Rubriche di
Patrizia Fontana Roca

COLLABORAZIONI

In questo Settore vengono riportate notizie e immagini fornite da altri redattori.
Nello specifico, il presente articolo è stato realizzato dal Prof. Renzo Barbattini dell'Università di Udine, che ha fornito anche le immagini.

Tutti gli articoli degli altri Settori sono state realizzati da Patrizia di Cartantica che declina ogni responsabilità su quanto fornito dai collaboratori.

"N.B.: L'Autore prescrive che qualora vi fosse un'utilizzazione per lavori a stampa o per lavori/studi diffusi via Internet, da parte di terzi (sia di parte dei testi sia di qualche immagine) essa potrà avvenire solo previa richiesta trasmessa a Cartantica e citando esplicitamente per esteso il lavoro originale (Autore, Titolo, Periodico) ."



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L’APE NELL’ARTE CONTEMPORANEA - UN LUNGO VIAGGIO CHE CI PORTERÀ ALLA SCOPERTA DI ARTISTI CHE SI ISPIRANO ALL’APE

 

 



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LA NOSTRA QUOTIDIANITÀ STIMOLA LA CREATIVITÀ

 

Renzo Barbattini Dipartimento di Scienze AgroAlimentari, Ambientali e Animali - Università di Udine

Giuseppe Bergamini Museo Diocesano e Gallerie del Tiepolo - Udine

 

 

 

L’ espressione “arte contemporanea” tende a includere tutta l’arte creata dagli anni cinquanta del XX secolo fino ai giorni nostri.
L’uso dell’aggettivo generico “contemporanea” per definire l’arte dei nostri giorni è dovuto anche in parte alla mancanza di una scuola artistica dominante o distinta riconosciuta da artisti, storici dell’arte e critici.
L’arte contemporanea si manifesta in varie modalità tutte interdipendenti: videoarte, pittura, fotografia, scultura, arte digitale, disegno, musica, performance, installazioni.

Poiché nel nostro “viaggio” (“L’ape nell’arte”), alla ricerca di opere d’arte (pitture e sculture soprattutto) nelle quali vi fossero chiari riferimenti all’ape, abbiamo rinvenuto numerosi artisti (più o meno famosi) riteniamo opportuno uscire in più puntate. Similmente a quanto fatto in passato, gli autori saranno citati in ordine alfabetico.

 

MARTINO BARBIERI CALORI

 

Barbieri Calori Martino, nato nel 1948 a Bentivoglio (Bologna) e deceduto il 3/7/2009, nel 2003 ha esposto Vetro, miele e materiali vari (Fig. 1) presso il teatro Guiglia di Modena. Quest’opera, tipicamente d’avanguardia, faceva parte della mostra collettiva IL SIGILLO - Io e l’Io.

L’arte contemporanea in più casi sostituisce all’immagine un oggetto che, con la sua concretezza e solidità, è una sorta di correlativo oggettivo del segno.
Così fa anche Martino Barbieri Calori che rimarca la preziosità unica del miele, semplicemente esponendone un certo quantitativo in due semplici contenitori di vetro, esprimendo anche il valore della trasparenza e mettendo in risalto il colore particolare, dorato, di questa sostanza.


Ci piace riportare quanto scrive Morena Poltronieri, compagna di Martino: “Tante le leggende e le storie che raccontano del miele e della sua origine mitica.
Dall’antico Egitto, ove l’ape nasceva dalle lacrime di Ra ed era un altro volto dell’anima, alla cultura greco-romana, ove il miele rappresentava la fertilità e la ricchezza della natura, fino a giungere ad oggi, all’arte contemporanea che, attraverso l’artista Martino Barbieri raccoglie questo importante testimone del passato.

Ne riempie due recipienti di vetro, “Io e l’io”, il femminile ed il maschile, separati, ma uniti da un unico racconto.
Così da rappresentare la dolcezza di cui abbiamo bisogno, l’amore che vorremmo fermare e fissare all’interno di un involucro di vetro, per rinchiuderlo, solo per noi.
Ma dentro, nel profondo, è nascosto un sasso, che rappresenta un male oscuro da debellare, in altre parole la paura del vero Io.
Occorre sgretolare questa pietra, affinché il miele, anziché “legare” ci colleghi ancora una volta alla radice del vero amore”.

 

 


FIG. 1 - VETRO, MIELE E MATERIALI VARI- MARTINO BARBIERI CALORI
(2003) (proprietà dell’artista).

ALESSANDRO BATTISTIN

 

Alessandro Battistin, nato a Venezia il 27/5/1945, è uno scultore che vive e opera a Vittorio Veneto (Treviso).

Della sua produzione vogliamo ricordare Porzione di favo in argento del 1989 (Fig. 2).

L’artista eseguendo quest’opera non tralascia l’input naturale che costituisce tutta l’esecuzione elaborata della composizione.
L’elemento naturale è costituito dal favo riprodotto e solarizzato in un contesto monocromo.
L’aver spinto ad occuparsi di questa opera è senz’altro la base formativa di scultore che l’artista ha in sé; in effetti questa composizione assomiglia ad una scultura bidimensionale volutamente resa di un unico colore: l’argento, per dare al favo, d’antichissima origine, un aspetto quasi avveniristico e sovrannatural
La preziosità dell’opera, quindi, è la cifra stilistica dominante...

 

 

 

 

FIG 2 -ALESSANDRO BATTISTIN- PORZIONE DI FAVO IN ARGENTO

(1989) (proprietà dell’artista)


 


CRISTINA BAZZOLI

 

Questa pittrice, rappresentante del surrealismo italiano, è nata a Poggio Rusco (MN) il 18/3/1957 e ha cominciato a dipingere sin da bambina.

La sua formazione artistica è avvenuta nella Bassa Mantovana. Nel 2000 si è trasferita a Firenze, precisamente nel quartiere di Santo Spirito, dove ha cominciato ad appassionarsi al lavoro degli artigiani che vi tengono bottega.
È ospitata sulla piattaforma EcoArt Project (www.ecoartproject.org) con il suo dipinto del 2009 Atlante (Fig. 3) tempera all’uovo e cera su carta fissata a legno. L’autrice stessa così commenta: “Il possente Atlante si è trasformato in un debole nidiaceo, sopraffatto dal peso di uno sviluppo sempre meno sostenibile.
Per aiutarlo a sostenere il peso del mondo, servono scelte politiche forti da parte delle grandi potenze, ma servono anche piccoli quotidiani comportamenti virtuosi da parte di ogni cittadino, che, come un’ape operosa, deve dare il suo contributo

Diamo il nostro piccolo aiuto ad Atlante!”.

 

L’opera di Cristina Bazzoli vuole proporre una curiosa interpretazione del mito classico di Atlante attraverso un’ottica artistica vicina al movimento artistico del Surrealismo.

Sono affrontate questioni concernenti la stretta attualità e il dibattito quotidiano, in particolare le problematiche sullo sviluppo sostenibile e sulle questioni ambientali, la cui mancanza di soluzione è resa emblematica dalla raffigurazione del titano Atlante: se nella narrazione antica esso era considerato il simbolo stesso dell’eroico, della tenacità e della forza che è in grado di sostenere il cosmo intero, qui viene presentato privo della classica virilità ed, anzi, è incapace di sostenere un peso così grande come quello che comporta l’affrontare le tematiche sopra citate.

L’autrice esprime questo complesso riferimento con il linguaggio visivo surrealista: un mito classico, visto come una allegoria di problemi contemporanei, è rivisitato in chiave di amara ironia, in cui la figura del titano è assente, le figure presentate risentono molto della stilizzazione del mondo dei fumetti o dei “cartoons”.

 

 

FIG. 3 - ATLANTE - CRISTINA BAZZOLI - ATLANTE
(2009) (proprietà dell’artista)

 

ERIC BERG

 

Le sculture animali bronzee di Eric Berg possono essere viste in università, in musei, in giardini zoologici, in parchi e in gallerie degli Stati Uniti d’America.

Il Bombo (bumblebee) (Fig. 4), invece, si può ammirare presso lo studio dell’artista, sito a Filadelfia.

 

Notizie biografiche (l’artista è nato nel 1945 a Filadelfia) e sulla sua attività artistica si possono reperire in www. bergbronze.com.

Navigando nel sito si apprezza come lo scultore sia affascinato dalle specie animali che abitano il nostro pianeta e rivela lo straordinario amore per la natura rappresentato dalla riproduzione esatta degli animali.
Sicuramente egli è portato a riprodurre perfettamente gli animali, così come sono, senza alterarne le proporzioni ma, nonostante la fredda materia scultorea, dona a ciascun animale il suo aspetto e la sua espressione naturalmente viva.

Egli realizza, sempre con intelletto razionale, varianti astratte (che tanto astratte non sono) ma anche forme spesso simmetriche, arrotondate: ed è questo che probabilmente guida l’artista quando realizza un’opera scultorea.

Il suo lavoro è certamente guidato dalla sua intelligenza rispettosa per le regole e i canoni naturali che governano il mondo. In particolare, tra i tanti imponenti animali che egli ha eseguito, spesso si tratta di primati, si nota l’opera che rappresenta un bombo: figura abbastanza fuori dal contesto globale ma, non per questo meno carica di quella“vitalità” che l’artista dona alle proprie opere.

 

 

FIG. 4 - IL BOMBO (BUMBLEBEE) - ERIC BERG
(1986) (proprietà dell’artista)


 


LISA BERTÉ

 

Un ruolo molto importante nell’educazione ambientale, lo gioca l’illustrazione naturalistica.
Per sottolineare quest’aspetto, riportiamo una tavola eseguita dalla dottoressa Lisa Berté (www.lisaberte.com), pittrice piacentina e realizzatrice di illustrazioni sulla fauna.
Questi disegni sono stati utilizzati da Enti e Associazioni naturalistiche. La tavola riportata è del 2001 e s’intitola La casa delle api (Fig. 5)

Com’è noto, non vi sono confini netti tra illustrazione scientifica e rappresentazione artistica di soggetti dell’universo biologico, fonte inesauribile di forme e colori. Molti artisti si sono cimentati e si cimentano con la rappresentazione a scopo didattico-didascalico di piante e animali e, d’altra parte, non pochi zoologi e botanici sono stati sovente in passato o sono talora ancor oggi illustratori dei loro stessi lavori di ricerca.

Le illustrazioni prodotte da entrambe le categorie spesso ci parlano anche della passione per la natura e dell’amore per i soggetti raffigurati.

La tavola in esame, accanto all’intento didascalico, lascia trasparire la partecipazione dell’esecutrice che ha “trascritto” efficacemente brani significativi della biologia dell’ape con delicata sensibilità che si riflette nelle gradevoli e chiare tonalità cromatiche pastello utilizzate. In particolare la tavola illustra l’attività di ovideposizione (1) da parte dell’ape regina nonché lo stoccaggio, nelle cellette, di polline e di miele da parte delle api operaie “di casa”.


 

FIG. 5 - LISA BERTE' - LA CASA DELLE API
(2001) (proprietà dell’Ente Parco Nazionale Val Grande, VB)

 

GIUSEPPE BILLONI

 

Nato a Roma nel 1953, dal 1971 ha elaborato un particolare linguaggio simbolico che ha poi sviluppato in senso metafisico e cosmologico. Per approfondimenti rimandiamo al suo sito web www.billoni.it

 

Di questo pittore “criptico” (come ama definirsi) ricordiamo: • Nuvola alata (Fig. 6) del 1997, tavola in cui egli si è ispirato alla struttura geometrica dell’alveare che ricalca in qualche modo un archetipo di tipo platonico, cioè legato all’architettura e alla geometria che sovrintende il cosmo. • Quintessenza (Fig. 7) del 1991 tavola in cui egli si è ispirato al
miele in quanto nettare e. come simbolo della “bevanda d’immortalità” a cui si potrebbe collegare, per esempio, il “soma” della tradizione vedantica indù. • Bagatto (Fig. 8) del 2000. Questo dipinto fa parte della serie “Tarocchi” e in esso si notano il pavimento geometrico (a mo’ di favo) e un po’ di miele versato (in basso a sx; fig. 8 bis); in esso si apprezza la riproposta artisticamente valida ed esteticamente gradevole, di un gusto rinascimentale che Giuseppe Billoni ha saputo ricreare senza alcuna rinuncia al proprio stile e alla propria espressività artistica. R

FIG 6 - NUVOLA ALATA - GIUSEPPE BILLONI -
(1997) (proprietà dell’artista).

 

 

 

FIG. 7 - GIUSEPPE BILLONI - QUINTESSENZA

(1991) (proprietà dell’artista)


 

FIG. 8 - GIUSEPPE BILLONI - BAGATTO
(2000) (carte pubblicate - Originale di proprietà dell’artista).

 

 

 

 

 

NOTE

 

1 - Pur tenendo presente sia l’estrema variabilità esistente fra regina e regina e fra razza e razza sia il differente comportamento dello stesso individuo negli anni, ogni regina può deporre anche più di 300.000 uova all’anno.

 

 

RIVISTA "APITALIA" 2019 - n. 3

 

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SECONDA PARTE

 

L’APE NELL’ARTE CONTEMPORANEA UN LUNGO VIAGGIO CHE CI STA PORTANDO ALLA SCOPERTA DEI CREATIVI CHE SI ISPIRANO ALLA NATURA


L’ARTE SI ISPIRA ALLA NATURA

 




 

Renzo Barbattini Dipartimento di Scienze AgroAlimentari, Ambientali e Animali - Università di Udine

Giuseppe Bergamini Museo Diocesano e Gallerie del Tiepolo - Udine

 



 

BINO BINI

 

Il maestro orafo, scultore e medaglista Bino Bini è assai noto non solo a Firenze, sua città natale (11 settembre 1916), ma anche su tutto il territorio nazionale ed estero dove numerose sono le sue opere. Ma è con Firenze che Bino Bini ha avuto un rapporto privilegiato, grazie alla “Scuola Internazionale dell’Arte dei Metalli” (da lui fondata (1)).

