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                      e immagini fornite da altri redattori. Nello specifico, 
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                      Titolo, Periodico) ."
 ******    PIEMONTESI IN FAMA DI SANTITA’  Questa sezione nasce per risollevare dall’oblio eterno 
                    delle meritevoli e significative figure piemontesi, che la 
                    pietà popolare considera in fama di santità.
 Per la gran parte di essi non fu mai avviato un regolare processo 
                    di canonizzazione, almeno come lo si intende oggi. La presente 
                    non vuole sostituirsi al giudizio della Chiesa circa l’effettiva 
                    santità dei personaggi elencati.
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SERVA DI DIO MARIA GIUSEPPINA DI GESU' (LUISA CIPOLLINI D'ALTO E CAPRAUNA)Albenga, Savona, 1880 - Torino, 21 giugno 1917
 
 
La collina torinese pullula di incliti modelli di santità 
                    femminile: Amedea Vercellone, Anna Michelotti, Maria degli 
                    Angeli, Maria Clotilde di Savoia, Maria Consolata Betrone, 
                    Maria Teresa e Maria Adelaide d’Asburgo, Maria Vittoria 
                    Dal Pozzo della Cisterna, Odile Serra, Rosalia Sismonda, Teresa 
                    Miniotti ed infine, non perchè di minor importanza, 
                    Suor Maria Giuseppina di Gesù (al secolo Luisa Maria 
                    Benedetta Cepollini d’Alto e Caprauna), grande mistica, 
                    di nobili origini, religiosa della Congregazione dell’Adorazione 
                    Perpetua del Sacro Cuore, fondata in Francia a Lione nel 1820 
                    dalla giovane religiosa Madre Giovanna Francesca (al secolo 
                    Carolina Boudet Choussy de Grandpré) e dal missionario 
                    Padre Leonardo Furnion.Nata ad Albenga, in provincia di Savona, dal conte Accelino 
                    Ceppolini e Carolina dei marchesi Corsidi, Luisa ricevette 
                    un accurata educazione e ben presto rivelò un’innata 
                    predisposizione alla vita ascetica. La sua pietà e 
                    la sua disciplina la resero esemplare sin dalla fanciullezza, 
                    durante le scuole elementari frequentate in Albenga e poi 
                    dai 10 ai 18 anni di età presso il neonato Istituto 
                    torinese delle Suore dell’Adorazione Perpetua del Sacro 
                    Cuore, a quel tempo appena giunte nella Villa Schenone, oggi 
                    in viale Curreno 21, sulla collina torinese.
 Il 21 giugno 1894 Luisa ottenette di potersi iscrivere alla 
                    Pia Unione delle Figlie di Maria e finalmente il giovedì 
                    santo del 1897, nel corso dell’adorazione notturna, 
                    sentì germogliare in lei la divina vocazione ad entrare 
                    fra le suore adoratrici. Manifestò allora il suo vivo 
                    desiderio ai genitori, ma questi preferirono attendere per 
                    sottoporla all’esame di ecclesiastici di loro fiducia, 
                    onde accertarsi della veridicità della vocazione della 
                    loro figliola. Il 9 aprile 1900 finalmente entrò nell’istituto 
                    di Torino, ma iniziarono per lei anni di continui trasferimenti, 
                    fattore che non mutò però mai la sua esemplarità 
                    di vita: l’11 giugno 1900 passò al noviziato 
                    di Lione, ove l’8 dicembre ebbe luogo la sua vestizione 
                    religiosa ed il 31 maggio 1902 emise i voti temporanei, poi 
                    dopo una breve parentesi atorinese nel 1903 nuovamente a Lione, 
                    sugellando il suo persorso formativo nel settembre 1905 con 
                    i voti perpetui. Con la professione religiosa assunse il nome 
                    di Suor Maria Giuseppina di Gesù.
 A causa delle leggi eversive della Francia, il noviziato venne 
                    trasferito per due anni a Torino e proprio a Suor Maria Giuseppina 
                    fu affidata la formazione delle aspiranti religiose, prima 
                    con l’ufficio e poi anche con la qualifica di maestra, 
                    incarico al quale attese sempre con grande zelo, dimostrando 
                    mirabilmente il suo attaccamento ed il suo amore verso la 
                    Regola e concretizzando ciò nella fedele osservanza. 
                    Suo scopo era inculcare nelle ragazze la fedeltà alla 
                    vocazione ricevuta, l’osservanza anche nelle più 
                    piccole cose, uno spirito di fervore e di unione con Dio, 
                    nonchè curare con premura veramente materna tanto la 
                    formazione spirituale quanto la salute delle candidate alla 
                    vita religiosa.
 Tuttavia, come talvolta accade in ambito ecclesiastico, Suor 
                    Maria Giuseppina si ritrovò suo malgrado in contrasto 
                    con alcune consorelle in aperto disappunto con la sua rigida 
                    disciplina e la sua totale fedeltà allo spirito dell’istituto. 
                    Di comune accordo con la superiora generale, ella non condivideva 
                    infatti le nuove tendenze secolarizzatrici e si oppose all’invio 
                    delle giovani fresche di noviziato nelle case laicizzate. 
                    Ai vertici dell’istituto prevaleva però una differente 
                    mentalità e Suor Maria Giuseppina fu allora destinata 
                    ad altro incarico e trasferita a Brescia. Qui, accanto alle 
                    consorelle che ammiravano le sue virtù, trovò 
                    anche purtroppo chi non mancò di farla assai soffrire 
                    sia fisicamente che moralmente. L’eccessiva severità 
                    nei suoi confronti ed il sopraggiungere di una grave infermità 
                    segnarono il suo triste destino: trasferitasi un’ultima 
                    volta a Torino, spirò il 21 giugno 1917 in età 
                    ancora giovane.
 Circondata da fama di santità, le sue spoglie trovarono 
                    degna sepoltura nella splendida chiesa dell’Istituto 
                    Adorazione di Torino, ma in seguito ai bombardament della 
                    Seconda Guerra Mondiale furono traslate nella cappella interna 
                    ai nuovi edifici del complesso religioso. Trent’anni 
                    dopo la Curia Arcivescovile di Torino diede inizio alla fase 
                    diocesana della causa di beatificazione, i cui atti furo trasmessi 
                    a Roma presso la Congregazione per le Cause dei Santi, che 
                    il 5 luglio 1966 emanò il decreto sugli scritti della 
                    Serva di Dio Maria Giuseppina di Gesù. Da allora la 
                    causa attende nuovo slancio in vista del centenario della 
                    morte di questa piccola grande religiosa.
PENSIERI DELLA SERVA DI DIO
 
