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Patrizia Fontana Roca

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DA VIENNA A CARLOWITZ

di Massimo Melli

 

La fase storica  che sto per analizzare - che va dal fallito assedio di Vienna ( 1683 ) alla pace di Carlowitz - (1699) è un periodo poco noto alla maggior parte della gente, ma  fondamentale per la storia d’Europa,  in quanto fu proprio in quei sedici anni che il sogno secolare ottomano di trasformare l’Europa cristiana in una provincia islamica dell’impero si infranse definitivamente, dando inizio ad un graduale smembramento dell’impero stesso, che non trovò più la forza militare e morale per risollevarsi, disgregandosi  poi definitivamente nel 1918 dopo la sconfitta nella Prima Guerra Mondiale.

Questo desiderio di conquistare l’Europa  cristiana, sogno secolare di tutti i sultani che si alternarono sulla Sublime Porta, nasceva sì dall’aspirazione di vedere il trionfo della religione del Profeta nelle terre degli infedeli, ma anche e forse soprattutto da un desiderio  più materiale e cioè quello di impossessarsi delle enormi ricchezze (oro, argento, gioielli, castelli, terreni ecc.) in essa presenti, che avrebbero riempito non solo le casse spesso vuote  dei sultani ma reso stabile l’impero stesso.

Molti pensano che la battaglia di Lepanto (1571) fu  il momento decisivo nel confronto Cristianesimo-Islam, ma secondo me ciò non corrisponde al vero.


Infatti anche se la battaglia di Lepanto rappresentò  un grande smacco per l’impero ottomano, questo però non subì una ferita mortale, tanto che in breve tempo riuscì a riprendersi e a ricostruire una flotta più numerosa, nutrendo un forte desiderio di vendetta,  concretizzatosi nell’allestimento di nuovi piani di conquista.


Ma andiamo con ordine ed  iniziamo dal terribile assedio di  Vienna.

 

 

 

L'ASSEDIO DI VIENNA

 

 

Anche se la maggioranza dei militari e dei nobili turchi non desiderava una nuova guerra, questa fu imposta dal sultano MAOMETTO IV e dal suo Gran Visir KARA MUSTAFA' che riuscirono ad imporre la loro volontà.


Il 31 marzo 1683, dopo una parata grandiosa,  una interminabile colonna di soldati turchi al comando dI Kara Mustafà  e con la partecipazione del Sultano stesso, si mise in marcia alla volta di Vienna, la cui conquista era l’obiettivo strategico di questa nuova guerra.


Arrivati a Belgrado il sultano consegnò la bandiera sacra del Profeta al gran visir nominandolo  ufficialmente seraskjer (comandante in capo dell’esercito), dopodiché  con tutta la sua corte fece ritorno a Costantinopoli, lasciando al suo gran visir la responsabilità di portare a termine positivamente la campagna militare.

Kara Mustafà proseguì senza perdere tempo la  marcia verso  la città di Vienna con l’imponente esercito che si ingigantiva sempre di più con l’arrivo di nuovi contingenti, provenienti da diversi Paesi fra i quali l’Egitto, la Moldavia  ed infine  anche  del capo dei rivoltosi ungheresi TOKOLY, che giunse con molti uomini e materiali.

 

Si stimò che l’esercito turco  raggiungesse i 250.000 uomini circa, un fiume in piena che nessuno, secondo le valutazioni turche, avrebbe potuto arginare.

Papa Innocenzo XI

Nelle capitali cristiane questa minaccia non era sconosciuta, ma colui che più di ogni altro ne comprese la gravità fu  Papa INNOCENZO XI.
Egli, senza perdere tempo, mise in moto la sua diplomazia riuscendo a convincere i sovrani a far fronte comune contro la minaccia turca avvalendosi anche della mediazione dell’ umile frate cappuccino MARCO D'AVIANO che, in virtù della sua capacità diplomatica e della fama di santità che lo circondava, riuscì nella difficile missione di coalizzare le potenze cristiane: il Sacro Romano Impero - il cui imperatore era LEOPOLDO I D'ASBURGO - la Spagna, il Portogallo, la Polonia, Venezia, Firenze e  numerosi volontari provenienti da altri Paesi.

