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				P. ANGELO PAOLI, UN SACERDOTE "CONTEMPORANEO" VISSUTO NEL '700
				  
				
				  
				Molte volte nel corso dell’anno  2009 il Cardinale Agostino Vallini, Vicario del S. Padre per la diocesi di  Roma, ha ribadito che il percorso diocesano sarebbe stato segnato da una  verifica sui punti basilari della vita di una comunità ecclesiale:  l’Eucarestia, culmine e fonte della vita della Chiesa, e la carità, che per il  credente deve essere al di sopra di tutto (1 Cor 13). Sono questi i due poli su cui si muove tutta la vita della  Chiesa, perché dall’Eucarestia scaturisce la carità.  
				  E mentre la Diocesi di  Roma era in fermento per preparare l’avvio del nuovo anno pastorale, il 3  luglio 2009 il Santo Padre Benedetto XVI aveva autorizzato la Congregazione per  le Cause dei Santi a promulgare il Decreto sul miracolo attribuito  all’intercessione del Venerabile Angelo Paoli, carmelitano, morto a Roma nel  1720. 
  La sua causa di Beatificazione  era stata avviata nel 1723, ben 286 anni orsono. Tutto questo tempo, però, non  è trascorso invano. P. Angelo, che ha vissuto a Roma la maggior parte del suo  ministero sacerdotale, si è rivelato un modello vivo di ciò che il Cardinale  aveva proposto alla diocesi per l’anno 2009 -2010; una figura di santità da  proporre alla spiritualità di tutti i fedeli; un modello romano non di nascita,  ma di adozione. 
  Il Cardinale Vallini lo proclamerà Beato nella Cattedrale di S.  Giovanni in Laterano domenica 25 aprile, offrendo a tutta la comunità diocesana  ed alla Chiesa un nuovo esempio di sacerdote religioso, che a Roma ha vissuto  l’Eucarestia come fonte della carità. 
				  
				I PRIMI ANNI DELLA SUA VITA
				  
				
                  
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				Angelo Paoli nacque nel 1642 in  un ridente paesino della Toscana, Argigliano, in provincia di Massa Carrara. La  sua famiglia era numerosa, perché i genitori avevano avuto sette figli, ma  tutti insieme lavoravano per procurarsi di che vivere. 
				  A diciotto anni sentì di  essere chiamato al Carmelo ed entrò nel convento di Siena. Da lì si trasferì  per gli studi prima a Pisa e poi a Firenze. Il 7 gennaio 1667 fu ordinato  sacerdote. 
				  La sua salute cagionevole non gli permise di proseguire gli studi,  ma si dedicò con ardente passione ad alleviare la sofferenza fisica e  spirituale di tutti coloro che gli stavano intorno. Incaricato della formazione  dei giovani, a Firenze propose ai novizi di privarsi di una parte della propria  colazione per portarla ai poveri. Nel programma formativo dei giovani frati, p.  Angelo aveva inserito la visita frequente all’ospedale Santa Maria Nuova. 
				  Solo  in questo modo i futuri religiosi e sacerdoti avrebbero potuto conoscere  direttamente le miserie degli uomini, esercitandosi a scorgere in essi il volto  di Gesù sofferente. Questi primi segni saranno la caratteristica di tutta la  sua vita di Carmelitano. 
				  Il 22 agosto 1683 il registro del Convento di  Fivizzano ne annota la presenza, come membro stabile, incaricato della  sacrestia ed organista. Qui rimarrà per quattro anni, distinguendosi per il suo  amore verso i poveri e per la sua profonda ed intensa vita di preghiera. 
				   
				   
				   
				   
				LA PREGHIERA ED IL COLOSSEO
				  
				
				  
