Rubriche di
Patrizia Fontana Roca

COLLABORAZIONI

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PREMESSA

 

Eccomi qua! Un altro lavoro messo nero su bianco!
Come è nato e perché?

Avete mai visto il film “Koda fratello orso”? Oppure “Il grande orso”?
Qui è la risposta….. dopo aver visto questi due film è nato il percorso di una vacanzina (campo estivo ragazzi), che aveva come filo rosso, l’orso. Allora ho cercato, per raccontarlo hai ragazzi, dei racconti agiografici che parlassero di santi e orsi. Ecco tutto! Buona lettura.

Una dedica a: Lorenzo, Elena, Viviana, Luisa, suor Tiziana e Raffaello… grazie della vacanzina!

PS. non tutti i testi sono miei… a ciascuno il suo, mia è sola la ricerca!


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LA SANTITÀ DELL’ORSO

 

San Corbiniano

Nel cantone sinistro della cappa, compare un orso, di colore bruno (al naturale), che porta un fardello sul dorso. Un'antica tradizione racconta come il primo Vescovo di Frisinga, san Corbiniano (nato verso il 680 in Chartres, Francia, morto l'8 settembre 730), messosi in viaggio per recarsi a Roma a cavallo, mentre attraversava una foresta fu assalito da un orso, che gli sbranò il cavallo.

Egli però riuscì non solo ad ammansire l'orso, ma a caricarlo dei suoi bagagli facendosi accompagnare da lui fino a Roma.

Per cui l'orso è rappresentato con un fardello sul dorso. La facile interpretazione della simbologia vuole vedere nell'orso addomesticato dalla grazia di Dio lo stesso Vescovo di Frisinga, e suole vedere nel fardello il peso dell'episcopato da lui portato.

 

San Romedio

Romedio, ricco e potente signorotto tirolese, capace di abbandonare terreni, miniere di sale e il suo bel castello di Thaur, vicino ad Innsbruck, per ritirarsi come eremita sulle montagne del Trentino.
Romedio aveva più volte mostrato di quali miracoli era capace, guarendo gli ammalati, facendo scaturire sorgenti dalle roccia, convincendo delle cornacchie ad aiutarlo a costruire una chiesetta, dedicata alla Trinità, in Val di Non.
Romedio, ormai avanti con gli anni, abita in una grotta insieme a due discepoli, Abramo e Davide. Un giorno ordina a Davide di sellare il cavallo; Davide esce ma torna subito indietro terrorizzato.

Aveva scoperto che un orso stava sbranando il cavallo. Romedio non si scompone e ordina a Davide di tornare fuori e di mettere le briglie all'orso.
Davide si fida, si avvicina un po' tremante all'orso e con sorpresa l'animale piega il capo, abbassa il dorso, si lascia mettere sella e briglie.

Il Santo scende le valli ed entra a Trento in groppa all'orso, accolto dalla popolazione e da uno stormo di uccelli.
Oggi nel santuario dedicato a San Romedio troviamo l'orso in carne ed ossa.

 




San Colombano

Colombano è uno dei rappresentanti del mondo monastico che danno origine a quella 'peregrinatio pro Domino', che costituì uno dei fattori dell'evangelizzazione e del rinnovamento culturale dell'Europa.
Dall'Irlanda passò (c. 590) in Francia, Svizzera e Italia Settentrionale, creando e organizzando comunità ecclesiastiche e fondando vari monasteri, alcuni dei quali, per esempio Luxeuil e Bobbio, celebri per gli omonimi libri liturgici.
La regola monastica che codifica la sua spiritualità è improntata a grande rigore e intende associare i monaci al sacrificio di Cristo. La sua prassi monastica ha influito sulla nuova disciplina penitenziale dell'Occidente.

Si racconta che un orso stava divorando i resti un cerco ucciso dai lupi. Il santo ordino alla bestiola di non sciuparne la pelle che poteva servire ai monaci per fare dei comodi calzari. L’orso obbedì! Un secondo episodio.. il santo convince un orso a condividere un cespuglio di bacche da cui il santo eremita si cibava… basto un segno di croce e una immaginaria divisione e tutto fu fatto.

 

 

San Gallo

Irlandese, discepolo di san Colombano, Gallo (Gallech) si trasferì con questi sul continente. Vissero insieme a Luxueil e a Bregenz, sul lago di Costanza.
Qui si fermò in vita eremitica, mentre Colombano si recò in Italia, dove fondò l'abbazia di Bobbio. Con alcuni compagni Gallo si trasferì a ovest di Bregenz nella regione della Svevia, dove morì tra il 630 e il 645.
Sulla sua tomba sorse una chiesa, primo nucleo dell'abbazia di San Gallo, intorno alla quale si sviluppò l'omonima città svizzera.