Il maestro è deceduto il 2 febbraio del 2007; la figlia Anna ci ha fornito le immagini di due grandi sculture in bronzo realizzate da Bino Bini. Nel 1980 ha eseguito, per l’agenzia D della Cassa di Risparmi e Depositi di Prato, a Prato (PO), la scultura (m 4 x m 4), dal titolo Prato Operosa.

 

Essa (Fig. 1) rappresenta una grande lente d’ingrandimento attraverso la quale si vedono ingigantiti, fiori, ciuffi di erba e alcune api in volo; ciò sta a rappresentare, come similitudine, l’operosità della città di Prato e la vita operosa che si svolge in un prato vero, se ci si sofferma ad osservarlo attraverso una lente d’ingrandimento.
Bino Bini ha realizzato anche un’altra scultura con api; questo gruppo (altezza m 1,90), dal titolo Pace e lavoro, fu eseguito nel 1991 per la fondazione dello stabilimento di pelletteria IBIZA a Tokyo in Giappone, di proprietà del Sig. Yoshida.

Foto 1 - Bino Bini A, Prato Operosa (1980) (Cassa di Risparmi e Depositi di Prato

 

Questa scultura (Fig. 2), che ha per base un grosso masso, rappresenta grandi fiori a calice e tre api, di cui una sta volando e due sono posate sui fiori, intente a suggere il nettare.


Foto 2 - Bino Bini B, Pace e lavoro, (1991) (IBIZA, Tokyo, Giappone).

 

 

Foto 3 - Gianni Borta, L’ape sul fiore (1986) (collezione privata)

 

 

GIANNI BORTA

 

Gianni Borta è nato e vive a Udine ed è considerato un protagonista di quella che è ormai conosciuta come arte naturalistica; per i temi trattati e i risultati conseguiti, comincia ad essere visto come un caposcuola. Espone dal 1961 e ha ottenuto numerose affermazioni tra premi nazionali ed internazionali.
Il quadro rappresentato (Fig. 3) è stato realizzato in occasione del convegno organizzato dal Gruppo Apicoltori di Pavia di Udine, un paese del Friuli, nell’ambito della festa di S. Giuseppe nel 2002. Anche se gli apicoltori dovrebbero conoscere bene l’ape, nel quadro è rappresentato un insetto che non è un’ape ma un Dittero Sirfide (probabilmente del genere Volucella): anch’esso è un assiduo visitatore dei fiori (per questo è un ottimo impollinatore).

Molti, non del settore, confondono i Sirfidi con alcuni Imenotteri (api e vespe) in quanto i Sirfidi (non essendo dotati di organo di difesa) sono caratterizzati da un forte mimetismo con altri insetti (api e vespe) dotati di organo di difesa (il famoso pungiglione): in tal modo possono sfuggire ai loro nemici, imitando insetti in grado di difendersi. Questo dipinto è un bel brano di pittura, in cui la cosiddetta ape, resa con energia espressionista, si confonde con il fiore.

Del resto, ciò ribadisce il legame tra queste due realtà, un legame sostanziale. Il lavoro è basato soprattutto sull’energia del colore e sulla forza del segno.

L’ape di Gianni Borta è sicuramente un concentrato di movimento che l’artista ha impresso nella tela con vigore e forza. Il suo talento sta proprio nel trasformare la naturale staticità di una scena in un’immagine pregna di tutte le movenze veloci e repentine di un’ape quando si posa su un fiore. Gianni Borta non è un pittore assolutamente informale, ma lascia intravedere la scena, e interpreta sulla tela il suo pensiero in modo deciso e vigoroso.

I colori fortissimi di Gianni Borta sono un caleidoscopio d’insieme, dove le combinazioni infinite, generate a caso, formano figure che, se osservate attentamente, ricordano i colori della natura.

 


Foto 4 - Pier Augusto Breccia, Il matrimonio della regina (1989) (collezione privata, Santa Fe, New Mexico, USA).

 


PIER AUGUSTO BRECCIA

 

Pier Augusto Breccia, nato a Trento il 12/4/1943 ma attivo in America e in Italia, residente a Roma, è morto il 20 Novembre 2017; è il caposcuola della pittura ermeneutica (2) (per il manifesto di questa corrente artistica e per altre notizie su P. A. Breccia consigliamo di visitare www.pieraugustobreccia.com; cardiochirurgo è diventato pittore a tempo pieno dopo una brillante carriera di chirurgia. Quando si parla di un artista è inevitabile il riferimento a una scuola, a una tendenza, ad altri protagonisti dell’arte.


Il caso di Pier Augusto Breccia è diverso ed è, quindi, corretto definirlo proprio un “caso” per la sua originalità, per la personalità di questo artista, per la sua figura di uomo che unisce a una vasta cultura il senso profondo di una spiritualità che è, poi, la connotazione forse più significativa delle sue opere.
Da ciò discende il carattere di pittura “alta”, “colta”, che i dipinti di Breccia trasmettono.
Altro aspetto è la singolarità delle sue opere: una singolarità che lascia interdetti, ancor più che i semplici osservatori, proprio i critici di professione, quando essi tentano di inquadrare l’opera di Breccia nel pur variegatissimo spettro delle tendenze dell’arte contemporanea, a scopo non di puro e semplice esercizio accademico, ma per un approccio il più corretto possibile nei confronti dell’artista e della sua pittura.
Le sue opere sono, sovente, imponenti come dimensioni determinando un impatto notevole su chi le osserva.
Pier Augusto Breccia è un artista contemporaneo, a prima vista metafisico e surrealista con richiami al futurismo dei primi del secolo scorso però, nel contempo, la forza dirompente ed espressiva che lo caratterizza, richiama alla mente il Rinascimento.

 




 

Foto 5 - Pier Augusto Breccia, La grande ape (1990) (collezione privata, St. Louis, Missouri, USA).
Foto 6 - Pier Augusto Breccia, Impollinazione (1994) (collezione privata, Roma).
Foto 7 - Pier Augusto Breccia, Harem (1996) (proprietà dell’artista).


L’opera di Breccia è sublime e simbolica, dove il gusto del bello è sempre presente; è elegante e impeccabile nella sua interezza, anche se parla una lingua che per molti potrebbe essere sconosciuta. Solo l’autore possiede il codice per decifrare questa lingua antica. Della sua vastissima produzione riportiamo alcune tele in cui è ben rappresentata la metafora degli “uomini-ape” e dell’ “ape regina”.

• La grande ape del 1990 (Fig. 5); • Impollinazione del 1994 (Fig. 6);

• Harem del 1996 (Fig. 7);

• Lo sciame del 1996 (Fig. 8);

• Canzone d’amore del 1997 (Fig. 9);

• Il fascino di Mammona del 2003 (Fig. 10).

 

 

 

Foto 8 - Pier Augusto Breccia, Lo sciame (1996) (proprietà dell’artista).

 

Per quanto concerne l’interpretazione di questi quadri, oltre al concetto di organizzazione sociale implicito nella metafora dell’ “uomo-ape”, nelle opere di Fig. 4 e Fig. 5 domina la figura dell’ “ape regina”. Come metafora del “potere” al quale gli “uomini-ape” consegnano i loro prodotti mentre l’ape-violinista e l’ape-chitarrista offrono la loro musica.
Nelle opere delle Figure 5, 6 e 7 viene proposto il tema del rapporto tra il maschile e il femminile, “animus” e “anima”, spirito intellettivo e natura, nella metafora dell’impollinazione, della fecondazione o della conquista.
Lo sciame (Fig. 8) richiama il senso societario di un mondo ideale al quale ognuno di noi dà il suo apporto; e, naturalmente, essendo questo un mondo ideale, ogni apporto “individuale” consiste in qualcosa che ogni “ape” va a prendere nello spazio dell’”universale”.
Quanto a Il fascino di Mammona (Fig. 10), anche qui l’ “ape regina” è vista come il “potere” a cui ciascun individuo porta doni, mentre qualcuno (come l’ “uomo-ape” in primo piano sulla destra) siede nello spazio dell’ “ape regina” e riceve doni senza bisogno di faticare (allusione a ciò che succede in ogni luogo e in ogni tempo in prossimità del “potere”).
Si può affermare, quindi, che i temi toccati da Breccia sono antichissimi per concezione, ma mai così attuali e moderni in un tempo senza tempo.
È doverosa un’osservazione entomologica: è curioso il fatto che gli “uomini-ape” di Pier Augusto Breccia abbiano il pungiglione a livello di viso; le api, infatti, lo hanno nella porzione distale dell’addome. Lo stesso artista ha così risposto: «Quanto al pungiglione, nei miei quadri questo rappresenta il potere penetrante dell’intelletto (ovvero la metafora dello spirito al maschile). Esso è destinato, oltre che a incutere timore e rispetto, a penetrare le cose del mondo con l’acume dell’intelligenza. Forse per questo l’ho allocato sulla testa degli “uomini-ape”».


 

Foto 9 - Pier Augusto Breccia, Canzone d’amore (1997) (collezione privata, Roma).
Foto 10 - Pier Augusto Breccia, Il fascino di Mammona (2003) (proprietà dell’artista).

 

PAUL BRENT

 

Paul Brent è nato ad Oklahoma City (USA) nel 1946 e vive a Panama City in Florida (www. paulbrent.com) I suoi acquarelli hanno per soggetto elementi della natura (fiori e animali) e, spesso, sono stati utilizzati per farne poster.
Tra questi vogliamo ricordare Api (Honey Bees) (Fig. 11) e Bombo (Bumble Bee) (Fig. 12). Gli acquarelli stilizzati di Paul Brent fanno riferimento a un immaginario molto discreto, fatto di pochi elementi ben riconoscibili, con molta leggerezza, sulla base di qualche suggestione orientale, non senza
contatti con stilemi di matrice liberty. C’è molta poesia e molto amore nel disegno dell’ape e del bombo: sono particolareggiati ma, nello stesso tempo, risultano lievi, quasi vivi! E anche i fiori sono curati nei dettagli senza appesantire l’insieme; l’abbinamento del giallo con il violetto lo rende armonioso dal punto di vista coloristico!
Molto belle le api posate sulle margherite che dominano la scena, ed essendone le protagoniste in uno sfondo semplice e puramente di supporto, fanno mostra di se in modo che l’occhio non possa fare a meno di guardare solo loro.

Paul Brent è un grande maestro dell’acquarello, ma la sensibilità poliedrica che lo caratterizza gli consente di eseguire le sue opere con una particolare delicatezza di colori che inducono alla tenerezza e che ricordano le tinte provenzali: soprattutto quel bel violetto delicato che richiama la profumata lavanda.

Possiamo quindi affermare che le rappresentazioni “apistiche” di Paul Brent sono essenziali, ma nello stesso tempo molto incisive per il contesto semplice e di movimento che l’artista dona a questi morbidi acquarelli.

 

 

 

 


Foto 11 - Paul Brent, Api (Honey Bees) (collezione privata).
Foto 12 - Paul Brent, Bombo (Bumble Bee) (collezione privata).


 

TERESA BURROWS

 

 

Teresa Burrows, nata il 7/07/1962 a Londra (Inghilterra) ma residente da più di 30 anni nel Manitoba (Canada), nel 2000 dipinse l’olio dal titolo Surving the hive (Fig. 13).
In esso si nota una figura femminile che sottostà a diversi favi appesi ad un infisso (in secondo piano); essi sono del tutto simili a quelli che le api “ceraiole” costruiscono sfruttando ripari naturali quali le cavità nella roccia o nei tronchi.
Nell’era moderna le api utilizzano anche ripari costruiti dall’uomo quali i cassonetti per le tapparelle o i box contenenti le centraline telefoniche.
Il titolo del dipinto potrebbe essere liberamente tradotto in Eternità in quanto si mette in contrasto la deperibilità (invecchiando) del corpo umano e la capacità della colonia d’api di mantenersi nel tempo, seppur con continui rinnovamenti.

 

Foto 13 - Teresa Burrow, Eternità (Surving the hive) (2000) (collezione privata).

 

NOTE

 

 

(1) Nella propria scuola privata, la cui tradizione dopo la morte del maestro è stata proseguita da sua figlia Anna, Bino Bini ha avviato studenti italiani e stranieri alle tecniche dell’oreficeria, incisione, sbalzo e cesello, smalto.

(2) Tema centrale del pensiero ermeneutico, così come della pittura di Breccia, è la rielaborazione del problema dell’essere dopo la “morte della Metafisica” dichiarata da Nietzsche agli albori del secolo scorso. Il termine “ermeneutica”, inoltre, permette di distinguerla da quella del Surrealismo e della pittura cosiddetta Metafisica. In tutti e tre i casi si tratta di linguaggi visuali che, al di là della pura e semplice espressività emozionale, si propongono come prodotti di un Io che si interroga sui fondamenti della propria coscienza o sul senso dell’esistenza. E in tutti e tre i casi il linguaggio pittorico si offre ai visitatori come un’occasione di significabilità personale, oltre che come una via di fuga attraverso la porta di una fruizione estetica di tipo onirico o fantastico.


