico 
                    e autobiografico, redatti in tempi diversi ma in forma sempre 
                    scorrevole, allo scopo di suscitare interesse e semmai di 
                    far scoprire a qualche giovane lettore la vocazione missionaria. 
                    Pubblicati con successo fra il 1949 e il 1951, essi si fregiano 
                    di una stessa copertina, che dal primo al quinto volume varia 
                    soltanto per la dominante cromatica del fondo e dei caratteri 
                    (45). Aderendo con la consueta e sollecita fedeltà 
                    al contenuto narrativo e alla finalità precipua del 
                    testo, Barberis tratteggiò con nitido segno la figura 
                    di un vecchio e vigoroso francescano, nell’atto di parlare 
                    ad un piccolo gruppo di fedeli tipologicamente esemplari: 
                    il novizio, il giovane sacerdote, una madre col bimbo in braccio, 
                    un giovane borghese e, infine, un vecchio che cerca di ascoltare, 
                    malgrado la sordità incombente. 
                    Barberis realizzò anche la copertina in nero e azzurro 
                    per il volume che padre Cipriani dedicò alla figura 
                    di Tong Weng Siò, che era diventato cristiano col nome 
                    di Giangabriele ed era entrato nella Congregazione di S. Vincenzo 
                    (46). 
                    In questo caso l’artista attinse alla sua giovanile 
                    e mai sopita fascinazione per figure e scorci esotici e indugiò, 
                    con sapiente senso del colore e della linea, sui numerosi 
                    ideogrammi e sulle ombreggiature stilizzate della scena, per 
                    rappresentare il momento crucialei del processo, che portò 
                    alla condanna a morte del missionario. 
                     
                    All’inizio degli anni Cinquanta Barberis risulta impegnato 
                    a realizzare, oltre alla più consueta produzione di 
                    immagini per opuscoli, santini, calendari e altro materiale 
                    a carattere devozionale (47), oltre venti incisioni per un 
                    volume, in cui padre Vittorio da Ceva riassumeva le gesta 
                    compiute dai cappuccini in quattro secoli di attività 
                    missionaria. L’intento era evidentemente apologetico 
                    e propagandistico: la menzione di figure, vicende e martiri 
                    doveva educare i giovani e suscitare nuove vocazioni missionarie, 
                    tali da far rivivere “i tempi gloriosi del Settecento” 
                    (48). 
                    Nella copertina Barberis tratteggia a carboncino l’eloquente 
                    immagine di Francesco che, affiancato da un confratello inginocchiato, 
                    sul limitare di un promontorio leva fiducioso le braccia al 
                    cielo, mentre i velieri con la croce solcano il mare, verso 
                    un orizzonte rischiarato da un grande sole. 
                    Iconograficamente inconsueta l’effige della Vergine 
                    Divina Pastora, patrona della missioni cappuccine, per la 
                    cui ideazione Barberis attinge a moduli e stilemi di chiara 
                    impronta raffaellesca (49). 
                    Il corredo di illustrazioni a carattere propriamente storico-celebrativo 
                    si apre con la scena della tortura patita a Costantinopoli 
                    dal futuro santo Giuseppe da Leonessa (1556-1612): il frate 
                    cappuccino, parzialmente inchiodato alla croce accanto ad 
                    un falò, impugna il crocifisso e sembra librarsi verso 
                    il cielo, mentre un arabo ride alla vista del supplizio e 
                    un minareto si profila minaccioso sullo sfondo (50).  
                    Più consueta, per iconografia e inquadratura, la scena 
                    in cui Il Papa Clemente VIII manda i Cappuccini in Boemia 
                    (1599), mentre in quella dedicata all’uccisione di padre 
                    Bartolomeo da S. Miguel, nel 1737 in Venezuela, torna l’impostazione 
                    eurocentrica e la sottesa mentalità colonialista, con 
                    cui viene presentato il contrasto tra la ferocia di un arciere 
                    indio e l’umana grandezza del missionario europeo, che 
                    nel volto serafico richiama la tradizionale iconografia francescana 
                    (51).  
                  