Un giorno, mentre Gallo era in preghiera, un orso sarebbe venuto per cibarsi dei resti del pasto. La bestia era zoppicante perché aveva nella zampa una spina, Gallo avrebbe tolto dal piede dell'orso una spina e questo lo avrebbe aiutato a costruire il suo eremo.

 

 

Santa Colomba


Colomba, nata a Rimini, proveniva da una famiglia pagana; dopo essere stata battezzata, si trasferì a Sens in Francia.
Fu martirizzata per ordine dell'Imperatore Aureliano nella seconda metà del III secolo. Si racconta che posta tra le bestie feroci per essere sbranata, la santa ammansii un orsa che la difese. I carnefici decisero di mettere al rogo sia al Santa che l’orsa, ma la ragazza con un segno di croce spense il fuoco e fece fuggire la bestiola, allora i persecutori pieni di ira al decapitarono.

 

San Fiorenzo

S. Gregorio Magno ne narra la vita nei Dialoghi. Di Eutizio si ha pure una leggenda di origine tardiva, in cui gli si attribuiscono le vicende raccontate da s. Gregorio e quanto si trova negli Atti favolosi di un altro Eutizio.


Dopo aver condotto assieme a Fiorenzo vita solitaria in Nursina provincia, Eutizio fu eletto abate di un monastero in Val Castoriana, celebre nel Medio Evo, che resse per molti anni e che da lui prese il nome, pur non essendone stato egli il fondatore.


Il Rivera ritiene, seguendo altri, che la venuta di Eutizio in Val Castoriana e la costruzione del monastero, risalgano ai primi tempi dell'invasione ostrogota, cioè dopo il 487.

Quando Eutizio divenne abate, Fiorenzo rimase solo e, soffrendone, pregò il Signore di mandargli un compagno. Appena uscito dall'oratorio trovò un orso, al quale diede l'incarico di portargli al pascolo quattro o cinque capre, lavoro che l'animale compiva con cura.

 

San Sergio

 

Il celebre Monastero della Trinità-San Sergio a Zagorsk fu fondato attorno alla metà del XIV secolo dal Venerabile Sergio, figlio dei Boiari di Rostov Kiril e Maria, che si erano trasferiti dalla città natale a Radonez.
All'età di sette anni, il giovane Bartolomeo (prese il nome di Sergio alla tonsura monastica) fu mandato a scuola. Nonostante avesse difficoltà di apprendimento, il suo animo era attratto dallo studio; Bartolomeo pregava Dio di aprire la sua mente, e di consentirgli l'accesso al sapere. Un giorno, vagando alla ricerca di alcuni cavalli fuggiti nei campi, al giovane apparve un vecchio monaco, raccolto in preghiera sotto un alto albero.

Il ragazzo si avvicinò al monaco e parlò a lui del suo voto e della sua speranza. Dopo avere ascoltato con partecipazione, il monaco recitò una preghiera per il giovane, affinché la sua mente fosse illuminata. Trasse poi una particola di Pane Eucaristico e con esso benedì il ragazzo, dicendo: "Prendi, e mangiane, questo ti è dato come segno della grazia di Dio, e come aiuto nella comprensione delle Scritture". E Bartolomeo ricevette la grazia dell'apprendimento e fu in grado di imparare, leggere e memorizzare con facilità.
L'esperienza con il monaco fece crescere in Bartolomeo il desiderio di servire Dio; il giovane desiderava trascorrere la vita nell'isolamento e nella preghiera, ma questa vocazione fu per qualche tempo frenata dall'amore per la propria famiglia.
Bartolomeo era buon carattere e di indole ascetica: umile e gentile, non si irritava mai; si cibava do pane ed acqua, astenendosi da ogni cibo e bevanda nei giorni di digiuno. Dopo la morte dei genitori, Bartolomeo rinunziò all'eredità in favore del fratello minore Pietro, e assieme al fratello Stefano si insediò in una foresta selvaggia e isolata a circa 10 chilometri da Radonez, nei pressi del fiume Konchora. I fratelli costruirono una casetta in legno ed una cappella, che fu dedicata alla Santa Trinità e consacrata da un sacerdote inviato dal Metropolita Feognost'. Fu la fondazione della famosa Lavra della Trinità.
Stefano lasciò presto il fratello per diventare igumeno del monastero Bogojavlenskij di Mosca: Bartolomeo, diventato Sergio dopo la tonsura monastica, restò solo nella foresta. La vita non fu facile, tra le tentazioni, e in mezzo a branchi di lupi ed orsi. Un giorno l'anacoreta nutrì un grande orso ponendo un pezzo di pane sul ceppo di un albero. L'orso ne mangiò, e da quel momento si affezionò al venerabile Sergio, e visse nei pressi del suo rifugio… Sergio morì all'età di 78 anni, nel 1392. Il suo corpo fu rinvenuto incorrotto e profumato dopo alcuni decenni dalla inumazione.