 
- Tutta la storia dell’anima mia si riassume nella 
                    parola “Gesù”. - La croce produce sempre l’amore quando la si porta 
                    con fede e speranza.
 - La vita di una Adoratrice è di aspirare l’adorazione 
                    e di respirare l’apostolato.
 - Il solo ufficio che mi spetta è quello di servire 
                    e di passare, di non fermarmi mai a nulla e di amare sempre 
                    più.
 - Dio è sempre per noi ciò che lo crediamo. 
                    Se sappiamo credere in Lui, non potrà ingannare la 
                    nostra confidenza.
 - Sono una creatura ben piccola, ma il mio cuore si sente 
                    più grande del mondo. Non trova riposo che in una preghiera 
                    cattolica, in un’offerta totale di tutta me stessa perchè 
                    si estenda il regno di Cristo, per gl’interessi della 
                    Sua gloria e per le anime.
 - Per ora la mia vita è un’adorazione attiva, 
                    adorazione di obbedienza e abnegazione, adorazione al sudore 
                    della fronte ma in un modo o nell’altro, tanto quaggiù 
                    che lassù, l’adoratore è sempre l’Amore.
 - Amare un’anima, come Gesù l’ama, è 
                    volere che Dio trovi in essa la sua gloria, è non cercare 
                    altra contentezza che di vedere Dio contento in lei.
PREGHIERA
O Dio che hai arricchito di tante elettissime 
                    graziel’anima di Suor Maria Giuseppina di Gesù,
 facendone un modello di umiltà, do fortezza e di carità,
 concedi a noi di imitarne le virtù,
 specialmente il suo figliale abbandono alla tua Provvidenza,
 il suo grande amore al Verbo Incarnato,
 la sua profonda adorazione alla tua Maestà.
 Glorifica, se ti piace, la tua umile Adoratrice:
 concedi a Lei di giovare a tutte le anime che invocano il 
                    suo aiuto
 e a noi di sperimentare l’efficacia della sua intercessione 
                    presso il tuo trono.
 Amen.
Per maggiori informazioni e relazioni di grazie ricevute rivolgersi 
                    a:
Istituto AdorazioneViale Curreno Giacomo 21 - 10133 Torino
 Tel. 0116602802
 suore@adorazione.it
oppure: Istituto AdorazioneVia Pineta Sacchetti 231 - 00168 Roma
 Tel. 063053162
 