 

 

 

- FINE 2A PARTE -

 

DA APITALIA N. 5, 2019

 

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TERZA PARTE

 

L’APE NELL’ARTE CONTEMPORANEA UN LUNGO VIAGGIO CHE CI STA PORTANDO ALLA SCOPERTA DEI CREATIVI CHE SI ISPIRANO ALLA NATURA

 

 

CREATURE ESEMPLARI ED AMMIREVOLI



DI: Renzo Barbattini Dipartimento di Scienze AgroAlimentari, Ambientali e Animali - Università di Udine

Giuseppe Bergamini Museo Diocesano e Gallerie del Tiepolo - Udine

 


STEFANO CANEPARI

 

Quest’artista, nato a Piacenza il 23 dicembre 1949 ha partecipato alla quarta edizione di “Un mosaico per Tornareccio”: iniziativa ideata da Alfredo Paglione, collezionista e mecenate originario del luogo, che ha trasformato la località abruzzese in un museo a cielo aperto. Per questa rassegna d’arte, Stefano Canepari propose l’olio del 2009 “Il giullare delle api” (Fig. 1).


Giovanni Miani così lo descrive: “Il dipinto di Stefano Canepari pare immerso in una dimensione altra, dominata da un’atmosfera rarefatta, nella quale non hanno ragione di esistere le coordinate spazio-temporali con cui l’uomo comunemente percepisce la realtà. Ciò è visibile dal contesto ambientale indefinito, lunare, quasi sospeso in un ricercato immobilismo della rappresentazione. Le figure in primo piano, caratterizzate da una ieraticità fortemente accentuata dal volume corporeo e dai volti attoniti, emergono dallo sfondo come fossero delle sculture dipinte.

Le api, descritte attraverso i particolari naturalistici tipici di questi insetti, non sono esenti dalla stessa staticità. Il carattere comunque rappresentativo di quest’opera rimanda per certi versi all’arte figurativa sorta attorno agli anni venti del Novecento, caratterizzata dal “ritorno all’ordine” dopo il fiorente periodo dominato dalle sperimentazioni artistiche delle Avanguardie storiche”.

 

Foto 1 - Stefano Canepari, Il giullare delle api (2009) (collezione privata)

 

LUISELLA CARRETTA L’artista (www.luisellacarretta.it) è


nata a Genova nel 1938, città dove vive. Ha dipinto i suoi acquarelli apistici direttamente in “campo”:
Luisella ha, infatti, seguito dal 1989 al 1992 le prove di campo con il gruppo di ricerca del prof. Giorgio Celli dell’istituto di Entomologia “Guido Grandi” dell’Università di Bologna (oggi sezione del Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari) potendo, così, osservare il volo delle api.
Dalla prefazione di Giorgio Celli al libro di Luisella Carretta In volo con le api (Campanotto, Udine, 2000), risultato di quell’esperienza: “Luisella Carretta è un’artista che si colloca sul confine tra la pittura e l’etologia, tra i segni onirici e i percorsi ornitologici, o nel caso nostro, entomologici, attivando il fascino di una scrittura effimera sulla pagina celeste [...].

 

Questi tragitti acquistano a poco a poco, una valenza estetica, diventano segni di sogni, si trasformano da etogrammi in pittogrammi (1) in modelli motori che si esprimono nella leggerezza e nella bellezza e che forniscono all’entomologo un inventario figurale dei comportamenti di volo e di esplorazione delle api, all’uscita dell’arnia, e dei suoi immediati dintorni.” In volo con le api è un viaggio dentro la natura, dove le api vivono e volano dall’arnia verso i fiori attratte da colori e tracce odorose”.

 

Tratti da esso, si riportano i seguenti dipinti con le relative note dell’artista:

 

• Api: Voli di uscita (Parco Università, Bologna, 14.06.1989, ore 16,30/16,35, cielo parzialmente coperto) (Fig. 2) “Le uscite, anche in questo caso, si rivelano complesse per la mancanza del sole”; • Api: Voli di entrata (Parco Università, Bologna, 14.06.1989, ore 15.55/16.00, cielo coperto) (Fig. 3) “Le api arrivano veloci attraverso l’unico varco tra gli alberi, sostando, anche in questo caso, davanti all’ingresso”; • Api: Voli sui fiori di melone (Campagna di Imola, 18.06.1 +992, ore 17.27/17.42, cielo sereno) (Fig. 4) “Su questi fiori più grandi e più distanti tra loro, le soste sono mediamente più lunghe: 21 soste in tre minuti”. Il critico Miani così dice: “La peculiarità delle opere di Luisella Carretta è riscontrabile nel raggiungimento di un’essenzialità estrema e assoluta. La rappresentazione visiva del mondo sensoriale (ciò che ci sta attorno) in queste realizzazioni è ridotta al minimo proprio perché la tensione dell’artista si esprime in tutta la sua sublime forza nella messa in opera di una realtà quasi rarefatta, eterea. Tutto ciò si esplicita con pochi e brevi tocchi nonché fugaci sprazzi cromatici

 


Foto 2 - Luisella Carretta, Api: Voli di uscita, (proprietà dell’artista).
Foto 3 - Luisella Carretta, Api: Voli di entrata (proprietà dell’artista)
Foto 4 - Luisella Carretta, , Api: Voli sui fiori di melone, (proprietà dell’artista).

in questo caso, si rivelano complesse per la mancanza del sole”; • Api: Voli di entrata (Parco Università, Bologna, 14.06.1989, ore 15.55/16.00, cielo coperto) (Fig. 3) “Le api arrivano veloci attraverso l’unico varco tra gli alberi, sostando, anche in questo caso, davanti all’ingresso”; • Api: Voli sui fiori di melone (Campagna di Imola, 18.06.1 +992, ore 17.27/17.42, cielo sereno) (Fig. 4) “Su questi fiori più grandi e più distanti tra loro, le soste sono mediamente più lunghe: 21 soste in tre minuti”. Il critico Miani così dice: “La peculiarità delle opere di Luisella Carretta è riscontrabile nel raggiungimento di un’essenzialità estrema e assoluta. La rappresentazione visiva del mondo sensoriale (ciò che ci sta attorno) in queste realizzazioni è ridotta al minimo proprio perché la tensione dell’artista si esprime in tutta la sua sublime forza nella messa in opera di una realtà quasi rarefatta, eterea. Tutto ciò si esplicita con pochi e brevi tocchi nonché fugaci sprazzi cromatici.

 

JESSICA CARROLL Rosalind (suo secondo nome) è nata a Roma il 9/4/1961, oggi risiede e opera a Torino (www.jessicacarroll.it). Di quest’artista, molto prolifica, ricordiamo:

• Arnie e favi (Fig. 5), opera del 2004 presente alla La Fortezza del Mare - Isola di Palmaria (La Spezia) nell’ambito della personale Il Cannone Bianco (10 luglio - 16 agosto 2005). Le sfere in ceramica sopra alle arnie (Fig. 6) (2) , quadri colorati come la natura a primavera, rappresentano il favo a faccette esagonali da cui cola miele. Sopra di esse vi sono appoggiate alcune api di bronzo.
L’insieme, quindi, richiama la trasformazione, grazie al lavoro delle instancabili api, del nettare dei fiori nel dolce prodotto.

• Danza delle api (Fig. 7, 8, 9). Anche questi disegni sono del 2004; le api, con le loro danze, appaiono simboli solari di saggezza, d’ordine e di regalità, dell’anima collegata al divino. Essi rimandano alla danza fascinosa delle api attorno agli oggetti del loro desiderio, esprimendo nel movimento la loro inesauribile energia.

• Hannukia (Fig. 10), opera del 2005. Il percorso delle api nell’aria è raffigurato mediante fasci di metallo sospesi: piccole api in cera n’evidenziano la poetica decisamente naturalistica.

• Miss Dolcezza (Fig. 11). Quest’opera del 2004 è una sorta d’object-trouvé: una cassetta per la frutta recante appunto questa scritta su un lato ed esposta nella vetrina della galleria. All’interno vi sono decine d’api di bronzo dorato, posate su uno strato di cera.

• Casa dolce casa (Fig. 12) opera del 2003. Questa “casa” (in realtà rappresenta un’arnia!) è completamente di vetro, costruita per scrutare i segreti della vita delle api; al suo interno si trovano numerosi favi di resina di pino (tecnicamente detta colofonia) (3) su cui stazionano api di cera d’api.

• La vera Vite (Fig. 13) opera del 2006, realizzata in marmo bianco di Carrara. L’autrice a proposito di quest’opera, il cui titolo è ripreso direttamente dal Vangelo, si esprime così: “La piccola ape la sa lunga nel senso che essa osserva una vite che vagola nello spazio e lo fende dimostrando un modo di porsi davanti al mistero, certamente diverso da quello umano. Quest’atteggiamento potrebbe,
forse, essere di maggiore intimità con il mistero.

• Allarme, (Fig. 14) anch’essa del 2006. Il titolo si riferisce alla danza d’allarme delle api.

 

Jessica Carroll, con la scultura Alveare (Fig. 15) è risultata vincitrice della VI Biennale Internazionale di Scultura Premio “Umberto Mastroianni”, svoltasi nel 2008, indetto dalla Regione Piemonte e organizzato dall’Associazione Piemontese Arte www.piemontearte.com. La scultura ha diametro cm 200 ed è stata realizzata, in bronzo, nella fonderia Di Carlo di Volvera (Torino); dal giugno 2010 si trova ad Asti nei Giardini Alganon di Piazza Roma.

 

 

PIETRO CASCELLA

 

Le opere di Pietro Cascella (uno dei maggiori scultori italiani del secondo Novecento, nato a Pescara il 2 febbraio 1921 e scomparso a Pietrasanta, Lu, il 18 maggio 2008) si caratterizzano per la loro dimensione monumentale: anche quando realizza una “piccola” scultura, come quella dell’ape (Fig. 16), l’idea che vi è implicita è sempre monumentale.
Nelle sue opere, infatti, è espresso un senso di potenza ed energia che si richiama alla grande tradizione arcaica dell’arte, sulla quale s’innesta una fantasia del tutto moderna.
L’uso della pietra, da lui definita “l’ossatura della terra”, rappresenta il recupero dell’antica naturalità e integrità dell’uomo e la sintesi plastica di volumi articolati; quest’ultimi richiamano forme primitive, simboli comunicativi universali.
Tutto ciò colloca l’artista in una linea ideale della scultura europea. La “lettura” che ne dà uno non del settore “arte” (com’è uno di noi) è questa: quest’opera provoca una sensazione di non-movimento, ma di un ipotetico impietrimento.
L’ape è incastonata in una parete dove il corpo e la testa sono divisi da una sorta di muro. Anche se il corpo dell’ape è plasmato,
le ali sono di pietra e anomale rispetto alle rotondità di tutto il resto. Il complesso è, in ogni caso, abbastanza lapidario e statico. Il senso dell’opera può essere compreso come un esempio di pietrificazione di un movimento, come quando un essere vivo è fermato e fissato per l’eternità.

 

Questa scultura di ceramica e bronzo è consegnata, dal 2007, all’artista che ha ottenuto più consensi dalle due giurie del concorso “Un mosaico per Tornareccio”. Questa manifestazione si svolge ogni anno a ridosso del 16 luglio, festa liturgica della Madonna del Carmine. Con quest’opera, Jessica Carroll ha vinto il Premio Umberto Mastroianni nell’ambito della VI Biennale Internazionale di Scultura della Regione Piemonte (Torino, 18 settembre - 18 ottobre 2008). La stessa sarà realizzata in grandi dimensioni e collocata ad Asti.

 

Questa resina trasparente gialla, simile all’ambra, derivata dalla distillazione della linfa di varie conifere, usata nella preparazione di vernici, saponi, adesivi, mastici, ecc

 

 

 

 

NOTE

1) Il pittogramma è un segno grafico che rappresenta la cosa vista e non la cosa udita (come invece avviene nelle scritture sillabiche, consonantiche ed alfabetiche). In pratica si tenta di riprodurre l’oggetto e non il suono.

2) Questa scultura di ceramica e bronzo è consegnata, dal 2007, all’artista che ha ottenuto più consensi dalle due giurie del concorso “Un mosaico per Tornareccio”. Questa manifestazione si svolge ogni anno a ridosso del 16 luglio, festa liturgica della Madonna del Carmine. Con quest’opera, Jessica Carroll ha vinto il Premio Umberto Mastroianni nell’ambito della VI Biennale Internazionale di Scultura della Regione Piemonte (Torino, 18 settembre - 18 ottobre 2008). La stessa sarà realizzata in grandi dimensioni e collocata ad Asti.

 

3) Questa resina trasparente gialla, simile all’ambra, derivata dalla distillazione della linfa di varie conifere, usata nella preparazione di vernici, saponi, adesivi, mastici, ecc.

4) Premio “Satira politica” che s’ispira al simbolo della manifestazione che ogni anno si tiene a Forte dei Marmi (Lucca).


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QUARTA PARTE


GALLERIA DI ARTISTI CONTEMPORANEI,
UN LUNGO VIAGGIO ALLA SCOPERTA DEI CREATIVI CHE SI ISPIRANO ALLA NATURA
di Renzo Barbattini e Giuseppe Bergamini

 

 


 



DI: Renzo Barbattini Dipartimento di Scienze AgroAlimentari, Ambientali e Animali - Università di Udine

Giuseppe Bergamini Museo Diocesano e Gallerie del Tiepolo - Udine

 

 

LE API CHE COLPISCONO L’IMMAGINARIO

 

BRUNO CECCOBELLI

Di quest’artista umbro (nato a Montecastello di Vibio, Perugia, il 2/9/1952, www.brunoceccobelli.com) ricordiamo Arnie amorose (Fig. 1).