 

 

 

 

San Marino

Molti anni fa, quando...
" Temporibus Diocliciani et Maximiani imperatorum, quando persecutionis tempestas catholicam christianorum ecclesiam per totum orbem terrarum dispersam tirranica rabie et hostilibus gladiis deuastabat....."
É questo l' esordio del fantastico viaggio a ritroso nel tempo che stiamo per intraprendere tra antiche terre e genti, nonchè le prime righe del testo agiografico che ci narra le gesta di San Marino, fondatore, a sua insaputa, di una delle più antiche realtà di autodeterminazione spirituale e politica che la storia ricordi.
La leggenda narra che ai tempi di Diocleziano (243-313 d.C.), grande imperatore romano (d'oriente) artefice della cosiddetta tetrarchia, la divisione dell'impero romano in due (occidente ed oriente) e di Massimiano (250-310 d.C.) imperatore d' occidente, giunsero ad Ariminum (l' attuale Rimini) Marino e Leo, due provetti scalpellini dalmati. La città romana era stata da poco distrutta dalle orde selvagge di Demostene, re dei Liburni, giunto dal mare. Nel 257 i due imperatori romani decisero pertanto la ricostruzione della città in rovine. In tal senso fecero chiamare da tutte le regioni d' Europa esperti nelle arti e costruzioni. Arrivarono una moltitudine di operai di tutte le nazionalità: Galli, Germani, Romani, Macedoni, Barbari ed ovviamente Dalmati. Ariminum divenne una città cosmopolita.
Tuttavia in quel momento imperversava una sanguinosa repressione manu militari, indetta dallo stesso Diocleziano, contro i cristiani e la loro religione e tutti i simboli che la rappresentavano. Furono infatti trucidati molti innocenti (considerati all' epoca come facenti parte di una setta) e bruciati libri sacri.
Tra questi operai, lo abbiamo già detto, arrivarono i due lavoratori della pietra, dalla Dalmazia (esattamente dall' isola di Arbe), che ai quei tempi era una provincia imperiale romana, corrispondente alla Croazia attuale. La leggenda ci racconta che Marino e Leo erano persone di eccezionale elevatura morale. Accettarono di prendere parte alla ricostruzione di Ariminum, non tanto per la gloria terrena, quanto piuttosto per quella ultra-terrena, svincolandosi così dai legami materiali, tipicamente umani. Ci viene detto che San Marino era profondo conoscitore di materie divine e religiose, possedendo in tal modo una immensa saggezza che gli permetteva di compiere opere, materiali e soprattutto spirituali, nel massimo rispetto della legge celeste.
Successivamente alla loro venuta sul territorio riminese, gli imperatori Diocleziano e Massimiano maturarono la decisione di inviare sul Monte Titano gli scalpellini onde potere estrarre e lavorare vari tipi di roccia autoctona. Lì rimasero tre anni. Tre anni di duro lavoro, 'dimenticati' sulle impervie sommità del Monte. Terminata la dura prova, i due compagni decisero di divedere le loro strade: Leo si stabilì con compagni sul Monte Feliciano (detto anche Monte Feltro), scavandosi nella roccia una cella, e costruendo con i compagni di viaggio e vita una chiesa in onore di Dio. L' insediamento così fondato prenderà, con il passare del tempo, il nome di San Leo. Marino scelse invece di ritornare a Rimini per non abbandonare i propri compagni. Fece di nuovo valere le sue abilità di incisore, costruendo in breve tempo, due mesi e mezzo, un pozzo. Ma non è tutto. San Marino era un instancabile lavoratore: mentre di notte gli altri dormivano, lui lavorava; laddove per compiere lavori di una certa difficoltà e gravosità occorrevano più uomini e buoi, lui li realizzava con il solo ausilio del suo prezioso asinello. Queste qualità fecero emergere la figura del Santo tra le tante degli operai presenti sui cantieri. Si andava dicendo che era aiutato direttamente dal Signore. Ed è questa la voce che si diffuse in tutta Europa, quando gli operai, a lavoro concluso, tornarono nelle rispettive dimore. Il Santo assumeva dimensione di esempio.
Marino però rimase a Rimini; per ben 12 anni e 3 mesi, racconta la narrazione epigrafica. In questi anni continuò a professare la parola del Signore, ad infuocare gli animi degli ascoltatori, a convincere gli increduli, ad avvicinare alla fede ed al messaggio cristiano molti degli abitanti di Rimini.
Da adesso il destino di San Marino è segnato. La sua notorietà è tale da attirare su di se sguardi clementi ma anche i frutti amari della rivincita del Male. Sicuramente ottima impressione fece al Vescovo Gaudenzio inviato da Roma a Rimini per evangelizzare e convertire i pagani: rimase impressionato dell' opera del Santo, prese a cuore la sua situazione. Il Male invece incarnava le spoglie di una donna, che sentite voci sulle azioni di San Marino, decise di tentarlo a commettere atti peccaminosi. Questa donna, che attraversò il mare Illirico, giunse a Rimini dalla Dalmazia, fingendo di essere la sua legittima sposa. Trovato Marino, tentò dapprima, di sedurlo. Ma non ci riuscì. Il Santo la respingeva ad ogni tentativo. Questa decise di coinvolgere le autorità romane, chiedendo al tribunale di esaminare le sue pretese oltre che per additare lo spiccato ruolo evangelizzatore di Marino.
Le vicende che seguirono la vile denuncia della donna, segnarono per sempre le vicende dell' antica Repubblica, segnando in questo modo l' anno zero della sua storia. Infatti San Marino anticipò le mosse delle autorità romane, scappando da Rimini in direzione del Monte Titano, posto che ovviamente conosceva come nessun altro. Risalendo la valle del fiume Marecchia, poi su per il torrente di San Marino, imboccando poi il fosso del Re, giunse a quello che fu il suo primo rifugio: la grotta della Baldasserona.
Trascorsi 12 mesi immerso in un ambiente ostile, pieno di temibili fiere, patendo il freddo e la fame, alcuni porcai scoprirono il suo nascondiglio e ne divulgarono, in buona fede, l' esatta ubicazione. Appresa la notizia, l' infame falsa consorte accorse presso tale luogo per tentare nuovamente l' eremita. Marino con forza e coraggio si trincerò letteralmente per sei giorni e sei notti nella sua grotta, privandosi di cibo e vivendo di sola preghiera. Al sesto giorno la donna abbandonò il suo tentativo d' inganno, se ne tornò a Rimini, e pubblicamente confessò d' avere agito contro un Santo, contro cioè il Signore in persona, per volontà del Maligno. Non sopravvisse per più di un' ora dal momento delle sue rivelazioni.

