Rubriche di
Patrizia Fontana Roca

COLLABORAZIONI

In questo Settore vengono riportate notizie e immagini fornite da altri redattori.

Nello specifico, il presente articolo è stato realizzato dal Prof. Renzo Barbattini dell'Università di Udine, che ha fornito anche le immagini.

Tutti gli articoli degli altri Settori sono state realizzati da Patrizia di Cartantica che declina ogni responsabilità su quanto fornito dai collaboratori.

"N.B.: L'Autore prescrive che qualora vi fosse un'utilizzazione per lavori a stampa o per lavori/studi diffusi via Internet, da parte di terzi (sia di parte dei testi sia di qualche immagine) essa potrà avvenire solo previa richiesta trasmessa a Cartantica e citando esplicitamente per esteso il lavoro originale (Autore, Titolo, Periodico) ."

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LE API NELL'ARALDICA CIVICA ITALIANA

 

 

 

di Renzo Barbattini* - *Dipartimento di Biologia e Protezione delle Piante – Università di Udine

Barbattini R., 2008 - Le api nell'aradica civica italiana. Apitalia, 34 (1) : 35-38

 

Introduzione

 

In una precedente nota sono stati considerati alcuni esempi di api e di arnie usate spesso per pubblicizzare articoli del commercio e attività talvolta non strettamente correlate con la produzione apistica (BARBATTINI e D’AGARO, 2006). Esse si ritrovano anche in numerosi stemmi (di famiglie nobiliari, di comunità locali – specialmente di Comuni –, di corpi militari, di categorie lavorative, ecc.) diffusi in tutto il mondo.
Questo contributo si propone di fornire un panorama, il più possibile esaustivo, dei Comuni e delle Province italiane che, nel loro stemma, hanno utilizzato quale elemento simbolico api e/o alveari. Per meglio strutturarlo, si è seguito un ordine geografico e all’interno di ogni regione l’ordine alfabetico. Se qualche emblema fosse sfuggito, fin da ora si chiede scusa per l’involontaria dimenticanza. Il linguaggio tecnico araldico si è specializzato a tal punto da rendersi spesso, per chi non lo “frequenta”, di difficile comprensione: per una più facile lettura, pertanto, i termini tipici del gergo araldico usati, saranno riportati in corsivo.
La parte principale dello stemma è lo scudo, simbolo di protezione dei soldati. Esso è il fondo sul quale sono disegnate le figure (naturali o ideali) e può essere di un solo colore o diviso in più parti con diversi colori. La parte superiore è detta capo, mentre quella inferiore è chiamata punta (GUELFI CAMAJANI, 1940).
Quasi tutti gli stemmi dei Comuni italiani sono sovrastati (tecnicamente si dice timbrati) da una corona turrita (simbolo di potere territoriale), a sottolineare la dignità del Comune stesso, e contornati da due rami: uno d’alloro (simbolo di gloria) e uno di quercia (simbolo di forza, in senso sia fisico sia morale). Se è assodato che l’alloro è simbolo di gloria, per quanto riguarda la forza è opportuno riportare la duplice versione che viene data: secondo alcuni starebbe a indicare la forza dell'Ente Comune, secondo altri quella della Repubblica (FRACASSO, in litteris).
Gli stemmi provinciali spesso presentano una corona formata da un cerchio d'oro gemmato, racchiudente due rami, uno d'alloro e uno di quercia al naturale, uscenti dalla corona stessa.

Quest’ultima non è turrita in quanto, trattandosi di province, ad esse è stata attribuita una corona di metallo nobile, in ragione del fatto che difficilmente potrebbero essere circondate da mura; il significato, sia della corona sia dei rami è, però, lo stesso dei Comuni.
Corone differenti testimoniano concessioni precedenti all’Unità d’Italia (1861) o differenziazioni tra stemmi identici.
Occorre precisare che il Regolamento Tecnico-Araldico prevede un modello standard di stemma civico (scudo sannitico, corona e serto vegetale alloro-quercia) che è spesso disatteso dagli Enti Locali o perchè essi preferiscono forme “auliche” più elaborate che fanno direttamente riferimento ad antichi documenti o perchè la formale concessione dello stemma ha previsto tale “speciale concessione” (pure prevista dalla regolamentazione vigente) (GHIRARDI, in litteris).



Stemma del comune di Ceranesi (GE), un
classico esempio di come l’ape sia rappresentata
nell’araldica dei comuni italiani.


Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale

 

Modalità di studio

Per questa rassegna, fondamentali sono stati i contatti con le Amministrazioni provinciali e comunali: infatti la possibità di “navigazione” nei loro siti internet è stata di grande importanza. Le stesse hanno fornito notizie storiche di grande utilità, frutto di un approndito lavoro di ricerca da parte di studiosi di storia locale. Molto proficua è stata anche la visita di alcuni siti internet dedicati all’araldica, in particolar modo “www.araldicacivica.it” nonché la possibilità di continuo scambio di informazioni con “cultori” della materia.
Quasi sempre sono state utilizzate le immagini degli stemmi inviati dagli Enti contattati; in oltre la metà dei casi, però, si è dovuti ricorrere a stemmi ridisegnati in quanto quelli ricevuti presentavano una bassa risoluzione e, quindi, non erano adatti per una buona resa tipografica. Infine, alcuni Comuni, non hanno risposto alle ripetute richieste. I grafici, autori del ridisegno (eseguito rispettando le caratteristiche araldiche degli originali) sono stati Massimo Ghirardi di Sala Baganza (PR) e Marco Foppoli di Brescia, affermati artisti araldici, che si ringraziano vivamente per la loro fattiva e competente collaborazione.

 

I PARTE

NORD ITALIA - PIEMONTE



Comune di Avigliana (TO)

Lo stemma, concesso con D.P.C.M. del 4/11/1930, prevede una croce d’argento in campo azzurro (emblema diffuso, nella prima metà dell’800 come bandiera di guerra delle truppe piemontesi), accompagnata da quattro api operaie con le ali aperte.

Le api simboleggiano l'operosità e la diligenza della comunità locale, nonché una supposta derivazione del toponimo da Apiliana.

Quest’antica denominazione si spiega col fatto che in passato, in questa località, probabilmente c’era una forte produzione di miele e derivati dell’apicoltura.

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Comune di Campertogno (VC)

Le tre api e l'albero (una quercia) rappresentati nello stemma (art. 4 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 23 del 29/4/2004) vogliono simboleggiare, rispettivamente, la laboriosità e la tenacia dei Campertognesi.

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Comune di Melazzo (AL)

Lo stemma è stato concesso con Regio Decreto del 9/4/1914 e le tre api operaie sono dipinte sul capo dello scudo.
Esso è contornato da un ramo d’alloro e, a differenza degli altri stemmi, da un tralcio di vite con foglie diversamente conformate.
Questa è una speciale concessione deIl'Ufficio Araldico nazionale e richiama un’attività agroindustriale molto importante per l’economia del territorio comunale.
Infatti, in esso si produce una notevole quantità di vino; a partire dagli ultimi decenni dell'Ottocento, in seguito all'impianto dei vigneti, Melazzo divenne un polo d’attrazione per gli abitanti dei comuni limitrofi e punto di riferimento per gli operatori vitivinicoli della provincia.
E’ doverosa, a questo proposito, un’annotazione araldica: essendo il vino un prodotto del luogo, il richiamo potrebbe anche essere rappresentato dentro lo scudo e non all'esterno.
D’altro canto non si può ignorare quanto è nella scritta esterna che richiama il nome della località.

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Comune di Piatto (BI) (Fig. 4) ^

Immagine di Massimo Ghirardi,
ispirata all'originale

La figura principale dello stemma (D.P.R. 12/4/1965; art. 4 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 18 del 2/7/2001) è una cornucopia d’argento traboccante di frutta, sovrastata da tre api d’oro, al volo spiegato (anche se grammaticalmente sarebbe corretto “api d’oro dal volo spiegato”: l’Araldica usa una specifica grammatica di sapore “d’antan”), ordinate in fascia.

Dalla cornucopia (detta anche “corno dell’abbondanza”) escono non solo frutti ma, talvolta anche spighe e, addirittura, monete. Secondo la leggenda si tratterebbe del corno della mitica capra Amaltea, che aveva allattato Giove in fasce e alla quale egli spezzò inavvertitamente un corno; in parziale risarcimento il dio (detto anche “il padre degli dei”) fece in modo che da quel corno potessero uscire tutti gli oggetti desiderati dal possessore.

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Comune di Pragelato (TO) ^

Immagine di Massimo Ghirardi,
ispirata all'originale

L’appartenenza di quest’area al Delfinato (in francese Dauphiné, regione storica e naturale della Francia sudorientale, situata tra le Alpi francesi e il Rodano; anche il cosiddetto Delfinato italiano, suddiviso attualmente tra le province di Torino e Cuneo, appartenne alla Francia fino al 1713) è testimoniata dalla riproduzione dei caratteristici delfini e dei gigli di Francia nello stemma.

Questo (D.P.R. 8/1/1999; art. 2 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 54 del 17/12/1999) è distinto in quattro parti (in araldica si dice inquartato).

Nel primo quarto (superiormente, a sinistra) è riportata l’effige di un delfino azzurro, crestato e con la coda rossa; nel secondo (superiormente, a destra) un giglio d’oro. Inferiormente, nel terzo riquadro (a sinistra) vi sono tre api d’oro e nel quarto (a destra) un cuore rosso con croce d’argento, sicuramente sabauda.

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Comune di Vezza d’Alba (CN)

L’art. 4 dello Statuto Comunale (deliberazione C.C. n. 14 del 27/6/2001) dice che il Comune ha un proprio stemma contrassegnato da un leone rampante con un ramo d’ulivo tra le zampe anteriori e da un’ape.

Sia il ramo d’ulivo, sia l’ape potrebbero essere brisure (termine araldico che indica elementi introdotti in uno stemma per distinguere i rami collaterali o illegittimi di una famiglia) (GHIRARDI, in litteris).

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Comune di Vignole Borbera (AL)

Secondo la tradizione, il nome antico era “La Vignole” e ciò ha portato a pensare che non si trattasse di un villaggio ma di diverse case sparse in un territorio oggetto d’intense coltivazioni di vite (BOCELLI, 1995).
Nello stemma (art. 6 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 32 del 23/11/2001), infatti, si ritrova un grappolo d’uva (il blasone specifica “nera”!); insieme con questo vi è una torre (simbolo dell'autonomia comunale ottenuta nel 1389) e un’ape (simbolo dell'operosità e della fatica “virtuosa”). Il grappolo richiama il fatto che in antichità il territorio era ricco di vigneti, più precisamente, di piccole vigne da cui: Vignole.
La torre fa riferimento all’antico torrione del castello, ancora oggi presente; bisogna, però, porre l’accento sul fatto che, in araldica, la raffigurazione di una torre indica l’antica nobiltà, poiché nessuno poteva innalzare torri se non era di una illustre e potente famiglia.

 

Note

1 - Il termine “stemma” è di origine greca e significa “benda” o “corona”. Con i romani diventò “albero genealogico” perchè vennero così chiamate le tessere con i nomi degli antenati. Nel Medioevo furono detti “stemmi” gli “scudi” che i cavalieri utilizzavano durante i tornei. Oggi è il simbolo di Enti Pubblici, di altre istituzioni o di famiglie nobili.

2 - In araldica si usa il termine troncato per indicare uno scudo ripartito orizzontalmente in due parti uguali (GUELFI CAMAJANI, 1940).

3 - Grafico ed illustratore, specializzato nell’illustrazione araldica ha curato diverse pubblicazioni su questo argomento, lavora come insegnante-atelierista presso l’Istituzione Nidi e Scuole dell’Infanzia di Reggio Emilia. Cura, con Bruno Fracasso, il sito www.araldicacivica.it

4 - Illustratore e accademico dell'Académie Internationale d'Héraldique (sodalizio internazionale che riunisce gli araldisti più qualificati) e Consigliere della Società Svizzera di Araldica nonché autore di numerosi studi storici e araldici.


5
- A Pragelato c'è una (l’altra è a Reaglie) delle due sedi dell'Osservatorio di Apicoltura "Don Giacomo Angeleri" dell'Università di Torino, attualmente annesso al (Dipartmento di Valorizzazione e Protezione delle Risorse Agroforestali) (VIDANO, 1982) con presenza di un apiario sperimentale.

 

^ Immagini di Massimo Ghirardi, ispirate all'originale.

 

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FONTE

- Barbattini R., 2008 - Le api nell'aradica civica italiana. Apitalia, 34 (1) : 35-38

 

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II PARTE

 


Comune di Annicco (CR)

Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale

Lo stemma (art. 3 dello Statuto, deliberazione n. 10 del 1/3/2005) è stato progettato per ricordare il territorio, l’agricoltura e la laboriosità degli annicchesi, rappresentate, rispettivamente, dal colore verde del campo (è l’area circoscritta dallo scudo, dal latino “campum”), dalla falce e dalle api.

Poiché il Comune di Annicco non ha concesso l’autorizzazione all’uso del proprio emblema, si è ricorsi a quello ridisegnato (a partire dal bozzetto originale dell’Ufficio Araldico di Roma).

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Comune di Barghe (BS)

Lo stemma (art. 5 dello Statuto, deliberazioni C.C. n. 5 e n. 22 del 5/3/2001 e del 26/4/2001) prevede un piccone e un badile incrociati tra di loro; nel punto d’intersezione di questi attrezzi si trova una lanterna con candela accesa. Nella parte superiore e inferiore, sono poste due api ad ali spiegate.

Secondo la tradizione più accreditata esse sono la rappresentazione della laboriosità degli abitanti (i “barghesi”) di questo piccolo comune (circa 1000 abitanti) montano.

Il piccone, il badile e la lanterna sono strumenti da minatore. Fino al secolo scorso, infatti, è riconosciuta l’attività mineraria a Barghe, ove esistono ancora 5 gallerie scavate per l’estrazione di rame e argento, oggi però in disuso. Essi sono una classica allegoria del lavoro minerario (in Sardegna, ad esempio, ci sono numerosi stemmi con questi simboli).

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Comune di Brenta (VA)

Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale

Non avendo il Comune di Brenta notizie storiche proprie dalle quali trarre un progetto araldico, questNI, 1940).’ultimo trova origine nell’attività agricola e industriale del luogo.

Il campo verde dello stemma (D.P.R. 16/5/1962 e art. 6 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 42 del 2/12/1999), infatti, vuole ricordare la fertilità di quella terra ove l’agricoltura è molto progredita e redditizia; le api simboleggiano le industrie fiorenti (CROLLALANZA, 1878; GUELFI CAMAJA

 

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Comune di Brusaporto (BG)

Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale

Lo stemma è stato concesso dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi con D.P.R. del 9/3/1962.

La composizione è molto semplice ed è intesa come un’allegoria del lavoro e della ricompensa meritata da chi lavora, come si verifica fra le api: per il bene proprio e per quello della collettività. Curiosa è la diffusa opinione, per altro non smentita dai ricercatori, che l’antico nome di Brusaporto fosse Brusaporco, in seguito “ingentilito” con la modifica di una consonante (MAIDA, 2006)!

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Comune di Burago di Molgora (MI)

Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale

Lo stemma (concesso con D.P.R. 17/12/1962) coniuga due aspetti particolari: l’acuta sensibilità degli abitanti di Burago rivolta all’assistenza delle persone meno fortunate che vivono sul territorio (ciò è confermato dall’esistenza, in questa comunità, di ben cinque istituzioni benefiche) e l’attività industriale legata al lavoro degli opifici presenti nella zona.

Per evidenziare il primo è stata inserita la figura del pellicano che si ferisce il petto con il becco allo scopo di consentire ai suoi figli di nutrirsi con il suo sangue.

 

Per quanto riguarda il secondo aspetto, sono rappresentate (collocate nel capo poste una accanto all’altra in quella posizione che in araldica si dice in fascia, ossia su una linea orizzontale, perché richiamante quella figura) tre api d’oro, simbolo della laboriosità.

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Comune di Canzo (CO)

Questo stemma, di cui il Comune si è dotato nel 2002 dopo un lungo lavoro di ricerca storica e di prassi amministrativa, ha un legame solo indiretto con l’apicoltura. Secondo alcuni nello stemma sarebbero rappresentati semplicemente tre alveari.
Questo è quanto buona parte della popolazione crede ancora, lasciando aperto un dubbio difficilmente risolvibile.
Lo stemma, invece, reca al suo interno un’interessante simbologia per comprendere la quale occorre risalire indietro nei secoli, quando Canzo era capoluogo di un territorio piuttosto vasto denominato Corte di Casale. L’analisi dello stesso ha portato alla chiarificazione dei simboli: in particolare quelli che in un primo tempo furono considerati tre alveari sono invece da ritenere, senza ombra di dubbio, tre forni per la fusione del ferro che, data la loro particolare caratteristica costruttiva, sono denominati “ad alveare”.
Il fatto che nello stemma ricorrano elementi legati alla lavorazione del ferro, ben si accorda con gli eventi storici ed economici che caratterizzarono la vita del territorio per tutto il 1400 e la influenzarono fino ai giorni nostri: a testimonianza di questa tradizione restano l’attività dei fabbri, lo stampaggio a caldo dei metalli e la lavorazione delle forbici (GENOVESE, 2007). Lo stemma con i tre forni di fusione testimonia dunque l’esistenza di una attività fiorente, che affonda le sue radici nei secoli. I tre forni sono accompagnati da sette stelle con otto raggi d’oro; esse rappresentano le comunità più importanti che facevano parte della Corte di Casale.

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Comune di Caravate (VA)

Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale

La storia di Caravate, situato in amena posizione all’inizio della Valcuvia, poco lontano dal Lago Maggiore, è legata alle sue produzioni vinicole e alla cura con la quale gli industriosi abitanti attendono a queste coltivazioni (BOCELLI, 1995); in questi anni ha visto svilupparsi inoltre un notevole complesso industriale.

 

Ciò spiega l’allegoria, per altro semplice, dello stemma comunale (art. 2, Statuto): tre api d’oro (simbolo del lavoro tenace e paziente dei Caravatesi) in volo attorno ad un grande grappolo d’uva.

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Comune di Carugo (CO)

Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale

Lo stemma (D.P.R. 28/2/1978) è argentato e presenta tre api azzurre (due in capo e una in punta), accostate a un castello rosso con tre torri. Il colore azzurro degli insetti richiama i torrenti che scorrono sul territorio (tra i quali si ricordano il Seveso e il Terro); il castello è un elemento caratteristico storico del paese (GENOVESE, 2007).

 

L’azzurro è un colore araldico insolito per la figura dell’ape; d'altronde si può notare che le api rappresentate in tutti gli altri stemmi del comasco sono di colore d'oro.

 

Gli Amministatori che completarono il lungo iter burocratico (iniziato con la deliberazione C.C. del 22/3/1962) non potevano, quindi, assumere questo colore in quanto si sarebbe violata una delle regole importanti dell’araldica.