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CANONICO FRANCESCO BONO, SACERDOTE
 E FONDATORE DELLE SUORE DEL SANTO NATALE
 Sommariva Bosco, Cuneo, 1 luglio 1834 – Torino, 4 gennaio 
                    1914
 
 
Francesco Bono nacque a Sommariva Bosco (CN) il 1° luglio 
                    1834. Ordinato sacerdote il 18 giugno 1859, perfezionò 
                    la sua formazione pastorale alla scuola di San Giuseppe Cafasso, 
                    di cui egli stesso si definì in una lettera al Beato 
                    Allamano: “uno dei più affezionati discepoli”. 
                    Il 12 aprile 1890 fu nominato Vicario di Santa Maria di Pozzo 
                    Strada, parrocchia alla periferia di Torino, che risentiva 
                    degli squilibri apportati dal processo di industrializzazione 
                    con segente immigrazione, i quali ricadevano soprattutto sui 
                    piccoli. Scriveva Don Bono: “Stringeva il cuore nel 
                    vedere tanti poveri fanciulli girovagare quasi affatto abbandonati 
                    ed esposti a tutti i pericoli...”. Da questo cuore di 
                    padre, e per rispondere alle necessità dei poveri e 
                    dei piccoli soli, scaturì la Congregazione delle Suore 
                    del Santo Natale. Cofondatrice e prima superiora generale 
                    fu Madre Natalina Cavagnero. Il Canonico Francesco Bono morì 
                    il 4 gennaio 1914. I loro resti riposano oggi nella chiesa 
                    della Casa Madre in Torino.PREGHIERAO Signore, ti ringraziamo per aver suscitato nella tua Chiesa 
                    il Can. Francesco Bono sacerdote fedele, pastore zelante e 
                    sensibile ai bisogni dei poveri, fondatore di una famiglia 
                    religiosa che, consacrata al mistero del tuo Natale, annuncia 
                    la tua salvezza.
 Ascolta la nostra preghiera, degnati di glorificare il tuo 
                    servo qui in terra e, per sua intercessione, concedici la 
                    grazia che, fiduciosi, ti chiediamo.
 
 
Per immagini e relazioni di grazie, rivolgersi a:
 Suore del Santo Natale
 Corso Francia, 164
 10145 Torino (Italia)
 Tel. 011.74.04.60
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MADRE NATALINA CAVAGNERO, COFONDATRICE DELLE SUORE DEL SANTO NATALEAsti, 11 maggio 1858 – Torino, 13 giugno 1951
 
Madre Natalina Cavagnero collaborò il Canonico Francesco 
                    Bono alla fondazione delle Suore del Santo Natale di Torino. 
                    Fu religiosa umile e generosa. Le sue spoglie riposando nella 
                    Cappella della Casa Madre in Corso Francia 164 a Torino.
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ROSINA FERRO, TERZIARIA DOEMNICANA, VEGGENTE, STIGMATIZZATA
 Villareggio, Torino, 14 maggio 1851 – Torino, 19 febbraio 
                    1912
 