Il Santo riprese di nuovo la sua strada, sempre più verso l' alto del Monte; verso di una solitudine sempre maggiore. Giunto sulla sommità del Monte, costruì con le sue abili mani di scalpellino, così come Leo, una piccola cella ed una chiesa in onore del fondatore della chiesa cristiana: S. Pietro. Pronto era egli, come sempre, ad affrontare la vita serenamente e saggiamente.
Tuttavia altri problemi e prove stavano per ricadere sul Santo. Un tal Verissimo, figlio della nobile donna e vedova Felicissima, proprietaria del terreno sui cui sorgeva il Monte, non contento della indesiderata presenza di San Marino andò a contestargliela.
San Marino, avendo presagito le minacciose intenzioni del ragazzo, pregò il Signore affinchè lo tenesse sotto controllo. E proprio in quell'istante Verissimo, cadde a terra per una paralisi delle braccia e gambe a cui seguì quella della parola. Verissimo fu riportato a casa e a mala pena spiegò quanto era successo. Donna Felicissima si precipitò dal Santo per chiedergli perdono e offrirgli tutto quanto avesse desiderato. Il Santo rispose che per se non desiderava nulla, quanto piuttosto la loro conversione e battesimo oltre ad un pezzo di terra dove avesse potuto trovare il giusto riposo al momento venuto di ritornare a Dio. Felicissima acconsentì subito dimostrando in tal modo la sua sincerità, offrendo altresì, oltre al Monte, anche le aree circostanti, per San Marino e suoi successori. Conseguentemente alla promessa, Verissimo ritrovò piene facoltà e cinquantatre familiari si convertirono.
Venne infine un riconoscimento anche dagli uomini. Il vescovo di Rimini, Gaudenzio, udite le gesta di Marino e Leo, li convocò per esprimere loro profonda riconoscenza. I due accettarono e al termine dell' incontro, Leo venne consacrato sacerdote mentre Marino, diacono. Ad incontro terminato ritornarono alle rispettive vite di sempre. Ed è a questo preciso punto della vita di San Marino che si verifica la parabola dell' orso: rientrato sul Monte, un orso aveva sbranato l' asinello compagno di tanti lavori col Santo. Pieno di saggezza spirituale, San Marino comandò all' orso di sostituirsi all' asino, svolgendo di fatto pesanti ed umili lavori per il resto della vita.
Purtroppo per lo scalpellino dalmata, stava per abbattersi sulla comunità cristiana un'ultima scabrosa prova. I seguaci del Cristo furono nuovamente messi in difficoltà e perseguitati per la oscura vicenda che narreremo:
In Rimini, un prete di nome Marziano, decise di fare secessione dai dogmi ufficiali della chiesa cristiana, creando di fatto un movimento eretico. Il vescovo di Rimini, Gaudenzio, immediatamente si propose di combattere tale rivolta, minacciando di scomunica i seguaci di Marziano. Disgraziatamente per Gaudenzio, Marziano era imparentato con un altro Marziano, prefetto romano della città portuaria. Ne seguì l' ennesima caccia al cristiano. Gaudenzio si rifugiò a Forlì, mentre San Marino proseguì la sua tranquilla vita di anacoreta sulla vetta del Titano, immerso nella solitudine e contemplazione del creato. Fu proprio in quei luoghi, avvolti da un alone di fascino e mistero, che il 3 settembre fu richiamato dal Signore e fu sepolto nella chiesa costruita da lui stesso. Di poco era stato preceduto da San Leo.