Durante la marcia di avvicinamento a Vienna le orde turche si lasciarono andare a  orrendi misfatti le cui vittime furono tutte quelle popolazioni che ebbero la sventura di trovarsi sulla loro strada.
Furti, specie di animali domestici, espropri, incendi di casolari, castelli e chiese, omicidi  di uomini idonei alle armi e cattura con riduzione in schiavitù  delle donne più belle e dei ragazzi più sani che  prontamente venivano spediti a Costantinopoli per essere venduti. Queste  alcune delle disgrazie a cui vennero sottoposte quelle  povere  popolazioni.

Il 14 luglio 1683 l’esercito arrivò sotto le mura di Vienna e senza perdere tempo in meno di tre giorni la circondò,  innalzò  innumerevoli tende  per alloggiare i soldati e diede inizio all’assedio. Ma per affrettare la corsa verso l’obiettivo, con l’intento di non concedere  al nemico il tempo per predisporre le difese in tempo utile, il Gran Visir commise l’ errore di lasciare indietro l’artiglieria pesante, il cui trasporto avrebbe ritardato la marcia  di avvicinamento e la possibilità di impadronirsi nel più breve tempo possibile degli immensi tesori presenti in città, perchè  Mustafà era convinto che alla vista di quell’immenso esercito la città di Vienna si sarebbe arresa subito. Ma così non fu.
I difensori della città: 12.000 soldati in gran parte mercenari a cui si affiancavano 5.000 volontari civili tutti sotto il  comando del conte VON STARHEMBERGER,  invece di farsi prendere dalla paura sostennero con grande coraggio per settimane i continui assalti  dei soldati turchi che si dissanguavano, tentando di scalare inutilmente le possenti mura.

Al mancato successo militare, per gli assedianti si aggiunse anche una carenza di viveri  perché le campagne nei dintorni erano GIà state precedentemente saccheggiate e depredate e queste due cause indussero molti ufficiali  turchi a criticare il Gran Visir, accusandolo di non aver portato con sé una sufficiente artiglieria pesante il cui utilizzo avrebbe consentito di aprire ampie brecce in quelle mura robuste.


La situazione dentro le mura intanto cominciava ad essere pesante sia per lo scarseggiare dei viveri che per la comparsa di epidemie tra cui una “dissenteria rossa“ che causò molte vittime fra la popolazione civile.
A tutto ciò bisogna aggiungere lo stato d’angoscia in cui questi abitanti vivevano,  pensando a quello che avrebbero potuto subire se i nemici fossero riusciti a penetrare in città, rammentando il trattamento subito da altre popolazioni in circostanze simili.

Dopo 45 giorni di logorante assedio e visto che la città non si arrendeva, Kara Mustafà decise di sferrare il colpo finale, ordinando il 4 settembre un assalto generale. Questa volta i turchi riuscirono ad aprire una piccola breccia nelle mura, irrompendo dentro la città ma la reazione dei difensori fu risoluta  ed eroica, tanto che dopo ore di feroci combattimenti i turchi furono ricacciati fuori.

Beato Marco d'Aviano

Leopoldo I d'Asburgo


La vittoria costò ai difensori numerose vittime, ma la cosa più preoccupante fu la constatazione che cominciavano a scarseggiare sia le polveri che le munizioni e nonostante la gioia per la  brillante vittoria,tutti ormai ritenevano che la caduta della città era solo questione di giorni se gli alleati non fossero giunti in tempo.

Il Re Polacco Jan Sobieski -

Dipinto di Jan Matejko Musei Vaticani -


L ’armata cristiana, composta da circa 80.000 soldati provenienti da vari paesi, sotto il comando del re polacco IAN SOBIESKI, si era già messa in marcia per accorrere in aiuto degli assediati ed affrontare il temibile nemico. Con abili manovre riuscirono ad impossessarsi delle alture a nord-ovest di Vienna senza mai impegnarsi in sanguinosi scontri. 

 

Da quelle posizioni furono in grado di vedere la città e l’immenso esercito che l’assediava ed allora compresero che avrebbero dovuto affrettarsi se volevano salvare dalla disfatta i viennesi.


Intanto i turchi, accortisi dell’arrivo dell’esercito cristiano, cominciarono a prepararsi per affrontarlo, rendendosi però conto che esso era più numeroso di quanto le loro spie avevano riferito.