 

 

 

 

Ciò che colpisce di questo alità delle figure rappresentate, la resa dello spazio compositivo quasi simbolico.
Tutto qui è ridotto a un’estrema stilizzazione, i tratti somatici dei personaggi sono a malapena distinguibili, i corpi dimostrano una tremenda espressività nella loro assoluta stilizzazione formale.
L’opera potrebbe essere facilmente identificata come una composizione espressionista, con riferimento al celebre movimento artistico del primo quarto del Novecento: perché proprio come questa forma d’arte anch’essa colpisce per l’aspetto più interiore, emozionale e psicologico della scena rappresentata, piuttosto che per il paesaggio naturalistico esteriore.

 

. CASSANDRA CHRISTENSEN BARNEY L’artista è nata a Orem, Utah (USA) ove ha vissuto la sua adolescenza (www.cassandrabarney.com) di quest’artista, e insegnante, ricordiamo Ape regina (Queen Bee) (Fig. 2).

Di questo dipinto ci piace il colore: il viso un po’ enigmatico dall’incarnato molto bello e morbido che contrasta con la tinta calda dello sfondo valorizzato dal nero dei capelli e del vestito! Gli occhi sembrano malinconici ma la boccuccia nasconde un sorriso, se non proprio palese, sicuramente “pensato”!
Il collo “alla Modigliani” le conferisce molta eleganza! Il dipinto è splendido, le api che si dirigono tutte verso una sola direzione probabilmente hanno un significato, e se è vero, com’è vero, che le api si dirigono tutte verso una fonte di cibo che hanno individuato in precedenza, probabilmente il simbolismo che la pittrice ha voluto rappresentare alle spalle della fanciulla è proprio questo nel pensiero della ragazza: andare verso un luogo a lei congegnale che ha visto o vissuto in precedenza. Tutte le api vanno verso una direzione ma una sola di esse si è posata sul petto della ragazza. Con ciò probabilmente l’artista voleva far capire che sulla persona rappresentata (posta immobile al centro della vita ed incapace di qualsiasi azione), finalmente si è posato qualcosa di “animato”; quindi si ribadisce il senso di incontro. La ragazza rappresentata in questa tela potrebbe essere l’ape regina nella sua vita (dopo tutto, le api vivono in una società matriarcale) ma l’artista, avendo inserito le api,
potrebbe aver anche alluso al fatto che la vita può sfuggire se gli “uomini” non si prendono il tempo per fermarsi ad apprezzarla. Le api bottinatrici, infatti, sostano, per tempi più o meno lunghi, sui loro obiettivi (i fiori) al fine di raccogliere nettare e polline. L’ape regina potrebbe anche essere riferito alla stessa fanciulla rappresentata! In senso ironico, in quanto circondata dalle api e lo sfondo è un bel color miele caldo appunto!

 

BRANKO CUSIN Questo pittore è nato nel 1935 a Koroska Bela (Slovenia), località situata vicino a Jesenice (o lago di Bled) ed è morto nel settembre 2009, sempre a Koroska Bela, dove ha vissuto tutta la sua vita. Branko Cusin ha realizzato diversi dipinti “apistici”, tra cui apiari sloveni e dell’Alto Adige adottando, soprattutto la tecnica dell’acquarello. Della sua ricca produzione riportiamo:

Begunje nad Cerknico (Begunje vicino a Cerknico) (Fig. 3); in esso è rappresentato un famoso episodio relativo all’assedio, nel 1555, da parte dei turchi della chiesa fortificata di Begunje. Gli assediati (contadini del paese) gettarono alcuni alveari sugli assedianti e sui loro cavalli. • Začetki čebelarjenja: plenjenje č ebeljih gnezd (Nascita dell’apicoltura: il saccheggio ai danni delle api selvatiche) (Fig. 4), in cui è rappresentato un uomo, in cima a una scala appoggiata al tronco dell’albero, impegnato a predare un nido di api selvatiche al fine di raccogliere il miele.

Al di sotto della pianta, altre due persone sono intente a produrre fumo tramite un fuoco acceso (1); • Kraški čebelniak (Apiario carsico) (Fig. 5).
In Slovenia sono molto diffusi questi tipici apiari costituiti da numerose arnie di tipo Žnidersič (2) sovrapposte; queste arnie sono visitabili dal retro e spesso la parete anteriore è decorata. • Božični blagoslov (La benedizione di Natale) (Fig. 6).

Durante la notte di Natale, in Slovenia, i contadini hanno l’usanza di benedire la casa, la stalla con le mucche, gli altri animali allevati; tra quest’ultimi sono annoverate anche le api.

Alla benedizione partecipa pregando, tutta la famiglia. • Medved. Čebelar... na štirih nogah (Orso. Apicoltore... a quattro zampe) (Fig. 7), che ritrae il noto predatore degli alveari. In Slovenia vivono circa 400 orsi che rappresentano una minaccia soprattutto per gli alveari situati vicino boschi.
• Tipičen slvenski čebelnjak blizu Kranjske gore (Un apiario tipico sloveno vicino a Kranjska gora) Fig. 8). Il dipinto ritrae ancora un apiario con arnie Žnidersič accatastate: essendo protetto da una tettoia, esso rimane al riparo dalla pioggia, dalla neve e dall’usura rimanendo a lungo utilizzabile (anche per più di cinquant’anni).

 



Branko Cusin non è un allevatore di api ma è un grande appassionato dell’apicoltura: infatti in molte sue opere si ritrovano riferimenti alle api, agli apiari, agli apicoltori ecc.
Nella cappella della chiesa di San Giuseppe (Lansprez, Slovenia) è esposto un dipinto eseguito nel 2002 (Fig. 9)
Il quadro raffigura San Giuseppe, molto pensieroso, appoggiato al suo tavolo da lavoro: essendo un falegname (come denota la sega in bella vista) egli si sarebbe dedicato, secondo l’autore del dipinto, anche alla costruzione di arnie. Sul tavolo da lavoro, infatti, vi sono tre arnie in legno di tipo sloveno (3).
La posizione di san Giuseppe pensoso è tradizionale, nell’arte antica; risale, infatti, alle più arcaiche raffigurazioni, e perdurò ben oltre il Rinascimento, insieme ad altre tipologie figurative, che vede san Giuseppe in attitudine operosa e partecipe, intento a svolgere compiti pratici (e a partire dal Seicento verrà raffigurato al lavoro, nella bottega di falegname, attorniato dagli attrezzi del mestiere minuziosamente descritti).
La posizione pensosa, che fu a lungo prevalente, va sicuramente riferita all’episodio dell’apparizione dell’angelo, che gli svela, in sogno, il disegno divino (4): tale iconografia ha influenzato gli artisti, che lo rappresentarono così anche nelle Natività.
Tornando al quadro di Cusin, va sottolineata una particolarità: sul frontale di un’arnia vi è rappresentata la stella di David: sta a significare l’appartenenza di Giuseppe alla tribù di Davide, re di Israele; sul frontale, poi, di un’altra arnia è raffigurata la colomba, simbolo della pace, annunciatrice della nuova creazione operata da Dio dopo il Diluvio (Gn 8,11).

Appoggiata al tavolo vi è una sega; questa è una figurazione decisamente moderna come, d’altra parte, è moderna la sua comparsa nell’attrezzatura della bottega del Santo falegname (infatti essa si sviluppa e si diffonde in campo artistico nel 1600).
La sega è un attributo, come lo è il bastone, ed essa fa riferimento al legno dell’artigiano (5).
A completare la scena si notano in primo piano un vaso di gigli e, sullo sfondo, Maria in preghiera: di fronte a lei si distinguono due fasce bianche. I gigli sono simbolo della purezza di Maria e Giuseppe, le fasce indicano la presenza del Bambino Gesù.

Il pittore Giuliano Zoppi dice: “Osservando il dipinto di Branco Cusin, a prima vista ho avuto una sensazione di sottomissione e di una alta morale simbolica attraverso le presenze divine qui rappresentate. A un’attenta osservazione, questa sensazione si sfuma per lasciare posto alla ragione.


La simbolica presenza dell’angelo, così maestosa e severa, su un povero falegname di nome Giuseppe denota il pensiero altamente teologico dell’artista. Anche l’idea di una pia Signora di nome Maria che prega ai piedi delle fasce denota la convinta religiosità cristiana di Cusin.
Senza dimenticare il giglio, simbolo di purezza, che il pittore ha posto ai piedi di Giuseppe; Giuseppe è pensieroso, è immerso in un pensiero lontano, è serio, è quasi perplesso...

Branco Cusin da credente e da appassionato di apicoltura ha idealizzato il suo pensiero in questo dipinto: ha fatto una fusione del suo credo religioso con la sua passione per le api, non a caso ha riprodotto delle arnie antiche con la stella di David, dando una motivazione molto in tema al dipinto, inserendo oggetti probabilmente utilizzati anticamente in terra d’Israele. Nel complesso il dipinto è equilibrato al suo pensiero, idealizzato e spontaneo nella sua candida ideologia”.

 

 

NOTE

 

1 È risaputo che le api, se disturbate, reagiscono aggredendo; ma fin dalla preistoria l’uomo ha scoperto che il fumo le ammansisce. Ne basta poco perché tutte le api di una famiglia raggiungano rapidamente i favi rimpinzandosi di miele in modo tale che, aumentando di peso, perdono gran parte della loro agilità e della capacità di volare, ed hanno maggiore difficoltà ad estrarre il pungiglione.

2 L’invenzione di questo tipo di arnia si deve all’apicoltore e imprenditore di Illirska Bistrica (anticamente chiamata Villa del Nevoso, in Slovenia al confine con la Croazia) Anton Žnidersič (1874-1947) il quale aveva sperimentato i diversi tipi di arnia esistenti allora, ritenendoli inadatti alle caratteristiche climatiche della Slovenia. Oltre che grande apicoltore, poeta e scrittore, Anton Žnidersič fu anche un imprenditore di successo: infatti, a Ilirska Bistrica era proprietario di una segheria, di una fabbrica di imballaggio e di un pastificio; a Maribor, invece, possedeva una fabbrica di cioccolata.

3 Il modello raffigurato nel quadro risale al 18° secolo; si tratta di arnie di legno di abete o di tiglio, lunghe in media 70 cm, larghe tra i 25 e i 30 cm e alte tra i 18 e i 22 cm. Sui frontali di queste arnie, sono ritratte scene di arte popolare. Queste arnie orizzontali sono modello “kranjic”: basse, senza telai. Portano il nome “kranjic” perchè il loro utilizzo prese piede originariamente in Alta Carniola, la cui capitale è Kranj. Successivamente questo tipo di arnia si è diffuso in tutta la Slovenia, e cento anni fa esso è stato sostituito dalla arnia moderna di tipo Znidersic.

4 L’angelo - conformemente al Vangelo di Matteo (Mt. 1,20) - rivela a San Giuseppe, nel sonno, di non temere di prendere con sé Maria, perché ciò che in lei avverrà - vale a dire la gestazione - sarà opera dello Spirito Santo.


5) Nell’arte, per identificare più facilmente i Santi, si è voluto affiancarli di un oggetto o di un animale riferibile ad un miracolo o al martirio (ad es. la graticola di San Lorenzo, gli occhi di Santa Lucia, i seni di Santa Agata) o ad una caratteristica biografica o della tradizione (il drago di San Giorgio, il cane di San Rocco, il porcellino di Sant’Antonio). San Giuseppe falegname, appunto, può avere una sega, ma questa è un’iconografia piuttosto rara, poiché generalmente egli non è ritratto al lavoro, fin quando si diffuse nel 1500 l’iconografia della Bottega di San Giuseppe.

 

Renzo Barbattini Dipartimento di Scienze AgroAlimentari, Ambientali e Animali - Università di Udine
Giuseppe Bergamini Museo Diocesano e Gallerie del Tiepolo - Udine

 

 

PUBBLICATO SU APITALIA 11 - 2019

 

QUINTA PARTE

FASCINO E PERICOLO UN VOLO IMMAGINARIO
PROSEGUE IL NOSTRO VIAGGIO NEL ‘900 ISPIRATO ALLA NATURA

 

 



DI: Renzo Barbattini Dipartimento di Scienze AgroAlimentari, Ambientali e Animali - Università di Udine

Giuseppe Bergamini Museo Diocesano e Gallerie del Tiepolo - Udine

 

 

DAL PICCOLO DETTAGLIO ALL'OPERA CREATIVA

 

JONAS DANILIAUSKAS

 

Di questo pittore lituano (nato nel 1950 nel villaggio Lekòãiai) proponiamo Antichi alveari (Seni aviliai) del 1985 (Fig. 1), Cattura di uno sciame d’api (Spiečiaus gaudymas) del 1986 (Fig. 2). Egli fa un uso del colore un po’ alla maniera di Redon1, vale a dire ne sfrutta il potenziale simbolico e traferisce le scene dal
piano della cronaca ad un piano quasi fantastico. Non importa tanto la definizione precisa delle figure quanto il loro inserimento nel contesto e l’atmosfera che si viene a creare, dominata dalle componenti suggestive del colore e dalla complessiva estraneità rispetto al realismo. L’apicoltura era, in passato, una pratica molto diffusa nelle campagne lituane; oggi essa è stata abbandonata.