Questa è la leggenda del Santo, l'inconsapevole grande uomo che diede origine ad uno Stato veramente unico al mondo. San Marino è riconosciuta come la più antica repubblica del mondo giunta a noi (non dimentichiamo tuttavia le precedenti esperienze di libertà di Atene e la Repubblica di Roma) e detentrice morale di virtù quali l' autodeterminazione politica dei suoi cittadini, con principi di responsabilità civile e democratica.

 

San Cerbone

In San Cerbone si scopre un vescovo che ammansiva gli orsi, mungeva le cerve, si faceva scortare fino alla soglia di San Pietro da oche selvatiche e celebrava la messa all'alba, accompagnato da un miracoloso coro angelico. Figura emblematica, le cui vicende biografiche sono spesso accumunate a quelle dell'arcivescovo africano Regolo, Cerbone è spesso raffigurato con l'attributo delle oche.

È San Gregorio Magno (590-604) a fornirci gran parte della letteratura agiografica su San Cerbone, nel capitolo XI dei suoi Dialogi e mediante le biografie medievali relative alla vita di San Regolo (sec. VII o VIII). "Vescovo di Massa Marittima (544 ca.); morì sull'isola d'Elba (575 ca.) dove si era rifugiato alla discesa dei Longobardi; festa 10/10."Del resto, è fin troppo sintetica la scheda del Dizionario dei Santi , edito da TEA, relativa al santo massetano, dove è chiamato Cerbonio e non vengono fornite altre informazioni. La sovrapposizione tra le Vitae di Regolo e Cerbone è probabilmente da ascrivere al periodo successivo alla traslazione delle reliquie del primo santo da Populonia a Lucca, dove sono ancora oggi conservate nella cattedrale di San Martino, che avvenne nel 780 d.C." Venute a mancare le reliquie di Regolo, si rafforzò nella cittadina massetana la devozione popolare per le reliquie di Cerbone, che da Populonia, distrutta nel 809 da un'incursione saracena, vennero portate a Massa Marittima dopo l'elevazione di quest'ultima a sede vescovile.

Nella tradizione locale, quindi, la vita del vescovo di Populonia venne accumunata alla vita del santo le cui reliquie non potevano più essere oggetto di devozione... La tradizione ci tramanda che San Cerbone nacque in Africa settentrionale da genitori cristiani. Seguendo la sua vocazione, mentre ancora si trovava nel suo luogo d'origine, si fece ordinare sacerdote dall'Arcivescovo Regolo e in seguito fu lo stesso Regolo a ordinarlo Vescovo. Ma a causa delle persecuzioni dei Vandali ariani, dominatori della zona, la comunità cristiana locale si disperse e Cerbone, insieme a Regolo e al vescovo Felice con alcuni presbiteri, fuggì in Italia.
Sorpresi da una tempesta durante la navigazione, si narra che i sacerdoti approdarono fortunosamente sul litorale toscano, dove condussero vita eremitica, finché una tragica vicenda non turbò il loro ritiro: durante la guerra greco-gotica che opponeva i Bizantini cristiani al paganesimo dei Goti, Regolo fu imprigionato e decapitato con l'accusa di aver favorito i Bizantini.

"Alla morte del vescovo di Populonia, Fiorenzo, i cittadini e i chierici vollero Cerbone come nuovo vescovo. Dopo varie reticenze, egli accettò la Cattedra Episcopale"Avvenne però che il Beato Cerbone celebrasse la Messa del mattino troppo presto e che il popolo che abitava nei villaggi non potesse prendervi parte. Irritato per questa abitudine il popolo si rivolse a Papa Virgilio (537-555) che inviò suoi legati a prelevare Cerbone per condurlo innanzi a lui. La leggenda, riportata nel manoscritto giacente presso la Biblioteca Vaticana al n. 6493, accenna a due miracoli che il Santo operò durante il viaggio.
Il primo fu quello delle due cerve che il Beato Cerbone (Lombardi, 1953:21) munse, procurando latte ai Legati che, estenuati dal viaggio stavano per morire di sete e si erano a lui raccomandati.
L'altro nei pressi di Roma, quando guarì tre uomini colpiti da febbri perniciose.