 

Il castello rosso non ha una valenza simbolica; piuttosto è una considerazione araldica in quanto il rosso è lo smalto che più si avvicina a quello del colore dei mattoni (GENOVESE, in litteris).

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Comune di Casirate d’Adda (BG

Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale

Lo stemma è stato concesso dal Presidente della Repubblica Antonio Segni, con D.P.R. del 18/6/1963 e le tre api d’oro poste in fascia nel capo richiamano il lavoro, soprattutto agricolo, svolto dai locali; questi, infatti, si sono sempre distinti per senso pratico e grandi doti d’attaccamento al lavoro. L’albero rappresentato (è un olmo, noto anche come “albero gentile”, specie botanica tipica della fertile pianura padana) simboleggia la bontà e la benevolenza verso il prossimo (MAIDA, 2006); il fatto che sia radicato in campo verde (araldicamente terrazza, rappresentata da terreno erboso) sta a indicare l’attaccamento dei casiratesi al proprio territorio.

 

L’importanza del ruolo ricoperto dalle api è ancora riconosciuto dagli abitanti, al punto che entrambe le due liste civiche attualmente presenti in Consiglio Comunale hanno nel loro simbolo questi imenotteri (DEGERI, in litteris).

 


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Comune di Cassina de' Pecchi (MI)

Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale

L'origine di questo’emblema araldico comunale (indicazioni del R.D. del 7/1/1932 riprese dall’art. 2 dello Statuto, deliberazioni C.C. n. 34 del 19/5/2000 e n. 57 del 13/7/2000) è da ricollegare alla storia del suo territorio. In particolare, sono stati tenuti presenti due elementi di carattere storico: il ricordo della famiglia Pecchio, che diede anticamente nome al primo cascinale dal quale prese poi sviluppo l'attuale Comune, e il ricordo della famiglia Serbelloni, che, dal 1691, era diventata titolare del feudo di Camporicco, di cui all'epoca Cassina de' Pecchi faceva parte.

 

Dallo stemma della famiglia Pecchio di Milano è stata ricavata la figura delle due api (“pecchie” ) che si trovano nella parte superiore. La figura dell'albero è stata tratta, invece, dallo stemma della famiglia Serbelloni (SPRETI, 1928).

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Comune di Castello di Brianza (LC)

Immagine di Marco Foppoli ispirata all'originale

Il Comune prende il nome dall’antica fortificazione (oggi scomparsa) posta sul colle Brianzola, che la tradizione vuole sede della corte della regina Teodolinda, dal quale essa governava tutto il vasto territorio a lei soggetto.

La tradizionale laboriosità agricola degli abitanti è stata simboleggiata nello stemma (concesso con D.P.C.M. del 27/6/1962), rappresentando una falce e tre api d’oro.

La falce è simbolo del lavoro che dà frutto e le api sono una tradizionale allegoria dell’industriosità, della solidarietà sociale e della dolcezza, nonché dell’indipendenza, giacché questi insetti si nutrono del prodotto del loro lavoro (FOPPOLI e MEZZERA, 2005).

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Comune di Comune di Limbiate (MI; dal 2009 sarà annesso ufficialmente nella nuova Provincia di Monza e Brianza)

Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale

Lo stemma (D.P.R. 12/07/1966) si presenta ripartito in quattro parti in senso orizzontale; a partire dall’alto, nel capo si trova una “L” maiuscola d'oro (iniziale del capoluogo) circondata da due rami di quercia e d’alloro; nel secondo settore, due ali (tecnicamente volo abbassato in quanto le punte delle ali sono rivolte verso il basso); nel terzo (fascia d’argento) due torte colorate in rosso e, nel quarto, un’ape d’oro.

Sia il volo che l’ape sono brisure cioè elementi di differenziazione e probabilmente, analogamente ad altri stemmi, al posto dell’iniziale del capoluogo c’era il fascio littorio che poi è stato sostiuito (è un esito interessante di applicazione di una norma del 1945) (GHIRARDI, in litteris).

 

FONTE

- BARBATTINI R. - Le api nell'araldica civica italiana II. Apitalia, 34 (2) (2008): 35-38



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III PARTE

 

Comune di Mezzoldo (BG)

Immagine di Massimo Ghilardi ispirata all'originale

Fino al 1960 il Comune non aveva né uno stemma né un gonfalone.

L’Amministrazione comunale, con deliberazione del 21/7/1961, ha adottato lo stemma attuale. Esso (MAIDA, 2006) è diviso in due campi; quello superiore è rosso e reca impresse tre stelle d’oro che rappresentano i tre nuclei che costituiscono il Comune: il centro (Cà Bereri, Cà Maisetti), le frazioni a sud (Cà Vassalli, Cà Bonetti, Sparavera e Soliva) e la frazione a nord (Scaluggio).


Le stelle hanno sei punte per indicare il centro e le cinque frazioni. La parte inferiore è azzurra con tre api d’oro che simboleggiano la laboriosità delle tre “stelle”.

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Comune di Mozzate (CO)

Nello stemma (D.P.R. 14 febbraio 1963) sono rappresentati l’antico castello del Seprio che rese noto questo comune, una fascia ondata (striscia orizzontale al centro dello scudo) che ricorda il corso del torrente Bozzente, sulla cui riva destra sorge Mozzate e le tre api che simboleggiano la laboriosità degi abitanti
(GENOVESE, 2007).


 

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Comune di Offlaga (BS)

Immagine di Massimo Ghilardi ispirata all'originale

Questo stemma riporta, in campo azzurro, un’ape contornata da tre stelle d’argento a sei punte, poste una in capo e due in punta.

L’ape richiama la laboriosità e la fedeltà, caratteristiche comportamentali di questo imenottero. (MAGRI, 2004), con un’interpretazione piuttosto fantasiosa, aggancia la stella ripetuta uguale tre volte alla SS. Trinità (in altre parole “uguale e distinto in tre Persone”), ma la stessa potrebbe essere simbolo dei tre territori (Cignano, Faverzano e Offlaga) che, con R.D. n. 64 del 16/1/1926, sono stati aggregati a costituire la circoscrizione del Comune di Offlaga.

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Comune di Olgiate Comasco (CO)

In questo stemma (D.P.R. 3/8/1970) sono rappresentate due api operaie: esse stanno a indicare la laboriosità degli Olgiatesi, in relazione alla fiorente industria tessile.

La presenza dei tre castelli non vuole richiamare la situazione di Olgiate Comasco – infatti in questo comune non sono mai esistiti tre castelli – ma, con ogni probabilità (come affermano alcuni documenti di archivio), stemmi simili che erano affissi sui portoni di alcune corti (diffuse nella pianura lombarda).

La corona è quella prevista per i comuni con più di 3000 abitanti, secondo la legislazione ante 1943.

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Comune di Oliveto Lario (LC)

Immagine di Marco Foppoli ispirata all'originale

Lo stemma comunale (art. 5 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 5 del 31/1/2004) è suddiviso in tre settori in cui sono rappresentati (FOPPOLI e MEZZERA, 2005): in quello superiore tre api d’oro che simboleggiano la laboriosità della popolazione locale; in quello mediano una mitra d’argento (simbolo della dignità abbaziale) che ricorda come l’abate di Sant’Ambrogio di Milano portasse il titolo di conte di Limonta fino al 1797; in quello inferiore una catena montuosa con tre cime, simboleggianti le tre frazioni (Limonta, Onno e Vassena) riunite a formare il Comune.

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Comune di Ornica (BG)

Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale

Anche questo stemma (art. 2 dello Statuto) è ripartito in tre settori (araldicamente semipartito troncato in quanto lo scudo è diviso orizzontalmente in due, con il campo superiore ulteriormente partito verticalmente).

Nei due semicampi superiori sono raffigurati l’iniziale d’oro del Capoluogo (a sinistra) e due api, pure d’oro, ad ali aperte (a destra); in quello orizzontale è rappresentata un’incudine sulla quale il fucinatore appoggiava il pezzo di metallo da forgiare.

Un tempo, infatti, in questa zona era molto diffuso il mestiere di ridurre in chiodi il ferro. A Ornica vi era una grossa fucina che lavorava anche i ferri da taglio; vi erano diverse miniere di ferro, che alimentavano un forno di fusione.

In questo stemma, quindi, la simbologia richiama il lavoro; in particolare quello agricolo (con le api) e industriale (con l’incudine ) che caratterizza da sempre questa zona della Bergamasca (MAIDA, 2006). Il nome, invece, è derivato da quello dell’orno, nome popolare del frassino selvatico, che i latini chiamavano urnus.

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Comune di Pedrengo (BG)

Immagine di Massimo Ghilardi ispirata all'originale

Il Comune non aveva uno stemma fino ai primi anni sessanta del XX secolo; il Consiglio comunale ne ha deliberato l’adozione nella seduta del 25 maggio 1961.

In questo stemma sono illustrate (MAIDA, 2006): tre api operaie in campo azzurro (esse sono il simbolo della laboriosità dei Pedrenghesi), una striscia ondulata d’argento orizzontale (essa rappresenta il fiume Serio che segna i confini orientali del territorio comunale) e la chiesetta della Madonna del Buon Consiglio (chiamata anche “Chiesetta dei morti” in quanto è stata costruita per ricordare i morti della peste del 1630), uno dei più vecchi edifici del territorio.

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Comune di Piario (BG)

Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale

I locali vogliono derivare il nome del proprio Comune dal latino Apiarium, cioè “alveare”. Origine sulla quale non ci sono certezze, ma che è richiamata nello stemma araldico (concesso con D.P.R. n. 3506 17/5/1986) dalla figura dell’ape d’oro, simbolo di nobile lavoro e di concorso per il benessere della collettività (MAIDA, 2006).

Occorre precisare che l’apicoltura fu importata con le invasioni barbariche al tempo della caduta di Roma.

Completano la figurazione un pino silvestre sradicato, simbolo dei boschi che costituiscono ancor’oggi buona parte del territorio (una vera ricchezza, in passato, per l’economia locale) e un’alabarda che richiama le industrie di armi che nel XV secolo vennero installate nella zona e che producevano rinomati “ferri” per la Serenissima (la nota Repubblica di Venezia).

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Comune di San Paolo d’Argon (BG)

Lo stemma (concesso con D.P.R. Giuseppe Saragat, 19/5/1965; art. 7 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 14 del 27/3/2001) riporta richiami storici del Comune, denominato così dal 1887 (prima di allora si chiamava Buzzone S. Paolo) (MAIDA, 2006).

Le spade, infatti, poste in croce di S. Andrea, con la fiamma all’incrocio, ricordano il triste evento dell’anno 1398 legato alle lotte tra Guelfi e Ghibellini; in quell’anno il paese, abbandonato dai Guelfi sconfitti, fu saccheggiato e incendiato dalla fazione ghibellina.

Nella parte superiore vi è un’ape al volo spiegato; essa simboleggia la laboriosità della popolazione locale che, dopo i tristi fatti citati, seppe ricostruire con straordinaria capacità ciò che venne distrutto e riprendere il lavoro nelle fertili campagne.

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Comune di Segrate (MI)

Immagine di Massimo Ghilardi ispirata all'originale

Lo stemma (D.P.R. 11/10/1965; art. 3 dello Statuto, deliberazioni C.C. nn. 97 e 16 dell’11/12/1998 e dell’11/2/1999) presenta, in campo azzurro: nel capo una moneta e un'ape ad ali aperte; nel cuore (punto centrale dello scudo), come sua principale figura, un’ala (d’aquila) spiegata e sulla punta (posizionato in fascia) un corso d'acqua, ondato d’argento.

Il primo elemento (tecnicamente bisante, tondo in metallo che prende nome dalle monete auree coniate a Bisanzio) simboleggia la produttività e, di conseguenza, la prosperità economica; il secondo la laboriosità degli abitanti (al 31 dicembre 2005 a Segrate risultavano residenti 33.531 persone; di questi, circa 15.000 trovano occupazione nelle sue aziende, operanti in vari settori); il terzo (araldicamente detto semivolo) la realtà più caratteristica del territorio, ossia 1’aeroporto “Forlanini” (lo scalo milanese è maggiormente conosciuto con il nome della località vicino a cui sorge, Linate) e il quarto l’Idroscalo (vasto bacino artificiale costruito tra il 1927 e il 1930 per l’ammaraggio degli idrovolanti) (AA. VV., 2003).

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Comune di Suello (LC)

Immagine di Marco Foppoli ispirata all'originale

Lo stemma (concesso con D.P.C.M. del 4/11/1960) rappresenta tre api d’oro, simbolo dell’operosità, e un bozzolo del baco da seta (FOPPOLI e MEZZERA, 2005), a testimonianza della bachicoltura, remunerativa attività che per decenni (nei secoli XVIII e XIX) caratterizzò l’economia del territorio.

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Comune di Veniano (CO)

Lo stemma di Veniano (D.P.R. 14/7/1975) ricorda nel troncato le due frazioni di cui è composto il paese: superiore e inferiore (GENOVESE, 2007).

Nella parte alta dello scudo, la corona è il simbolo della concessione di queste terre da parte di Liutprando, re dei longobardi, in dono al monastero di San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia.

Il fiume ondeggiante ricorda il torrente Antiga, che lambisce il territorio; le api sono il simbolo dell’attività industriale, particolarmente fiorente in questa zona.

Nella parte inferiore, l’albero di gelso e la vite, attorcigliata al suo fusto, rappresentano le due principali attività agricole che costituivano, nel passato, la maggiore risorsa economica del paese.

La catena di monti vuole rappresentare il profilo delle prealpi comasche, visibili da tutto il territorio adagiato su un altopiano

 

FONTE

- BARBATTINI R. - Le api nell'araldica civica italiana. Apitalia. 34 (3) (2008): 35-38i


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IV PARTE

TRENTINO ALTO ADIGE



Comune di Ortisei / St. Ulrich (BZ)

Il Comune aveva da tempo un proprio stemma concesso dall’imperatore dell’ex Impero austro-ungarico nell’ottobre 1907, in occasione dell’elevazione del Comune a “Borgata”.

Solo nel 1969 esso è stato approvato con Decreto del Presidente della Giunta Regionale (n. 3810 del 31/12/1969) e ha le seguenti caratteristiche (PRÜNSTER, 1972):

“D’oro con la figura di S. Ulrico, vestito degli ornamenti vescovili, che tiene in alto nella mano destra una croce d’oro, montato su un cavallo bianco con finimenti d’oro e coperto di un mantello rosso, poggiato sopra tre cime di montagne verdi.

Nella parte superiore dello scudo si nota una fascia di azzurro con tre scudetti di argento, equidistanti e intercalati da due svolazzanti api d’oro”

 

VENETO

 


Comune di Cappella Maggiore (TV)

La figura principale dello stemma (D.P.R. 22/9/1963; art. 3 dello Statuto, deliberazioni C.C. n. 15 del 20/3/2001 e n. 24 del 30/5/2001) è una fontana d’argento zampillante; accostate in capo (cioè nella parte superiore dello scudo), vi sono tre api d’oro al volo spiegato, ordinate in fascia.

Ciò vuol dire che sono disposte l'una accanto all'altra nella posizione che, in araldica, è normalmente della fascia (ovvero una grossa “riga orizzontale”).

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Comune di Melara (RO)

Il famoso scrittore e naturalista latino Plinio il Vecchio (23-79 d. C.) nella sua “Naturalis historia” (libri XLIII e XXI), descrive gli abitanti di questa zona come eccellenti apicoltori e cita le laboriose api del fiume Po, produttrici di un miele di primissima qualità (1). Il fiume Po e le api sono stati immortalati nello stemma (decreto del Capo del Governo 16/7/1936, definitivo con Regio Decreto del 16/12/1937 e confermato con D.P.C.M. 25/11/1968) ove si nota la figura simbolica di Eridano (l’antico nome del fiume Po) versante l’acqua da un vaso su una pianura verde e, nella parte superiore, tre api d'oro poste in fascia (RIDOLFI, 1997).
Occorre, però, precisare che Plinio il Vecchio per localizzare meglio il posto indica il nome di Ostiglia (in provincia di Mantova, a 10 km da Melara), ma alcuni studiosi di storia locale (Biblioteca comunale di Melara, in litteris) affermano: “abbiamo a buon diritto motivo di credere che si tratti invece di Melara, per il suo stesso nome (Mellaria) di derivazione dal latino (mel: miele; mellarium: alveare) e perché in Melara e dintorni esistono ancora oggi nomi di località direttamente legate alle api, come “Via api”, “Cà l’Ape”, “L'Arnarolo”. E’ certo che, al tempo dei romani, Ostiglia fosse un’importante località, scritta pure sulla tavola Peutingeriana (o Tabula Peutingeriana è una copia del XIII secolo di un'antica carta romana che mostrava le vie militari dell'Impero), mentre Melara era un piccolo borgo a lei dipendente”.

 

FRIULI VENEZIA GIULIA

 

Comune di Mariano del Friuli (GO)

Lo stemma è stato concesso con Decreto (n. 4423) del Re d’Italia Vittorio Emanuele III in data 12/4/1929 (art. 6 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 2 del 30/1/2004).

Le api operaie raffigurate simboleggiano l’operosità nei campi verdi; esse sono posizionate tra due falci incrociate che richiamano un’operazione colturale di grande importanza.

 

EMILIA ROMAGNA

 


Comune di Castel Maggiore (BO)

Lo scudo di smalto azzurro è attraversato da una striscia che la terminologia araldica definisce sbarra, su cui sono caricate tre api d’oro (SAVORELLI, 2003).

Lo stemma (riconosciuto con decreto del capo del Governo del 18/2/1929), di composizione semplice ed efficace, celebra la laboriosità degli abitanti.

Da notare che le tre api d’oro in fascia costituivano il segno che contraddistingueva le città nell’Araldica civica napoleonica, alla quale probabilmente si rifà la figurazione attuale (anche se Castel Maggiore non gode, attualmente, del titolo di “città”) (GHIRARDI, in litteris).

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Comune di Palagano (MO)

Lo stemma (concesso con D.P.R. Antonio Segni, 29/5/1963; art. 6 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 71 del 28/11/1994) è d’argento e presenta un albero di castagno su un monte verde con sette castagne dorate, ancora nel riccio (SAVORELLI, 2003).

Questa figura è da mettere in relazione alle ampie distese boschive ricche di castagneti, che hanno rappresentato in passato un’importante fonte alimentare per le popolazioni montane; l’ape, pure d’oro e al volo spiegato, è da ritenersi un simbolo dell’operosità e del lavoro sociale.

E’ doveroso sottolineare l’alto interesse apistico di questa specie vegetale (Castanea sativa) i cui fiori sono intensamente visitati sia dalle api allevate sia da quelle selvatiche; dalla fioritura del castagno, specie caratterizzata da un alto potenziale mellifero (250 kg/ha), gli apicoltori riescono a produrre un apprezzato miele monoflorale (PERSANO ODDO et al., 2000; RICCIARDELLI D’ALBORE e INTOPPA, 2000).



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Comune di San Possidonio (MO)

Lo stemma (art. 6 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 45 del 21/4/2004) è costituito da uno scudo inquartato.