                     
                        
                            
                          Agatangelo da Vendome e Cassiano da Nantes
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                      Nella tavola dedicata ai francesi Agatangelo 
                          da Vendome e Cassiano da Nantes, uccisi in Etiopia nel 
                          1638, l’artista mostra la monumentale figura dei 
                          due beati nell’atto di offrire ai carnefici “fuori 
                          campo” i loro stessi cordigli, come strumento 
                          di supplizio mortale, mentre alle spalle, sullo sfondo 
                          di un’oasi e di un edificio di impronta inequivocabilmente 
                          islamica, avanza un soldato indigeno dal ghigno crudele 
                          (52). 
                          E due feroci drusi, armati di scimitarra, vengono fissati 
                          con aspro realismo da Barberis nella scena dedicata 
                          al martirio di padre Andrea da Loreto e dei suoi confratelli, 
                          uccisi nel maggio del 1845 in Libano (53). 
                          L’umanità dei “selvaggi” diventa 
                          oggetto di attenzione soltanto nel ritratto del cappuccino 
                          Michele da Carbonara (1836-1910), affiancato da due 
                          ragazzi africani, secondo lo stereotipo iconografico 
                          del missionario che si pone come protettore paterno 
                          degli indigeni cristianizzati (54). 
                          Ancor più apertamente didascalica, del resto, 
                          risulta la tavola in cui Barberis illustra l’opera 
                          di evangelizzazione e di alfabetizzazione svolta dai 
                          cappuccini in Congo (55).
                         
                       | 
                     
                    
                      Sono ben diciassette, poi, i ritratti che corredano 
                          il volume (56). Alcuni sono alquanto convenzionali e 
                          compassati, avendo Barberis la necessità di corrispondere 
                          a quanto richiestogli e di garantire una fedele trasposizione 
                          grafica di volti e posture, precedentemente fissate 
                          dall’obiettivo fotografico o consolidate dalla 
                          tradizione agiografica. I casi più evidenti - 
                          e opposti - sono relativi alla stucchevole espressività 
                          da immaginetta devozionale riservata a S. Fedele da 
                          Sigmaringa (57), difensore del cattolicesimo tridentino 
                          nella Svizzera del primo Seicento, e a quella del cardinale 
                          Massaia (1809-1889), per il cui ritratto Barberis si 
                          attenne scrupolosamente ad una delle più note 
                          fotografie dell’anziano missionario (58). 
                          Discreto realismo espressivo presenta il ritratto di 
                          monsignor Anastasio Hartmann (1803-1866), infaticabile 
                          apostolo in India (59); di vigore e naturalismo neo-quattrocentesco 
                          ci appare il busto a tre quarti di S. Lorenzo da Brindisi 
                          (1559-1619), che con la sua missione a Praga nel 1599 
                          diede avvio ad una lunga vicenda di scontro con i Riformati 
                          in terra boema (60). Più convenzionale, ma limpidamente 
                          tratteggiato, appare il “piano americano” 
                          riservato al teologo ed erudito Valeriano Magni (1586-1661) 
                          , mentre nell’effigie del cappuccino Giuseppe 
                          da Carabantes (1628-1694) (61) la consueta cifra realista 
                          di Barberis lascia il posto all’ingenuità 
                          pre-moderna di una bocca da cui sgorgano stelle e fasci 
                          di luce astrale, secondo quanto dicevano dell’amato 
                        missionario le comunità indie del Venezuela (62). 
                        Un carattere iconograficamente “eccentrico” 
                          presenta, invece, la tavola che illustra un Soccorso 
                          al passo del San Gottardo da parte di due frati chini 
                          su un viandante smarrito, mentre il loro cane se ne 
                          sta bonariamente accucciato in primo piano (63): costruita 
                          con una doppia piramide di figure umane e gruppi rocciosi, 
                          con questa scena, pregna di ethos espressivo, Barberis 
                          traduceva in immagine una particolare “missione” 
                          svolta dai cappuccini, nel corso del Settecento, in 
                          un importante ospizio alpino. 
                          Restano da menzionare i quattro finalini xilografici, 
                          privi di firma ma sicuramente ascrivibili allo stesso 
                          Barberis: nel primo, alquanto “sporco” nella 
                          resa, si delinea la figura di un nativo d’America, 
                          intento a scrutare il paesaggio a bordo della sua piroga 
                          (64); il secondo e il terzo ci offrono, con tratto veloce 
                          e sicuro, la sagoma di una capanna africana sormontata 
                          da una croce e quella di una chiesetta missionaria accanto 
                          ad un palmizio (65); nell’ultimo, con cui l’artista 
                          si congeda dal lettore, l’elegante scorcio di 
                          un’oasi con dromedari conferma le doti di Barberis 
                          come fascinoso seppur attardato evocatore di orientalismi 
                      e di suggestioni coloniali (66).   | 
                     