I Legati pertanto, andati ad annunziare l'arrivo di Cerbone al Papa, narrarono quanto aveva fatto Cerbone durante il viaggio.
Ammirato e timoroso, il Pontefice con le pianete, l'incenso, litaniando e salmodiando, gli andò incontro: secondo tradizione, da allora, il Vescovo di Massa Marittima è l’unico che, andando a trovare il Papa a Roma, viene accolto dal Pontefice che si alza dalle sedia pontificia, e gli si pone incontro.
Fu comunque in tale occasione che Cerbone manifestò un altro prodigio: incontrate delle oche selvatiche, fece su di loro il segno della croce così dicendo: "Non abbiate facoltà del Signore di volare in altro luogo, fintanto che non sarete venute con me alla presenza del Signor Papa...".
E così fu: le oche lo accompagnarono e vennero offerte come piccoli doni della Chiesa di Populonia. Solo quando il Beato Cerbone fece il segno della Croce su di loro e le licenziò, le oche si innalzarono in aria e volarono via." (Paolo Pisani - Santi, Beati e Venerabili nella provincia di Grosseto - Edizioni Cantagalli).
La leggenda prosegue, narrando che il Papa volle assistere di persona alla messa dell'alba, dopo aver trascorso la notte in preghiera con il Santo. Poté così assistere al miracolo del coro angelico, levatosi melodioso al momento dell'eucarestia. Concesse quindi a Cerbone di proseguire nella sua usanza e di rientrare a Populonia.
Come era già successo al suo maestro Regolo, anche Cerbone venne accusato di proteggere i Bizantini e il re dei Goti, Totila, famoso per la sua crudeltà, comandò che Cerbone venisse condotto nel bosco e dato in pasto ad un orso.
L'animale, alla sua vista, invece di assalirlo, piegò il collo e con la testa umilmente abbassata, iniziò a leccare i piedi di Cerbone.
Totila, che aveva voluto assistere personalmente all'esecuzione del suo ordine, dispose immediatamente la sua liberazione.
Nel 573 l'arrivo dei Longobardi sconvolse nuovamente la diocesi. e causò la fuga di Cerbone con il suo clero alla vicina isola d'Elba, controllata dai Bizantini. Vicino alla morte, il Santo Vescovo, nell'ottobre del 575 chiese come ultimo desiderio di essere sepolto in una chiesetta del Golfo di Baratti, sotto Populonia. Al timore espresso dai suoi seguaci d'incontrare i soldati longobardi, Cerbone li rassicura e prima di spirare dirà loro che vadano tranquilli poiché non capiterà loro alcun guaio.

E così si assistette all'ultimo miracolo. Non appena la barca con le spoglie del santo si avvicinò alla costa di Populonia, il cielo, narra la leggenda, divenne nero come la pece e scoppiò una furiosa improvvisa burrasca, che impediva la visibilità e fece approdare il gruppo del tutto inosservato nel golfo di Baratti. Fra l'altro, nonostante la gran pioggia, sulla barca non cadde neanche una goccia d'acqua. Protetti anche da una fitta nebbia, i fedeli non incontrarono nessuna pattuglia longobarda, raggiunsero la chiesa, seppellirono il corpo del Vescovo e se ne tornarono nell'isola d'Elba, navigando in un mare liscio come l'olio". (Paolo Pisani - Santi, Beati e Venerabili nella provincia di Grosseto - Edizioni Cantagalli).

 

San Gennaro

Gennaro era nato a Napoli, nella seconda metà del III secolo, e fu eletto vescovo di Benevento, dove svolse il suo apostolato, amato dalla comunità cristiana e rispettato anche dai pagani. Nel contesto delle persecuzioni di Diocleziano si inserisce la storia del suo martirio. Egli conosceva il diacono Sosso (o Sossio) che guidava la comunità cristiana di Miseno e che fu incarcerato dal giudice Dragonio, proconsole della Campania. Gennaro saputo dell'arresto di Sosso, volle recarsi insieme a due compagni, Festo e Desiderio a portargli il suo conforto in carcere. Dragonio informato della sua presenza e intromissione, fece arrestare anche loro tre, provocando le proteste di Procolo, diacono di Pozzuoli e di due fedeli cristiani della stessa città, Eutiche ed Acuzio. Anche questi tre furono arrestati e condannati insieme agli altri a morire nell'anfiteatro, ancora oggi esistente, per essere sbranati dagli orsi. Ma durante i preparativi il proconsole Dragonio, si accorse che il popolo dimostrava simpatia verso i prigionieri e quindi prevedendo disordini durante i cosiddetti giochi, cambiò decisione e il 19 settembre del 305 fece decapitare i prigionieri.

La Passione Vaticana ricorda il tentativo del prefetto di dare Gennaro in pasto alle belve ma ancora una volta il prefetto venne sconfitto perché introdotte dell’arena, di Pozzuoli, le belve divennero mansuete: un orso si avvicinò allora vescovo di Benevento che lo benedisse e lo accarezzò.