 

La battaglia iniziò all’alba del 12 settembre 1683, con un feroce scontro che si verificò fra l’ala sinistra cristiana ed i giannizzeri che dopo una feroce battaglia furono costretti a retrocedere. Successivamente la battaglia si sviluppò accanitamente su tutto l’immenso fronte,  sotto gli occhi preoccupati dei viennesi che numerosi si erano posizionati sulle  mura. Per molte ore la situazione si mantenne incerta: alla superiorità numerica degli islamici, i cristiani opposero la compattezza dei reparti, una grande determinazione nel voler vincere ed in ultimo anche la superiorità tecnologica delle armi.


A sbloccare la situazione che col passare delle ore si stava  facendo  critica, fu la decisione di  Sobieski di ordinare alla cavalleria (tre divisioni polacche e una tedesca) una carica generale, con  la quale riuscì a travolgere le truppe turche scompaginando le loro fila e seminando il panico in tutto il resto dell’esercito.

 

A rendere ancor di più  drammatica la situazione per gli ottomani fu un’improvvisa sortita dei difensori di Vienna che attaccarono di fianco l’armata turca, la quale temendo di rimanere intrappolata, si diede ad una fuga generale, non avendo neanche il tempo di portare con sé il bottino fin ad allora depredato durante le scorrerie nei  Balcani.


I turchi ebbero circa 15.000 morti contro i  4.000 dei cristiani, ma a queste cifre bisogna aggiungere quelle dei deceduti durante il lungo assedio della città.
Se la vittoria fu grandiosa, le dispute sorte fra i vincitori per la spartizione dell’immenso bottino trattennero gli imperiali dall’inseguire il nemico, che così riuscì ad allontanarsi senza altri danni, riuscendo a salvare gran parte dell’esercito.

Sobieski  fu riconosciuto l’eroe della battaglia ed al comando delle sue truppe entrò in Vienna  accolto trionfalmente dalla popolazione, ma senza attendere l’arrivo dell’imperatore Leopoldo,  il quale molto si irritò per questo sgarbo del re polacco.

 

Comunque l’Europa era salva  ed anche se l’esercito turco non fu annientato totalmente, il colpo inflitto al prestigio dell’impero ottomano fu talmente grande che esso non riuscì  a riprendersi con facilità, dando inizio ad un declino socio-economico che lo porterà ad essere ancora più vittima del nepotismo, della violenza e della corruzione;  virus che lo corroderanno dall’interno fino al suo tragico epilogo.


Intanto Cara Mustafà  temendo l’ira del sultano, non fece ritorno ad  Istanbul ma si fermò a Belgrado da dove pensava l’anno successivo di tentare un nuovo  attacco su Vienna. 

 

Nel frattempo, fece eliminare molti dei visir e dei pascià che riteneva responsabili della sconfitta subita, non osando però sopprimere alcuni alti dignitari e soprattutto il comandante in capo dei giannizzeri senza il consenso del sultano. Per ottenere ciò, inviò una lettera a Maometto IV per avere l’autorizzazione a punire questi personaggi responsabili della sconfitta.


Non si rese conto però che così facendo si stava scavando la fossa con le proprie mani, in quanto questi alti dignitari di cui chiedeva la morte avevano amici influenti fra gli intimi del sultano i quali riuscirono a convincerlo che il vero responsabile era il Gran Visir, tanto che Maometto IV° decretò per lui il destino che già aveva riservato a molti capi militari dell’esercito.


Infatti, quando nel dicembre 1683 giunsero a Belgrado i suoi  inviati e gli chiesero, nel nome del sultano, la restituzione del sigillo imperiale e della sacra bandiera, egli comprese subito il destino che lo aspettava.

Secondo le usanze musulmane, dopo aver recitato le preghiere ed aver proclamato la professione di fede, il boia gli strinse una corda al collo e lo strozzò.

 

 

L'ULTIMA CROCIATA E LA PACE DI CARLOWITZ

 

 

Eugenio di Savoia

Mentre avveniva tutto questo, l’imperatore Leopoldo servendosi ancora una volta dei buoni uffici del cappuccino Marco d’Aviano, propose a Papa Innocenzo XI ed agli alleati di continuare la guerra con l’intento di dare il colpo di grazia ai turchi cacciandoli prima  dall’Ungheria e poi da tutta la penisola  Balcanica.

Papa Innocenzo fu entusiasta della proposta e mise di nuovo in movimento la sua diplomazia riuscendo a coalizzare i governi interessati  in una nuova alleanza, con lo scopo di  sferrare un colpo mortale e definitivo alla minaccia turca sull’Europa.


Il patto venne firmato il 5 marzo 1684 a  Ratisbona  ed  il Papa nella basilica di S. Pietro benedì tale patto proclamando solennemente la nuova crociata: la tredicesima.