 
Rosina Ferro, nata a Villareggio (TO) nel 1851, era la domestica 
                    del parroco di un paesino vicino. All'età di 24 anni 
                    Rosina ebbe il privilegio di ricevere le apparizioni della 
                    Madonna. La giovane vide al margine della strada la “Madre 
                    dei dolori” silenziosa e circondata dagli Angeli. Per 
                    tutto il mese di luglio e agosto, la vide alle ore 15, sempre 
                    allo stesso posto. Tempo dopo, Rosina ricevette le sante Stigmate 
                    e soffrì ogni venerdì la Passione di Gesù 
                    Cristo, Nostro Signore. La sua vita fu assai travagliata e 
                    dovette più volte trasferirsi. Ebbe anche modo di incontrare 
                    Papa Pio IX. Infine si stabilì a Torino. Entrò 
                    tra le Figlie di Maria, tra i terziari francescani e domenicani. 
                    Morì abbandonata da tutti in una stanzetta in centro 
                    a Torino nei pressi del Santuario della Consolata. Dopo il 
                    suo decesso il suo corpo mortale tornò miracolosamente 
                    giovane, come le era stato predetto in una delle numerose 
                    apparizioni. La sua salma riposa oggi nel Cimitero Monumentale 
                    di Torino. Fu raccolto tutto il materiale e le testimonianze 
                    necessarie per avviare la sua causa di canonizzazione ed il 
                    tutto fu inviato a Roma. Alla sua memoria fu scritta la biografia: 
                    “Leggenda medioevale in pieno secolo decimonono e vigesimo 
                    ossia cenni biografici di Rosina Ferro da Villareggio”.
 
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ALESSANDRO DA CEVA, EREMITA CAMALDOLESE Garessio, Cuneo, 13 gennaio 1538 – Pecetto, Torino, 
                    16 ottobre 1612
 