Superiormente si notano: a sinistra un alveare con alcune api bottinatrici (simbolo della bontà operosa e dell’eloquenza) e a destra l’incudine, la mazza e la vanga per indicare le attività professionali maggiormente svolte sul territorio (quella di fabbro e quella di coltivatore). Inferiormente sono riprodotte, a sinistra una vecchia stampatrice (per alludere alle attività culturali) e, a destra, una squadra di legno e un filo a piombo (arnesi tipici usati, in passato, da falegnami e muratori).

Lo stemma era sovrastato in passato da una corona “marchionale” (2) oggi sostituita da quella ordinaria di Comune. Secondo gli storici locali in epoca fascista fu aggiunto un “caduceo” (3) con due serpenti alati, per significare l’importanza del commercio e dell’industria, nonché il buon governo e la concordia.

 

LIGURIA

 

Comune di Ceranesi (GE)

Si tratta del Comune più esteso del Genovese, nel cui territorio si trova il celebre santuario di Nostra Signora della Guardia. Lo stemma (art. 3 dello Statuto, deliberazioni C.C. n. 26 del 28/7/1991 e n. 29 del 7/10/1991), risale al 1893 ed è caratterizzato da un alveare d’argento contornato da sei api d’oro (alludente al toponimo e alle sei principali frazioni del Comune); nella parte alta è posizionato un monogramma d’oro formato dalle iniziali “A” e “M” (“Ave Maria”), con ovvio riferimento al santuario ricordato.

Circa l’origine del nome, la tradizione locale afferma che il toponimo deriva da un’antichissima “fabbrica di cera”, che sarebbe stata proprietà dei nobili Cerano. A questa famiglia, che effettivamente esercitò diritti feudali sul territorio, potrebbe essere stata concessa anche la facoltà di riscuotere la tassa sugli alveari e sulle produzioni di miele, cera e derivati, un tempo fiorenti in questa zona (TARALLO, 2006).

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Comune di Mele (GE)

Nello stemma (art 3 dello Statuto, deliberazione C.C n. 37 del 22/12/2005) si notano sette api operaie accanto a un alveare (l’arnia è quella dei tempi antichi, semplice, di vimini) da cui sono uscite per andare a bottinare.

Il nome del Comune probabilmente si rifà al “dolce” prodotto delle api. Infatti, lo stemma così recita: “ex melle mihi nomen”, ovvero “dal miele il mio nome”.

Secondo TARALLO (2006), invece, questo nome potrebbe essere fatto risalire anche all’esistenza di ampie coltivazioni di meli sul territorio, interpretazione che non concorda, però, con la scritta.

 

Centro - Italia

TOSCANA


Comune di Campo nell’Elba (LI)

Anche in questo stemma (Regio Decreto del 27 aprile 1897 e art. 4 dello Statuto, deliberazioni C.C. n. 43 del 16/7/2005 e 59 del 30/9/2005) si notano le tre api di napoleonica memoria (esse però, anziché montanti, sono riportate nel capo inclinate) (PAGNINI, 1991).

Sotto di esse si stagliano una torre merlata e tre cime di montagne (a ricordare le tre frazioni comunali) degradanti verso il mare sul quale fluttua una piccola imbarcazione.


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Comune di Marciana Marina (LI)

Ancora una volta vengono rappresentate (Regio decreto del 7 giugno 1886) le tre api d’oro (emblema di operosità costante e di parsimonia) che ricordano il periodo napoleonico; sotto di esse è stata immortalata la torre di Marciana Marina edificata nel XII secolo per l’avvistamento dei pirati. La torre Medicea (in rovina) richiama la storia della comunità (PAGNINI, 1991).

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Comune di Rio Marina (LI)

In questo caso lo stemma comunale (art. 3 dello Statuto, deliberazioni C.C. n. 74 del 14/12/2001) riporta l’aquila napoleonica sormontata da una corona e con il petto coperto da uno scudo argenteo caricato trasversalmente da una banda con tre api (PAGNINI, 1991).

Questo fu deciso dal Consiglio Comunale nella sua prima seduta (1/7/1882). Lo stemma deriva da quello napoleonico in onore del fatto che Napoleone, durante il suo soggiorno all’Elba, aveva elevato la Marina di Rio (oggi Rio Marina) a Comune autonomo.

 

NOTE

 

(1) Plinio il Vecchio narra che gli apicoltori di questa zona trasportavano gli alveari lungo il Po su capaci imbarcazioni o zatteroni e, navigando contro corrente, si portavano a circa cinque miglia verso Ostiglia. Qui rallentavano la navigazione, muovendosi a tappe, per permettere alle api di uscire dagli alveari, di volare sui fiori della sponda sinistra o destra del fiume e di ritrovare facilmente le arnie sui battelli, quasi fermi sull’acqua, in attesa. L’aspetto delle sponde del Po era allora lussurreggiante di piante, di fiori e di radure.
Successivamente, quando poi gli zatteroni si abbassavano a filo d’acqua per il peso dei melari pieni (ciò poteva avvenire anche dopo qualche mese), gli apicoltori ritornavano a Melara col favore della corrente trasportando il prezioso carico fino alla zona di partenza. Lo spostamento delle imbarcazioni con gli alveari si effettuava solo di notte, quando le api erano tutte rientrate. Sembra che i viaggi fossero due all’anno: uno a primavera e uno in estate; infatti erano queste le stagioni più favorevoli al lavoro delle api La navigazione doveva essere lenta; il Po, infatti, non era un corso d’acqua incanalato (l’arginatura era pressochè inesistente) fra due argini, ma aveva un aspetto molto paludoso ed era caratterizzato da numerosi canali laterali e da molti isolotti sparsi fra i suoi meandri (PELATI, 1981; CHIAVEGATTI; 1983).

(2) Questo aggettivo sta a indicare un legame con un marchese o con la sua famiglia: infatti San Possidonio era feudo della Famiglia del Marchese Tacoli (Pietro Tacoli - nato il 1689 e morto il 1738 - fu il primo Marchese di San Possidonio a partire dal 1723 fino alla sua morte).

(3) Questo è un Bastone alato con due serpenti attorcigliati ad esso, attributo del dio Hermes (Mercurio nella mitologia romana), usato nell’antichità classica come emblema di pace portato dagli araldi.
Secondo la leggenda Hermes, al suo arrivo in Arcadia (una regione della Grecia) vide due serpi che lottavano tra loro: gettato in mezzo il suo bastone da messaggero essi si riappacificarono avvolgendosi intorno al legno. Oggi è divenuto simbolo dell’Arte medica.
Esso è, talora, scambiato con il Bastone (detto anche Verga) di Esculapio (caratterizzato da un “serpente” attorcigliato), anche se storicamente i due simboli ebbero significati distinti. Secondo alcuni Autori, l’origine grafica, sia del bastone di Esculapio, sia del caduceo di Hermes, va ricercata in un antico metodo, ancora valido, di estrazione progressiva dai tessuti sottocutanei, della femmina adulta del nematode parassita Dracunculus medinensis (specie diffusa in molte regioni rurali dell’Africa e delMedio Oriente).
Questa operazione delicata, che prevede l’arrotolamento del verme su di un bastoncino, poteva durare giorni
e doveva essere eseguita da persone molto esperte, affinché il nematode non si rompesse durante l'estrazione. Se ciò succedeva, il verme moriva nel tessuto sottocutaneo e non si poteva più estrarre; questa situazione avrebbe comportato una successiva e sicura infezione batterica (HAEGER, 1989; PEARSE et al.,1993; WILCOX e WHITHAM, 2003).

Il significato generale di pace del caduceo è rafforzato dalla simbologia dei singoli elementi che lo compongono: il potere per il bastone, la concordia per i serpenti e la sollecitudine per le ali.


FONTE

Le api nell'araldica civica italiana IV. Apitalia, 34 (4) (2008): 35-38

 

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V PUNTATA

 


MARCHE


Comune di Acquasanta Terme (AP)

Lo scudo è occupato dalla figura di San Giovanni Battista, patrono di Acquasanta Terme, che tiene con la mano sinistra un favo; ai suoi piedi è raffigurata una cavalletta (Locusta migratoria). Il tutto richiama il passo del vangelo di Matteo (Mt 34: 4) che dice: “Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele selvatico“.

Lo stemma e il gonfalone sono stati concessi con D.P.R. del 10/7/2004 (art. 4 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 19 del 23/2/2006).

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Comune di Santa Maria Nuova (AN)

L’emblema comunale (art. 2 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 29 del 5/6/2003) porta i segni dell’evoluzione storico-amministrativa di questa località: infatti esso reca, al di sotto delle tre api d’oro, la croce lombarda, in omaggio agli antichi immigrati che rifondarono il borgo.

Questo centro, infatti subì ricorrenti distruzioni fino a quando, tra la fine del XIV secolo e l'inizio del XV, venne trasferito sulla sommità di un colle posto leggermente più ad occidente, luogo ritenuto più salubre e al nuovo insediamento venne dato il nome di Santa Maria Nuova. La fondazione del nuovo centro si fa risalire al 1472, data ufficiale dell'immigrazione di genti lombarde.

La presenza delle api simboleggia la laboriosità della popolazione locale (URILEI, 2001).

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Comune di Urbania (PU)

Lo stemma della città di Urbania (letteralmente “città di Urbano”) fa riferimento alla sua origine “pontificia”. Nel 1636, infatti, papa Urbano VIII (card. Maffeo Barberini) la rifondò simbolicamente elevandola al grado di Diocesi e di Città e il suo nome, Castel Durante, fu mutato in quello attuale di Urbania: gli abitanti si chiamano, però, ancora durantini (PAOLI, 1984; POZZI, 1998).

In esso si notano, in campo azzurro, il simbolo basilicale (“parasole”, detto anche “ombrellino” e assai raro nell’araldica civica, colorato di bianco e di rosso, colori caratterizzanti la città) nascente da un giglio d’oro (guelfo, simbolo di fedeltà alla Chiesa), fiancheggiato da due chiavi (una rossa e una argentea, allusive delle chiavi di San Pietro) e in capo tre api operaie (simbolo di operosità), richiamo all’emblema della famiglia BarberinI.


 

LAZIO

Comune di Collalto Sabino (RI)

Questa località fino al XIX secolo aveva un unico nome (Collalto). L’attuale versione dello stemma (art. 4 dello Statuto comunale) fa riferimento a questo nome: l’antico “Collis Altus”.

La figurazione “rende bene l’idea” con la presenza di tre cime azzurre, nella tipica stilizzazione all’italiana, delle quali la centrale è la più alta; su di esse poggia un cervo maschio alludente alla posizione elevata della località. Sullo sfondo è rappresentato lo scudo antico della comunità (partito d’argento e di rosso); lo stemma è sormontato, oltre che dalla corona nobiliare da tre api d’oro allineate (in fascia) che ricordano la famiglia romana dei Barberini che, nel maggio 1641, fu investita della Baronìa di Collalto.

Si segnala la presenza impropria dell’ovale periferico col nome: in araldica, infatti, vige la norma per cui non è ammesso quel tipo di nastro ovale; esso si ispira, probabilmente, alla targa di metallo che viene abitualmente esposta all’esterno di ogni Casa Municipale (GHIRARDI, in litteris).

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Comune di Fabrica di Roma (VT)

Da documenti di Archivio si desume che lo stemma (art. 6 dello Statuto, deliberazioni C.C. n. 31 del 5/2/1992 e n 3 del 15/2/2002 ) è antichissimo, del 1500 circa.

Lo stemma riporta un braccio che sorregge un favo su cui passeggiano quattro api operaie; altre due api stanno volando intorno.
Questa posizione richiama certamente la predisposizione dei Fabrichesi al dono e la loro generosità: questa, però, è oculata (ciò è dimostrato dal braccio “vestito”) (BIANCHINI, 1982).

La manica rimboccata è chiara espressione di un uomo lavoratore; il favo con le api simboleggia il lavoro intelligente.

 

SUD ITALIA E ISOLE

 

CAMPANIA

 

Comune di Lapio (AV)

Lo stemma (art. 2 dello Statuto comunale) presenta quattro parti (inquartato da un “filetto in croce d’oro”) posizionate (abbassato) sotto un capo rosso riportante le due consonanti presenti nel nome stesso.

Le figure riportate (le api d’oro, le spighe di frumento, il grande albero e il grappolo d’uva) richiamano attività economiche, prevalentemente agricole, che caratterizzano Lapio, dove si producono cereali, olive, ciliegie, noci, nocciole, miele; questa località è nota soprattutto per la produzione di uva Fiana, da cui il rinomato vino bianco D.O.C. Fiano.

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Comune di Nola (NA)

Questo stemma rappresenta un caso araldico molto curioso.
Esso porta, fin dal ‘500, un'aquila bicipite con corona reale fra le due teste e con uno scudo sul petto su cui è disegnata quella che sembra una campana (in realtà è un’arnia!) a forma allungata, intorno alla quale volteggiano cinque 5 insetti.

Questi sono interpretati ora come “cicale” (per via forse del Monte Cicala che sovrasta la città), ora come api.

La prima interpretazione è confortata anche da leggende locali ma non è sicurissima. In questo caso si verificò, quindi, una circostanza inversa a quella napoleonica: sotto il regno borbonico gli insetti (api o cicale che fossero) furono spesso trasformati in gigli, in omaggio all’insegna dei re di Napoli.

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Comune di Pietramelara (CE)

Lo stemma (art. 5 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 13 del 29/4/2003) riporta in campo azzurro tre api d’oro che sormontano un alvare posto sopra un mucchio di pietre.

Dalla posizione di queste bottinatrici rivolte verso l’alveare (di paglia, tipo diffuso in antichità: CONTESSI, 2004) da cui sono uscite, si può ipotizzare che stiano compiendo i cosiddetti voli di “orientamento”.

 

PUGLIA

 

Comune di Melissano (LE)

Il Comune di Melissano, autonomo dal 1° gennaio 1923, solo nel 1958 si occupò del riconoscimento dello stemma civico (art. 8 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 21 del 9/8/2006); questo riporta in campo azzurro, un’ape d’oro, accompagnata da tre carrube (due in capo e una in punta dello scudo).

Per anni si è ritenuto che il toponimo “Melissano” derivasse dalla pianta del gen. Melissa (SCOZZI, 1990), specie vegetale che, contrariamente a quanto pensassero i locali, è scarsamente visitata dalle api (RICCIARDELLI D’ALBORE e INTOPPA, 2000); uno stemma civico, quindi, che solo indirettamente si richiama al nome del Comune.

 

CALABRIA


Comune di Africo (RC)

Lo stemma (art. 1 dello Statuto, deliberazione C. C. n. 29 del 31/7/2002) riporta in punta tre colli cilindrici, disposti a piramide, con la parte superiore arrotondata che costituiscono il cosiddetto monte all’italiana (GHIRARDI, 2006); essi ricordano che questo è un Comune di montagna (670 m. s. l. m.).

Nella parte superiore volano tre api operaie, simbolo della laboriosità degli Africesi e del loro attaccamento alla terra.


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Comune di Melissa (KR)

Secondo alcune leggende il toponimo “Melissa” deriverebbe da Melisseo, re di Creta a cui è attribuita la fondazione del paese e dalla fama della maga Melissa; altri (GASCA QUEIRAZZA et al., 2003) fanno derivare il nome dal greco (ape, miele).

Quest’ultima tesi fu preferita dai melissesi che adottarono nello stemma del Comune le api svolazzanti accarezzate con la mano destra dalla Ninfa. Infatti, lo stemma (art. 5 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 11/2005) è uno scudo sormontato da una corona (originariamente d’oro e ingemmata, ma lo stemma è stato aggiornato di recente per cui esso non ha più la corona nobiliare ma quella ordinaria), nel quale è raffigurata una donna rappresentante la Ninfa Melissa, protettrice delle api.

 

La Ninfa, vestita di rosso, appare seduta in un prato verdissimo nell’atto di accarezzare alcune api in volo; sulla sinistra, è raffigurato un arbusto e sullo sfondo il cielo azzurro (in questo caso, in araldica, si parla di “campo di cielo”) percorso da nubi bianche.

 

 


SICILIA


Comune di Avola (SR)

E’ probabile che Avola abbia definito il suo emblema civico nel sec. XIII; questo rimase, inalterato fino agli anni ’60 del sec. XIX (GRINGERI PANTANO, 1987). Lo stemma attuale (D.P.R. 14 marzo 2002 e art. 3 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 17 del 10/2/2005) si concretizzò dopo l’Unità d’Italia; esso è diviso in due parti da una fascia che abitualmente è rappresentata curva (per simboleggiare il campo convesso dello scudo) ma che, invece, dovrebbe essere orizzontale. Nella parte superiore è posta una croce con i quattro bracci uguali (greca), mentre nello spazio sottostante, sono rappresentate, con le ali aperte, tre api. La croce è simbolo della fede cristiana che la popolazione di Avola ha sempre professato.
Il fatto che le api siano tre (non una) starebbe a indicare la grande quantità di insetti presenti nella zona. Esse sono simbolo dell’industria e del lavoro, come pure della donazione e della vendetta (GUBERNALE, 1912-1937): esse, infatti, danno sì un eccellente miele – molto apprezzato è il miele dei Colli Iblei (PERSANO ODDO et al., 2000) – ma possono procurare qualche problema con il loro pungiglione (BARBATTINI e FRILLI, 2004).
Quasi accollate allo stemma vi sono due cornucopie, simbolo dell’abbondanza e dell’agricoltura che culminano in una composizione di fiori e frutti. Esse rendono lo stemma più appariscente, sia compositivamente sia cromaticamente.

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Comune di Melilli (SR)

Sullo stemma (art. 9 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 119 del 29/11/2001) è raffigurata un’aquila coronata, con le ali spiegate, coperta al centro da due scudi ovali (questa è una composizione assai diffusa fino al XVIII secolo), sormontati da corona (fig. 56 a). In quello di sinistra si notano cinque api che si librano in volo verso il sole splendente, alcuni ruderi con vegetazione; in quello di destra, diviso in sette parti, due aquile sormontate da corone, alcune bande (superiormente e inferiormente, simbolo della famiglia Aragona), due leoni rampanti coronati (simbolo del potere della famiglia Moncada dei Principi di Paternò che possedeva molti feudi), tre foglie, una colonna (una “Torre”) e un Castello. La Torre e il Castello sono simboli dei sistemi difensivi di Melilli che vennero distrutti dal terremoto del 9/11 gennaio 1693 e non furono più ricostruiti (MOLLICA. 1999). Lo stemma a sinistra è certamente quello del Comune e presenta anche una barca a vela che sembra muovere dai ruderi verso la vegetazione (e che l’estensore dello Statuto del Comune ha ignorato).
Il tema delle api, presenti nello stemma, è dovuto al fatto che il miele ibleo e la sua bontà sono stati cantati fin dall’antichità e si richiama alla mitica Ibla, l’attuale Melilli (AREZZO, 1537). Il nome di tale città deriva dal re siculo Hyblone che abitava nella vicina Pantalica e che diede ai coloni Megaresi, provenienti dell’Attica nell'antica Grecia, il terreno per fondare (728 a.C.) Megara Iblea (MAGNANO, in litteris). Con grande probabilità questo episodio è richiamato dalle api rappresentate: esse sarebbero “sciamanti” e, quindi, Megara Iblea si è originata dall'antica città di Megara (alla quale alluderebbero i ruderi sulla scudo di sinistra) per una “sciamatura”.
Lo stemma è racchiuso nella scritta circolare (araldicamente parlando, è abbastanza anomala per cui si preferisce riportare l’immagine in cui essa è stata sostituita con un nastro d’argento, come prescrive la Regolamentazione) che recita: Maegara ortum Hiblae leo martem alveare Melilli dat (Megara, leone di Ibla, dà a Melilli la nascita, la potenza, la prosperità).