				Nel 1687 il Priore Generale lo  trasferì a Roma, presso il Convento di S. Martino ai Monti, dove fu nominato  maestro dei novizi. 
				  Centro della sua giornata ed occupazione primaria del suo  cuore era l’amore verso l’Eucarestia, dinanzi alla quale trascorreva lunghe  ore, specie quelle che sottraeva al riposo notturno. Presiedeva la Liturgia con  grande devozione ed insegnava a tutti a fare altrettanto. 
				  Talvolta, quando si  accorgeva che qualcuno dei fedeli per comodità rimaneva seduto durante le  celebrazioni, invece di alzarsi o inginocchiarsi, lo rimproverava con fermezza,  perché comprendesse che ciò a cui partecipava era il segno dell’Amore di Cristo  e l’evento più importante della vita della Chiesa. Dopo la celebrazione  Eucaristica, rimaneva per molto tempo nel silenzio del ringraziamento ed in  quei momenti, allo stesso modo di quando era occupato a servire i malati, non  voleva essere disturbato da nessuno. 
				  Tra le sue mansioni abituali rientrava la  cura degli arredi della chiesa: i calici, le tovaglie... Egli si dedicava a  questo incarico con grande cura, dicendo che quelli non erano utensili come  tanti altri, perché erano a contatto con l’Eucarestia. 
				  Tra le tante  giaculatorie che era solito recitare preferiva ripetere spesso una delle strofe  dell’antico inno di ringraziamento Te  Deum, che dice: Soccorri i tuoi  figli, Signore, che hai redento con il tuo Sangue prezioso. 
				  Abitando sul colle Oppio e  dirigendosi spesso verso l’ospedale S. Giovanni passava molto vicino al  Colosseo. 
				  Era preso da una grande tristezza per lo stato di abbandono in cui si  trovavano quelle zone. Egli vedeva le ruote dei carri attraversare le grandi  arcate di pietra per abbreviare il tragitto. I cavalli calpestavano le zolle su  cui i primi credenti avevano sparso il loro sangue per la fede in Cristo. La  notte, poi, egli sapeva che il Colosseo era luogo di rifugio per i briganti e  spesso zona di ritrovo per gente di dubbia moralità. 
				  Spinto dal desiderio di  restituire al luogo la sua dignità sacrale ed anche per impedire la corruzione  dei costumi, P. Angelo chiese al papa Clemente XI di poter chiudere le vie di  accesso. Trasformatosi in muratore, con l’aiuto di tanti volontari chiuse gli  archi con mura di pietra. Quindi lo rese di nuovo area sacra per la preghiera,  issandovi al centro una croce. 
				  Da allora propose molte volte ai novizi il  Colosseo come meta di itinerari penitenziali, specialmente durante la  quaresima, per meditare sulla sofferenza e sulla fede di tanti uomini e donne  che vi erano stati martirizzati per amore del Cristo.  
				  
				IL VOLTO DI CRISTO NEI SOFFERENTI
				Un giorno, mentre usciva dal  santuario della Scala Santa, si fermò a guardare l’Ospedale di San Giovanni e  subito gli venne in mente la grande sofferenza che vi regnava. 
				  Sin dal tempo in  cui aveva vissuto a Firenze, a Siena ed a Fivizzano era diventato esperto nel  modo di servire i malati e sapeva quali stratagemmi usare per poter servire con  amore. Preferiva sempre le ore in cui le persone avevano bisogno dei servizi  umili. Si fermava dai più soli e dai più gravi. 
				  A quelli che erano depressi e  tristi per il loro male raccontava fatti allegri e divertenti. Aneddoti che  egli stesso inventava per far sorridere e portava in dono frutta, dolciumi,  piccoli scacciapensieri, che realizzava egli stesso. Inoltre conduceva  compagnie di suonatori e cantori nell’ospedale, perché si sollevasse un po’ il  morale. Era convinto infatti che il buon umore dei malati favorisse la loro  guarigione. 
				  Nelle sue visite all’ospedale aveva notato che i malati,  specialmente quelli più poveri, quando venivano dimessi s’aggiravano presso la  vicina Porta di S. Giovanni ancora deboli e non del tutto guariti. Per questo  motivo molti ricadevano nella malattia e spesso morivano. 
				  P. Angelo, che  conosceva molti nobili a Roma, aiutava i convalescenti collocandoli presso  alcune famiglie, ma questa soluzione non risolveva il disagio, perché i malati  erano tanti. Maturò quindi l’idea di costruire un ospizio per i convalescenti,  così da ospitarli fino a quando non fossero stati perfettamente in forma. Narra  il suo primo biografo, il Cacciari: 
				  “Disegnò di erigere un ospizio, in cui  questi convalescenti fossero mantenuti per dieci, quindici ed anche più giorni,  quando in Roma non avessero casa, congiunti, e fossero talmente privi di  sussidi che necessitati fossero a starsene per le vie pubbliche ed a cibarsi di  nutrimento cattivo”. 
				  E così fra molte difficoltà istituì un ospizio nello  “stradone” fra il Colosseo e la basilica di San Giovanni, in cui erano accolti  tutti coloro che ne facevano richiesta.  
				  Il Cacciari narra che 
				  “Giammai si potrà  esprimere l’allegrezza che egli provava in ricevere dentro a quel luogo i  convalescenti. Egli pensava a mandarli a prendere, se non erano in tali forze,  che da se medesimi colà potessero trasportarsi. Egli su la porta dell’ospizio  stava aspettandoli, ove giunti correva ad abbracciarli dicendoli tutto pieno di  giubilo: venite fratelli, questa é casa vostra, di qui non farete partenza, se  non quanto perfettamente sarete guariti”. 
				  All’interno dell’ospizio c’era una  cappellina con un piccolo organo. All’ingresso di ogni nuovo ospite P. Angelo  si sedeva all’organo e suonava in segno di festa. 
				  