                   
                   Nel ’52 la perdita della moglie gettò l’artista 
                    in una profonda crisi spirituale ed esistenziale, che ebbe 
                    contraccolpi diretti e fatali sul suo stato di salute. Conservò 
                    intatto l’interesse per la creazione artistica, ma certo 
                    non furono frequenti le occasioni per riprendere una ricerca 
                    espressiva autenticamente personale, nel campo della pittura 
                    di soggetto religioso. Nel corso del 1954 portò a compimento 
                    dodici tavole di sentita devozione mariana per La 
                    Donna vestita di sole (67)e realizzò a carboncino 
                    su cartone una serie dedicata alle stazioni della Passione 
                    spirituale di N. S. Gesù Cristo, frutto di una meditazione 
                    sul tema della sofferenza. 
                     
                    Non mancarono, tuttavia, i preponderanti e consueti incarichi 
                    per libri e opuscoli di carattere convenzionalmente devozionale. 
                    Fra le sue ultime imprese, possiamo ricordare il corredo per 
                    un racconto della vita di padre Gioacchino La Lomia, per lungo 
                    tempo missionario cappuccino in America del Sud, redatto dal 
                    cappuccino Antonio Da Stigliano allo scopo di consolidare 
                    la fama di santità del confratello, a cinquant’anni 
                    dalla sua scomparsa. 
                    Con fedeltà al testo, Barberis approntò ventiquattro 
                    illustrazioni in bianco e nero, tutte firmate, che accompagnano 
                    la lettura edificante come le tavole di un cantastorie o una 
                    serie di ex-voto popolari (68). La narrazione per immagini 
                    comincia con le leziose scenette di un’infanzia generosa 
                    e devota, in cui Gaetanino erige altarini in casa o distribuisce 
                    ai poveri una pentola di brodo tolta ad un vicino distratto 
                    (69); segue le vicende di un appassionato apostolato in Brasile, 
                    dove spicca la masaccesca suggestione della tavola con Padre 
                    Gioacchino che battezza i selvaggi o si scorge il recupero 
                    di topos della pittura ottocentesca di soggetto paleocristiano, 
                    nella scena del missionario alle prese con un giaguaro (70) 
                     
                    Nelle tavole dedicate alla vita e ai miracoli compiuti dal 
                    frate dopo il suo ritorno nella terra natale, Barberis indulge 
                    a una facile e fumettistica narrazione di pesche prodigiose, 
                    paralitici guariti in strada, moribondi salvati nel lindore 
                    di corsie ospedaliere, col realismo didascalico della pubblicistica 
                    cattolica in quegli anni di dura contrapposizione ideologica 
                    (71). Né l’artista si tirò indietro quando 
                    si trattò di rappresentare l’episodio in cui 
                    il vecchio frate, secondo la voce popolare, si sarebbe librato 
                    in volo verso il convento, a braccetto di due contadini che 
                    lo accompagnavano, o nel caso della sua presunta apparizione 
                    ad una giovane donna, nel momento in cui si svolgevano le 
                    sue stesse esequie (72).  
                    Nella copertina a colori, invece, Barberis ci offre la compassata 
                    immagine di padre Gioacchino, colto nella rigida e alquanto 
                    goffa postura con cui egli stesso si era generosamente offerto 
                    all’obiettivo di un fotografo, perché questi 
                    e la sua famiglia potessero risollevarsi dalla miseria (73). 
                  
                    
                       
                         
                            
                          Gaetanino erige altarini in casa
                          (Immagine tratta dal testo "Nobiltà eroica" 
                            di Padre Antonio da Stigliano, dedicata a Padre Gioacchino 
                            La Lomia, pubblicato sul sito 
                             