 

NOTE

(1) Sul toponimo “Melilli” si è discusso molto nel corso dei secoli. Per spiegare l’origine del nome, alcuni studiosi (PALMERI, 1850; AMICO, 1856; RIZZO, 1988) collegarono l’antica Ibla al miele, che si produce in gran quantità negli Iblei, ricchi di timo. Tutte le specie del gen. Thymus sono visitatissime dalle api e assicurano notevoli produzioni di miele uniflorale, tipica produzione italiana da salvaguardare (PERSANO ODDO et al., 2000; RICCIARDELLI D’ALBORE e INTOPPA, 2000; ARCULEO e SABATINI, 2007). D’altronde il miele degli Iblei è stato celebrato, fin dall’antichità, da poeti e scrittori (RIZZO, 1990; AA.VV., 1992; MAGNANO, 2004). Per altri studiosi, il toponimo, invece, deriverebbe dall’arabo e significherebbe sentiero trafficato, a causa della sua posizione strategica (MAGNANO, in litteris).


FONTE

BARBATTINI R., Le api nell’araldica civica italiana V. Apitalia, 34 (5) (2008): 35-38.


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VI PUNTATA

 

SARDEGNA

 

Comune di Alà dei Sardi (OT)

Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale

Lo stemma e il gonfalone (art. 4 dello Statuto, deliberazioni C.C. n. 29 del 21/6/2000) sono stati concessi nel 1999 dal Presidente della Repubblica C. A. Ciampi. Le figure presenti nello stemma richiamano gli elementi su cui si fonda tradizionalmente l’economia del Comune e cioè il grano, il sughero, l’allevamento delle pecore e l’apicoltura (CECCOMORI, 2005). Infatti, nel vasto territorio di Alà dei Sardi, ricco di flora, le api producono una gran quantità di miele (dolce o amaro di corbezzolo, FLORIS e SATTA, 2007) di ottima qualità.

Per la simbologia araldica, queste figure rappresentano:
la spiga l’abbondanza (la sicura ricompensa al lavoro) e la pace;
la quercia la forza e la potenza, la nobiltà, l’antico dominio, nonché un richiamo ai suoi “prodotti” (ghiande e sughero);
la pecora i vasti possedimenti, atti alla pastorizia, e la mansuetudine;
l’ape l’operosità degli abitanti alaesi.

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Comune di Monti (OT)

Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale

Lo stemma è stato riconosciuto con D.P.C.M. n° 2187 del 31/03/1983.
Questo centro agricolo, posto all’intersecazione di vie di comunicazione tra le regioni di Gallura, Logudoro e Barbagia, è importante per la produzione del pregiato vino Vermentino (CECCOMORI, 2005).

Ad essa, infatti, allude la torre dello stemma avvolta da una vite “fruttifera” di grappoli d’oro; alla torre sono associati tradizionali simboli dell’agricoltura (le spighe) e dell’operosità dell’uomo (l’alveare con le api).

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Comune di Padru (OT)

Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale

Lo stemma civico (art. 2 dello Statuto, deliberazioni C.C. n. 31 del 23/10/1997 e n. 43 del 16/12/1997) porta, superiormente, due grappoli d’uva e un’ape (1) e, inferiormente, in verde, il rilievo del Monte Nieddu; le due parti (in campo rosso e in campo azzurro) sono suddivise da una fascia dorata (CECCOMORI, 2005).

Il Comune vive della sua economia agro-pastorale: tra le attività agricole particolarmente diffuse sono la viticoltura (le varietà vinicole presenti sono il Vermentino, il Cannonau, la Vernaccia e l’Aleatico) e l’apicoltura.

 

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APPENDICE

Si illustrano anche gli stemmi delle province di Livorno (Toscana) e di Terni (Umbria).

Provincia di Livorno

Lo stemma (art. 2 dello Statuto, deliberazione. n. 25 del 14/2/2002) merita una sottolineatura (per questo e per gli stemmi di Comuni toscani sopra illustrati, si veda l’opera coordinata dall’UNITÀ EDITORIA DELLA GIUNTA REGIONALE pubblicata nel 1995).

Nella parte superiore dell’emblema viene riportata la prima bandiera napoleonica dell'isola d'Elba (2): una banda (cioè una striscia inclinata in basso verso destra) rossa in campo bianco con tre api dorate (3) che rappresentano la laboriosità degli elbani e i tre porti all’epoca più importanti: Portoferraio, Rio Marina (entrambi legati al trasporto del ferro) e Marciana Marina (porto utilizzato per il commercio di prodotti agricoli e soprattutto del vino).

Nella parte inferiore è riportato la fortezza Vecchia di Livorno (degli inizi del 1600) che esce dal mare, la cui torre destra porta una bandiera bifida bianca con la scritta “Fides” (Regio decreto del 23 febbraio 1902).

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Provincia di Terni

Fig. 1

Bene ha fatto l’amministazione provinciale di Terni a procedere, qualche anno fa, ad un restyling del proprio stemma. Infatti, gli insetti riprodotti precedentemente potevano essere facilmente confusi con mosche (Fig. 1) o con vespe (Fig. 2).

Nell’attuale versione (Fig. 3), invece, sono rappresentate, molto schematicamente, le tre api citate nel decreto ministeriale del 6/12/1934. Le vecchie versioni sono state utilizzate dal momento delle concessioni (la prima il 12 marzo 1936 e la seconda il 27 ottobre 1956) fino alla ridefinizione effettuata da Michele Spera nel 1987 (BUSSETTI, in litteris).

Nello stemma (art. 5 dello Statuto, deliberazione n. 49 del 7/4/2003) oltre alle api, simbolo della laboriosità della comunità provinciale, si ritrovano anche cinque “onde”; esse ricordano l’acqua, risorsa fondamentale per lo sviluppo industriale e commerciale del territorio (4).

Fig. 2

Fig. 3


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CONSIDERAZIONI

A conclusione di questa “carrellata” (forse incompleta) si evidenzia come in gran parte degli stemmi individuati (52 pari all’85 %) siano riportate api operaie (vedi grafico): questo è un uso abbastanza comune nell’araldica civica internazionale; infatti, solo eccezionalmente è rappresentata la regina (VAN LAERE, 1982). E’ corretto, però, dire che le api, come del resto ogni altro insetto, sono abbastanza rare in araldica, soprattutto in quella più antica. Per quanto attiene all’araldica gentilizia, esse sono un po' più frequenti, ma sempre rare (SAVORELLI, com. pers.). In Italia la famiglia più famosa che ha le api nel suo emblema è quella dei Barberini, da cui proveniva papa Urbano VIII: il suo stemma si vede spesso sia in Vaticano sia a Roma, come nella nota fontana di piazza Barberini.
L’ape è sempre vista dal dorso e rappresentata, come avviene normalmente in araldica, montante, cioè nell’atto di salire, verso la parte alta dello stemma (capo), con le ali aperte; essa viene quasi sempre raffigurata “d’oro”, ma mai su un fiore! L’oro è il primo metallo nobile usato in araldica e raccoglie in sé ogni significato buono e glorioso: ricchezza, potenza, magnanimità, nobiltà, splendore, sovranità, prosperità, ecc.
Come simbolo, in araldica, l’ape è nobilissima; essa simboleggia l’industriosità, la fatica “virtuosa”, la regolarità, la laboriosità e l’operosità degli abitanti dei Comuni interessati nonché – di questo era assertore Napoleone – la immortalità e la resurrezione. E’ quindi un simbolo molto diffuso su tutto il territorio nazionale.
Da rimarcare è una notazione “mistica” della simbologia dell’ape; essa, infatti, in Occidente è anche chiamata ‘Uccello del Signore’ o ‘della Madonna’ e si può considerare un simbolo dell’anima (BIEDERMANN, 1991). Ciò è valido per quegli stemmi che uniscono l’aspetto allegorico del lavoro a quello del fedele (ad esempio quello del Comune ligure di Ceranesi, che ha l’alveare con le api intorno, simboliche del popolo laborioso per il bene comune sul quale veglia, in alto, il monogramma di Maria).
Gli usi delle api negli stemmi comunali sono di due tipi: come parlanti, cioè allusive (come avviene nei rebus) al nome stesso del Comune, e allegoriche, come generico simbolo di laboriosità, industriosità, abbondanza ecc. Questo secondo uso è presente in vari Comuni, ma è sempre moderno. Per quanto riguarda le api parlanti si ricordano Avigliana (TO), Melazzo (AL), Mele (GE), Cassina de’ Pecchi (MI), Melara (RO), Pietramelara (CE), Melissano (LE), Melissa (KR), Melilli (SR) e Avola (SR). Tra questi, si sottolinea Melara e Melilli che devono il loro nome al miele e all’attività delle api: ciò è motivo d’orgoglio per gli abitanti (5).
In alcuni casi (Ceranesi, GE; Piario, BG e Ornica, BG) è più corretto parlare di api alludenti, in quanto esse “fanno pensare”, per assonanza, al toponimo.
Quando le api rappresentano una risorsa del territorio, ciò è evidenziato sullo stemma: questo, infatti, contiene gli elementi più significativi per identificare il comune.
Solo in due casi (3,3%), grazie alle scritte interne o esterne, si fa riferimento al miele; l’alveare (o un suo favo) è, invece, rappresentato in 7 stemmi (11.7%) a testimoniare che, fin dall’antichità, in quelle terre si praticava l’apicoltura.
Last but not least, ci si permette di esprimere un giudizio sulla rappresentazione grafica, delle api, in uso in araldica. Le api sono state trattate molto male dagli araldisti. Spesso, infatti, la morfologia di questi insetti non è rispettata (FRILLI et al., 2001): essi, più che api, sembrano mosche!
Quest’affermazione si basa su due constatazioni. La prima è che, sovente, si vede un paio solo d’ali; ciò trae in inganno: le api, infatti, sono Imenotteri e quindi hanno 4 ali ma quando sono a riposo se ne vedono solo due, richiamando così le mosche che, invece, sono Ditteri (dotati di un solo paio di ali). La seconda considerazione è che anche il disegno dell’intero corpo dell’ape fa assomigliare questi insetti a mosche!

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Ringraziamenti

Si desidera ringraziare i sigg. Bruno Fracasso e Massimo Ghirardi (www.araldicacivica.it), il sig. Raffaele Ridolfi di Melara (RO), i proff. Pietro Pitruzzello e Paolo Magnano di Melilli (SR), le Amministrazioni Comunali e Provinciali che hanno risposto alle richieste loro inviate, i proff. Pietro Zandigiacomo e Franco Frilli dell’Università di Udine per la collaborazione prestata.

 

NOTE

1) Il fatto che l’ape e i grappoli siano vicini può suscitare alcune perplessità. La prima può far credere che la vite abbia bisogno dell’intervento dell’ape per essere impollinata; essa, invece, è un vegetale dall’irrilevante secrezione di nettare e i suoi fiori sono visitati solo per la raccolta di polline (Barbattini, 1995). La seconda è che l’ape possa provocare, con il proprio apparato boccale, lesioni agli acini. Ciò è falso, in quanto essa, essendo dotata di mandibole dal bordo arrotondato, è incapace di lacerare superfici continue quale l’epidermide degli acini (Frilli et al., 2001).

2) Pare che Napoleone l’avesse fatta confezionare per il suo piccolo regno a bordo del vascello inglese. Essa fu issata sull’isola il 4 maggio 1814, giorno dello sbarco dell’imperatore a Portoferraio, e ammainata il 1° marzo 1815, quando egli toccò il suolo francese a Cap d’Antibes per l'ultima avventura. Oggi, inalterata, è ancora la bandiera locale dell’Elba. Essa è conservata presso il Museo Napoleonico Villa deiMulini (Portoferraio) (così chiamata per la sua antica struttura che presentava due mulini a vento) che ha ospitato Napoleone nei dieci mesi di sua permanenza elbana, dal 4 maggio 1814 al 26 febbraio 1815.

3) Al posto dei gigli dei Borbone, Napoleone adottò come emblema personale le api, simbolo d’immortalità e resurrezione. L’ispirazione era venuta ricordandol’offerta sepolcrale di centinaia d’api dorate - in realtà delle cicale! - scoperta nella tomba del re merovingio Childerico I, a Tournai, nel 1653 (se ne conservano due esemplari nella Biblioteca Nazionale di Parigi). Dal momento che Childerico era stato il fondatore della dinastia merovingia, le api erano considerate il più antico emblema dei sovrani francesi. Allo stesso tempo, le api rappresentavano l’industriosità dei cittadini di Parigi, che lavoravano fedeli per il loro imperatore.

4) Nel 1927 (ottanta anni fa) la Provincia di Terni fu istituita (separandola dalla Provincia dell’Umbria smembrata nelle tre attuali Province di Perugia, Terni e Rieti) accorpandola con l’area orvietana, proprio in seguito allo sviluppo della città, conseguente alla grande industralizzazione di fine secolo.

5) Già dal ‘700 nella zona di Melara, quindi non solo in quel paese, ma pure in quelli vicini, l’attività di apicoltore era diffusissima. Nel 1877 un noto maestro locale, Cesare Cugola, divulgò su di un giornale torinese un nuovo modo di costruire le arnie (Ridolfi, in litteris). Melilli, purtroppo, a causa della massiccia industrializzazione del suo territorio, con lo spostamento dalla campagna di moltissima manodopera, ha perduto l’antica tradizione apicola, peraltro ancora diffusa negli altri centri iblei (Sortino ad esempio) (Magnano, 2004).

 

FONTE

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Le api nell’araldica civica comunale

 

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LE API NELL'ARALDICA CIVICA - ADDENDA

Pubblicato su Apitalia L’uomo e l’ape - 10/2009 40

Sapevamo di non aver “esaurito” il nostro viaggio in Italia attraverso le figure apistiche negli stemmi comunali: le precedenti “tappe” hanno riscontrato un vivo interesse, e molte segnalazioni ci sono arrivate di stemmi da inserire nel nostro repertorio. Abbiamo raccolto un primo “aggiornamento” su questo tema che vi proponiamo in questo numero.
Abbiamo verificato come l’ape, e il suo mondo, siano elementi fondamentale della nostra cultura, che rivestono grande valenza simbolica e metaforica: per questo le api sono state scelte da numerosi Comuni italiani per rappresentare la comunità, la solidarietà, la cooperazione, il lavoro e tutti quei valori che rientrano nel campo del “civismo” e della convivenza.

Dopo le puntate precedenti sulle figure apistiche negli stemmi delle Città e dei Comuni italiani (Apitalia 2008, XXXIV, 1, 2, 3, 4, 5, 6), che sapevamo non essere esaustive del panorama del nostro Paese, abbiamo ricevuto diverse segnalazioni d’ulteriori stemmi “in tema” che ci hanno confermato nell’interesse riscosso da questo argomento.
Vi proponiamo quindi questo “aggiornamento”, realizzato sempre in collaborazione con lo staff del Gruppo Araldica Civica (www.araldicacivica.it). Anche per la redazione di questo contributo fondamentali sono stati i contatti con le Amministrazioni comunali: la possibilità, infatti, di “navigazione” nei loro siti internet è stata di grande importanza. Le stesse hanno fornito notizie storiche di grand’utilità. Per uniformità grafica sono state utilizzate le immagini ridisegnate degli stemmi inviati dagli Enti contattati (va precisato anche che alcuni Comuni non hanno risposto alle richieste avanzate).
Il grafico, autore del disegno (eseguito rispettando le caratteristiche araldiche degli originali) è Massimo Ghirardi, coautore della ricerca e illustratore araldico.

Come nei precedenti contributi si è seguito un ordine geografico. Il linguaggio tecnico araldico si è specializzato a tal punto da rendersi spesso, per chi non lo “frequenta”, di difficile comprensione: per una più facile lettura, pertanto, i termini tipici del gergo araldico usati, saranno riportati in corsivo.
E’ bene ricordare che la parte principale dello stemma è lo scudo, simbolo di protezione dei soldati. Esso è il fondo sul quale sono disegnate le figure (naturali o ideali) e può essere di un solo colore o diviso (tecnicamente si dice partito) in più parti con diversi colori.
La parte superiore è detta capo, mentre quella inferiore è chiamata punta. Bisogna anche ricordare che, in Araldica, le direzioni destra e sinistra sono riferite all’ipotetico cavaliere che indossa lo scudo, quindi invertite rispetto all’osservatore.
Quasi tutti gli stemmi dei Comuni italiani sono sovrastati (timbrati) da una corona turrita (simbolo d’autonomia territoriale), a sottolineare la dignità del Comune stesso, e contornati da due rami: uno d’alloro (simbolo di gloria) e uno di quercia (simbolo di forza, in senso sia fisico sia morale).
Se è assodato che l’alloro è simbolo di gloria, per quanto riguarda la forza è opportuno riportare la duplice versione che viene data: secondo alcuni starebbe a indicare la forza dell’Ente Comune, secondo altri quella della Repubblica (Fracasso, in litteris).

 

NORD ITALIA

 

PIEMONTE


COMUNE DI COGGIOLA (BI)

Lo stemma (art. 4 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 48 del 28/11/2002) è rappresentato da un leone rampante e cinque api.
Il leone rampante (che è la fedele riproduzione di quello della nobile famiglia Ajamone (1) o Aymone), vuole testimoniare le antiche origini di questo Comune e le cinque api sono il segno dell’operosità dei suoi abitanti.
Da questo accostamento tra i due simboli deriva, non un simbolismo meramente astratto e retorico, ma una felice e quanto mai appropriata raffigurazione sia sul piano storico che su quello morale del carattere e temperamento dei Coggiolesi.
Il leone rampante è stato scelto non solo perché era il simbolo di una delle famiglie che più hanno contribuito per il bene di questa comunità, tra il XIV e il XVI secolo, ma anche perché ben rappresenta la tenacia, l’indomita perseveranza e la nobiltà di animo della gente, anche della più umile, di questa terra.

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COMUNE DI FAVRIA (TO)

Favria deriva probabilmente il suo nome dal latino Fabrica, attraverso il tardo Faria, che sarebbe riferito alla presenza in questa zona di un opificio militare, come recenti scavi archeologici sembrano confermare: nella attuale zona di via Battaglia è stato ritrovato un deposito di munizioni del periodo romano.
Lo stemma allude al “favo” per assonanza con il toponimo, ovvero alla più nobile delle “fabbriche”, quella dell’alveare delle api.
Le spighe simboleggiano,oltre che l’attività molitoria, anche la fertilità del suolo; una ruota dentata di metallo nobile completa quest’allegoria della produzione e celebra la laboriosità degli abitanti.