Non appena la notizia fu resa di dominio pubblico, numerosi predicatori in tutta Europa  lodarono la nuova iniziativa  e dai pulpiti delle chiese tentarono  di risvegliare negli animi l’antico spirito crociato,  cercando di convincere il maggior numero di persone ad aderirvi.

Ad Istanbul il nuovo gran visir KARA IBRAHIM, conscio del momento di crisi in cui versava l’esercito pensò bene, in questo consigliato dai generali, di rinforzare le basi costiere balcaniche e le truppe di terra non preoccupandosi del pericolo costituito dalla flotta cristiana, convinto sempre di più che la battaglia decisiva per le sorti dell’impero si sarebbe svolta in Ungheria.


In effetti le truppe imperiali sotto il comando di CARLO DI LORENA e sotto le cui insegne combattevano anche numerosi volontari inglesi, francesi, italiani e spagnoli per un totale di circa centomila soldati, nel 1684 invasero l’Ungheria conquistando in breve tempo Pest ma a causa delle possenti fortificazioni solo nel  1686 anche Buda, la cui presa fu salutata come una grande vittoria dall’Europa intera.


La conquista di Buda fu seguita da un crollo della resistenza turca in tutta l’Ungheria fino alla Transilvania e alla Serbia, specie dopo la grave sconfitta subita a BERG HARSAN (o MOHACS) il 12 agosto 1687 ad opera dell’armata di Carlo di Lorena e durante la quale tra i comandanti primeggiò EUGENIO DI SAVOIA, già messosi in luce  durante l’assedio di Vienna.

Luigi XIV

 

Infine, il 6 settembre1688 gli imperiali conquistarono abbastanza facilmente la città di Belgrado, sede del gran visir e delle maggiori autorità turche le quali, in previsione dell’arrivo del portentoso esercito cristiano, abbandonarono la città con la maggior parte delle truppe,  dando così la possibilità alle truppe imperiali di sottoporla ad un saccheggio feroce.


Le continue sconfitte turche  scossero le fondamenta dell’impero, dando origine a diverse manifestazioni di violenza che finirono per  minarne la pace interna. I giannizzeri si ammutinarono uccidendo il gran visir e molti alti dignitari ed arrivando perfino a deporre lo stesso sultano Maometto IV, il cui successore SOLIMANO III, a causa dei violenti disordini scoppiati a Istanbul fu costretto a trasferirsi a Edirne ed obbligato ad avviare trattative di pace con l’imperatore Leopoldo I.

Questa pace forse avrebbe potuto avere un esito positivo perché le truppe imperiali erano stanche delle battaglie, delle lunghe marce e soprattutto  perché il prolungamento delle linee aveva reso più difficili i rifornimenti di viveri per i soldati e di foraggio per gli animali.

Senonchè  le trattative di pace non ebbero seguito a causa del re di Francia LUIGI XIV che geloso dei successi di Leopoldo I, non solo aveva consigliato al Sultano di proseguire la guerra contro l’impero ma, violando la tregua d’armi,  riaccese la guerra contro l’Austria, occupando Strasburgo ed invadendo il Palatinato, costringendo parte delle  truppe imperiali schierate contro i turchi a spostarsi sul nuovo fronte.


Questo momento favorevole fu subito sfruttato dal nuovo gran visir MUSTAFA KOPRULU, il quale da sempre convinto della inutilità di una pace con gli Asburgo, decise di proseguire la guerra, facendo appello al sentimento religioso del popolo e riuscendo ad  infondendogli un forte entusiasmo per la causa dell’islam,  formando un grande  esercito più numeroso di quello cristiano.

Nel 1690 diede inizio ad una nuova campagna militare che ottenne inizialmente dei successi, sconfiggendo gli imperiali nella battaglia di  SEGHEDINO e addirittura riconquistando Belgrado. Questa serie di sconfitte convinsero inoltre molti volontari che combattevano nelle file degli Asburgo a fuggire dai campi di battaglia e ritornare ai loro paesi d’origine.

Francesco Morosini

Fu però  grazie all’aiuto dell’alleata Venezia - che con la sua possente flotta comandata da FRANCESCO MOROSINI, riuscì a  riconquistare le basi turche in Dalmazia, il Peloponneso, Atene e negli anni successivi gran parte della Grecia e della Romania - che  gli imperiali riuscirono ad arginare questa nuova ondata islamica e dopo la grande vittoria di SLANKAMEN (agosto 1691) dove morirono 20.000 turchi e lo stesso gran visir, l’avanzata turca fu finalmente bloccata ma non in modo definitivo.