 
Ascanio nacque il 13 gennaio 1538 nel castello di Garessio, 
                    terzogenito di Giovanni Pallavicino e Caterina Scarampi, marchesi 
                    di Ceva e consignori di Garessio e di Ormea. Il primogenito 
                    Giorgi,o uomo di consumata bontà e morigeratezza, fu 
                    consigliere del duca Vittorio Amedeo I di Savoia; il secondogenito, 
                    Pompeo, vestì in giovanissima età l’abito 
                    di frate minore conventuale e si distinse per la sua bontò 
                    e l’integerrima dottrina. Il marchese Giovanni, loro 
                    padre, scorgendo in Ascanio un’indole eccellente ed 
                    una propensione particolare allo studio, lo affidò 
                    dunque alle saggie cure dell’abate Galbiate da Pontremoli, 
                    poi vescovo di Ventimiglia. Terminati gli studi teologici, 
                    per la sua esemplare condotta ed i suoi rari talenti a Roma 
                    colpì l’attenzione del cardinale Alessandro Crivelli, 
                    che lo nominò suo segretario.Mantenne questo incarico per dieci anni, ma il suo amore per 
                    la solitudine lo spinse a rinunciare alle grandezze del mondo 
                    e chiese di poter passare alla vita religiosa tra i seguaci 
                    di San Romualdo. Non gli fu però semplice convincere 
                    il cardinale a rinunciare ad un così prezioso collaboratore, 
                    ma infine poté finalmente stabilirsi nell’abbazia 
                    di Camaldoli in Toscana. Ascanio vestì l’abito 
                    camaldolese ed asunse il nome religioso di Alessandro. Emise 
                    la professione solenne il 1° novembre 1571 e, per la santità 
                    dei costumi, per la prudenza e la dottrina, nel 1592 fu nominato 
                    procuratore generale dell’ordine ed inviato a Roma per 
                    affari riguardanti il romitaggio di Camaldoli. Nella Città 
                    Eterna fu ben accolto da Papa Clemente VIII, che da cardinale 
                    era molto amico del Crivelli, già suo principale.
 I camaldolesi si erano diffusi anche in Piemonte grazie a 
                    San Giovanni Vincenzo, fondatore della celebre Sacra di San 
                    Michele. Nel 1596 Fra’ Alessandro fu eletto priore del 
                    monastero camaldolese di Santa Maria di Pozzo Strada in Torino, 
                    con piena facoltà di ampliarlo ed eventualmente erigerne 
                    di nuovi. Entrò dunque in relazione con l’allora 
                    arcivescovo torinese, monsignor Carlo Broglia, il quale lo 
                    presentò al duca Carlo Emmanuele I di Savoia. Il sovrano 
                    non tardò a conoscerne i distinti meriti e specialmente 
                    la sua eminente pietà. Lo scelse quale suo confessore 
                    e gli propose l’edificazione di un nuovo eremo.
 Questo progetto dovette però essere rimandato a tempi 
                    migliori, a causa della terribile peste che colpì Torino. 
                    Chiamò allora Padre Alessandro ad assistere gli appestati 
                    della capitale, che non mancò di dar prova di tanta 
                    carità ed abnegazione di se stesso. Da tutti fu infatti 
                    considerato come un angelo consolatore loro concesso dalla 
                    provvidenza divina. Fece ergere un altare in mezzo alla contrada 
                    di Dora Grossa, odierna Via Garibaldi, ove celebrava messa 
                    con grande edificazione dei desolati cittadini. Il terribile 
                    flagello della peste commosse l’animo religioso del 
                    duca sabaudo, che fece voto solenne di ergere il progettato 
                    eremo se il suo popolo fosse stato liberato dalla grave pestilenza.