Il capo con le tre api, ma in campo rosso e non azzurro, era attributo dell’Araldica Napoleonica per le città di Prima Classe. E’ probabile che il disegnatore dello stemma si sia ispirato a quello per indicare l’antichità e la “nobiltà” del Comune. Comunque sia l’ape è il simbolo civico per eccellenza e Favria lo ha adottato quasi in guisa di animale totemico (2) come unico simbolo identificativo per una intera comunità. Il Comune, infatti, ha ottenuto la concessione, oltre che del gonfalone, anche della bandiera comunale: “di forma rettangolare con unico sfondo di color avorio e contenente un’ape d’oro nella parte centrale di proporzioni adeguate alle dimensioni della bandiera…”.
Per ciò che concerne lo stemma è stato concesso dal Presidente della Repubblica con Decreto del 31 agosto 1955, così blasonato: “Troncato; nel primo d’azzurro a tre api d’oro ordinate in fascia; nel secondo di rosso alla ruota dentata di nove pezzi, d’argento, accompagnata da altrettante spighe d’oro, disposte a raggiera, alternate ai denti della ruota.
Ornamenti esteriori da Comune”.


 

LOMBARDIA



COMUNE DI COMERIO (VA)

Comune montano di probabile origine celtica, infatti i Celti diedero origine al nome di Kunmaer sulla direttrice della grande via gallica Ponte Tresa-Laveno.
Lo stemma (art. 2 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 25 del 26/9/2002) è stato adottato con deliberazione C.C. del 19/12/1959 (approvato con Decreto del Presidente della Repubblica
del 16/1/1961). La composizione è simbolica e vuole richiamare la laboriosità degli abitanti e la collocazione in un territorio ancora ricco di verde.
Può essere interpretato come se il lavoro organizzato e sociale sia a “fondamento” di un ambiente mantenuto naturale e fruttuoso (tecnicamente in Araldica si dice che gli alberi sono nodriti, cioè nutriti, dalla campagna verde). In effetti, soprattutto in passato, non erano pochi gli alveari nella zona dai quali si produceva un miele millefiori di montagna particolarmente profumato.


 

 

VENETO

 

EX COMUNE DI AVESA (VR)

Avesa è un piccolo borgo situato nell’omonima valle poco a nord di Verona; dagli anni Venti è diventato frazione del Capoluogo, ma prima era Apitalia Comune autonomo.
E’ sempre stato un centro famoso per l’operosità dei suoi abitanti, tanto che secondo una tradizione il nome della località deriva dal termine dialettale ave (ape) a simboleggiare l’instancabile operosità degli Avesani.
Per questo la figura principale dello stemma era costituita da un’ape d’oro in campo azzurro.
Oro (che si rappresenta anche col giallo) e azzurro sono anche i colori blasonici di Verona (il cui notissimo stemma è “d’azzurro alla croce piana d’oro” ).

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COMUNE DI PONTELONGO (PD)

Oggi il Comune ha uno stemma che nulla ha di pertinente alla nostra ricerca ma precedentemente, in seguito ad un’istanza del 21 aprile 1921, venne concesso con Regio Decreto di Vittorio Emanuele III del 16 novembre 1933 uno stemma: “Di verde, alla barbabietola fogliata di verde a sei api d’oro, tre nella barbabietola e tre disposte due in capo ed una in punta” ed un gonfalone “d’azzurro”.
Il provvedimento araldico non fu mai sottoposto a formale registrazione e mai adottato dal Comune.
In seguito alla metà del XX secolo si preferì un bozzetto diverso: troncato, cioè diviso orizzontalmente in due parti.
Nella prima compare un ponte ad un’arcata con un’edicola recante l’effigie della Vergine Maria, riferimento al ponte dell’XI secolo sul fiume Bacchiglione (che è all’origine del toponimo) e soprattutto al solenne voto fatto dalla popolazione in seguito ad una terribile pestilenza che colpì Pontelongo nel 1676.

 

EMILIA ROMAGNA


COMUNE DI SALA BAGANZA (PR)


L’attinenza di questo stemma con quelli aventi figure di api è solo indiretta.
Sala Baganza è però uno dei pochi Comuni italiani che presenta una variazione del noto campo di Francia; ha adottato, infatti, uno stemma con scudo partito con le armi (modificate) della famiglia feudale dei conti Sanvitale e dei duchi Borbone di Parma, ovvero i primi e gli ultimi signori del paese.
È in particolare lo stemma borbonico che è derivato dall’arma di Francia Antica
dove il campo azzurro era seminato di piccoli gigli d’oro (il numero di fleur-de-lys fu ridotto a tre da Carlo V nel XIV secolo): i duchi di Borbone erano un ramo cadetto della dinastia.
Questi gigli, in origine, sarebbero stati però… delle api! Nel 1653, infatti, a Tournai furono trovate in gran copia delle api dorate - anche se qualcuno, in verità, asserisce che si tratterebbe di cicale! - nella tomba del re Childerico I (se ne conservano solo due esemplari nella Biblioteca Nazionale di Parigi, le altre sono andate disperse).
Dal momento che Childerico fu il fondatore della dinastia merovingia, le api furono considerate il più antico emblema dei sovrani francesi.
In seguito la loro forma si sarebbe stilizzata fino ad esser confusa con quella dei gigli (con implicazioni legate al culto della Vergine Maria protettrice del Regno Francese) (3).

Napoleone Bonaparte, forse per legittimare il suo trono imperiale, le fece ricamare sul manto imperiale (e anche sulle “robe” da parata, al posto dei gigli della dinastia che aveva sostituito) e le fece adottare come emblema caratteristico dell’araldica imperiale in genere, dove rappresentavano l’industriosità dei cittadini che lavoravano fedelmente per il loro sovrano.
Il Comune di Sala Baganza (fino al 1861 solo Sala) ottenne, con Decreto Regio di Vittorio Emanuele III del 16 febbraio 1931 lo “scudo d’armi”: partito, nel primo d’oro alla banda di rosso; nel secondo d’azzurro ai 9 gigli d’oro disposti 3:3:3).
Il primo campo del partito presenta le armi, modificate (tecnicamente si dice brisate) dei Sanvitale, conti di Sala (il cui campo originale è d’argento); mentre il secondo porta quelle, pure modificate, con i gigli dei Borbone-Parma duchi di Parma e Piacenza, i quali ereditarono il Ducato dai Farnese (4) che eressero Sala a “villa ducale” per la loro residenza estiva.





CENTRO ITALIA

 

MARCHE


COMUNE DI PORTO SANT’ELPIDIO (AP)


Nello scudo (art. 4 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 1 del 18/5/1953, riconoscimento del Presidente della Repubblica con provvedimento del 19/5/1965) si notano:
- nella parte superiore dello scudo, il cui campo è di smalto “di cielo” (ovvero azzurro chiaro, con o senza segni di nuvole), vediamo il mare fluttuoso su cui naviga una barca peschereccia dalle candide vele dispiegate; essa muove verso l’orizzonte sotto un radioso sole mattutino (convenzionalmente se il sole è posto nell’angolo destro superiore dello scudo si dice levante o nascente, se è posto nell’angolo sinistro si dice tramontante, se posto al centro del capo dello scudo si dice meridiano);
- nella parte inferiore (campagna rossa)è rappresentata un’ape d’oro.
Sotto allo scudo vi è un cartiglio che reca il motto: “in litore fulget”. La barca in movimento sta a simboleggiare il“novello” Comune di Porto S. Elpidio (eretto in Ente autonomo amministrativo con DPR n. 258 del 10/1/1951).

A questo proposito occorre precisare che ben sei città del litorale Piceno hanno la parola “porto” nella loro denominazione.
Ciò farebbe subito pensare che la loro economia si sia basata o si basi sulle attività marinare: errato! Il giudizio potrà valere, tutt’al più, (e solo in parte e per tempi recenti) per San Benedetto del Tronto che, tra l'altro, se ha un porto di fatto, non lo ha nel nome.

Per i restanti centri costieri la denominazione è solo occasionale e forse anche impropria dal momento che porti veri e propri in queste zone non ci sono mai stati: non li permettevano i bassi fondali e le coste piatte e sabbiose. Il nome, quindi, deriva ad essi soltanto dal fatto di essere sorti in prossimità degli attracchi che altrettante città dell’interno (nel caso specifico Sant’Elpidio a Mare) avevano sul litorale e che, con buona dose di retorica, venivano detti, appunto, “porti”.
Le nuove città litoranee quasi null’altro, oltre al nome, hanno ereditato della originaria funzione portuale.

Mentre l’ape richiama le doti d’operosità e previdenza che caratterizzano la popolazione di questo Comune, il motto “in litore fulget” afferma che Porto S. Elpidio risplende, e risplenderà, quale gemma del litorale adriatico.

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COMUNE DI MERCATINO CONCA (PU)


Mercatino Conca, nota sin dal 1272 con la denominazione di Pian di Castello,è uno dei Comuni del Montefeltro e fino al 1940 fece parte del Comune di Monte Grimano.
Lo stemma (art. 6 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 24 del 28/7/2004) è stato concesso con Decreto del Presidente della Repubblica del 12 febbraio 1962:
“D’azzurro, al ponte mattonato al naturale di cinque archi, posto a cavallo di un fiume pure al naturale, accostato in capo da tre api d’oro al volo spiegato”. Il ponte è quello sul fiume Conca, ricordato negli annali per il suo impetuoso regime torrentizio e adottato anche in guisa di simbolo d’unione e fraternità tra la popolazione, e le tre api sono un’allegoria dell’industria locale del centro, noto in passato per essere un luogo di mercato di bestiame. Ancora oggi è sede d’importanti fiere stagionali.






SUD ITALIA E ISOLE

 

PUGLIA


COMUNE DI MELENDUGNO (LE)

Melendugno deve il suo nome, quasi certamente - visto che mancano fonti ufficiali - al miele e all’attività delle api (la parola mele, infatti, nel dialetto locale, significa miele, anticamente prodotto in abbondanza): ciò è motivo d’orgoglio per i melendugnesi.
Secondo altri studiosi, il toponimo di Melendugno nascerebbe dalla radice del nome di Malennio (re dei Salentini, discendente da Minosse, fondatore della città di Lecce), che in seguito si sarebbe trasformato da Malandugno (portatore di sventura) a Melendugno (portatore di dolcezza) (5).

Tradizionalmente si ritiene che i primi abitanti (insediatisi intorno al XII secolo) denominarono questo centro Melendugno proprio a motivo della copiosa produzione di miele e dei prodotti derivati dal latte che qui vengono lavorati:
è, infatti, definita, dai salentini, “la capitale della dolcezza” e, perciò, detto: Mele - Dono. Lo stemma è previsto dall’art. 7 dello Statuto comunale (testo coordinato con le modifiche adottate con la deliberazione del Consiglio Comunale n. 70/1999). Lo scudo è occupato dalla figura di un esemplare di Pino d’Aleppo (Pinus halepensis), specie molto diffusa lungo la costa adriatica salentina. Al centro del tronco è collocato non un alveare unico ma un insieme di alveari (tecnicamente: apiario) da cui fuoriescono delle api (6).
Pur non avendo sicurezza sulla sua origine, l’ipotesi più accreditata localmente è quella di aver voluto fare riferimento ad un’attività (l’apicoltura), in passato tipica della zona, nonché al toponimo che è composto con la radice “mel” di “miele”.





CALABRIA


COMUNE DI MELICUCCÀ (RC)

La convinzione che Melicuccà significhi“conca di miele”, secondo la quale il toponimo trova origine dal sintagma (7) latino mellis concha, si è radicata nei melicucchesi e dura anche ai nostri giorni. Per questo lo stemma (come riportato dall’art. 4 dello Statuto del Comune adottato con delibera n. 5 del 25/3/2002) raffigura una coppa di miele con sopra delle api, che va interpretata sia come il risultato del lavoro, a cui è dedita la popolazione, sia come ricchezza prodotta da e per la comunità.
La fascia rossa in capo non è prevista dal blasone ufficiale: probabilmente è un “avanzo” del soppresso Capo del Littorio ovvero quella pezza araldica ispirata dall’uso Napoleonico che fu ideata durante il periodo del Fascismo per contrassegnare tutti gli stemmi civici, descritta come: “Di rosso al fascio littorio d’oro circondato da una corona composta di un ramo d’alloro e uno di quercia (alias: olivo) legati da un nastro”.
Mussolini lo rese obbligatorio ma, alla sua caduta, la norma che lo imponeva fu cancellata e la figura fu abrasa dagli stemmi (DLL del 26.10.1944); alcuni Comuni però si limitarono ad eliminare il fascio, mantenendo il campo rosso/porpora.





SICILIA


COMUNE DI MUSSOMELI (CL)

In questo stemma (DPR 1° luglio 1952) il monogramma di Maria (formato da una A intrecciata ad una M di Ave Maria) con la corona e le dodici stelle furono aggiunte nel 1949 in seguito per ricordare la visita della statua della Madonna di Fatima in Italia.
Le tre torri sono quelle riportate nello stemma dei Castellar (famiglia d’origine catalana che s’avvicendò nel possesso del castrum musumelis) scelte perché rappresentavano il castello (costruito tra il 1364 e il 1367), che domina Mussomeli.
Le tre api si rifanno all’etimologia Mons Mellis, cioè Monte del Miele, come anticamente veniva chiamata la zona dove è sorta la città: una divertente storiella locale racconta come l’uomo che costruì la prima abitazione del luogo vi trovasse degli alveari e assaggiandone il miele contenuto si imbrattò la faccia, da cui “muso + melis”.

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COMUNE DI TRAPPETO (PA)

In questo stemma (art. 8 dello Statuto) la figurazione è alquanto convenzionale e allusiva alle principali risorse del territorio: commercio, apicoltura, marineria e agricoltura.
Il blasone, infatti, descrive: “Inquartato: nel primo, trinciato di azzurro e di rosso, ai due bisanti d’oro, uno e uno; nel secondo, di rosso, alle due api d’oro, poste in palo; nel terzo, d'oro, all'ancora di nero, con la trave di rosso; nel quarto, di azzurro, alle cinque spighe di grano, impugnate, d'oro, legate di argento.

Ornamenti esteriori da Comune”.
Il primo elemento (tecnicamente dei bisanti, tondi in metallo che prendono nome dalle monete auree coniate a Bisanzio/ Costantinopoli) simboleggia la produttività e, di conseguenza, la prosperità economica; si dicono bisanti se rappresentati come piccoli cerchi in oro o in argento (altrimenti si chiamerebbero tortelli!) e sono così detti perché rassomigliano le monete antiche;
il secondo elemento, le api, dichiara la laboriosità dei trappetesi (al 31 dicembre 2007 a Trappeto risultavano residenti 3.090 persone); il terzo un’ancora8 che è un richiamo al mare, su cui si affaccia il paese, un tempo solcato da velieri che trasportavano zucchero di cannamela e vino, e oggi da natanti carichi di turisti e villeggianti; il quarto un mazzo di spighe di grano; mentre impugnate vuole dire che sono raccolte come se fossero tenute da una mano chiusa (o, come in questo caso, sono legate dal nastro).


 

 


CONCLUSIONI


Con questa puntata, si è voluto compiere un’altra tappa del nostro viaggio in Italia attraverso gli stemmi che hanno attinenza al mondo dell’apicoltura.
La ricerca è stata molto complessa perché sono molti in Italia a possedere una stemma di questo tipo, ma non esiste un repertorio aggiornato dell’esistente: non tutti i Comuni hanno una regolare concessione depositata presso l’Archivio Centrale dello Stato (sede all’EUR, a Roma); la figura dell’ape è molto diffusa nell’Araldica Civica e anche recenti concessioni l’hanno ripresa.
Ci siamo occupati di un ambito ancora molto vivo e dinamico che spesso sorprende chi avvicina l’Araldica degli Enti Territoriali (basta vedere il notevole numero di richieste di concessione ancora pendente presso l’Ufficio Onorificenze e Araldica della Presidenza del Consiglio 9) per cui ipotizzabile un ulteriore “aggiornamento” in futuro. Abbiamo incontrato molti esempi, alcuni veramente interessanti, dell’impiego simbolico dell’ape.
Molti stemmi possono essere ricondotti al genere Parlante (detta anche Cantante o Agalmonica); stemmi cioè che, attraverso gli smalti (cioè i “colori”) o alle figure, alludono al nome della città. Oppure giocano sull’assonanza o sulla similitudine con il nome. Spesso solo alcuni elementi formano una sorta di“gioco di parole” o stabiliscono una relazione sonora con il Comune titolare.
In sostanza si tratta di emblemi“basati sulla parola” e illustrano, come nei rebus, il nome del titolare, magari in forma variata. Tra i più celebri, esulando dal nostro campo di ricerca, ricordiamo quello della famiglia Canossa di Verona, che ha tutt’ora un cane tenente un osso tra i denti; quello degli Scaligeri di Verona che avevano una scala quale emblema; quello della famiglia del celebre condottiero Bartolomeo Colleoni di Bergamo che aveva, in origine, come simbolo principale tre coppie di testicoli di leone (“collioni”: coglioni, testicoli, simboli di fiera forza); o quello degli Orinali, che mostrava dei vasi da notte!
Infine, lo stemma dei Barberini, la più conosciuta tra le famiglie nobili ad avere le api come simbolo, in origine aveva dei Tafani, anch’essi con funzione“parlante” perché il loro cognome originale era Tafani di Barberino.
Al di là degli esempi citati, questi stemmi assolvevano al compito di essere facilmente ricordati e interpretati.

 

 

 

RINGRAZIAMENTI


Sentitamente si ringraziano gli altri componenti del gruppo Araldica Civica:

Bruno Fracasso (di Aosta, coordinatore del gruppo), Davide Visentini (di Curtatone, MN), Giovanni Giovinazzo (di Torino), Giancarlo Scarpitta (di Sarmeola di Rubano, PD), Francesco Maida (di Ranica, BG), nonché le Amministrazioni Comunali che hanno risposto alle richieste loro inviate, il prof. Franco Frilli dell’Università di Udine e il prof. Alessandro Savorelli dell’Università di Pisa per la collaborazione prestata.


Renzo Barbattini*
e Massimo Ghirardi**

 


*Dipartimento di Biologia e Protezione delle Piante Università di Udine
**Insegnante atelierista del Comune di Reggio Emilia

 

BIBLIOGRAFIA CONSULTATA



BARBATTINI R. BERGAMINI G., 2009 - L’ape nell’arte di Bernini, Apitalia, 35 (6): 35-39.


FOX DAVIES C., 1909 - A complete guide to Heraldry, Edimbourg: pp. 25, 260-261.


MARTIN S., 2007 - L’abeille et la ruche, symboles et armoiries, (chez l’auteur) Paris: p. 7-9, 16, 24, 29, 39.


MORRONE M. 2004 - Il castello manfredonico. In AA.VV. - La Valle del Platani. Gruppo Editoriale Kalos (PA): 37-39.