 

San Takla Haymanot

Infine (anche se si potrebbe andare avanti… basta cercare!), un orso compagno di un percorso di vita lo ebbe anche san Takla Haymanot, abate della Chiesa Copta d’Egitto, fu suo compagno di eremitaggio insieme ad altri animali selvaggi.

 

Ora, per concludere, ecco i santi che portano il nome “Orso”.

 

 

San Orso vescovo e confessore di Ravenna


Sant’Orso, vescovo di Classe, trasferì definitivamente la sede episcopale a Ravenna attorno al 402, quando l’imperatore Onorio per ragioni di sicurezza strategica pose nella medesima città la capitale dell’impero d’Occidente.

Nel catalogo episcopale della Chiesa ravennate il nome di Orso precede immediatamente quello di Pier Crisologo, quindi presupponendo l’esattezza di tale fonte l’episcopato di Orso si collocherebbe all’inizio del V secolo.

 

In Ravenna Orso edificò la “ecclesia catholica, cioè la cattedrale, detta poi in suo onore “basilica Ursiana”, dedicandola all’Anastasi di Nostro Signore nel giorno di Pasqua.

Secondo Agnello, Orso morì dopo ventisei anni di episcopato il 13 aprile di un anno attorno al 425.

La sua memoria era però celebrata in Ravenna il giorno di Pasqua, anniversario della dedicazione per sua mano della basilica Ursiana.

Una tradizione vuole che Orso fosse di origini siciliane, fattore che spiegherebbe la disffusione del culto di santi siciliani in Ravenna sin dal V secolo.

 

 

Sant’Orso d'Aosta, sacerdote

Le frammentarie notizie su Orso d'Aosta non permettono di datarne con precisione la vita (tra V e VIII sec.).
Sicuro, però, il giorno della morte, il 1 febbraio. Secondo le fonti era sacerdote e custode della chiesa cimiteriale di San Pietro.

Tali chiese erano in luoghi isolati e il custode era una sorta di eremita, cui la gente si rivolgeva per la direzione spirituale. Il culto di Orso si è esteso a tutta l'Italia nord-occidentale.

È invocato contro inondazioni e malattie del bestiame. La millenaria fiera di sant'Orso si tiene ad Aosta alla vigilia della festa.



Sant’Orsio (Orso) cavaliere


Orso nacque da una nobile famiglia di Franchi. Mentre era ancora in fasce un indovino predisse alla madre ch'egli avrebbe ucciso il padre. In giovane età fu inviato alla corte di Carlo Magno per essere educato all’arte della cavalleria. Durante questo periodo Orso dimostrò tale valore da essere eletto al rango di uno dei dodici conti palatini di Carlo Magno. Unica grande sofferenza per Orso era, quando se ne tornava a casa, trovare la madre, memore della profezia, in pianto. Per cui più volte domandatole la ragione di tale pianto Orso venne a conoscenza del suo destino di parricida. Egli, per evitare che la profezia si compisse, con un compagno dal nome Cliento, decise di abbandonare la Francia. Arrivò in Dalmazia e qui affrontò l’esercito pagano del re riuscendo a vincerlo e ad attirare su di sè l’attenzione della figlia del re, colpita da tanto valore guerriero e da tanta fede. Il re quindi su richiesta della figlia invitò a corte Orso e Cliento i quali mostrarono la forza della loro religione e il loro valore di cavalieri al punto tale che il re di Dalmazia decise di convertirsi al cristianesimo assieme al suo popolo e di concedere in matrimonio ad Orso la propria figlia. Alla morte del re, Orso divenne pertanto re di Dalmazia.
Il padre di re Orso, nonostante fosse a conoscenza della profezia, venuto a sapere del successo del figlio decise di andarlo a trovare in Dalmazia. Giunto in quella terra venne accolto dalla nuora mentre Re Orso era a caccia, e invitato a riposarsi al fianco di lei e del figlio. Un cameriere di Orso, sotto le cui spoglie, si dice, si nascondesse il demonio stesso, raccontò a Orso, mentre era ancora a caccia, che un uomo si era coricato con la moglie. Orso allora si precipitò alla reggia e vedendo la moglie coricata con un altro uomo s’infuriò e uccise il padre, il figlio e la moglie.