 Questa cessò e Carlo Emanuele ordinò allora 
                    al suo ambasciatore a Roma, il conte di Verrua, di ottenere 
                    dal Santo Padre il breve di erezione del nuovo eremo facente 
                    capo a Padre Alessandro. Si scelse uno dei punti più 
                    alti della collina torinese, nei pressi di Pecetto, ed il 
                    sito fu visitato dallo stesso duca, dall’arcivescovo 
                    Broglia e dall’ingegnere Ascanio Vitozzi. Il 21 luglio 
                    1602 si pose la prima pietra di quella chiesa, alla presenza 
                    del duca e dei principi reali suoi figli. Stabilito finalmente 
                    l’eremo, ne fu sempre confermato ogni triennio priore 
                    proprio Padre Alessandro. Il sovrano ne apprezzò sempre 
                    più i meriti e lo propose per le sedi episcopali di 
                    Saluzzo, Ivrea e Tarantasia, ma l’umile religioso rifiutò 
                    ripetutamente tali offerte ed addirittura avrebbe voluto rimettere 
                    l’incarico di confessore di Sua Altezza.
 Padre Alessandro fu anche fondatore di altri due eremi in 
                    terra piemontese: quello di Lanzo e quella di Belmonte presso 
                    Busca nel cuneese. Fu amico dei suoi contemporanei papa Paolo 
                    V e San Francesco di Sales. Non poche volte fu sorpreso in 
                    estasi.
 Alessandro, ormai carico d’anni ma anche di meriti, 
                    morì in concetto di santità nell’eremo 
                    di Pecetto il 16 ottobre 1612, ove fu sepolto il suo corpo 
                    innanzi all’altar maggiore, poi ritrovato incorrotto 
                    trent’anni dopo la sua morte. Ai suoi funerali prese 
                    parte anche il duca, che fece scortare il feretro da un gran 
                    numero di cavalieri. Continuarono a verificarsi miracoli che 
                    già non erano mancati quando era ancora in vita. Nella 
                    sua città natale, nella cappella dell’Assunta 
                    il Beato Alessandro figura con gli altri tre santi garessini. 
                    Le sue spoglie mortali sono state recentemente traslate nella 
                    chiesa parrocchiale di Pecetto, vista l’incuria che 
                    ha travolto l’antico eremo.
 Il Menologio Camaldolese lo commemora quale “beato” 
                    al 6 ottobre, ma il suo culto non ha ancora ricevuto conferma 
                    ufficiale da parte della Chiesa.
 Le strutture eremitiche da lui fondate in Piemonte furono 
                    pozzi di nuova fiorente santità e si segnalano in particolare 
                    presso Torino i venerabili Apollinare Chioma (27 gennaio), 
                    Franceschino Garberi (1° febbraio), Tito de Presbyteris 
                    (9 febbraio), Ignazio Carelli (10 aprile), Onofrio Natta (21 
                    maggio), Massimo Soria (24 maggio), Gioacchino Tubassi (25 
                    maggio), Basilio Nicolis de Robilant (12 luglio), Mauro da 
                    Sabina (20 luglio), Benedetto Pettinai (18 agosto), Carlo 
                    Amedeo Botti (19 agosto), Clemente Per lasco (27 agosto), 
                    Giovanni Grisostomo Chieppi (24 settembre), Massimino Chariers 
                    (12 ottobre), Bonifacio Scozia (18 novembre), Prospero Magliano 
                    (1° dicembre) e Pietro Vacca (27 dicembre), mentre altri 
                    due venerabili morirono invece presso l’eremo di Belmonte 
                    presso Busca nel cuneese: Giovanni Chiotassi (17 settembre) 
                    e Bernardino Milano (23 novembre).
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LUIGI CAPPA, LAICO
 Cavallermaggiore, Cuneo, 28 aprile 1852 – 28 marzo 1929
 