PARINELLO D., 1998 - La città di pietra. In AA.VV. - Mussomeli. Edizioni Ariete (PA): 6-18.


PASTOREAU M., 2005 - Medioevo simbolico, Laterza (Bari): 404 pp.


PELLEGRINI G. B., 1991 - Toponomastica Italiana, Hoepli (MI): pp. 234, 272


ZALLOCCO A., 1976 - Nicola Pennesi ed il suo Porto Sant’Elpidio, Ed. La rapida (Fermo): 155 pp.

 

NOTE

1) - Questa ricca famiglia (1581-1730) aveva come stemma uno scudo avente al centro un leone rampante sormontato da tre stelle.

2) - In antropologia, un totem è un’entità naturale o soprannaturale, che ha un significato simbolico particolare per una singola persona o clan o tribù, e al quale ci si sente legati per tutta la vita. Il termine deriva dalla parola ototeman, usata dai nativi americani Ojibway.

3) - Il primo sigillo reale con i gigli è del 1211 creato dal principe Luigi, figlio di Filippo Augusto, alla morte del padre divenuto re Luigi VIII (1223-1226). Pare che le originali api stilizzate si siano volute interpretare come “gigli” per sottolineare la speciale protezione della Vergine sui re di Francia: secondo la leggenda, creata artatamente, il re dei Franchi Clodoveo I (Clovis, 481-511) avrebbe ricevuto direttamente da un angelo l’emblema del giglio. Ma solo dal 1179 è ufficialmente emblema dei Re di Francia ed è stato assunto, oltre che per il simbolismo che rimanda alla purezza, anche per la sua similitudine con lo scettro reale.

4) - Anche i Farnese avevano dei gigli nello stemma, con gli smalti invertiti rispetto ai loro successori: gigli d’azzurro in campo d’oro, e anche per questi si “sospetta” che in origine fossero foglie di quercia (più precisamente Farnia, Quercus robur) e allusive alla località di origine: Farnese, appunto. In questa versione sono stati adottati nello stemma della Provincia di Parma.

5) - A Melendugno successe, quindi, la stessa inversione di tendenza che capitò alla città di Benevento che dall’antico Maleventum passò, in seguito, a Bonum eventum.

6) - Similmente alle “case-apiario” in uso soprattutto in Trentino e in Slovenia.

7) - Combinazione di due o più elementi linguistici dotata di valore sintattico autonomo, compiuto.

8) - Dal dizionario di www.araldicacivica.it: Ancora: pesante arnese munito di bracci ricurvi (marre) atti a far presa sul fondo del mare per trattenere il natante per mezzo di una fune (gòmena) o una catena, può avere anche una traversa. Se la trave o la gomena sono di colore differente occorre blasonarli.

9) - Il Ministro per la Semplificazione Amministrativa, Calderoli, ha presentato una proposta (già approvata dal Senato) per l’abolizione di questo ufficio.


 

 

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LE API NELL'ARALDICA CIVICA ITALIANA: CONCLUSIONE

 

APITALIA N. 9/2011, PAGG. 35-40

 

 


Con questa puntata giunge al termine il nostro lungo viaggio nell'Araldica Civica italiana, alla ricerca degli stemmi che presentano api o elementi legati alla cultura apistica.
Sicuramente ci sarà sfuggito qualche stemma tra gli oltre 8000 Comuni d'Italia, alcuni dei quali non hanno ancora adottato nessun emblema civico. Come che sia il viaggio è stato avventuroso e denso di sorprese

 

Grazie alle numerose segnalazioni che ci sono arrivate dopo l’uscita dei precedenti articoli (Apitalia (2008), 34 (1, 2, 3, 4, 5, 6) e Apitalia (2009), 35 (2010) (1) si propone un’ulteriore selezione di stemmi di Comuni italiani con figurazioni inerenti al mondo delle api.
La nostra ricerca si completa quindi con questa puntata che ci consente di ringraziare tutti quanti hanno collaborato, in particolare i “segugi” del gruppo italiano di Araldica Civica (www.araldicacivica.it).

Storicamente l’ape ha sempre rappresentato un importante simbolo culturale: sacrifica sé stessa per il bene della collettività, vive in una società organizzata e armonica, quindi perfetta per rappresentare l’ideale di convivenza e di civismo degli Enti Territoriali.
Questi, per definizione, sono stati istituiti per la promozione e la tutela del bene “comune” che produce armonia e pacifica convivenza, valori fondamentali che bisogna esser pronti a difendere (proprio come fa l’ape con il pungiglione). Anche in passato, per via della rigida gerarchia delle loro colonie, questi insetti furono adottati come emblema dagli aristocratici (2) mentre per la dolcezza del loro “prodotto” sono stati proposti come simbolo dei poeti, degli oratori e dei profeti.
L’eloquenza di certi predicatori, infatti, fu spesso assimilata alla dolcezza del miele, come nel caso di alcuni dottori della Chiesa, quali San Giovanni Crisostomo (bocca d’oro) e San Bernardo di Chiaravalle (doctor mellifluus). Questi, per il loro parlare fluente - simile al miele - ebbero come attributo le api che nella tradizione hanno sempre simboleggiato il Verbo, la Parola e, quindi, il dolce eloquio.
Per uniformità grafica sono state utilizzate immagini ridisegnate degli stemmi inviati dagli Enti contattati (va precisato che alcuni Comuni non hanno risposto alle richieste avanzate e talvolta le immagini ricevute presentavano una bassa risoluzione e, quindi, non erano adatte per una buona resa tipografica).
Il grafico, autore del ridisegno (eseguito rispettando le caratteristiche araldiche degli originali) è Massimo Ghirardi, coautore della ricerca e illustratore araldico.
Per la redazione di questo contributo, ancora una volta, sono stati fondamentali i contatti con le Amministrazioni comunali: la possibilità, infatti, di “navigazione” nei loro siti internet è stata di grande rilievo. Le stesse hanno fornito notizie storiche molto utili.
I termini tipici dell’araldica sono riportati in carattere corsivo, perché nel corso del tempo il linguaggio tecnico
araldico si è specializzato al punto tale da apparire, a chi non lo “frequenta”, di difficile comprensione.
Come nei precedenti contributi gli stemmi sono presentati in ordine geografico da Nord a Sud.


NORD ITALIA

 

 

LIGURIA


COMUNE DI MIOGLIA (SV)

Il comune è situato sul versante settentrionale dell’Appennino Ligure, ai confini con la provincia di Alessandria in Piemonte, in una vasta piana attraversata dal torrente omonimo, affluente destro del torrente Erro.
La sua storia è documentata già da un documento imperiale del 967 d.C. nel quale Ottone I unisce Meolia alla Marca Aleramica (gli Aleramici, anticamente noti anche come Aleramidi, furono un'importante famiglia feudale piemontese).
La sua storia è legata a quella delle famiglie dei marchesi che l’hanno governata lungo i secoli dal castello (oggi ridotto a ruderi): a partire dai Del Vasto, attraverso Del Carretto, per giungere ai marchesi Scarampi.
Annessa al marchesato del Monferrato nel 1419, passò nel 1521 al Duca di Milano e infine al Regno di Sardegna nel 1735, a seguito dei trattati di pace di Vienna, e dato in feudo agli Scarnafigi fino al XIX secolo.

La descrizione araldica dello stemma (previsto dall’art. 6 dello Statuto comunale, delibera n. 5 del 4/1/2005) dice: “Troncato, semipartito. Il primo d’azzurro ai due leoni affrontati d’oro afferranti con le zampe la lettera capitale M dello stesso e sostenuti dalla linea di partizione; il secondo d’oro ai 5 pali di rosso; il terzo di verde alle due api d’oro ordinate in palo. Ornamenti esteriori da Comune”.
L’elemento caratterizzante sono i leoni che sostengono l’iniziale del Comune, scelta grafica tipica del XIX secolo, al quale risale la versione in uso.
Il campo d’oro ai cinque pali di rosso ricorda l’emblema degli antichi feudatari, i marchesi Del Vasto e anche quello dei Del Carretto, questi ultimi però innalzavano uno scudo d’oro a cinque bande di rosso (le bande sono delle fasce inclinate).
Il campo verde, sono un’evidente allusione alla collocazione del paese in mezzo al verde, mentre le api simboleggiano la laboriosità degli abitanti.


VENETO


COMUNE DI DOLCÈ (VR)


La fertilità e la morbidezza del terreno hanno generato il nome antico della località, DULCIS poi DOLCEI, che la parlata locale ha infine contratto nella forma attuale DOLCE’.
Ha uno stemma inquartato con i simboli dei quattro centri principali che compongono oggi la circoscrizione amministrativa dolceata (gli abitanti di Dolcé si dicono: dolceati), con un chiaro riferimento ai rispettivi toponimi.
La figurazione è da “leggersi” quindi come un rebus, e rappresenta un chiaro esempio di quelle che in Araldica si definiscono armi parlanti (o anche cantanti).
Riconosciamo quindi: CERAINO con l’alveare d’oro (anche se in figurazioni antecedenti al 1984 è d’argento) vale a dire con la rappresentazione della “fabbrica” di cera, che è anche simbolo dell’operosità dei singoli per il bene comune (ormai i lettori hanno imparato a “decrittare” questo simbolo);
VOLARGNE con l’ala che vola (quando è singola si definisce semivolo); PERI è rappresentato dalla pera in metallo nobile (argento); infine OSSENIGO (anticamente ORSENIGO) con l’orso bruno raffigurato in atto di salire su una montagna erbosa (in questo particolare tipo di disegno si definisce pianura posta in sbarra, cioè inclinata nella posizione che normalmente è propria della figura della sbarra).

Lo stemma, anche se in uso da molto più tempo, è stato formalmente concesso dal Presidente della Repubblica Alessandro Pertini con Decreto del 18 luglio 1984. Dove è così descritto: “Inquartato: nel primo di rosso, all’alveare d’oro, accantonato da quattro api dello stesso; nel secondo d’azzurro al semivolo spiegato, d’argento; nel terzo d’azzurro, alla pera d’argento, fogliata di due di verde; nel quarto di rosso, all’orso di nero, rivoltato, ritto sulla pianura di verde, posta in sbarra. Ornamenti esteriori da Comune”.
Da notare che l’orso è definito rivoltato non perché raffigurato rampante (in Araldica si dice che è ritto o levato), come alcuni pensano, ma perché è rivolto a sinistra (ricordiamo che, sempre in Araldica, le direzioni sono invertite rispetto all’osservatore, perché sono riferite all’ipotetico cavaliere che imbraccia lo scudo): per convenzione tutte le figure hanno una posizione normale (detta anche naturale) che per l’orso è quella di essere levato e volto a destra, da cui la necessaria specificazione rivoltato.

 

ITALIA CENTRALE


PROVINCIA DI FERMO

La circoscrizione amministrativa della Provincia di Fermo è stata istituita distaccando 40 Comuni dal territorio dalla Provincia di Ascoli Piceno con Legge della Repubblica dell’ 11 giugno 2004 n. 147, ed è divenuta operativa a tutti gli effetti con le elezioni provinciali del 6/7 giugno 2009.
Il Consiglio Provinciale ha deciso l’adozione dello stemma contestualmente allo Statuto, con Delibera del 7 gennaio 2010, che all’art. 3 descrive (sommariamente) come segue: “la Provincia di Fermo utilizza lo stemma ed il gonfalone le cui caratteristiche sono quelle della torre rossa su fondo bianco, dell’aquila su fondo giallo, della croce bianca su fondo rosso e dei simboli rappresentanti la spiga, l’ape e l’ancora su fondo bicolore”.
La croce bianca (antico simbolo della Marca) e l’aquila (di Federico II) sono i tradizionali emblemi presenti nello stemma del capoluogo, ai quali è associata una torre rossa e i simboli dell’agricoltura, marineria e lavoro operaio.

 

"Lo stemma scelto dal Consiglio Provinciale e proposto dallo studio Arteficium (3) è suddiviso in quattro quarti.
Nel primo è rappresentata una torre rossa composta da quaranta mattoni, tanti quanti sono i Comuni e le Città che territorialmente e culturalmente compongono la Provincia di Fermo.
Nel secondo, su fondo oro, è impressa l’immagine dell’aquila nera, simbolo di antiche tradizioni della cultura fermana di vittoria, potenza e prosperità.
Nel terzo è rappresentata la croce patente (con le braccia che si allargano verso le estremità), simbolo dell’unità tradizionale cristiana che ha avvolto per secoli il territorio fermano e creato l’humus per la crescita di una società più giusta.
Nell’ultimo quarto trovano posto ulteriori forti simboli della tradizione e della cultura del popolo fermano: un’ape d’oro a riconoscimento della laboriosità delle sue genti, una spiga d’oro a richiamo della forte tradizione agricola ed un’ancora, sempre d’oro, per il rimando alla tradizione del mare” (dal comunicato stampa del Presidente della Provincia Onorevole Avvocato Fabrizio Cesetti e del Presidente del Consiglio Provinciale Dottor Luigi Marconi).
Lo stemma, il gonfalone e la bandiera sono stati regolarmente concessi con Decreto del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nell’ottobre 2010. La sigla della provincia che è stata adottata (FM) è appartenuta in passato alla Provincia di Fiume (oggi Rijeka, in Croazia).

 

 

ITALIA DEL SUD E ISOLE


PUGLIA


COMUNE DI MELPIGNANO (LE)

Lo stemma civico di Melpignano (concesso dal presidente della repubblica Giuseppe Saragat l’8 novembre 1965, trascritto nei registri dell'Ufficio Araldico il 20 dicembre 1965 e citato all’art. 6 dello Statuto Comunale, adottato con deliberazione n. 53 del 30 gennaio 2003) raffigura un albero di pino d’Italia posto sopra un favo (così dice lo statuto comunale anche se, in verità, ha più la foggia di un apiario a “casetta” (costituito da 18 alveari), lo smalto dello scudo è normalmente blu anche se esiste sul sito web una versione di colore rosso.
Il Comune di Melpignano ha, quindi, adottato uno stemma parlante che unisce, anche in questo caso - come fosse un rebus - , le parole latine mel (miele) e pinus (pino), attraverso la figura di un pino nodrito (letteralmente: che lo“nutre”) da un favo (o da un apiario a“casetta”?) d’oro, e alludente per assonanza al toponimo.
Tra le tante leggende sullo stemma e sullo nascita dello stesso paese, la più verosimile potrebbe essere ricondotta alle origini antiche del paese di origine contadina: lo stesso nome, infatti, Melpignano potrebbe essere composto da due nomi che in origine erano “mele-pignana” cioè miele di pino (pigno in dialetto leccese).
Non c’è quindi una ragione storica per l’adozione di questa curiosa figurazione: il nome della cittadina è derivato probabilmente dal fondo di tale Melpinius, un oscuro centurione romano che avrebbe ricevuto terreni in questa zona come compenso per la partecipazione alle guerre dell’Impero Romano.
Di questo stemma se ne conoscono diverse versioni, una con campo rosso e una con campo azzurro: pare che la seconda sia quella effettivamente riconosciuta dallo Stato (non siamo riusciti a recuperare il Decreto Presidenziale di concessione). Oggi il Comune usa anche un logo, dove le figura del pino (del tipo “d’Italia” noto anche come“marittimo”) è stilizzata entro un’elegante figura quadrata.

 

L’attuale circoscrizione amministrativa di Melpignano è stata costituita da re Ferdinando II delle Due Sicilie con Decreto Regio del 4 luglio 1836 (entrato in vigore il 1 gennaio 1837), che ne ha distaccato il territorio dal Comune di Castrignano dei Greci, a sua volta costituito dopo l’abolizione dei feudi dal governo napoleonico, con legge 2 agosto 1806 n. 130.
Melpignano è un paese molto laborioso e nello stemma, probabilmente, si è dimostrata tale laboriosità mediante la rappresentazione del favo (?) sormontato da un pino domestico tipico della macchia mediterranea che rappresenta la robustezza e la forza della comunità melpignanese. Non è dato sapere se il nome ha origini latine o greche; quello che quello che si sa però è che lo stemma araldico del Comuneè così rappresentato in alcune sculture su pietra locale poste alla base di alcuni altari nelle chiese comunali del XVII secolo.
E’ da tener presente, anche, che Melpignano attualmente fa parte della Unione della Grecìa Salentina (4) assieme ad altri otto Comuni ellenofoni in cui ancora in parte si parla il griko, anche se nei secoli passati la Grecìa Salentina era molto più vasta.



 

 

COMUNE DI PULSANO (TA)

Lo stemma del Comune di Pulsano è un esempio molto interessante, per la nostra ricerca, perché è l’unico (che ci risulta) raffigurante l’ape in volo vista di profilo. Sul significato di questo raro emblema civico lo storico locale Andrea De Marco riporta:“…è nato [refuso: probabilmente intende“noto”] fin dalla nascita dei Comuni di Pulsano e Leporano. Esso è formato da tre fiori posti in campo verde e cielo azzurro. Vi sono tre ciliege poste in alto, un ape svolazzante e tre fiori con una corolla finale di rami di leccio. Il tutto sormontato da una grande corona principesca d’oro. Questo simbolo rappresenta la fertilità, l’amore, la modestia, l’ubbidienza e il lavoro.
Infatti: LE TRE CILIEGIE stanno ad indicare la fertilità dei giardini della terra di Pulsano; LA ROSA: il simbolo dell’amore. È questo il fiore che forma l’idea della fragranza tanto che viene chiamata regina dei
fiori. Anche gli antichi profeti la definivano tale; LA MARGHERITA: ha il disco della sua corolla in oro ed è l’emblema della modestia, sentimento nobile ed immacolato che sorge dal cuore; IL TULIPANO: il simbolo dell’ubbidienza. Essa frena la volontà della via del male indirizzandola in quella del bene; L’APE: la laboriosità dei concittadini che con la loro fatica succhiano il miele prodotto dalla terra; I DUE RAMI DI LECCIO: indicano la meravigliosa foresta di leccio, allora esistente tra Pulsano e il Bosco Cagione; IL CAMPO VERDE: sta alla magnifica distesa di campi sempre verdi; IL FONDO AZZURRO: sta ad indicare il cielo sereno, pieno di luce”.

 

La descrizione, dal punto di vista araldico, non è molto precisa. Con il termine campo si indica il fondo dello scudo (in questo caso: azzurro) e i fiori si definiscono come nodriti dalla campagna (o, meglio ancora, da una terrazza) erbosa di verde.
Il vigente Statuto del Comune (art. 4) descrive lo stemma con alcune piccole varianti: il tulipano è diventato un gladiolo giallo (alias: oro), e l’emblema è stato recentemente ridisegnato con la corona di città, titolo del quale il Presidente della Repubblica ha insignito il Comune: “Lo stemma del Comune di Pulsano è costituito da uno scudo sormontato da un’aurea corona regale. Lo scudo illustra un cielo azzurro su campo verde sul quale insistono tre fiori: un gladiolo giallo, un papavero rosso [sic. In realtà è una rosa da giardino] al centro ed una margherita bianca. Sul papavero volteggia un’ape. Dalla parte superiore dello scudo pendono tre ciliegie”. Attualmenteè in corso la pratica per il conferimento a Pulsano del titolo di“città” per meriti sociali, per cui l’emblema è stato ridisegnato da noi con la corona di quel rango.