 

PABLO ECHAURREN

 

L’arte di Pablo Echaurren si apre in molte direzioni, articolandosi in un continuo altalenare tra alto e basso, dai dipinti ai manifesti, dai collage alle copertine di libri e ai fumetti, dalle ceramiche agli arazzi e dal video alla scrittura. Ne discende un’idea dell’artista come artefice a tutto campo, indifferente agli steccati e alle gerarchie che solitamente tendono a comprimere l’inventiva.
Notizie dettagliate su di lui, nato a Roma il 22/1/1951 si possono trovare in www.pabloechaurren.com.

Nel 2007 ha realizzato una piccola scultura da tavolo, intitolata Le api barberine (Fig. 3); una piccola scultura-gioiello con api che suggono il miele da un pietra preziosa (topazio). Essa è un evidente omaggio alla celebre Fontana delle api di Gian Lorenzo Bernini (Napoli, 1598 - Roma, 1680, mirabile interprete della concezione estetica barocca) dedicata alla famiglia Barberini (nel cui stemma campeggiavano tre api)2. La celebre fontana si trova a Roma nei pressi della cripta dei Cappucini. Questa vicinanza determina il fatto che le api abbiano, al posto del capo “regolamentare”, un teschio umano. In linea dunque con il mondo ctonio dell’ossario cappuccino. Il topazio è la cristallizzazione del miele.

Il mondo umano, animale e minerale si fondono in un’unità inscindibile.

 

EMEK

 

Questo artista (www.emek.net) vive negli Stati Uniti, fin dall’età di quattro anni, ma è nato nel 1970 in Israele ed è uno degli artisti più interessanti del movimento artistico “rock and roll”.
Proveniente da una famiglia di artisti, Emek si è specializzato nella creazione di manifesti in edizione speciale limitata, in serigrafia, per concerti musicali dal vivo in tutto il mondo3.
I suoi poster psichedelici si rifanno alla tradizione dei classici degli anni ‘60 del secolo scorso. Lo stesso Emek dice: “Apprezzo molto la libertà creativa che la pittura mi consente; essa, infatti, mi ha permesso di immergermi nei recessi della mia fantasia ed esplicare concetti secondo diversi stili”.
Recentemente ci ha inviato la serigrafia di Fig. 4, eseguita nel 2007 e intitolata Ape in pericolo (Bee endangered); allacciandosi ad una frase, erroneamente attribuita a Einstein, l’artista così scrive: “Se le api sparissero dalla superficie del globo, poi l’uomo avrebbe solo quattro anni di vita. Non più api, niente più impollinazione, niente più piante, niente più animali, niente più uomo”.

 

 


Fig. 4 - Emek, Ape in pericolo (Bee endangered) (2007) (collezione privata).



L’opera si propone di descrivere, con un’assoluta oggettività, una condizione ambientale drammatica. Gli elementi che compaiono (l’ape, i fiori) affermano e, anzi, evidenziano, in tutta la loro crudezza e la loro drammaticità figurativa tale pericolo per la natura e per gli esseri viventi. Ogni dettaglio viene descritto con un realismo estremo, quasi parossistico, coniugato a un macabro sarcasmo visibile nei simboli di morte di alcuni particolari (come ad esempio i fiori che si tramutano in terrificanti teschi o il volto dell’ape che domina la composizione, avvolto da una agghiacciante mascherina.

 

GRAHAM EVERNDEN

 

Graham Evernden è nato nel 1947
nel Kent (sud-est dell’Inghilterra) Adesso vive nel Sussex (contea storica dell’Inghilterra meridionale).
È un famoso illustratore e grafico, che abbina il linguaggio colto, d’impostazione classica, al tono popolaresco, da cui discende l’originalità delle sue illustrazioni, come si vede anche in quelle qui presentate tratte dal libro di Style Sue del 1992 (Figure 5, 6, 7 e 8). Trattandosi d’illustrazioni poste a corredo di un libro in cui si parla d’estrazione, lavorazione e commercializzazione del miele, la scelta di ambientarle in un bucolico passato senza tempo, ma iconograficamente riconducibile alla fine del XIX secolo, sembra un voluto riferimento al buon tempo antico in cui la natura era incontaminata e i cibi erano genuini. Questa idea è espressa richiamando forme e colori, qui volutamente molto accesi, della pittura naif e componendo quattro tavole che potrebbero anche essere intitolate Le quattro stagioni dell’apicoltura.

 

MARTA FARINA

 

Marta Farina (www.martafarina. net), pittrice nata il 25 gennaio 1979 a Belluno (Italia), città dove ancora oggi vive e opera, si è specializzata nel campo dell’illustrazione. Il mondo dell’illustrazione oggi è molto cambiato e non si rivolge più solo all’infanzia, ma anche agli adulti e, in generale a un pubblico culturalmente più preparato che in passato, proprio per il livello di specializzazione e qualità che fa delle illustrazioni moderne delle vere e proprio opere d’arte assai versatili per gli utilizzi più vari per testi, giornali, riviste. L’immagine che ci ha inviato, L’ape (Fig. 9), nasce, infatti, per un libro destinato ad un pubblico adulto, sulla scia degli erbolari, bestiari e lapidari medioevali.

L’artista stessa così scrive: “Questa tavola è stata realizzata per un libro che contiene numerose immagini d’animali, comprendendo una sezione definita appunto bestiario. L’ape in questione è messa in bilico su un vecchio disco in vinile che reca ironicamente la scritta Honey Moon, e sta ritta sulle sue zampe sottili quasi ballasse al ritmo di quella musica da luna di miele. Piccola e imponente al tempo stesso, a sdrammatizzare il tutto ci pensa la scritta in alto nella tavola che, tradotta dal francese, significa solo una piccola ape. Anche se ben sappiamo che le api non sono solo “insettini” ma anzi, rivestono un ruolo di straordinaria importanza nell’ecosistema del nostro pianeta”. Seulement une petite abeille... solo una
piccola ape? Un microcosmo pulsante, ronzante, operoso, danzante, dove il disco in vinile è forse metafora della vita: si nasce, si muore e, in mezzo... la musica dell’esistenza; e sarà buona musica solo se suonata con convinzione e andando “a tempo”, ossia vivendo secondo la natura assegnata a ciascuna creatura.

 

 

 


Renzo Barbattini Dipartimento di Scienze AgroAlimentari, Ambientali e Animali - Università di Udine
Giuseppe Bergamini Museo Diocesano e Gallerie del Tiepolo - Udine

12/2019 | Apitalia | 53


 

NOTE

1) Odilon Redon nacque a Bordeaux nel 1840 e morì a Parigi nel 1916. Personaggio inquieto e fantasioso, fece parte del movimento simbolista che si contrapponeva all’esaltazione naturalistica ed impressionistica, nel proposito di dare forma a concetti astratti, visioni, sensazioni mai esplorate.

2 Seguendo la terminologia araldica, lo stemma di Urbano VIII (al secolo Maffeo Barberini 1568 - 1644) può essere così descritto: Arma: d’azzurro a tre api montanti d’oro poste 2, 1. Le tre api furono scelte, come emblema di operosità, dallo stesso Urbano VIII in sostituzione di altrettanti tafani, antichi simboli araldici della sua famiglia. In origine, infatti, i Barberini si chiamavano Tafani da Barberino.

3 Nel corso degli ultimi 2 decenni, Emek ha creato centinaia di poster per numerosi gruppi musicali quali Radiohead, Coachella, Queens Of The Stone Age, Tool, System of a Down, Jane’s Addiction, The Flaming Lips e per le copertine degli album di Neil Young, Pearl Jam, Henry Rollins e Erykah Badu.

 

 

FINE 5A PARTE pubblicata sul n. 12/2019 di APITALIA

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SESTA PARTE

 

ESTETICA DELL’APE ESPRESSIONI CREATIVE ISPIRATE DAL NATURALE

 



DI: Renzo Barbattini Dipartimento di Scienze AgroAlimentari, Ambientali e Animali - Università di Udine

Giuseppe Bergamini Museo Diocesano e Gallerie del Tiepolo - Udine

 



LA FORZA E LA FORMA DEL SIMBOLO


MICHEL FAVRE

 

Michel Favre è nato a Losanna (Svizzera) nel 1947. Con la famiglia, a cinque anni, si è trasferito a Martigny.

Qui abita e lavora ancora oggi; egli si dedica alla scultura utilizzando marmo, bronzo e anche materiali particolari quali vetro e componenti elettroniche.

Dettagliate notizie si possono trovare visitando www.michelfavre.ch.

 

L’opera di Michel Favre è caratterizzata da figure umane che vivono una vita quotidiana alienante e spesso distruttiva, caratterizzata dalla sofferenza del vivere.

Favre descrive un uomo moderno che, schiacciato dall’incombere della tecnologia e dalle macchine, ha perso se stesso e ricerca, invano, sicurezze nella memoria.

Tra le sue numerose realizzazioni (sculture di bronzo) ricordiamo Il palazzo della regina (Fig. 1) in cui un gruppo di persone è al cospetto di un “enorme” telaino. Sono da segnalare anche Torre a torre (Fig. 2), La boccia e Sciocco con la pertica (Fig. 3).

 

In tutte queste sculture l’artista ha utilizzato un sapone di marca “l’abeille” (L’ape).

 

Fig. 1 -


Fig. 2

Fig. 3

 

 

GIORGIA FOCA

 

Giorgia Foca, nata a Mirandola (Modena) il 5 settembre 1977, non è una pittrice “professionista”: lavora infatti come ricercatrice in Chimica Analitica presso la facoltà di Agraria dell’Università di Modena e Reggio Emilia.

La sua abilità grafica e l’amore per l’illustrazione, tuttavia, le hanno permesso di realizzare, nel 2009, l’acquarello (Fig. 4) per la copertina del romanzo di Devis Bellucci “L’inverno dell’alveare” (A&B Editrice - 2010).

Le pagine del libro raccontano le vicende di una piccola ape, nata a primavera, che scopre di non poter superare l’inverno. “Nessuna di noi sa che cosa sia l’inverno”, spiega, “perché nessuna l’ha mai superato”. Da qui l’apertura verso gli altri, verso i “diversi”: i pesci, gli alberi, gli uccelli migratori, i papaveri di un campo di grano. Ognuno racconta alla piccola la sua personale esperienza con l’inverno, aiutandola a scoprire la vera saggezza, quella basata sulla testimonianza che nasce dall’incontro.

In questo senso, emblematico è l’incontro con la cavalletta, che mette in guardia l’ape nei confronti dell’inverno “dentro”, dell’inverno del cuore, ben più temibile di quello del mondo, che ha sempre una sua primavera.

 

Fig. 4 - Giorgia Foca, copertina del romanzo di Devis Bellucci L’inverno dell’alveare (A&B Editrice. 2010).

Dosando poesia e suggestione, Bellucci scrive una favola che è metafora dei nostri tempi.

 

Nell’illustrazione di Giorgia Foca, compagna dell’autore nella vita, l’ape è ritratta sulla sua altalena durante l’attesa per diventare esploratrice; i suoi occhi devono prepararsi e il suo sguardo deve imparare la linfa del desiderio per poter volare lontano, al di là dei prati di casa. Accanto a lei, il paracadute abbandonato, perché “un paracadute e un sogno non stanno di casa nello stesso cuore”.

 

Giorgia Foca, pur non appartenendo alla categoria degli artisti professionisti, realizza questa copertina con consumata maestria. L’immagine è fresca nel tratto, semplice ma non banale. La
leggerezza dell’acquerello e l’essenzialità dei colori, prendono la giusta attenzione del lettore senza prevaricare sul romanzo. È il giusto equilibrio che vuole la simbiosi tra la parola scritta e l’immagine che la rappresenta.

 

NADIA MERICA FORMENTINI Quest’artista è nata a Seregno nel 1965, vive e opera a Lissone (Milano) (www.nadiaformentini.altervista.org)


La sua ricerca nasce dalla passione per il segno e il simbolo; dal segno su carta al segno nei vari materiali (creta, cartapesta, ferro, pietre, conchiglie, pasta, filo e performance, land art1) fino al gesto dei vecchi mestieri e dei nostri gesti quotidiani.

Di Nadia Merica Formentini ci hanno colpito alcune sue opere in cera d’api: Chiodini (Fig. 5), Una pagina (panetto di cera grezza lavorato) e Il mare in una scatola di cera.

 

Queste sono solo alcune delle opere esposte nel 2005 nel Parco di Monza presso la Cascina Frutteto, sede della Scuola Agraria.

 

Nel settembre 2009 ha esposto le sue opere a Portovenere (La Spezia) nell’ambito della mostra “Domandare?”; tra queste, sono “apisticamente” interessanti le conchiglie di Gasteropodi raccolte tra gli scogli dall’artista stessa. Nadia Merica Formentini ne ha fatto, con la cera grezza, Piccoli lumini che poi ha acceso tenendoli sospesi in fila come il fuoco di San Venerio (2).

Fig. 5 - Nadia Merica Formentini, Chiodini (2005), (collezione privata).

 

TOMÁŠ GABZDIL

 

Tomáš Gabzdil (www.tomaslibertiny.com), artista nato in Slovacchia nel 1979 ma con studio-laboratorio a Rotterdam (Olanda), da alcuni anni s’impegna al fine di esplorare le strategie del design in arte e scienza.

Nel suo studio produce opere per collezionisti privati, per gallerie e per aziende industriali. Le sue opere sono state acquisite dal Museum of Modern Art di New York, dal Museum Boijmans van Beuningen di Rotterdam e dal Cincinnati Art Museum (uno dei più antichi musei degli Stati Uniti). Quest’artista nel 2010 ha provveduto a un’installazione molto suggestiva ed emozionante che esula da certa arte intesa come provocazione autoreferenziale.