                            http://www.canicatti-centrodoc.it 
                             
                             - Centro di Documentazione della Città 
                            di Canicattì 
                          
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                    Combattendo contro la malattia e il dolore, Mario Barberis 
                    ebbe ancora occasione di confrontarsi saltuariamente con il 
                    prediletto tema francescano nel compendio storico sui tre 
                    ordini, scritto dal cappuccino Daniele Dallai, o nel profilo 
                    dedicato dal frate conventuale Samuele Cultrera al santo di 
                    Assisi (74). 
                    Alla sua morte, avvenuta a Roma il 24 gennaio del 1960, gli 
                    fu tempestivamente tributato l’omaggio di una mostra 
                    ricca di opere inedite, selezionate dalla figlia nel vasto 
                    e multiforme patrimonio rimasto in famiglia. Tra le recensioni 
                    favorevoli che riguardarono la sua opera, basti qui citare, 
                    nella «Strenna dei Romanisti», 
                    l’elogio dell’amico e collega Aristide Capanna: 
                    “Ha combattuto per un’arte sacra comprensibile, 
                    decorosa, composta, dignitosa, nonché personale, anche 
                    se non geniale” (75).  
                    Più esplicito rammarico fu espresso dall’autorevole 
                    rivista «Arte Cristiana», diretta 
                    da Valerio Vigorelli, che al profilo biografico e critico 
                    tracciato dal domenicano Antonino Silli premetteva queste 
                    considerazioni: 
                  Di Mario Barberis è troppo nota la vastissima produzione 
                    illustrativa con cui il pittore, pur ricco di buone capacità, 
                    si è offuscata la fama artistica per cedere ad una 
                    trita e superficiale religiosità, quale, abbiamo ragione 
                    per pensarlo, gli fu imposta da autori ed editori poco illuminati. 
                    Ci pareva doveroso in qualche modo riabilitare la sua figura 
                    facendo conoscere la sua produzione più seria e più 
                    personale. […] Vogliamo però dire con schiettezza 
                    che miglior ventura sarebbe stata per l’arte sacra s’egli 
                    avesse potuto mantenersi più fedele a se stesso quale 
                    si mostra nella prima delle sue opere che presentiamo, innegabilmente 
                    la migliore (76).  
                  L’opera alla quale si faceva riferimento era proprio 
                    Il convito di luce, la suggestiva visione 
                    francescana con cui Barberis aveva iniziato la sua avventura 
                    nell’ambito dell’arte sacra, a confronto soprattutto 
                    con il santo di Assisi e con le richieste degli ordini che 
                    a lui si richiamano. 
                  ****** 
                    