Resosi poi conto del misfatto e immediatamente pentitosi di ciò che aveva compiuto, decise di andare a Roma per chiedere al Papa Adriano I di espiare il suo peccato. Il Pontefice impose ad Orso che, in abito da pellegrino, con la testa rivolta verso il basso e senza domandare mai a nessuno dove si trovasse, visitasse la chiesa di S.Maria in Monte Summano. Orso se ne partì per il suo viaggio penitenziale. Visitò Gerusalemme e Santiago de Compostela, e il 3 maggio, dopo dodici anni di pellegrinaggio, giunse al monte Summano. Nei pressi del monte udì dei pastori che dicevano: "...presto, andiamo con l'armenti e gregi à casa perché munte Suman fà con la nebula capelo, et presto come è usanza pioverà."
Capì allora di essere arrivato alla fine del suo viaggio penitenziale. Si incamminò verso il castello del borgo allora chiamato di Salzena. Sulla via incontrò una fantesca di nome Oralda a cui domandò ripetutamente da bere, e non avendo risposta, spirò. In quell’attimo le campane si misero a suonare da sole. La gente del luogo accorse e trovò il Santo con il bastone fiorito. Così riconosciuta la sua santità gli venne eretta una chiesa. Carlo Magno venuto a conoscenza della storia giunse a Santorso per portare via il corpo del santo cavaliere. Ma non riuscì a smuoverlo da quel sito; se ne tornò in Francia solo con il braccio e il bastone fiorito. La festa di sant’Orso si celebra tutt’oggi il 3 Maggio.

Nel Paese di Vejano (VT) si tramanda questa storia: un mendicante che passava per il santuario di S.Orso cercò di rubare l'anello al dito del santo e nel far questo gli si strappo il braccio,che portò con sé nel suo pellegrinaggio. Il mendicante arrivato a Veiano in una località chiamata S.Orsio cercò di riposare,ma dovunque si spostava pioveva e solo dove era lui;provo quindi a lasciare il braccio e scoprì che pioveva solo dove era il braccio. Gli abitanti del paese venuti a conoscenza di questo evento decisero di costruire una chiesa in quel posto ,ovviamente con il nome del santo, dove custodire il braccio che fu net tempo ricoperto di oro.
Questo braccio è stato rubato, e ne è stato costruito un altro con al suo interno un piccolo osso preso dal santuario.

 

Tutti e due i comuni venerano san Orsio (Orso) come patrono.

 


 


Sant’Orso, martire

Trattasi di “corpo santo”. Sant’Orso (bambino) venerato nel santuario di Sant’Alfonso M. de’ Liguori a Pagani (SA).



Un secondo sant’Orso, con Quirino e Valerio, è venerato nella chiesa di San Salvatore in Lauro a Roma.



 

Sant'Orso martire con San Vittore a Soletta (Svizzera)

I santi Urso (Orso) e Vittore sono ritenuti dalle fonti più antiche gli unici soldati della Legione Tebea scampati all’eccidio di Agauno (odierna Saint-Maurice in Svizzera) e come tali ricordati anche dal nuovo Martyrologium Romanum (30 settembre). Giunti presso la vicina località svizzera di Soleure furono raggiunti ed anch’essi decapitati in odio alla fede cristiana, secondo alcune fonti con altri 66 compagni

 

 

 

 

Beato Orso di Narni, monaco

 

L'Abbazia di San Cassiano a Narni. Durante i lavori di restauro dell'abbazia di S. Cassiano, sono state rinvenute due iscrizioni marmoree che illuminano la storia dell'abbazia e di Narni. Una delle due iscrizioni lega il nome di Crescenzio di Teodorada al nome del beato Orso e la seconda ci dà notizia del rinvenimento del corpo di quest'ultimo, avvenuta il 5 aprile del 1100.
La prima iscrizione è incisa su un piccolo sarcofago romano che fù donato all'abate da Crescenzio. Poichè Crescenzio morì, nell'anno 984 e fu sepolto nella chiesa di S Alessio sull'Aventino, possiamo ora affermare con sicurezza che l'abbazia esistesse già da qualche lustro e che Crescenzio ne fosse un benefattore.
Infatti la presenza a Narni di C. e la sua discendenza da Teodora II e da Giovanni, dichiarata nell' iscrizione di S. Alessio combacia perfettamente con le date a noi note e ci prova come Giovanni padre, fosse proprio quel Giovanni, che, morta Teodora II, divenne vescovo di Narni, come ci assicura il Liber Pontificalis.
Il testo della seconda iscrizione è il seguente: A(nno) D(omini) M(illesimo) C(entesimo) M(ense) AP(rilis) D(ie) V(h)IC RECONDIT (um) (est) BEATI URSI CORPUS.
Nell'anno del Signore 1100 il 5 aprile è stato ritrovato il corpo del beato Orso. Il beato Orso è probabilmente il fondatore o primo abate di S. Cassiano.

 

Sant' Orso di Auxerre, vescovo

Il Martirologio Romano ricorda il 30 luglio ad Auxerre nella Gallia lugdunense, in Francia, sant’Orso, vescovo. In questa data venivano anche ricordati altri otto santi di nome Orso.

 

Sant' Orso, abate

Il Martirologio Romano il 27 luglio ricorda a Loches sul fiume Indre nel territorio di Tours in Francia, sant’Orso, abate, padre di molti cenobi, celebre per lo straordinario spirito di astinenza e altre virtù.

 

 

 

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