L’opera Instostenibile leggerezza dell’essere (Unbearable Lightness) è costituita da una scultura in plastica trasparente, chiusa sotto vetro, che rappresenta l’immagine di Cristo in croce (Fig. 6
Sulla scultura sono disposte 60.000 api che hanno ricreato una “pelle” in cera costituita da numerose cellette nelle quali hanno deposto il loro miele.

La struttura è stata poi colorata dall’artista con colore rosso-arancio a indicare la passione di Cristo; a fine esposizione il miele è rimosso dalla struttura assieme alle api. L’insostenibile leggerezza dell’essere è il risultato della combinazione fra la tecnologia e la natura: le api, infatti, partecipano nella costruzione di una figura che rappresenta un mito.

Le api si dedicano a operazioni che compiono quotidianamente e lo fanno al meglio. Si può affermare che le api sono state progettate dalla natura per fare questo lavoro ripetitivo.

 


Fig. 6 - Tomáš Gabzdil, Instostenibile leggerezza dell’essere (Unbearable Lightness) (2010), (collezione privata).

 

LUCA GIOVAGNOLI

 

Luca Giovagnoli è nato a Rimini nel 1963, dove vive e lavora. Il lavoro dell’artista riminese segna una flagrante anomalia nell’arte contemporanea; Giovagnoli, infatti, è un pittore dalla singolare poetica che esprime con genuina felicità e una personalissima sintesi di segni, la sua sensibilità e le sue emozioni.

 

Della sua ricca produzione ricordiamo Composizione (Fig. 7) e Città d’api.

In queste due opere si vede bene come per lui la pittura costituisce un narrare di tipo prevalentemente lirico staccato dalle necessità di una trama, un viaggio nei territori dell’immaginazione, completamente libero, basato molto sul colore, e in cui emergono tracce di memorie, graffiti, arabeschi, in una sorta di personalissima scrittura.

 

Fig. 7 - Luca Giovagnoli, Composizione (2001), (collezione privata).

 

ROBERT C.A. GOFF

Fig. 8 - Robert Goff, Faerie stuzzica l’ape con un fiore (ortogonale)
(Faerie teases bee with a flower (Orthogonal)) (2009), (collezione dell’artista).


Questo artista statunitense, con esperienze lavorative (sia come grafico sia come scrittore) in numerosi settori (quali arte contemporanea, fantasy, informatica, filosofia, biologia) si dedica alla cosiddetta “arte digitale” producendo opere, grazie alle potenzialità grafiche del personal computer (www.dreamsplice.com).

Ne sono esempio Faerie stuzzica l’ape con un fiore (Faerie teases bee with a flower) del 2009, Faerie stuzzica l’ape con un fiore (ortogonale) (Faerie teases bee with a flower (Orthogonal) (Fig. 8) sempre del 2009.

Queste due immagini sono molto simili come impostazione: la fata Ferie che prende in giro l’ape con un fiore, ma è la loro angolazione che è diversa.

Nella prima, infatti, si rileva una certa visione prospettica mentre nella seconda non c’è alcuna prospettiva. Queste opere rappresentano una realtà “altra”, avulsa dalla comune esperienza dell’uomo: indicativo a questo proposito sono le dimensioni dell’ape in primo piano, volutamente esagerate rispetto a quelle tipiche degli insetti e le fattezze del personaggio che è accanto ad essa.

Tutto ciò è presentato dall’artista attraverso una tecnica artistica partico
larmente innovativa, tecnica multimediale, con la quale le figure e lo stesso paesaggio naturale appaiono in tutta la loro realtà volumetrica e tridimensionalità.

 

JEAN-PATRICIA (PAT) GORDON

 

Pat Gordon è nata ad Arbroath in Scozia (GB) nel 1937; nel 1959 ha vinto il premio Chalmers Jarvis come uno dei più promettenti giovani pittori scozzesi. Dal 1970 al 1980 ha lavorato negli Stati Uniti, Gran Bretagna e Somalia.

Ha partecipato a concorsi di pittura estemporanea vincendo numerosi premi.

Successivamente ha vissuto e lavorato a Crespina in provincia di Pisa; è deceduta il 29 dicembre 2013.

 

Sia nella Fig. 9, dal titolo Apicoltura moderna (disegno di copertina del testo Temi di apicoltura moderna del 1994) sia nella Fig. 10, dal titolo Api nel Polline (disegno di copertina del testo Api e impollinazione del 2000) si nota uno stile molto personale caratterizzato dall’abilità nell’armonizzare i colori sfumati e dalla giusta pennellata delle singole linee.

Tutto ciò ricorda i maestri del Rinascimento italiano.

Fig. 9 - Pat Gordon, Apicoltura moderna (1994)
(collezione privata, Pisa).

Fig. 10 Pat Gordon, Apicoltura moderna (1994) (collezione privata, Pisa).

 


 

 

NOTE

 

1 Termine utilizzato per indicare le opere d’arte realizzate attraverso interventi sul paesaggio naturale. Tale termine fu coniato nel 1969 da Gerry Schum, realizzatore di un videotape che raccoglieva dal vivo gli interventi degli artisti.


2 Termine utilizzato per indicare le opere d’arte realizzate attraverso interventi sul paesaggio naturale. Tale termine fu coniato nel 1969 da Gerry Schum, realizzatore di un videotape che raccoglieva dal vivo gli interventi degli artisti.


3 San Venerio: patrono dei fanalisti (i conduttori dei fari)... accendeva fuochi, sulla vetta del Tino, per dare un punto di riferimento certo ai naviganti spauriti e dispersi nell’Alto Tirreno.

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Renzo Barbattini Dipartimento di Scienze AgroAlimentari, Ambientali e Animali - Università di Udine
Giuseppe Bergamini Museo Diocesano e Gallerie del Tiepolo - Udine

 

PUBBLICATO SU Apitalia, 45 (4) (2020): 53-57 

 

 

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SETTIMA PARTE

 

ESPRESSIONI CREATIVE ISPIRATE DAL NATURALE (PARTE VII) di Renzo Barbattini e Giuseppe Bergamini

 

UNA GALLERIA ENTOMOLOGICA CONTEMPORANEA


 

 

HEATHER GORHAM

 

Di questa poliedrica pittrice texana si possono conoscere notizie dettagliate visitando www.heathergorham.com: tra le numerose opere, riportiamo L’ape regina (The Bee Queen).

 

Il soggetto del quadro è la figura femminile che indossa un cappello che non è altro che un bugno. L’artista raffigura sotto il soggetto umano un’ape regina, quasi a voler sottolineare il legame che lega l’insetto alla donna.

 

Così come la testa è, per noi uomini, la sede dell’intelligenza, il bugno rappresenta per le api la sede delle loro “intelligenza sociale”, presupposto indispensabile per la sopravvivenza e il buon funzionamento della colonia.

 

 

 

NEVENKA GORJANC

 

Nevenka Gorjanc è una pittrice contemporanea autodidatta, nata a Ljubljana (Slovenia) nel 1949 che vive in una casa di riposo per anziani (sempre a Ljubljana). Completamente paralizzata non può usare le mani e, quindi, riesce a dipingere tenendo il pennello tra le sue labbra.

L’ing. Franc Šivic (Associazione Apicoltori Sloveni) ci ha inviato l’immagine di un suo dipinto, realizzato nel 2009 (Fig. 1): esso rappresenta lo stesso Šivic, che è anche apicoltore, nell’atto di portare le api al pascolo.

Il concetto espresso da quest’artista, dotata di capacità e talento poetico-artistico notevole, tenderebbe ad un post surrealismo, visto attraverso uno stile e una tecnica che richiamano la corrente espressionista e la capacità dei ritrattisti della fine del secolo diciannovesimo.

Nevenka Gorjanc, nonostante la sua formazione non accademica, non presenta il tratto naïf, ma si ritiene che l’opera faccia parte dell’Arte Simbolica-Figurativa. Molto inusuale e strana è l’immagine di un uomo che guida alcune grosse api come fossero cavalli... Strana e bellissima è la scena di un uomo maturo con uno sguardo fiero che conduce le api dipinte in primo piano.

L’artista mostra una buona capacità pittorica, senza contare la difficoltà che sicuramente incontra nel dipingere con la bocca. Notevole è l’esecuzione, quasi perfetta, delle api, dei fiori e dell’uomo che sembra “governare” le sue api.

Osservando il dipinto s’intuisce che l’uomo ritratto sia, sicuramente, un apicoltore e si può ipotizzare che l’artista, nel concepire l’opera abbia preso lo spunto proprio da questo: dedicare un’opera d’arte ad un apicoltore.

 

Il contesto del dipinto, pur avendo la caratteristica figurativa, si pone su di un piano diverso per il significato simbolico delle grandi api che sono governate dall’apicoltore; si ritiene comunque l’opera degna di una buona pittura, sia sul piano tecnicamente pittorico che sul piano emotivo per il significato che esprime.

Durante le festività natalizie del 2009, la pittrice ha realizzato due dipinti (Fig. 2 e 3) dallo stesso titolo Le api sui fiori di melo (Cebele na cvetju jablane).

 

La professoressa Paola Ferrazzi dell’Università di Torino, esperta di flora, ha confermato che la specie vegetale ritratta nel quadro di Fig. 2 si tratta di Malus domestica ma in quello di Fig. 3 vi sono fiori di un arbusto esotico, Weigela florida.

 

Entrambi si riferiscono alla visita delle api bottinatrici ai fiori di specie di un certo interesse apistico (1).


 

ANDREA GUERZONI

 

 

Andrea Guerzoni (Torino, 1969) vive e lavora a Torino, è diplomato in Pittura all’Accademia Albertina delle Belle Arti. Dal 07/12/2010 al 09/01/2011, l’artista ha esposto al Mag Cafè di Milano disegni e dipinti dedicati ad Alda Merini che si è definita “Una piccola ape furibonda”: “Sono una piccola ape furibonda. Mi piace cambiare di colore. Mi piace cambiare di misura”.

 

Ispirandosi alla poetessa milanese, l’artista torinese ha inventato nel 2005, il personaggio di Aldina, una donnina arruffata e spaesata, dagli occhi segnati e con la gonna dondolante, alle prese di volta in volta con un pianoforte suonato al contrario, con una serie di papaveri che le appaiono e la travolgono, con delle api dispettose che la fanno volare e precipitare a terra.

L’Aldina ha permesso a Guerzoni di vincere, nell’ottobre 2010, il premio del pubblico alla tredicesima edizione della mostra-concorso “Io Espongo” a Torino. In occasione della mostra personale “La danza dell’ape. Aforismi per Alda Merini” sui Navigli l’artista ha presentato il suo nuovo volume di aforismi nel quale sono riprodotti alcuni disegni, inchiostri su carta realizzati nel 2010, riportati qui di seguito:

 

 

 

Piano Aldina! (Fig. 4), Versi fastidiosi (Fig. 5), Abitare il proprio alveare (Fig. 6).

 

Nei disegni di Aldina, e negli aforismi che l’accompagnano, Guerzoni gioca con alcuni elementi che appartengono alla storia di Alda Merini (il disagio psichico, il candore e la fragilità caratteriali, i suoi oggetti feticcio, come il pianoforte e gli immancabili orecchini), e alle sue poesie ma ne trae poi una creazione tutta sua, dal tratto sicuro e personale, imperniata sull’uso esperto del bianco e nero a cui si aggiunge, a tempo debito, il rosso.

 

mpo stesso tragica e comica, il pianto e il riso, l’alto e il basso, il sublime e il triviale s’intrecciano in un unico “ri-tratto”. Il tono mordace, la levità gradevole quanto ingannevole che fa da supporto a contenuti in genere ponderosi, sono la sua cifra stilistica.

 

JUDI HARVEST

 

Quest’artista, nata a Miami (Florida, USA, www.judiharvest.com) si trasferì a New York nel 1975, ove tuttora risiede e lavora, ha trascorso un lungo periodo (1987-1991) a Venezia; in questa città torna 3 o 4 volte ogni anno per lavorare a Murano.

Realizza, infatti, grandi opere in vetro, che sono esposte ogni anno alla fermata del vaporetto per San Marco/Calle Vallaresso e sono diventate un appuntamento ricorrente per i suoi collezionisti e per la città di Venezia.

 

Nel 2008 ha realizzato Alveare Monumentale (Monumental Beehive) (Fig. 7) utilizzando oltre che il vetro, anche porcellana, cera d’api, foglie d’oro e resina.

Judi Harvest ha dotato questa grande scultura di luce e di suono; in Fig. 8 si nota l’artista impegnata nella lavorazione della scultura.

Nello stesso anno ha dipinto gli olii Ape rossa (Red Bee), Ape d’inverno (Winter Bee) e Sciame (Swarm): questi dipinti sono solo alcuni dei quadri della serie Api (Bee).

 

Le opere pittoriche realizzate da quest’artista americana rivelano una notevole sensibilità per il linguaggio cromatico, per la stesura del colore sulla tela.

Ed è proprio questa la peculiarità di Judi Harvest, per la quale l’aspetto cromatico riveste un’importanza paragonabile a quella del disegno: attraverso stesure dense e compatte, decise e pregnanti, il colore non è subordinato al disegno, poiché contribuisce a “formare” l’opera d’arte.


Un colore che ricorda da vicino, soprattutto in alcune realizzazioni, l’emotività visiva dell’Espressionismo astratto americano degli anni cinquanta del Novecento.