 

 

 

COMUNE DI ORTUERI (NU)

Ortueri è un borgo di origine altomedioevale: i primi abitanti si insediarono nelle località Travi ed Alas Ruinas che erano state colonizzate già dai Romani. Oggi è un centro importante della provincia di Nuoro, situato a 586 metri sul versante occidentale dei monti del Gennargentu. Nel Medioevo apparteneva alla curatoria del Mandrolisai, nel Giudicato di Arborea (i Giudicati erano i quattro “regni” autonomi che componevano la Sardegna medievale). In seguito fece parte del Marchesato di Oristano ed infine della Contea di San Martino fino all’abolizione dei feudi nel XIX secolo. Il territorio di Ortueri è ricco di vigneti e di foreste di leccio e sughero.
Lo stemma di Ortueri è stato adottato nel 2009 con una sfarzosa cerimonia avvenuta il 26 agosto 2009 presso il Municipio del paese per la consegna ufficiale del gonfalone civico da parte del Prefetto al sindaco. Il nuovo stemma richiama gli elementi più caratteristici del piccolo centro del Mandrolisai.

 


Il tipico scudo sannitico dell’araldica civica italiana, pressoché rettangolare, sormontato dalla corona turrita d’argento del rango di Comune, propone nel primo campo azzurro del partito-semitroncato (vale a dire: diviso per metà in senso sia verticale, sia orizzontale nella metà di destra, che in Araldica corrisponde alla sinistra!), tre monti d’oro sui quali cresce una vite fruttifera (“portante frutti”) d’uva di color porpora (come si definisce, in Araldica, il colore violaceo), riferimento al vino, uno dei prodotti locali più importanti (novantamila litri l’anno) che porta a definire Ortueri “La città del vino”. Su sfondo rosso, nel secondo campo, si evidenzia una mitria vescovile simbolo del patrono San Nicola, vescovo di Myra (noto anche come San Nicola di Bari). Indirettamente ricorda anche la vicenda accaduta all’arcivescovo Zunnùi da Fonni il quale, durante la visita pastorale fatta in Ortueri nel 1896, ricordò l’affettuosa ospitalità che egli, piccolo studente, ebbe in Ortueri.
Nel terzo campo, di verde si mostrano quattro api dorate che simboleggiano l’operosità della comunità ortuerese nei settori dell’agricoltura, della pastorizia, dell’artigianato e della cultura. Il tutto è ornato dal serto d’ordinanza formato da un ramo d’alloro e da uno di quercia annodati dal nastro con i colori nazionali. Il motto, Laetus Hortus Herìlis, è un richiamo alla monumentale opera dello storico locale monsignor Raimondo Bonu che, giocando sull’etimologia del toponimo, propone Ortueri come un “ameno giardino del Signore”.




A conclusione di questa lunga carrellata sugli stemmi di Comuni e Province italiane con riferimenti apistici si desidera accomiatarci dai lettori riportando l’immagine dello stemma della Comunità Montana del Giovo, che, pur non essendo un Comune, è pur sempre un Ente territoriale (essendo formata dall’associazione di diversi Comuni), in Provincia di Savona:


COMUNITÀ MONTANA DEL GIOVO

La Comunità Montana del Giovo (Legge n. 1102 del 3 dicembre 1971. Istituzione delle Comunità Montane) ha un proprio stemma e un proprio gonfalone.
Lo stemma e il gonfalone sono formati da uno scudo partito (il primo rosso con cinque api ordinate, d’oro al naturale, il secondo semigrembiato (5) di azzurro, verde e oro) coronato con rami di ulivo e di quercia legati dal nastro tricolore.
La Comunità Montana del Giovo è un comprensorio montano della Liguria, in provincia di Savona, formato dai comuni di: Giusvalla, Mioglia, Pontinvrea, Sassello, Stella e Urbe. Con la disciplina di riordino delle comunità montane, regolamentate con la Legge Regionale n. 24 del 4 luglio 2008 e in vigore dal 1 gennaio 2009, non fanno più parte dell’originaria comunità montana i comuni di Albisola Superiore, Albissola Marina, Bergeggi, Celle Ligure, Quiliano, Vado Ligure e Varazze che hanno delegato la stessa Comunità Montana del Giovo alle funzioni amministrative in materia di agricoltura, sviluppo rurale, foreste e antincendio boschivo.
Una parte importante dell’economia locale, in generale basata sull’agricoltura,è rappresentata dall’industria dolciaria (famosi gli amaretti di Sassello) alla quale alludono le api dello stemma, che sono anche il simbolo dell’operosità degli abitanti.

 

 

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RINGRAZIAMENTI


Sentitamente si ringraziano gli altri componenti del gruppo Araldica Civica:
Bruno Fracasso (coordinatore), Giovanni Giovinazzo, Giancarlo Scarpitta, Francesco Maida; nonché le Amministrazioni Comunali che hanno risposto alle richieste loro inviate; un ringraziamento anche a Tiziana Di Biaso della biblioteca comunale di Pulsano, al prof. Franco Frilli dell’Università di Udine e al prof. Alessandro Savorelli dell’Università di Pisa per la collaborazione prestata.

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NOTE

1) In questa puntata è stato citato lo stemma del Comune di Melicuccà (RC). Il 20/6/2010 è stato presentato alla cittadinanza il nuovo Stemma (D.P.R. 3/11/2009). Esso, seppur siano state apportate alcune modifiche imposte dal regolamento araldico, ha mantenuto la vecchia raffigurazione di una coppa di miele con sopra numerose api. Questa raffigurazioneè ispirata da un episodio narrato nel “Bios” di Sant’Elia lo Speleota (= abitatore di grotte, Reggio Calabria, 863 - Melicuccà, 11/9/960) ove il calice simboleggia la grotta del Santo e le api i monaci e le multitudini che egli attrae.

2) Maffeo Vincenzo Barberini, elevato al soglio pontificio col nome di Urbano VIII, sostituì i tafani dello stemma di famiglia con delle più nobili api d’oro. I tafani erano assonanti col cognome antico della famiglia: Tafani (o Tavani) da Barberino, e adottate da Taddeo diCecco, avo del papa, che le aveva scelte in abbinamento ad un paio di forbici, essendo egli tessitore.

3) la Società Arteficium, è risultata prima classificata nell’apposito concorso indetto dalla Provincia.

4) Unione tra alcuni Comuni della Provincia di Lecce costituitasi il 28 settembre 2001; iniziamente ad aderirono questi Comuni: Calimera, Castrignano dei Greci, Corigliano d’Otranto, Martignano Martano, Melpignano, Soleto, Sternatia. Zollino. Il 1/1/2005 ha aderito il Comune di Carpignano Salentino e l’1/1/2007 il Comune di Cutrofiano.

5) Si definisce grembio (o anche gherone) ognuno dei triangoli formati dalle linee di partizione mediane (verticale e orizzontali) e diagonali dello scudo intersecantesi al centro, che risulta quindi suddiviso in otto spazi triangolari, in una figura che rassomiglia una “girandola”.
Semigrembiato significa quindi che la figura così ottenuta appare come tagliata a metà lungo la linea mediana verticale dello scudo.

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L’ELENCO DEI COMUNI TRATTATI


• Acquasanta Terme (AP, Marche) Apitalia 5/2008 - pag.35
• Africo (RC, Calabria).- Apitalia5/2008 - pag.37
• Alà dei Sardi (OT, Sardegna) - Apitalia 6/2008 - pag. 35
• Annicco (CR, Lombardia) - Apitalia 2/2008 - pag. 35
• Avesa (VR, Veneto) - Apitalia 10/2009 - pag. 36
• Avigliana (TO, Piemonte) - Apitalia 1/2008 - pag. 36
• Avola (SR, Sicilia) - Apitalia 5/2008 - pag. 38
• Barghe (BS, Lombardia) - Apitalia 2/2008 - pag. 35
• Brenta (VA, Lombardia) - Apitalia 2/2008 - pag. 35
• Brusaporto (BG, Lombardia) - Apitalia 2/2008 - pag. 35
• Burago di Molgora (MI, Lombardia) - Apitalia 2/2008 - pag. 36
• Campertogno (VC, Piemonte) - Apitalia 1/2008 - pag. 36
• Campo nell’Elba (LI, Toscana) - Apitalia 4/2008 - pag. 38
• Canzo (CO, Lombardia) - Apitalia 2/2008 - pag. 36
• Cappella Maggiore (TV, Veneto) - Apitalia 4/2008 - pag. 35
• Caravate (VA, Lombardia) Apitalia 2/2008 - pag. 36
• Carugo (CO, Lombardia) - Apitalia 2/2008 - pag. 37
• Casirate d’Adda (BG, Lombardia) - Apitalia 2/2008 - pag. 37
• Cassina de’ Pecchi (MI, Lombardia) - Apitalia 2/2008 - pag. 38
• Castel Maggiore (BO, Emilia Romagna) - Apitalia 4/2008 - pag. 36
• Castello di Brianza (LC, Lombardia) - Apitalia 2/2008 - pag. 38
• Ceranesi (GE, Liguria) - Apitalia 4/2008 - pag. 37
• Coggiola (BI, Piemonte) - Apitalia 10/2009 - pag. 35
• Collalto Sabino (RI, Lazio) - Apitalia 5/2008 - pag. 36
• Comerio (VA, Lombardia) - Apitalia 10/2009 - pag. 36
• Dolcè (VR, Veneto) - Apitalia 9/2011 - pag. 36
• Fabrica di Roma (VT, Lazio) - Apitalia 5/2008 - pag. 36
• Favria (TO, Piemonte) - Apitalia, 10/2009 - pag. 36
• Lapio (AV. Campania,) - Apitalia 5/2008 - pag. 36
• Limbiate (MI, Lombardia) Apitalia 2/2008 - pag. 38
• Marciana Marina (LI, Toscana) - Apitalia 4/2008 - pag. 38
• Mariano del Friuli (GO, Friuli Venezia Giulia) - Apitalia 4/2008 - pag. 36
• Melara (RO, Veneto) - Apitalia 4/2008 - pag. 35
• Melazzo (AL, Piemonte) - Apitalia 1/2008 - pag. 36
• Mele (GE, Liguria) - Apitalia 4/2008 - pag. 37
• Melendugno (LE, Puglia) - Apitalia 10/2009 - pag. 38
• Melicuccà (RC, Calabria) - Apitalia 10/2009 - pag. 39
• Melilli (SR, Sicilia) Apitalia 5/2008 - pag. 38
• Melissa (KR, Calabria) - Apitalia 5/2008 - pag. 37
• Melissano (LE, Puglia) Apitalia 5/2008 - pag. 37
• Melpignano (LE, Puglia) - Apitalia 9/2011 - pag. 37
• Mercatino Conca (PU, Marche) - Apitalia 10/2009 - pag. 38
• Mezzoldo (BG, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 35
• Mioglia (SV, Liguria) - Apitalia 9/2011- pag. 35
• Monti (OT, Sardegna) - Apitalia 6/2008 - pag. 35
• Mozzate (CO, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 35
• Mussomeli (CL, Sicilia) - Apitalia 10/2009 - pag. 39
• Nola (NA, Campania) Apitalia 5/2008 - pag. 36
• Offlaga (BS, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 35
• Olgiate Comasco (CO, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 36
• Oliveto Lario (LC, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 36
• Ornica (BG, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 36
• Ortisei / St. Ulrich (BZ, Trentino Alto Adige) - Apitalia 4/2008 - pag. 35
• Ortueri (NU, Sardegna) - Apitalia 9/2011 - pag. 38
• Padru (OT, Sardegna) - Apitalia 6/2008 - pag. 35
• Palagano (MO, Emilia Romagna) - Apitalia 4/2008 - pag. 36
• Pedrengo (BG, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 36
• Piario (BG, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 37
• Piatto (BI, Piemonte) - Apitalia 1/2008 - pag. 37
• Pietramelara (CE, Campania) - Apitalia 5/2008 - pag. 37
• Pontelongo (PD, Veneto) - Apitalia 10/2009 - pag. 37
• Porto Sant’Elpidio (AP, Marche) - Apitalia 10/2009 - pag. 38
• Pragelato (TO, Piemonte) - Apitalia 1/2008 - pag. 37
• Pulsano (TA, Puglia) - Apitalia 9/2011 - pag. 38
• Rio Marina (LI, Toscana) - Apitalia 4/2008 - pag. 38
• Sala Baganza (PR, Emilia Romagna) - Apitalia 10/2009 - pag. 37
• San Paolo d’Argon (BG, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 37
• San Possidonio (MO, Emilia Romagna) - Apitalia 4/2008 - pag. 37
• Santa Maria Nuova (AN, Marche) - Apitalia 5/2008 - pag. 35
• Segrate (MI, Lombardia) Apitalia 4/2008 - pag. 38
• Suello (LC, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 38
• Trappeto (PA, Sicilia) - Apitalia 10/2009 - pag. 39
• Urbania (PU, Marche) - Apitalia 5/2008 - pag. 35
• Veniano (CO, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 38
• Vezza d’Alba (CN, Piemonte) - Apitalia 1/2008 - pag. 38
• Vignole Borbera (AL, Piemonte) - Apitalia 1/2008 - pag. 38
• Provincia di Livorno (Toscana) - Apitalia 6/2008 - pag. 36
• Provincia di Terni (Umbria) - Apitalia 6/2008 - pag. 36
• Provincia di Fermo (Marche) - Apitalia 9/2011 - pag. 36
• Comunità Montana del Giovo - Apitalia 9/2011- pag. 39

 

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NUOVE SEGNALAZIONI

 

da "APITALIA, N. 1, 2015

 

Si conclude, con questa “puntata” il lungo viaggio attraverso la raffigurazione del mondo dell’ape negli stemmi dell’araldica civica italiana.
La nostra rassegna è una sorta di “anteprima” di una ricerca assai dettagliata e puntuale sull’araldica “apistica” degli enti locali, condivisa e indirettamente promossa da "Apitalia" , che i due autori stanno concludendo e che potrebbe a breve uscire come pubblicazione.

 

Rieccoci con un’altra “puntata” (probabilmente l’ultima, riguardo agli stemmi di Enti) della nostra rassegna sugli stemmi apistici italiani: grazie all’aiuto degli amici del Gruppo Italiano di Araldica Civica (www.araldicacivica.it) abbiamo “scandagliato” il mare magnum dei circa diecimila stemmi degli Enti Locali italiani (e forse più, contando anche quelli degli enti scomparsi) per individuarne pressoché la totalità (Apitalia (2008) 34 (1, 2, 3, 4, 5, 6); Apitalia (2009) 35 (10); Apitalia (2011) 37 (9)).
Certo qualche “esemplare” può esserci sfuggito, e non si può prevedere se le nuove “concessioni” o “revisioni” privilegeranno o no le nostre care api come simbolo (non tutti i Comuni sono attualmente dotati di stemma proprio). Nel caso, sarà occasione per un nuovo articolo su Apitalia.

Questa rassegna di stemmi di Comuni italiani con soggetti legati al mondo dell’ape e dell’apicoltura presenta gli ultimi “ritrovamenti” eseguiti dai nostri collaboratori presso gli Archivi Storici e, in particolare, presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma (EUR), dove è conservato il Registro degli Enti Morali dello Stato (anche soppressi) e i numerosi faldoni dell’Ufficio Onorificenze e Araldica della Presidenza del Consiglio dei Ministri (che ha “ereditato” le mansioni della scomparsa Consulta Araldica del Regno d’Italia) con i bozzetti dei disegni originali (di solito realizzati in due copie: una su pergamena che è allegata al Decreto Presidenziale di Concessione dello stemma, per la consegna da parte del Prefetto al Sindaco del Comune interessato, e un’altra per l’Archivio dello Stato)

Ancora una volta, probabilmente anche per via della “fonte” istituzionale delle nostre immagini, si tratta di stemmi “conformi” alla regolamentazione vigente: uno scudo pressoché rettangolare (tecnicamente definito “sannitico”, perché si crede rassomigliante a quello in uso presso i Sanniti, considerati popolazione “italica” per eccellenza) nel quale si dispongono le “pezze” (figure geometriche) e le figure araldiche; sormontato (“timbrato”) da una corona di rango (d’argento e merlata per i Comuni, d’oro con cinque torri visibili per le Città; oppure, ma raramente, una di tipo nobiliare: nobile, cavaliere, barone, conte, marchese, duca, principe, monarca…) e il serto vegetale formato da un ramo di quercia con ghiande e uno d’alloro con bacche (essenze simboliche di forza e gloria) legati da un nastro che il Regolamento Tecnico-Araldico, vigente dal 1943, prevede nei colori della bandiera nazionale.

È da ricordare agli amici lettori che il linguaggio tecnico araldico si è talmente specializzato nel tempo da essere, per chi non lo “frequenta”, di difficile comprensione: per una più facile lettura, pertanto, i termini tipici del gergo usati, saranno riportati in corsivo.
Per uniformità grafica sono state utilizzate le immagini ridisegnate degli stemmi inviati dagli Archivi contattati.
Il grafico, autore del disegno (eseguito rispettando le caratteristiche araldiche degli originali) è Massimo Ghirardi, coautore della ricerca e illustratore araldico.

 

BRIGA MARITTIMA (oggi La Brigue) (1)

 

Attualmente si trova in territorio francese nel Dipartimento delle Alpes Maritimes nella Regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra, Comune della Contea di Nizza, non seguì quest’ultima quando, con il Trattato di Torino del 1860, passò all’Impero Francese diNapoleone III. Il suo territorio fu occupato da truppe francesi alla fine della Seconda Guerra mondiale e annesso, dopo il referendum che diede esisto positivo, allo Francia.
Tre frazioni (dell’ormai ex Comune): Piaggia, Upega e Carnino, rimaste in territorio italiano, dal 1947 formano il Comune di Briga Alta, in Provincia di Cuneo.
Lo stemma “italiano” di Briga (il determinante Marittima indica la posizione sulle Alpi Marittime), era stato regolarmente concesso con R.D. del 7 febbraio 1938 edè l’esito di tre diverse proposte avanzate al Re per ottenere uno stemma civico (con lettera del 18 novembre 1933 si proponeva l’adozione di un “nuovo stemma, nel quale l’arma dei Lascaris di Ventimiglia, antichi signori del luogo - che è di rosso al capo d’oro -è spezzata da tre api d’oro sul rosso, male ordinate, allusione alla locale industria del miele” ).