				
                  
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                    Tavolo ed inginocchiatoio appartenuti al Beato Angelo Paoli, conservati nella chiesa carmelitana dei SS. Silvestro e Martino, in Roma. | 
                   
                 
				 
				   
				   
				   
				LA CARITA' CONTAGIOSA 
				Il vero centro di tutta la vita  di p. Angelo rimase sempre la Basilica di S. Martino ai Monti. 
				  In Chiesa,  davanti all’Eucarestia, egli trovava la forza per il suo apostolato con i  malati. Qui venivano a trovarlo i tanti benefattori che sostenevano la sua  opera. Alla porta del convento bussavano ogni giorno i poveri che ricevevano  cibo, vestiti, una parola di conforto, un sorriso, un abbraccio. 
				  Ciò che si  riassume in poche righe costituì l’impegno principale della vita del religioso  per quasi vent’anni, fino a quando fu pronto a concludere la sua esistenza in  preghiera e spirò nella sua cella il 20 gennaio 1720. 
				  Padre Angelo non colpisce per  l’originalità delle sue iniziative, né per la novità di ciò che escogita dal  punto di vista pastorale. É un uomo semplice, che crede profondamente nella sua  missione sacerdotale e dedica tempo alla preghiera ed al ministero. 
				  Sperimenta  su di sé che l’amore verso il Padre diviene concreto nelle situazioni di ogni  giorno e dedica la sua vita alla sofferenza degli altri. É generoso ed  infaticabile, come moltissimi sacerdoti di oggi. Potrebbe confondersi tra il  clero di una comunità parrocchiale qualsiasi. 
				  Eppure è unico, perché solo lui poteva  aiutare quelle persone concrete. Solo lui poteva essere vicino a quella  porzione di popolo santo, che Dio gli aveva affidato, pregando ed amministrando  i sacramenti. 
				  Lo stesso accade oggi. Esistono molti luoghi di carità e di  preghiera, centri di Adorazione Eucaristica. Ci sono tante persone che pregano,  che dedicano la loro vita al culto eucaristico o alla carità verso il prossimo.  
				  La mia preghiera, però, è speciale; la mia carità è unica: mi appartiene. È il  frutto di un percorso di discernimento che lo Spirito suscita in me, è il segno  dell’agire divino nel mio cuore. 
				  Non sono migliore degli altri, ma sono unico,  Dio mi ha fatto a sua immagine perché  io riproponga la sua immagine. 
				  Per  questo non guardo estasiato le opere che Angelo Paoli ha compiuto nel suo  tempo, non penso alla sua preghiera, ma ispirandomi al suo amore verso Dio, mi  fermo in adorazione di fronte all’Eucarestia. 
				  Dedico tempo ai fratelli che  soffrono, convinto che il mio dono è speciale, perché è unico: Dio oggi vuole  compiere la sua opera attraverso di me. 
				
                  
                    
                        
                      Tomba del Venerabile in San Silvestro e Martino ai Monti, Roma
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				- Sul Beato Angelo Paoli potrete vedere le foto della  Cerimonia della Beatificazione e della successiva deposizione - nella Basilica dei Ss. Silvestro e Martino ai Monti, Roma - dell'urna contenente le sue spoglie  nell'articolo: 
				
				  
				- Vedere anche in Religiosità
				 
				
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				ed altre notizie sulla Basilica  dei SS. Silvestro e Martino ai Monti, Roma affidata ai Carmelitani 
				
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