 
In Piemonte non mancano i modelli di santità laicale, 
                    tra i quali tre mirabili esempi per i lavoratori cristiani: 
                    il “ferroviere santo” Paolo Pio Perazzo, il “ciabattino 
                    santo” Giovanni Antonio Panighetti ed il “carradore 
                    santo” Luigi Cappa.Quest’ultimo nacque a Cavallermaggiore, nel cuneese, 
                    in Borgata Foresto il 28 aprile 1852. Originario di una famiglia 
                    di contadini, ricevette il bateesimo nella parrocchia di Santa 
                    Maria della Pieve. Sin dalla più tenera età 
                    la madre gli inculcò una viva avversione al peccato, 
                    tanto che il piccolo Luigi all’età di soli quattro 
                    anni arrivò a supplicarla affinché pregasse 
                    Dio di volerlo al più presto accogliere in Paradiso. 
                    Da adolescente fu un fedele chierichetto ed amava recarsi 
                    da solo in chiesa per la pratica della Via Crucis.
 La sua gioventù fu intessuta di preghiera e lavoro. 
                    Apprese il mestiere di fabbro per onorare San Giuseppe Artigiano 
                    e propiziarsi la sua protezione. Il suo tempo libero lo trascorreva 
                    nella preghiera e nella lettura di libri religiosi, che resero 
                    la sua fede salda e profonda. Ebbe molta cura di conservare 
                    la castità, nonostante potesse risultare difficile 
                    a quell’età. Prestò servizio militare 
                    nella caserma dell’Arsenale di Gaeta, sopportando gli 
                    insulti e le derisioni dei compagni per la sua fedele frequenza 
                    alla Chiesa, ma loro medesimi ed i superiori ebbero infine 
                    nei suoi confronti speciali dimostrazioni di stima.
 Grazie ai consigli materni, Luigi riuscì a trovare 
                    una compagna di vita che condividesse i suoi stessi ideali. 
                    Da questo matrimonio nacquero ben otto figli, tra i quali 
                    due suore. In un primo tempo aprì una bottega da carradore 
                    a Foresto, poi a Savigliano, sempre nel cuneese. Su insistenza 
                    però dei suoi compaesani, che tanto stimavano la sua 
                    operosità ed la sua onestà, fece ritorno a Cavallermaggiore 
                    in un officina di proprietà della Confraternita di 
                    San Bernardino. I confratelli stessi prestarono dei carri 
                    per il trasloco degli attrezzi del mestiere. Un amico volle 
                    poi offrire all’intera famiglia Cappa il viaggio per 
                    l’America, ove avrebbero sicuramente potuto avere maggiore 
                    fortuna, ma Luigi rifiutò, timoroso che nel nuovo continente 
                    gli venisse a mancare la sua attiva vita ecclesiale e convinto 
                    che la sua migliore fortuna fosse salvarsi l’anima.
 Egli era infatti solito ad entrare per primo ogni mattina 
                    in chiesa dopo il suono dell’Ave Maria. Quotidianamente 
                    ascoltava la Santa Messa e nella vecchiaia quotidianamente 
                    si accostava anche all’Eucaristia. Durante il suo lavoro 
                    non era cosa rara vederlo muovere le labbra in preghiera, 
                    cantare lodi ed inni sacri, ed egli desiderava che anche i 
                    suoi operai lo aiutassero nel lodare Dio. Tutti i venerdì, 
                    al suono delle campane nell’ora della morte di Gesù, 
                    sospendeva il lavoro per ritirarsi in preghiera. Anche al 
                    passaggio del Santo Viatico faceva sospendere il lavoro per 
                    adorarlo sulla soglia della propria bottega. Dopo la recita 
                    serale del Rosario, in famiglia, talvolta trascorreva ancora 
                    ore ed ore in ginocchio. Parecchie volte fu sorpreso dalla 
                    moglie nella notte inginocchiato accanto al letto in preghiera.
 L’officina di Luigi Cappa divenne un vero e proprio 
                    centro di apostolato in particolare per gli operai ed i giovani. 
                    Con forza e persuasione rimproverava ogni parola meno riverente, 
                    inculcava la preghiera, vigilava la frequenza al catechismo 
                    ed alle funzioni da parte dei suoi garzoni e chiudeva in anticipo 
                    la bottega per farli partecipare alle prediche serali. Egli 
                    fu inoltre un vero predicatore delle stalle, ove si recava 
                    con alcuni suoi bambini per esporre loro varie narrazioni, 
                    spesso tratte dalle vite dei santi che amava leggere nel tempo 
                    libero. Esercitò il suo apostolato anche nella confraternita 
                    suddetta e nelle associazioni cattoliche. Talvolta si trovò 
                    a contatto cn dei moribondi che preparò a compiere 
                    con fede il grande passo. Prestò gratuitamente la sua 
                    opera nei lavori per l’edificazione della nuova chiesa 
                    e nelle diverse iniziative dell’oratorio parrocchiale. 
                    Estese il suo apostolato anche fra gli altri artigiani della 
                    città, instaurando fra loro un vincolo di cristiana 
                    solidarietà e la vevozione a San Giuseppe loro patrono, 
                    con una Messa celebrata al suo altare appositamente per loro.
 Essendo terziario francescano, proprio come il Venerabile 
                    Paolo Pio Perazzo, pose a norma della sua vita gli statuti 
                    ed i regolamenti del Terz’Ordine. Nelle lettere che 
                    scrisse ebbe sempre parole edificanti e di incitamento al 
                    bene. Alle figlie suore raccomandava di farsi sante, asserendo 
                    di desiderare in prima persona la santità, pur ribadendo 
                    sovente di essere un misero peccatore bisognos della preghiera 
                    altrui. Nelle lettere del doloroso dopoguerra pianse amaramente 
                    le aberrazioni del socialismo e per gli insulti alla religione 
                    chiese ripetutamente atti di riparazione. Il suo cuore era 
                    infatti martoriato per le numerose bestemmie che udiva contro 
                    Gesù, il suo “Grande Genero” come amava 
                    definirlo, e scrisse numerose preghiere che avrebbe desiderato 
                    poter distribuire in migliaia di copie.
 Durante i sei mesi dell’ultima malattia si abbandonò 
                    ad una santa rassegnazione fatta di preghiera quasi continua, 
                    offrendo a Dio le sue grandi sofferenze per la conversione 
                    dei peccatori ed in suffragio delle anime del Purgatorio. 
                    Era confortato dall’aver esercitato lo stesso mestiere 
                    di Gesù. Spirò infine nel pomeriggio del 28 
                    marzo 1929, Giovedì Santo, e fu sepolto due giorni 
                    dopo. L’artigiano incaricato di scolpire l’iscrizione 
                    posta sulla sua tomba, non avendo conosciuto il defunto chiese 
                    notizie sul suo conto ai conoscenti e raccolse la voce del 
                    popolo con queste parole: “Cappa Luigi – Modello 
                    di cristiana virtù”. La sua prima biografia fu 
                    intitolata “Un modello degli Operai”. Dunque un 
                    grande esempio di santità laicale più che mai 
                    valido nel mondo contemporaneo, alla luce degli insegnamenti 
                    del Concilio Vaticano II e del recente Convegno Ecclesiale 
                    di Verona.
 