 

ANNA MARIA INDINO

Anna Maria Indino (in arte AMY) è nata in Puglia ma risiede a Milano, ove svolge la sua attività di conduttrice di una galleria d’arte.
Quest’artista, autodidatta, vive l’arte visiva, con la partecipazione di svariati materiali di recupero e da riciclo, tappi di sughero, di birra, di cosmetici e minuteria varia.

 

AMY è un compositore moderno, poiché vive l’attualità e trasporta nel suo mondo d’oggi, le emozioni di recupero di materiali e colori dimenticati, passati. Della sua ricca produzione riportiamo il dipinto dal titolo Torna, sta casa aspetta a te del 2008 (Fig. 9).

Esso è una sorta di Dipinto-Collage con materiali di recupero, ispirata al mondo delle api con impatto istintivo nell’avere posato i colori nelle varie “casette” (in realtà sono le cellette dei favi) esagonali tipiche e con effetto materico nei suoi contorni perfetti.

 

L’unica “casetta” non abitata è quella centrale che, pur essendo priva di colore, ha però una corona reale, simbolicamente lasciata a casa da una regina che ritornerà... e, in effetti, eccola che ritorna in basso a destra con le ali dorate, mentre tutte le altre api l’aspettavano e la osservano dalla propria casa.

 

In definitiva, è apprezzabile il contenuto simbolico che l’artista ha dato all’opera, come una sorta di piccola storia che a veder bene s’intuisce spontaneamente quando si guarda questo quadro.


ANDRZEJ JACKOWSKI

Andrzej Jackowski è nato nel 1947 a Penley (North Wales, UK); è un pittore individualista, ai margini della pittura moderna che si pone in una situazione narrativa del suo passato o dei suoi ricordi.

 

Nei suoi dipinti si notano il cielo, spesso nero o molto scuro, con alla base una bassa scena narrativa e l’insistenza di piccoli letti d’ospedale, alcuni vuoti, ma altri occupati da persone o cose che fanno pensare alla felicità di una nascita e alla tristezza di una morte

 

Di questo pittore riportiamo due grandi tele dal titolo che richiama il mondo apistico: Arnia (Hive) (Fig. 10) del 1989 e Il figlio dell’apicoltore (The Beekeeper’s Son) (Fig. 11) del 1991.

Riguardo a quest’ultimo dipinto, occorre segnalare che l’artista dipinse nel 1997 un’altra tela dallo stesso titolo (The Beekeeper’s Son). In esse sono rappresentate esperienze del pittore che possono essere dirette o anche solo marginali, assolutamente descrittive e interpretative del suo inconscio, dove la chiave di lettura la si può inquadrare nella piccola valigia aperta alla base dei due dipinti con lo stesso titolo.

L’inserimento della valigia piena d’oggetti e immagini presuppone lo scrigno dei suoi segreti e ricordi. Il dipinto Hive sembra un albero d’api che pullulano attorno all’arnia, e anche questa visione è rappresentata dal pittore e trasportata sulla tela nel preciso istante di quando egli aveva fissato questa scena nel suo inconscio.

Il figlio dell’apicoltore ripetuto due volte, sospeso tra le api, rappresenta la sua visione in quell’esperienza apistica, abbastanza incisiva visto che è stata ripresa due volte..



 

 

NOTE

Coltivato in numerose varietà, Malus domestica Borkh. (famiglia Rosaceae, nome volgare: melo) fiorisce in primavera e consente la produzione di mieli uniflorali chiari e dall’aroma e sapore delicati (potenziale mellifero 10 kg/ha). È raccolto anche il pollline, di colore grigio. Si produce, inoltre, melata per l’attacco di Aphis pomi De Geer e di Cacopsylla mali Schmid. Nei giardini è coltivata, a scopo ornamentale, Weigela florida (Bunge) A. DC. (famiglia Caprifoliaceae, nome volgare: Diervilla) che fiorisce in primavera ed è visitata soprattutto per il nettare da api e bombi.

 

Renzo Barbattini Dipartimento di Scienze AgroAlimentari, Ambientali e Animali - Università di Udine
Giuseppe Bergamini Museo Diocesano e Gallerie del Tiepolo - Udine

PUBBLICATO SU Apitalia | 7-8/2020

 

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OTTAVA PARTE



DI: Renzo Barbattini Dipartimento di Scienze AgroAlimentari, Ambientali e Animali - Università di Udine

- Massimo Ghirardi . Illustratore e araldista, insegnante atelierista del Comune di Reggio Emilia

 

 

UNA TRANQUILLA INQUIETUDINE

 

 

È un dipinto senza tempo, dove le stagioni non hanno ragione d’essere, come in un gioco d’amore, dove in un attimo una lettera ti può cambiare la vita. I due innamorati si riposano e pensano. Dallo sguardo inquieto dell’Uomo-Ape al volto sereno della donna, i due personaggi sembrano essere complici, ma consapevoli che quell’amore che ora è quasi impossibile, forse un giorno diverrà normale ...

Ritva Voutila, nota pittrice e illustratrice di origine finlandese (è nata nel 1946 a Nokia, Finlandia), ha studiato Arte all’Università di Helsinki; trasferitasi una prima volta nel 1968 a Sidney, in Australia, per seguire i corsi presso la Paddington Art School e alla Julian Ashton School of Fine Arts e dove ritorna definitivamente nel 1981.

Ha conseguito una laurea in Filosofia presso la Macquarie University di Sydney, e ha studiato Design Urbano presso la Sydney University. Ha un interesse speciale per la filosofia per i bambini, per i quali organizza corsi molto apprezzati e seguiti in tutto il Paese. Attualmente vive a Katoomba (Victoria, a 100 km a ovest di Sydney) ed è molto attiva nel settore dell’illustrazione di libri per ragazzi.

Notizie approfondite sulla sua attività artistica si possono ritrovare nel sito www.ritvavoutila.com

 

Della sua produzione artistica attinente agli argomenti di nostro interesse, riportiamo Bee My Love (fig. 1), realizzato nel 1999) e The Road del 2003 (fig. 2) che riportano l’eco della passata professione di progettista di giardini.


MY LOVE

L’autrice, del primo dipinto dà questa lettura: “il significato di Bee My Love è che anche se l’amore, di solito, entra a far parte della vita di ognuno di noi in modo piacevole, esso può anche possedere una componente fastidiosa come il pungiglione di un’ape, diventando motivo di angoscia e sofferenza. In questo dipinto c'è una componente autobiografica: la lettera sul pavimento è indirizzata a qualcuno che io conobbi a suo tempo quando ancora vivevo in Spagna.

 

Essa contiene il rifiuto a una proposta di matrimonio. Le zucche si riferiscono a un detto spagnolo "dar calabazas", che potrebbe avere lo stesso significato in Italiano di "rispondere picche o piantare in asso o rifiutare un innamorato". Le ciliegie fanno riferimento al detto secondo cui tu dovresti raccoglierle quando sono mature.

Forse nel mio caso il momento non era ancora “maturo” - quello giusto - per avere una relazione duratura.

La scacchiera è qui rappresentata per far riflettere su una domanda “può l'amore essere solo un gioco?”.

Circa il quadro di fig. 1, il pittore parmigiano Giuliano Zoppi ha detto:

“A prima vista questo dipinto ha un impatto visivo notevole e alquanto ambiguo, simile ad un sogno impossibile. Guardando più approfonditamente il dipinto se ne deduce che la pittrice è dotata di grande talento pittorico, e richiama una tecnica di surrealismo onirico.

Analizzando i soggetti ne risulta un contesto complessivo dove il dipinto è rappresentato su un piano agreste semplice. È un dipinto senza tempo, dove le stagioni non hanno ragione d’essere, come in un gioco d’amore, dove in un attimo una lettera ti può cambiare la vita.

I due innamorati si riposano e pensano. Dallo sguardo inquieto dell’Uomo-Ape al volto sereno della donna, i due personaggi sembrano essere complici, ma consapevoli che quell’amore che ora è quasi impossibile, forse un giorno diverrà normale. Il piccolo nastro svolazzante nel cielo offre la chiave di lettura del dipinto: BEE MY LOVE, dove la donna ama l’ape, e probabilmente la idealizza in un essere quasi umano, con cui fa l’amore e si rasserena con lui“.

 

Sempre a proposito di questo dipinto Katia Violi Michelet, artista anch’essa di origine parmigiana (oggi operante a Domme in Dordogna, Francia) così commenta:

“Il lavoro è certamente curioso e la presenza d’oggetti specifici si presta ad innumerevoli interpretazioni: ci si può sbizzarrire sui significati simbolici di alcuni particolari, molti dei quali abbastanza trasparenti e di ascendenza classica, piazzati qua e là nel quadro. Forse tutto deriva, molto semplicemente, da un gioco di parole anglofono: “Bee my love/Be my love” (“Ape amore mio/ Sii il mio amore”). Saremmo di fronte ad un rebus quindi: ad un messaggio erotico, diretto ad un preciso spettatore. Forse.

C’è una scala: allude al fatto che la dama è stata un’ardua conquista? Pare ne sia valsa la pena, vista tutta quest’opulenza di zucche (alcuni vorrebbero riconoscervi la varietà “Moscata di Provenza”)… popolarmente si dice che le api perdano ogni ritegno allorché entrano negli inebrianti fiori di zucca, quindi questo “apone” dovrebbe essere in estasi.

Ma ha un’aria meditabonda e tiene gli occhi aperti. Forse c’è un inghippo…

La ciliegia solitaria è un noto simbolo poetico: rappresenta spesso la separazione tra gli amanti; accanto c’è un biglietto (o forse una classica lettera d’amore) e sarebbe interessante sapere cosa c’è scritto… vicino le ciliegie sono due e, accanto, ce n’è addirittura un cestino. Saranno allusive ad un grande amore (“all my love”)?

Ma è appoggiato alla scacchiera, il “campo” in gergo scacchistico e araldico, cioè sul “luogo dove si svolgono i giochi”. L’amore è un gioco? Stiamo solo giocando? O tutti i giochi sono fatti? Perché poi, tra tutti i pezzi del gioco degli scacchi, l’autrice abbia scelto proprio il cavallo è un altro intrigo… è un pezzo che fa una mossa molto strana: con uno scarto a lato molto pericoloso, equinamente imprevedibile, in un ambito dove tutti gli altri pezzi si muovono in modo rettilineo… l’abbiamo già detto: forse c’è un imbroglio: a crooked move. In inglese a crook è un imbroglione, ma crooked significa anche storto, piegato, allusivo forse proprio alla mossa del cavallo?

Possibile che l’Uomo-Fuco sospetti o tema che tutto quel nettare dorato sia un’insidia: tanta generosità nel fiore potrebbe nascondere fini personali. La dama-zucca è serena: come ogni bravo fiore dell’orto si compiace soddisfatto d’essersi assicurato il suo apone impollinatore, ed è contenta così.

Ma sembra lui, l’Uomo-Fuco, il centro di tutto. Lei, benevola, allude ad una sessualità generativa. Forse l’enigma è da ricercare nella velata allusione all'inutilità dei maschi: non a caso “l'Autore” del dipinto è una donna ed anche se la dama non ha una testa accademicamente bella (e, proprio per questo, potrebbe essere un autoritratto), è LUI l'unica creatura ibrida: un misto fra il mostruoso ed il grottesco. Avrebbe potuto dipingere un maschio dotato di corpo umano e con una testa d’insetto, ma sarebbe cambiato tutto e saremmo entrati in tutt’altro campo, sicuramente più inquietante.

Questo maschio ha una testa umana che, per definizione, dovrebbe ragionare: al contrario avrebbe potuto alludere ad altro organo col quale ragionano gli uomini d’oggi… Anche se, dopotutto, il ruolo dei maschi è, biologicamente ed essenzialmente, quello di consentire la riproduzione ed è loro natura quella di fecondare più femmine. Altro non gli si chiede…

Siamo di fronte ad una metaforica Ape (regina?) che accoglie fra le sue braccia un maschio del tutto disorientato e insicuro, che se ne sta lì (anche perché sembra non aver meglio da fare né, soprattutto, altro luogo in cui andare); ma è anche materna, protettiva, “superiore”: olimpica. Ha un'espressione sicuramente soddisfatta, mentre lui ha una faccia lunga e sembra meditabondo. Confessiamolo: non è un dipinto straordinario.

Ma non vogliamo vederci la nostra generazione di “uomini fuco” alle prese con matrone Apone-Regine che, impietosite, ci accolgono e ci accudiscono, in un’ebbrezza d’abbondanze carnali e gastronomiche (pensiamo all’opulenza di certe matrone di Botero, come pure ad alcune Veneri giorgionesche, tizianesche, rubensiane, ecc.; o, se guardiamo bene le gambe, anche al primo Picasso ancora figurativo). Forse si possono scorgere accenni ad accumuli di nubi pesanti all’orizzonte (per forza: che futuro vuoi farti con gli uomini-fuco?), per ora ci sono solo nuvolette da vedutista inglese: il cielo è sereno e promette un abbondante raccolto”.

Leggendo il quadro in chiave “entomologico-apistica” è forte il richiamo all’impollinazione.

L’attività̀ delle api, infatti, non si esaurisce nella sola produzione di miele, sia perché cera, propoli, polline, pappa reale, veleno possono essere prodotti da alcuni apicoltori sia perché l’impollinazione ricopre un ruolo importantissimo nel favorire il perpetuarsi di numerose specie vegetali, sia coltivate che spontanee consentendo di salvaguardare la biodiversità̀ di un territorio.