                  NOTE
                   1- L’opera, appartenente all’epoca alla collezione 
                    Palanga, è riprodotta in A. SILLI, Un artista cristiano. 
                    Mario Barberis, in «Arte Cristiana», XLVIII, 11, 
                    novembre 1960, p. 260. 
                    2 - G. SALVADORI, Ricordi di S. Francesco d’Assisi, 
                    Firenze, Barbera, 1926. 
                    3 - M. BARBERIS, Giulio Salvadori terziario francescano. Conferenza, 
                    Roma, Tip. La Precisa, 1929. 
                    4 - T. NEDIANI, La fiorita francescana. Saggio d’una 
                    antologia della poesia francescana, Bergamo, Istituto Italiano 
                    di Arti Grafiche, 1926. 
                    5 - ID., La fiorita francescana. Antologia della prosa e Poesia 
                    francescana antica e moderna, Milano, Vita e Pensiero, 1921. 
                    6 - ID., cit. in nota 4, p. 7. 
                    7 - V. FACCHINETTI, I Santuari francescani. I. La Verna nel 
                    Casentino, Milano, Circolo di Coltura Francescana, 1925; Id., 
                    I Santuari francescani. II. Assisi nell’Umbria, Milano, 
                    Circolo di Coltura Francescana, 1926; Id., I Santuari francescani. 
                    III. Nella valle reatina, Milano, Circolo di Coltura Francescana, 
                    1927.  
                    8 - T. NEDIANI, cit. in nota 4, p. 19. 
                    9 - Ivi, p. 121. 
                    10 - Ivi, p. 183. 
                    11Ivi, p. 219. 
                    12 - Ivi, p. 289. 
                    13 - L. BARBERIS, In nome di santo Francesco, ivi, pp. 348-349. 
                    14 - E. PESCE GORINI, S. Francesco, ivi, pp. 355-356. 
                    15 - ID., Il tesoro nella Rocca, Milano, Opera Nazionale Mezzogiorno 
                    d’Italia, 1938; Id., La valle delle meraviglie. Racconti 
                    per ragazzi, Milano, Opera Nazionale Mezzogiorno d’Italia, 
                    1940. 
                    16 - T. NEDIANI, cit. in nota 4, pp. 17, 61.  
                    17 - Ivi, pp. 76, 119. 
                    18 - Ivi, pp. 144, 165, 133. 
                    19 - Ivi, pp. 185, 261, 303. 
                    20 - Negli anni successivi, a seguito della chiusura del convitto 
                    e della scuola di agraria, la chiesa fu dismessa e utilizzata 
                    come magazzino, per essere poi riaperta al culto nel 1954. 
                    Un maldestro restauro degli affreschi recò danni irreparabili, 
                    mentre sono ancora in buono stato le tele con S. Giovanni 
                    Battista e S. Pietro, realizzate dallo stesso Barberis. 
                    21 - B. MUSSOLINI, Ai combattenti d’Italia, a cura di 
                    M. Ponzio di S. Sebastiano, Roma 1923. 
                    22 - A. NAVE, Visioni d’oltremare. Due illustratori 
                    per la “Rivista delle Colonie”, in «Charta. 
                    Antiquariato, collezionismo, mercato», XIV, 75, marzo-aprile 
                    2005, pp. 74-77. 
                    23S. CULTRERA, Cenni di vita del servo di Dio P. Innocenzo 
                    da Caltagirone Generale dei Minori Cappuccini, Torino, Berruti, 
                    1932. 
                    24 - G. VIGOLO, La città dell’anima, Roma, Studio 
                    Editoriale Romano, 1933. 
                    25 - Gesù fra noi. Figurazioni religiose di Mario Barberis, 
                    con cenni illustrativi dell’autore, Viterbo, Casa Editrice 
                    Cultura Religiosa Popolare, 1932. Purtroppo l’esemplare 
                    da noi consultato presso la Biblioteca Nazionale Centrale 
                    è parzialmente deteriorato e privo della copertina 
                    con il Misereor super turbam. 
                    26 - A. CAPANNA, Mario Barberis, in «Strenna dei Romanisti», 
                    XXI, 1961, pp. 177-179. 
                    27 - P. FRANCESCO DA VICENZA, Fra Raniero da S. Sepolcro laico 
                    cappuccino (1511-1589), Torino, Berruti, 1938.  
                    28 - Cfr. www.cartantica.it/pages/Barberis.asp#. 
                    29 - D. NERI, Una grande figura di missionario. P. Cipriano 
                    Silvestri OFM. Appunti biografici, Pistoia 1959. 
                    30 - C. SILVESTRI, Il primo apostolo della Cina, Roma, Scuola 
                    Tipografica Don Luigi Guanella, 1941. Le altre illustrazioni 
                    nel testo sono di un imprecisato artista che si firma con 
                    le iniziali A.B. 
                    31 - A. SANVIDOTTO, Cenni sulla vita del B. Carissimo da Chioggia 
                    francescano, Padova, Il Messaggero di S. Antonio, 1942. 
                    32 - Ivi, p. 13. 
                    33 - Ivi, p. 34. 
                    34 - Ivi, p. 45. 
                    35 - Ivi, p. 31. 
                    36 - Ivi, p. 49. 
                    37 - Ivi, p. 52. 
                    38 - Ivi, p. 57. 
                    39 - Ivi, p. 61. 
                    40 - ROBERTO DA NOVE, Panegirici e discorsi, Venezia, Provincia 
                    Veneta dei FF. MM. Cappuccini, 1942. L’opera viene introdotta 
                    da una biografia a cura di padre Clemente da S. Maria. 