Nel frattempo la guerra fratricida tra Austria, Spagna e Francia (la guerra dei nove anni 1688-1697) era terminata e Leopoldo potè di nuovo dedicarsi pienamente ad affrontare i turchi, i quali  al comando dello stesso sultano MUSTAFA' II, di nuovo avevano lanciato  un  massiccio attacco  attraversando il fiume Danubio nei pressi della confluenza con il Tibisco, con il duplice  obiettivo di sconfiggere l’esercito imperiale in una battaglia campale  e poi marciare su Vienna.

Ma qualcosa di nuovo era avvenuto in campo cristiano, una mossa che doveva risultare vincente: la nomina del principe EUGENIO DI SAVOIA a comandante in capo dell’esercito imperiale. Spettò a lui il compito non facile di fermare la nuova invasione ottomana che avanzava con orgogliosa sicurezza verso Vienna.

Si trattava anche questa volta di un’armata poderosa su cui capeggiava il terribile corpo dei giannizzeri e la cavalleria spahi, oltre a centinaia di  pezzi d’artiglieria. Senza perdere tempo, Eugenio, venuto a conoscenza della direzione presa dai turchi ed informato dalle spie dell

o stato dell’esercito nemico, si mosse all’inseguimento.


Il sultano, temendo di restare intrappolato tra l’esercito nemico e la loro guarnigione presente a Szeged, ordinò l’attraversamento del fiume Tibisco in prossimità di ZENTA, con l’ausilio  di decine di pontoni, con la speranza di entrare in Transilvania per poi proseguire sulla sponda opposta.

Perp, proprio mentre l’esercito stava effettuando il guado,  Eugenio con una rapida decisione, approfittando di questo momento di debolezza del nemico lo attaccò  con tutto l’esercito  sbaragliandolo  nel giro di poche ore e  dando inizio ad una terribile carneficina.
L’enormità della sconfitta turca sta tutta nelle cifre: 20.000  uccisi in battaglia e altri 10.000 morti annegati nel fiume; i cristiani ebbero meno di 500 morti e 1500 feriti.

Il sultano con qualche difficoltà riuscì a fuggire ma grande fu il bottino catturato dai cristiani: diverse casse di denaro per un totale di circa tre milioni di piastre, 9000 carri di salmerie, 6000 cammelli e 1500 buoi e perfino il sigillo del gran visir morto in battaglia.

 

Era l’11 settembre 1697  (la data non vi dice niente?). Da questa terribile sconfitta i turchi non si ripresero più;  la disfatta di  Zenta  fu  così pesante ed umiliante per l’impero ottomano da costringerlo a porre fine  alla guerra con l’impero tedesco il cui imperatore, a sua volta, stanco di tante guerre e tanti lutti, era propenso  ad intavolare trattative di pace.

I  preparativi per iniziare i colloqui   andarono per le lunghe e si corse  il rischio della  ripresa del conflitto, ma alla fine fu trovato un accordo e venne  deciso di incontrarsi a CARLOWITZ  per sondare se vi fossero le condizioni per firmare una pace duratura.

Dopo lunghe trattative, il 26 gennaio 1699 fu siglato dalle due parti il Trattato di pace di Carlowitz,  in base al quale l’impero ottomano riconosceva  la supremazia Asburgica nell’area nord dei  Balcani, cedendogli la Transilvania, la Croazia e la Slavonia, mentre alla Repubblica di Venezia  fu ceduta la Morea, la Dalmazia ed altre località minori ed infine  vennero cedute la Podolia alla Polonia ed Azov alla Russia.

Questo trattato di pace diede inizio in modo irreversibile  al declino del potere ottomano in Europa e contemporaneamente  rese l’Austria la potenza dominante nell’Europa sud-orientale, trasformandola in un immenso impero che cessò di esistere solo nel 1918 con la sconfitta nella Prima guerra mondiale.


Con  Carlowitz  svanì  in modo definitivo anche il sogno turco  di islamizzare l’Europa occidentale  anche se, considerando quello che sta accadendo  ai nostri giorni con l’approdo  in  Europa di milioni di musulmani , qualche motivo di preoccupazione ancora persiste.

 

 

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