La proposta fu esaminata durante la seduta della Commissione Araldica Piemontese del 23 dicembre 1933 e, modificata come nell’illustrazione, che i documenti blasonano: “troncato: sopra d’oro; sotto di rosso, a tre api d’oro, disposte in fascia, il tutto sotto il capo del Littorio”.
Le api sono un riferimento alla locale industria del miele: già Amato Amati nel 1878 riportava che nel territorio di Briga si produceva un “miele ricercatissimo in Francia e Inghilterra”, produzione di qualità che tuttora continua. Il Capo del Littorio era una pezza araldica ispirata dall’uso Napoleonico che fu ideata per contrassegnare tutti gli stemmi civici; si presenta: Di porpora al fascio littorio d’oro circondato da una corona composta di un ramo d’alloro e uno di quercia legati da un nastro con i colori nazionali (2).
L’attuale comunità di La Brigue, ha un emblema completamente differente: il blasoneè: Inquartato: il primo e il quarto all’aquila bicipite coronata, d’oro; il secondo e il terzo d’azzurro al San Martino a cavallo d’argento nell’atto di partire il suo mantello con il povero; sul tutto lo scudetto d’oro al montone di rosso.

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CAPODAGLIO (oggi Cap-d’Ail) (3)


Anche questa località è stata italiana col nome di Capodaglio (o Capo d’Aglio, documentato già nel 1407), appartenente al Regno di Sardegna fino al 1860, quando passò alla Francia con quasi tutta la Contea di Nizza.

Faceva parte del Comune di Turbia (oggi La Turbie) assieme a Beausoleil, oggi tutti “Communes” autonomi Per un breve periodo tra il 1705 e il 1713 fece parte anche del principato di Monaco ed è oggi una nota località turistica francese di circa 4500 abitanti situato, come La Brigue, nel dipartimento delle Alpi Marittime della Regione della Provenza-Alpi-Costa Azzurra.

Secondo alcune ricerche etimologiche il toponimo deriverebbe da Cap des Abeilles (letteralmente “Capo delle Api”), come ricordano le api d’oro presenti nello stemma del Comune. Probabilmente è invece un derivato da “veille” dal latino “veglio”, col significato di “luogo di avvistamento posto su un punto elevato”.

Popolarmente si ritiene che le api siano state adottate dal Comune a ricordo di Napoleone, qui sbarcato al ritorno dell’esilio all’Elba. La torre rimanda alla storica torre d’avvistamento contro le incursioni dei Saraceni: ancora oggi esistono le rovine della Torre d’Abeglio, che si vuole sia quella rappresentata sullo stemma civico.
Blasone: D’azzurro alla torre merlata d’argento, murata di nero, posta su una campagna di verde movente dalla punta e accompagnata da tre api d’oro al volo chiuso, due ai fianchi e una in capo.

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DAVERIO (VA)

 

Secondo la tradizione, il capoluogo prende nome da un oscuro personaggio romano, Verius (da cui “da Verius”) mentre un’ipotesi alternativa propone la derivazione dalla famiglia “romana” dei Veri (da cui “de Veriis”), che si sarebbe insediata nella zona in epoca augustea.

Il Comune di Daverio si trova nella Valbossa, che prende nome dalla nobile famiglia dei marchesi Bossi (oggi Bossi- Fedrigotti), una delle due principali che esercitavano la signoria feudale sul territorio dell’attuale circoscrizione amministrativa, l’altra era quella dei Sessa. Ecclesiasticamente dipendeva dalla pieve di Varese.

Nel 1757 fu unito a Dobbiate, andando a formare il Comune di Daverio con Dobbiate, e nel 1786 fu aggregato dall’amministrazione austriaca alla Provincia di Gallarate. Quindi, nel 1791, a quella di Milano.

Dal 26 marzo 1798 fu parte del Dipartimento (francese) del Verbano, Distretto di Varese; mentre dal 26 settembre 1798 del Dipartimento dell’Olona, sempre nel Distretto di Varese.
Nel 1801 entrò a far parte del Distretto del Lario (capoluogo Como) aggregando nel 1808 i Comuni di Gagliate (oggi Galliate) e Crosio, ai quali si unirono nel 1812 Bodio e Lomnago.

Nel 1816 il Dipartimento del Lario (ritornato austriaco) assunse la denominazione di Provincia di Como. Il Regno d’Italia l’ha restituito come Comune il 18 marzo 1861; Con il DPR n. 1 del 2 gennaio 1927 è entrato a far parte della nuova Provincia di Varese, istituita distaccandone il territorio da quella di Como.
Lo stemma presenta una torre merlata, vista in prospettiva, d’argento: un tradizionale simbolo d’autonomia e di difesa (quindi per esteso dell’autorità comunale in difesa dei cittadini) fondata sulla campagna (eloquente simbolo dell’economia locale), alla quale sono affiancate due api (il circonvoluto linguaggio araldico del blasone probabilmente riporta un errore di trascrizione, dovrebbe essere: “accostata nei cantoni del capo da un’ape d’oro…”, non specificando né destro né sinistro) allusive, come solito, della laboriosità degli abitanti e non, come sostenuto da alcuni, del dominio napoleonico sulla località. Questo stemma è stato concesso dal Presidente della Repubblica con Decreto del 29 maggio 1963.
Blasone: D’azzurro, alla torre d’argento in prospettiva, merlata di tre alla guelfa, murata di nero, aperta e finestrata, fondata su campagna di verde ed accostata nel cantone del capo da un’ape d’oro dal volo spiegato. Ornamenti esteriori da Comune.

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MOLLIA (VC)

 

Mollia (il cui nome deriverebbe da mòjia che vale “aquitrinoso, umido, probabilmente per le condizioni del terreno in tempi antichi”) è un piccolo Comune dell’alta Valgrande in Valsesia, divenuto autonomo nel 1722, quando la Squadra Superiore della Comunità di Campertogno venne separata contestualmente all’istituzione della parrocchia.

L’ape presente nello stemma è simbolo della laboriosità della popolazione, storicamente spinta all’emigrazione dalle scarse risorse locali, inoltre pare un riferimento al patrono san Giovanni Battista, il cui cibo erano “locuste e miele selvatico”; particolare curioso gli abitanti di una delle frazioni, Grampa, erano nei tempi passati soprannominati Avìji (api) o Vèspi (vespe).

La squadra è un probabile riferimento alla Squadra Superiore di Campertogno, e la sua raffigurazione insieme al compasso potrebbe ricordare la Scuola di Disegno istituita da Pietro Giacomo Bello nel 1807 e rimasta in attività fino al 1895.

Decreto: stemma liberamente adottato dal Comune.

Blasone: D’azzurro, al compasso e alla squadra scalena, il primo con l’asta sinistra piegabile, la seconda posta in banda sul primo, con il lato graduato all’ingiù e forata del campo all’angolo retto; all’ape posta nel cantone sinistro del capo, il tutto d’oro.

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SAN PANCRAZIO PARMENSE (PR)

Il borgo che, in epoca cristiana, diverrà San Pancrazio si sviluppò intorno ad un fondo agricolo, sorto in seguito alla colonizzazione romana del 183 a.C. assegnato alla gens romana Pollia col criterio di “otto iugeri per ciascun colono”.

In seguito, il borgo s’ingrandì e divenne importante lungo la Via Emilia (così chiamata dal nome del promotore della sua costruzione, il console Marco Emilio Lepido) fino a diventare una statio di posta, con magazzino merci, stalla e un piccolo luogo di culto.

Successivamente diventerà un grosso villaggio e il tempio pagano sarà trasformato in chiesa cristiana che, per la presenza di una reliquia di quel santo, diverrà la pieve di San Pancrazio.

Il Comune di San Pancrazio (solo dopo il 1861 fu aggiunto il determinante toponomastico “Parmense” per distinguerlo da altri Comuni omonimi) fu istituito dal Prefetto Ugo Eugenio Nardon, dell’Amministrazione francese del Dipartimento del Taro nel 1806, insieme a quelli di Golese, San Lazzaro Parmense, Vigatto e Cortile San Martino, con territori già del Comune di Parma.
Nel 1943 tutti questi Comuni vennero soppressi e tornarono a far parte del territorio comunale urbano del quale, attualmente, sono Circoscrizioni (“Quartieri”) essendo i territori pressoché inglobati nell’area urbana di Parma.
Sulla torre dell’ex casa municipale posta sulla Via Emilia Est, attuale sede del Quartiere di Crocetta-San Lazzaro, è scolpito lo stemma civico (senza Capo del Littorio, previsto all’epoca della formale concessione ottenuta con Regio Decreto di Vittorio Emanuele III del 19 febbraio 1934); lo stemma si presentava tagliato da una sbarra d’oro, simbolica della Via Emilia lungo la quale si dispone il territorio, accompagnata in capo da una cornucopia d’oro in palo (cioè in verticale) in campo verde e in punta da un piccolo tempio accostato da tre api, una in capo e due ai lati, d’oro, in campo azzurro. Tutti simboli di laboriosità e prosperità (le api, tenendo presente anche l’epoca dell’erezione del Comune, sono anche un richiamo all’Impero Francese Napoleonico).
Blasone: Tagliato dalla sbarra d’oro, il primo di verde alla cornucopia fruttifera del primo posta in palo; nel secondo d’azzurro, al tempio pagano accostato da tre api, una in capo e due ai lati, il tutto d’oro.

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TORBOLA CASAGLIA (BS)

Il Comune è stato costituito nel 1872 (Regio Decreto n. 644 del 04 gennaio 1872) unendo al territorio del Comune di Torbole quello del soppresso Casaglio (da Casalium, nel significato di “ospitale per viandanti”, poi modificato in Casaglia).
Lo stemma è stato concesso con Decreto del Presidente della Repubblica dell’8 settembre 1965 e rappresenta l’impegno degli abitanti (simboleggiati dalle api), che uniti nel lavoro producono frutto (il covone).
Il campo azzurro richiama le acque del latino turbulae aquae (“[luogo delle] acque torbide”) che si ritiene all’origine del toponimo.
La zona era, in effetti, acquitrinosa fino al XIX secolo, quando furono intrapresi grandi lavori di bonifica per ricavarne campi coltivabili (altro simbolismo implicito nel covone) oggi la zona è ormai inglobata nella periferia produttiva ovest di Brescia.

La stella d’argento, invece, simboleggia (uso abbastanza frequente nell’araldica civica) l’antico territorio del soppresso Comune di Casaglio che è stato unito a quello di Torbole (il covone è pure simbolo rafforzativo di unità) ed è anche beneaugurante: raffigura, infatti, la “buona stella” o la “giusta direzione” (verso la quale sono orientate le api) a sua volta allusiva alla “stella della sera”, Venere, che compare per prima all’orizzonte ed è l’emblema principale della Repubblica Italiana.
Blasone: D’azzurro al covone di grano d’oro accompagnato da tre api dello stesso poste ai lati e in punta, e da una stella di sei raggi d’argento posta in capo.


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CONCLUSIONE


In generale abbiamo privilegiato gli stemmi che hanno, tra le figure simboliche scelte, le api o gli strumenti dell’apicoltore; solo in rari casi abbiamo testimoniato alcune variazioni “grafiche” che hanno stravolto le figure apistiche fino a renderle irriconoscibili (ad es. api d’oro che nel tempo si sono trasformate in fleur-de-lys, i noti “gigli araldici” cari alla monarchia francese).
Abbiamo, d’abitudine, preferito le figure che si ricollegano direttamente al mondo dell’ape, tralasciando ad esempio gli stemmi che mostrano essenze vegetali con un’attinenza particolare con l’ape (e soprattutto alle diverse varietà di mieli ottenute) o ai cosiddetti “nemici” di quest’insetto.

Concludiamo però la nostra trattazione con due esempi di questo tipo di stemmi, quello del Comune di Lusevera e quello del Comune di Taipana (entrambi in provincia d’Udine), amene località montane nelle Prealpi Giulie, non distanti dai confini con la Repubblica di Slovenia.
Il primo (figura a lato) mostra, tra gli altri emblemi, un ramo fiorito di tiglio (Tilia sp.). Secondo la tradizione slovena (Lusevera e Taipana sono Comuni nei quali è insediata da secoli una“minoranza” linguistica slava, circa il 70% dei residenti), il tiglio è l’albero sacro simbolo della vita, dell’amicizia, della fedeltà e dell’ospitalità; tradizionalmente si piantava al centro di ogni villaggio e sotto a esso si riunivano i residenti per prendere decisioni relative a tutta la comunità (4). Da quest’essenza, però, si ricavava (e si ricava ancor oggi) un tipo di miele (5) particolarmente pregiato e profumato, con caratteristiche particolari, che ha avuto un suo ruolo nell’economia rurale della zona.
Nello stemma di Lusevera è associato a due stelle d’oro, che ricordano il fiore della stella alpina (Leontopodium alpinum, specie detta anche Edelweiss), simbolo delle Alpi. Ciascuna di esse ha otto punte, tante quante sono le frazioni che formano il Comune: Lusevera/Bardo, Villanova delle Grotte/Zavarh, Micottis/Sedlišča, Vedronza/ Njivica, Pradielis/Ter, Cesariis/Posbardo, Pers/Brieh, Musi/Mužac.
La catena montuosa bianco/argentea di montagne simboleggia la catena del massiccio del monte Musi, che si staglia nel paesaggio a dominio del capoluogo, mentre i due declivi rappresentano rispettivamente a destra i prati sfalciati, e a sinistra i boschi) (6).

Lo stemma comunale di Taipana (7), invece, mostra un orso bruno (8), rappresentante tipico della fauna delle Alpi Giulie, che tiene con una zampa un ramo di tiglio (figura a lato): un altro esempio di stemma non direttamente legato al tema dell’ape, ma interessante per la nostra ricerca... perché oltre ai richiami simbolici già evidenziati per lo stemma precedente, potrebbe alludere al pregiato miele di tiglio nonché alla nota ghiottoneria dei plantigradi per il miele.
Abbiamo quindi ribadito quanto la figura dell’ape sia ricca di simbologie e richiamo ai più nobili valori, innanzitutto quelli legati al lavoro e al sacrificio per il bene comune; la presenza di questi insetti, oltre ad essere indispensabile per la nostra sopravvivenza, ci ricorda anche un’etica differente da quella imperante oggi e ci invita a riflettere, anche sugli emblemi che assumiamo come comunità e come amministrazione del bene pubblico.

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RINGRAZIAMENTI


A conclusione di questo lungo e (ci auguriamo) piacevole percorso ci preme ringraziare anche quanti, tra i lettori e non, ci hanno segnalato note e precisazioni in merito alla nostra ricerca, unica (vogliamo ricordare) nel suo genere condotta fino ad ora nel nostro Paese.
Tra i tanti interlocutori di questa puntata non possiamo dimenticare Igor Cerno, del Comune di Lusevera, i ricercatori del Gruppo Italiano di Araldica Civica (Antonio Conti, Pasquale Fiumanò, Bruno Fracasso, Giovanni Giovinazzo, Giancarlo Scarpitta), il dott. Rinaldo Nicoli Aldini dell’Università Cattolica (Piacenza) e il prof Pietro Zandigiacomo dell’Università di Udine.

 

NOTE

(1) Si cita questo Comune, pur essendo “passato” da italiano, a francese per “dovere di completezza” e informazione storica

(2) Il fascio è un’insegna d’origine etrusca costituito da un mazzo di verghe e da una scure, tenute insieme per mezzo di corregge: è il simbolo del potere coercitivo della legge, quindi dell’autorità dello Stato. Era portato da Littori,
ufficiali di scorta al servizio degli alti magistrati Romani che, con il loro ufficio, comminavano pene corporali e capitali. Mussolini lo rese obbligatorio negli stemmi degli enti territoriali (R.D. n. 1440 del 12 ottobre 1933) ma, alla
sua caduta, la norma che lo imponeva fu cancellata e la figura abrasa dagli stemmi (D.L. del 26.10.1944).

(3) Anche in questo caso, si cita questo Comune, pur essendo “passato” da italiano, a francese per “dovere di completezza” e informazione storica.

(4) Anche in Friuli era riconosciuto il valore simbolico del Tiglio, piantato nella piazza del paese e sotto il quale si riunivano i “decani” e i “vicini”. Era famoso quello “millenario” di Moruzzo. http://www.vivimoruzzo.it


(5)
Le piante di castagno e di tiglio condividono spesso gli stessi habitat e hanno fioriture concomitanti. In Friuli Venezia Giulia è abbastanza facile riscontrare dei mieli di castagno/tiglio che presentano caratteristiche intermedie rispetto
ai mieli uniflorali.


(6)
In Araldica le direzioni destra/sinistra sono invertite rispetto all’osservatore, perché riferite all’ipotetico cavaliere che imbraccia lo scudo.

(7) Formalmente lo stemma Comunale si può intendere come uno scudo rosso sul quale è applicata una pezza triangolare d’argento simbolica dei monti alpini; rosso e argento, tra l’altro sono i colori dell’Austria, alla quale è stato
lungamente soggetto il territorio. La figura triangolare, sulla quale si staglia l’orso levato, richiama anche lo scaglione dello stemma di Udine, storico capoluogo del Friuli.

(8) L’orso è altresì animale totemico della cultura alpina, non solo slovena, e simboleggia la forza e l’indipendenza degli abitanti. “Valli dell’orso” è una denominazione popolare del territorio del Comune di Taipana.



 

 

BIBLIOGRAFIA CONSULTATA

 

- aa. vv., 2010 - Couleurs et symbolique: armoires des villes. Sous le Premier empire en la Restauration. Somogy/Archives Nationales. Paris.


- aa. vv.,  1997 - Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani.  UTET, Torino.


- Amati A., 1878 - Dizionario corografico dell'Italia, vol. I (A-B), p. 1030, Casa Editrice Vallardi, Milano.


- Archivio di Stato di Torino, Archivio della Commissione Araldica Piemontese (Inventario n. 242), Relazioni della Commissione Araldica Piemontese (1925-1942) (mazzo 7). Sedute 1933.


- Cavallera M. (a cura di), 2011 - Comerio La sua storia. NOMOS, Busto Arsizio (VA).


- Contessi A., 2004 - Le api: biologia, allevamento, prodotti. Calderini Edagricole, Bologna.


- Foppoli M.,  2011 - Stemmario bresciano. Gli stemmi delle città e dei Comuni della Provincia di Brescia. Provincia di Brescia/Grafo.


- Gazziola F., 2002 - I mieli del Friuli Venezia Giulia. Notiziario ERSA, 5.


- Leida B., Della Valle G., Piana L., 2002 - Flora apistica. I quaderni dell’apicoltore 4, editore Unaapi, Novi Ligure (AL).


- Pastoreau M., 2009 - L'Art héraldique au Moyen Age. Ed. du Seuil, Paris.


- Persano Oddo L., Piana L., Sabatini A. G., 1997 - Conoscere il miele: guida all’analisi sensoriale. Edizioni Avenue Media, Bologna.


- Poggi B., 2007 - SYMBOLA. Simbologia Alchemica, Araldica e Muratoria. Ianieri Ed. Pescara.


- Ricciardelli d’Albore G., Intoppa F., 2000 - Fiori e api. La flora visitata dalle api e dagli altri apoidei in Europa. Calderini Edagricole, Bologna.

 




Renzo Barbattini* e Massimo Ghirardi**
*Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali Università di Udine
**insegnante atelierista del Comune di Reggio Emilia



 

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- Appunti di vacanze - Il rifugio di Resy

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