                    41 - B. BARBAN, Seguiamo S. Francesco. I. Schemi e conferenze 
                    per terziari, Roma, Commissariato Generale del Terz’Ordine 
                    Francescano dei Frati Minori, 1942. Mario Barberis disegnò 
                    anche la copertina per il secondo volume dell’opera 
                    di padre Bernardino Barban, che purtroppo non abbiamo trovato 
                    nel catalogo della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze 
                    (ID., Sotto le insegne del Poverello. II. Schemi e conferenze 
                    per terziari, Roma, Commissariato Generale del Terz’Ordine 
                    Francescano dei Frati Minori, 1945).  
                    42 . GIACINTO DA PISTOIA, Il B. Gherardo Bonamici da San Miniato, 
                    Firenze, Unione Francescana, 1942. 
                    43 - S. CULTRERA, Un contadino santo. Pietro Ballone, Firenze, 
                    Unione Francescana, 1942. 
                    44 - LUIGI DA GATTEO, Il Servo della Carità don Luigi 
                    Guanella, Firenze, Unione Francescana, 1943, tav. f.t., tra 
                    pp. 32-33.  
                    45 - C. SILVESTRI, Un vecchio missionario racconta… 
                    Cina, vol. 1, Roma, Scuola Tip. Don Luigi Guanella, [1949]; 
                    vol. 2, Roma, Scuola Tip. Don Luigi Guanella, [1949]; vol. 
                    3, Roma, Tip. Esquilino, [1950]; vol. 4, Roma, Tip. La Precisa, 
                    [1950]; vol. 5, Roma, Tip. La Precisa, [1951]. La distribuzione 
                    e la vendita dei volumetti era curata dal Centro nazionale 
                    di Propaganda Missionaria Francescana, ubicato al n. 124 di 
                    via Merulana a Roma.  
                    46 - ID., Un vecchio missionario scrive…Tong Weng Siò. 
                    Racconto storico della Chiesa Cinese alla metà del 
                    secolo scorso, Roma, Tip. La Precisa, [1952]. Le venti illustrazioni 
                    nel testo, non firmate, per ragioni stilistiche non ci sembra 
                    possano essere attribuite a Mario Barberis. 
                    47 - Ampia documentazione iconografica è reperibile 
                    in www.cartantica.it/pages/Barberis.asp#, compreso il frontespizio 
                    di un calendarietto Pro Missioni Apostoliche Francescane per 
                    l’anno 1952. 
                    48 - VITTORIO DA CEVA, Messaggieri del Vangelo… Sguardo 
                    storico alle Missioni estere dei FF.MM. Cappuccini, Roma, 
                    Segretariato delle Missioni, [1952], p. 11 
                    49 - Ivi, p. 12.  
                    50 - Ivi, p. 17. 
                    51 - Ivi, pp. 21, 45. 
                    52 - Ivi, p. 49. 
                    53 - Ivi, p. 71. 
                    54 - Ivi, p. 97. 
                    55 - Ivi, p. 53. 
                    56 - Noteremo per inciso che l’unica tavola che, oltre 
                    a recare la consueta firma per esteso, indica anche luogo 
                    e anno di realizzazione è il ritratto del cardinale 
                    Ignazio Persico (1823-1895), eseguito da Mario Barberis nel 
                    1952 a Roma (ivi, p. 83). 
                    57 - Ivi, p. 33. 
                    58 - Ivi, p. 79. 
                    59 - Ivi, p. 75. 
                    60 - Ivi, p. 25. 
                    61 - Ivi, p. 29. Analoga inquadratura viene scelta anche per 
                    il ritratto di padre Martino da Cochem (ivi, p. 37).  
                    62 - Ivi, p. 41. 
                    63 - Ivi, p. 61. 
                    64 - Ivi, pp. 63, 89. 
                    65 - Ivi, pp. 86, 110. 
                    66 - Ivi, p. 128. 
                    67 - M. BARBERIS, La Donna vestita di sole, Perugia, Edizioni 
                    Frate Indovino, 1954. 
                    68 - ANTONIO DA STIGLIANO, Nobiltà eroica. Note biografiche 
                    di p Gioacchino La Lomia da Canicattì, Missionario 
                    Apostolico cappuccino, Canicattì, Convento dei Padri 
                    Cappuccini, 1955. L’opera verrà ristampata nel 
                    1978 e nel 2004. 
                    69 - Ivi, pp. 19,23. 
                    70 - Ivi, pp. 61,69. 
                    71 - Ivi, pp. 86, 92, 104 
                    72 - Ivi, p. 141. 
                    La scena è illustrata a p. 125. Nella ristampa del 
                    2004 la copertina di Mario Barberis è stata espunta. 
                     
                    73 - D. DALLARI, Breve storia del francescanesimo. Sviluppo 
                    dei Tre Ordini, Torino, Berruti, 1957; S. 74 - CULTRERA, San 
                    Francesco d’Assisi Patrono d’Italia, Roma, Il 
                    Massaia, s.d. 
                    75 - A. CAPANNA , Mario Barberis, in «Strenna dei Romanisti», 
                    XXI, 1961, pp. 177-179. 
                    76 - A. SILLI, Un artista cristiano. Mario Barberis, in «Arte 
                    Cristiana», XLVIII, 11, novembre 1960, pp. 259-262 
                   
                   
                   
                   
                  Foto fornite da Cartantica
                   
                   
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