Nel dipinto si notano zucche e ciliegie: il risultato della cosiddetta fecondazione incrociata. Cucurbita maxima e Prunus avium, come la maggior parte delle piante d’interesse agrario, necessitano degli insetti pronubi (cui fondamentale è l’ape) per l’impollinazione.

Anche nel quadro di fig. 2 c’è un richiamo all’impollinazione. Sulla valigia con le ruote si è posata un’ape. Che non sia la famosa “ape-postino”, portatrice di polline?

Secondo l’artista, il dipinto The Road (La Strada) fa riferimento all’ansia dovuta a una separazione: i bambini, alla fine, dovranno abbandonare l’ambiente protettivo della loro casa, dove tutti i loro bisogni vengono soddisfatti dalla "mamma chioccia" (cibi fatti in casa, ecc.) e tutti, i figli e la madre, devono seguire la propria strada.

Il ramoscello di quercia che uno dei bambini sta toccando sotto il mantello, rinforza l’idea della separazione, come il detto che dice: una ghianda non cade lontano dalla quercia (madre


Giuliano Zoppi, a proposito di questo dipinto dice: “Osservando questo dipinto, la sensazione che si prova è l’attesa per un’improbabile partenza. La donna in primo piano è elegante, e porta un cappello che richiama la chioccia quando protegge i suoi pulcini, rappresentati in questo caso dai tre bambini uguali, impauriti e guardinghi, ma protetti dal suo manto.

 

Il piano prospettico è infinito e vuoto, se non fosse per la presenza di un vecchio segnale ferroviario e un solco tracciato, ma senza strada ferrata, che ne indica un intervento umano quasi come per spezzarne la desolante realtà.

Lo strano connubio dell’uovo con le ostriche denota un contrasto fra ricchezza e povertà come quasi che in quel punto siano passate persone di ogni estrazione sociale.


Nel suo insieme il dipinto appare statico, ma è solo la piccola ape sulla valigia che con il suo repentino movimento immaginato riesce a muovere in quell’istante l’immobilità del momento.

 

Per riprendere il filo-conduttore che caratterizza il dipinto occorre inserirlo nella situazione di un’estenuante attesa per una partenza verso una destinazione ignota con un treno che non passerà mai.

Nel complesso tutto il contesto è come se fosse in un tempo sospeso, angosciante e incerto, ma solo la piccola ape con il suo movimento apparentemente caotico rappresenta una certezza”.

 

Ci piace riportare anche la lettura di un’ulteriore parmigiana, Ornella Pavesi:

“Sembra un tipico paesaggio agreste australiano dove la pittrice Ritva Voutila vive e lavora. Il tutto sembra senza tempo come il segnale che indica che in quel luogo, un giorno passerà un treno.

Nel dipinto primeggia la figura femminile di una donna antica e nobile (ai piedi della sua pelliccia si nascondono tre bimbi): i segni della sua nobiltà si notano dal suo mantello e dalle ostriche lasciate sul terreno con noncuranza. Sembra che in questo luogo deserto un'ape si sia stancata di girovagare e abbia deciso di posarsi su di una strana valigia con ruote per farsi trasportare in altri luoghi e per continuare il suo lavoro di impollinatrice”.

 

Da parte nostra tendiamo a vederlo come il ritratto della donna moderna in carriera, single con i figli a carico e agguerrita (e forse triste... notare il solito muso lungo che possiamo assumere come cifra stilistica della pur brava, Ritva).

Sempre Katia Violi Michelet ci invita a osservare … il lungo cappottone che nasconde completamente le forme della signora; osservate il pesce (simbolo femminile in moltissime culture) ficcato in tasca senza tante cerimonie (se poi da interpretarsi al maschile: è ancora più chiaro che dell’uomo costei se ne fa poco, giusto quando serve).

Osservate la maschera da gallo (credo che tutti conosciate il significato scurrile dell’inglese cock che indica non solo il maschio della gallina) che, come i fagiani, sono simboli di sessualità maschile rampante e un po’ stolida. La signora deve dimostrare che è tosta, che lavora come un uomo, anzi meglio di un uomo, più di un uomo!

Osservate la progenie spaurita nascosta alla vista sotto lo stesso paltò, e l’uovo (allusivo alla fertilità) spiaccicato in padella (“non c'è tempo per far figli, già ho da fare a nutrire questi, per ora sono solo ghiande e prima che diventino querce ce ne vuole! Chissà se riuscirò mai a farmi il fondo pensione…”).

I collant poi, li ha attaccati all’ombrello a mo’ di segnavento, a indossarli non ci pensa proprio. Oppure stanno lì, pronti per incantare il prossimo uomo/gallo/pesce (ma soprattutto fagiano) per un po’ di sollazzo …

La valigia con le ruote allude forse all’impossibilità della donna lavoratrice di adagiarsi tra le comodità di un focolare classico? Perché poi il bagaglio porta i colori del Sacro Romano Impero (losanghe nere e oro)? Forse che viaggiare non è più un piacere ma un “imperativo”? Mmmm: no, troppo complicato … Forse c’è un’allusione di dominio. Dopotutto il motto della casa d’Asburgo era A.E.I.O.U. (Austria Est Imperare Orbe Universo) …

O richiama alla necessità di un giorno più lungo di 24 ore, nelle quali non si riesce a portare a termine il lavoro? Come pensava Carlo V sul Regno del quale il sole non tramontava mai…

L'ombrello è minuscolo, forse nonostante tutto questo lavorare e sacrificare si gode di ben poco senso di sicurezza nello sterminato paesaggio australiano, dove (va detto) non piove e il sole ti frigge il cervello; laggiù un ombrello un po' più serio ci vorrebbe davvero.

 

Quanto all'ape, simbolo per eccellenza di laboriosità (anche se sembra una vespa…), stavolta le è andata male, questo tipo di donna non è il genere “Lady-Zucca” con gioie carnose e zuccherose da offrire. Se ne sta lì a cincischiare sulla valigia come se fosse in prestito: giusto un riposino per recuperare le forze e tornar a lavorare …”.

La “tranquilla inquietudine” che pervade le opere di Ritva Voutila fa di lei un esponente degli artisti contemporanei sensibili a ciò che non va della nostra società, verso la quale posano lo sguardo attento e ironico.

Le sue illustrazioni sono apparse regolarmente anche su riviste, copertine di libri e manifesti e cartelloni pubblicitari

 

 

 

 

 

Ringraziamenti

 

 

Un ringraziamento particolare al pittore Giuliano Zoppi

(foto a destra, insieme al dipinto “L’Apicoltore al lavoro”, 2008),

che ha collaborato a questo e ad altri articoli precedenti, improvvisamente mancato il primo luglio 2020.

 

Che la terra gli sia lieve.

 


 

ARTE PER DIVERTIMENTO

 

LE RICERCHE DIGITALI DI MARGHERITA CHANG


Massimo Ghirardi (1) Renzo Barbattini (2)

 

1 Istituzione Scuole e Nidi d'infanzia del Comune di Reggio Emila

2) Università di Udine

 

 

Quando la serenità viene dall'armonia della natura (le montagne, la casa nel bosco) e dal rapporto che noi siamo in grado di istaurare con essa

 

Margherita Chang (nata a metà del secolo scorso a Borgosesia in provincia di Vercelli) è stata docente di Economia agraria e Estimo presso l’Università di Udine.

 

Appassionata d’arte, si dedica (come hobby personale) alla pittura digitale ispirandosi soprattutto alla Pop Art: suo riferimento principale è Andy Warhol, ma si ritrovano assonanze con la ricerca di Ugo Nespolo o di Milton Ernest Rauschenberg, con tinte sature e acide, segni decisi intrecciati a elementi indefiniti, sovrapposizioni di elementi, campiture dense e materiche.

Alcuni anni fa il suo collega entomologo, Renzo Barbattini, un po’ per celia, le diede una foto sua e della moglie Franca (Fig. 1), scattata a Resy, piacevolissima località valdostana, da “rielaborare” attraverso la tecnica di digital-art.

Ne uscì un lavoro al quale venne dato il titolo "Io, l’ape e tu" (Fig. 2).

 

Questo titolo riecheggia la nota canzone “Io, mammete e tu” (“Io, tua madre e tu”) che fu cantata, tra gli altri da Domenico Modugno e Renato Carosone, nel quale “mammete” (“tua madre”) viene sostituito con “ape” (in napoletano il termine più esatto sarebbe “chiacchione” o “cacchiòne”).

L’intento è quello di dileggiare l’entomologo per la nota “mania” per l’ape e l’apicultura (che, ci tiene, si distingue dall’apicoltura!) che fa del docente dell’Università di Udine (ma di origine piacentina) uno appassionato del settore.

Per completare lo scherzo la “sostituzione” è stata fatta anche nel testo della canzone, con esiti esilaranti, ad esempio:

 

 

“Io, l'ape e tu/

Ti avevo detto dal primo appuntamento/

'e nun purtà nisciuno appriesso a te...

/invece mo nu frato,/

na sora, na nepote.../

sola nun staje na vota:/

ascimmo sempre a tre!

 

E mi hai promesso: "Domani chi lo sa.../

vengo io soltanto...soltanto con l'ape!"/

 

Io, l'ape e tu/

passiammo pe' Tuledo,/

nuje annanze e l'ape arreto...

 

Io, l'ape e tu/

sempre appriesso,/

cose 'e pazze:/

chesta vène pure o^ viaggio 'e nozze.../

Jamm'o cinema, a abballà,/

si cercammo 'e ce 'a squaglià,/

comme nu carabiniere/

chella vène a ce afferrà.../

 

Ah, ah, ah.../

ma, 'nnammurato,/

so rassignato:/non reagisco più.../

io, l'ape e tu!/

io, l'ape e tu...”

 

 

 

 

(…. Traduzione:

 

Io, l’ape e tu/

Ti avevo detto dal primo appuntamento/

di non portare nessuno con te.../

invece adesso un fratello,/

/una sorella, una nipote.../

da sola non vieni mai:/

usciamo sempre in tre!/

 

E mi hai promesso: "Domani chi lo sa.../

vengo io soltanto...soltanto con l'ape!"/

/ Io, l'ape e tu/

passeggiamo per (via) Toledo,/

noi davanti e l’ape dietro.../

 

Io, l'ape e tu/

sempre appresso,/

roba da matti:/

questa viene pure in viaggio di nozze.../


Andiamo al cinema, a ballare,/

se cerchiamo di scappare,/

come un carabiniere/

quella viene e ci acciuffa.../

 

Ah, ah, ah.../

ma, 'innamorato,/

sono rassegnato:/

non reagisco più.../

io, l'ape e tu!/

io, l'ape e tu... (…).

 

La cifra caratteristica di alcuni lavori della Chang, questo “Io, ape e tu” in particolare, è un “vibrato” delle figure, che appaiono instabili, come se fosse impossibile per loro restare ferme sul supporto (digitale), ottenuto con la semplificazione e suddivisione delle tinte ridotte ad una tavolozza primaria “piatta” e di impatto elettrico; i pixels dell’immagine sono molto dilatati e conferiscono un’indefinitezza che è metà strada tra il cartellone pubblicitario (magari al led) e la commozione a quadretti tipica dei canovacci da ricamare a “punto croce” (un’amica stilista ci dice che le immagini di Margherita Chang si presterebbero ad essere riprodotte su capi direttamente intessute e non stampate).

 

In altri elaborati la tecnica e il segno sono più netti e assai prossimi alle stampe xilografiche, soprattuto etniche.

 

Franco Rosa, collega dell’università di Udine, commenta: il lavoro "Io, l’ape e tu" evidenzia come Renzo Barbattini e la moglie siano una coppia affiatata e consapevole che la serenità viene dall'armonia della natura (le montagne, la casa nel bosco) e dal rapporto che noi siamo in grado di istaurare con essa.

 

Il numero tre indica la perfezione e l’ape metaforicamente segnala l’equilibrio naturale (come si dice, attribuendo erroneamente la frase al grande scienziato Albert Eintein: quando moriranno tutte le api, dopo poco anche l'uomo si estinguerà).

 

È doverosa un’annotazione entomologica/apistica su quanto raffigurato sulla maglietta di Renzo Barbattini: un’ape bottinatrice su un fiore di pratolina (Bellis perennis). I fiori di questa specie botanica, appartenente alla famiglia Asteraceae sono visitati dalle api, soprattutto in primavera, per raccogliere polline in quanto offre abbondanti fioriture nei prati sia di pianura che di montagna; pratolina, invece, produce poco nettare; presente per lunghi periodi di fioriture ma spesso sono preferite altre specie fiorite in contemporanee, più redditizie.

 

Colpisce l’aspetto apistico messo volutamente in risalto. L’ape carica di polline sul fiore è al centro della scena. In conclusione si può affermare che la prof.ssa Chang ha realizzato un’elaborazione poetica della bella foto utilizzando con maestria e sensibilità il mezzo informatico che padroneggia e trasforma in uno strumento d’arte.

 

 

 

 

 

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e, di altro argomento:

- Appunti di vacanze - Il rifugio di Resy

- Metamorfosi del legno

- Pellegrinaggio in Terrasanta

 

 

Di altri Autori:

- sull'argomento "Miele" in Collaborazioni varie, di Maria Cristina Caldelli: DOLCILOQUIO - A TAVOLA CON IL MIELE ITALIANO.


- sull'argomento "Api e Religione", segnaliamo in Collaborazioni Varie l'articolo del Prof. Franco Frilli - "L'Ape nella Sacra Scrittura".

 

 

 

 

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