 ******
 
 
 
 
 
GIOVANNI ANTONIO PANIGHETTI, LAICO
 Varzo, Novara, 11 giugno 1739 – Moncalieri, Torino, 
                    18 febbraio 1785
 
 
Giovanni Antonio Panighetti, insieme con altri due laici 
                    piemontesi, Paolo Pio Perazzo e Luigi Cappa, costituisce un 
                    singolare quanto valido modello per i lavoratori cristiani.Nacque l’11 giugno 1739 a Varzo, nel novarese, in frazione 
                    Durogna, detta anche localmente Luvrogna. La sua casa natale 
                    esiste ancora oggi ed è una stanza in un cortile interno 
                    di Durogna, senza però indicazione alcuna. La sua era 
                    una famiglia di pii ed onesti contadini e, malgrado le cure 
                    sagge dell’ottima madre, la giovinezza di Giovanni Antonio 
                    si contraddistinse per la svogliatezza e la futilità. 
                    Si lasciò sedurre da un compagno a fuggire di casa 
                    e poi iniziò a trascorrere nell’ozio le sue giornate. 
                    Finalmente però un giorno decise di imitare l’esempio 
                    di vita austera condotta dalla madre ed imparò a fare 
                    il ciabattino, mestiere di famiglia.
 Trasferitosi poi a Torino, sposò Margherita Cuniberti, 
                    originaria di Govone, fantesca del conte Salasco. La nuova 
                    coppia si stabilì in Valsalice, sulla collina torinese 
                    ed iniziò a girare per i colli e le valli in cerca 
                    di lavoro, siccome a quel tempo le riparazioni si effettuavano 
                    presso le case e le scarpe consistevano solitamente in poveri 
                    zoccoli di legno. Divenne così famoso anche agli occhi 
                    dei nobili delle ville di Moncalieri e tro0vando in questo 
                    antico borgo parecchie occasioni di lavoro, nel 1765 vi si 
                    stabilì con la famiglia nei pressi della chiesa parrocchiale 
                    di Sant’Egidio. Giuseppe Lombardo, fraterno amico del 
                    Panighetti, gli cedette una casupola nella contrada del grano, 
                    presso Porta Navina. La moglie si rivelò però 
                    ben presto la sua nuova croce: era avvenente e vanitosa, goodereccia 
                    e superficiale, appassionata del ballo.
 Diciamo che comunque entrambi i coniugi non spiccavano per 
                    le loro virtù: anche Giovanni Antonio talvolta era 
                    ancora in preda ai vizi giovanili, frequntando osterie e sciupando 
                    i suoi guadagni nel gioco. Dopo la lettura del “Penitente 
                    intruso”, scritto dal Padre Segneri, egli si sentì 
                    trasformato nel suo intimo, fece una confessione generale 
                    e si propose di condure nel futuro una vita sempre più 
                    perfetta. In realtà, già prima della conversione 
                    e del matrimonio il suo desiderio di fuggire dal mondo e consacrarsi 
                    interamente a Dio lo aveva spinto a battere alla porta di 
                    vari conventi, ma non era stato accolto.
 Erano ormai nati tre figli e Giovanni Antonio, in comune accordo 
                    con la moglie, si diede alla castità ed in breve tempo 
                    raggiunse un grado eroico anche nelle altre virtù. 
                    Per tenere a freno la moglie, le aprì una bottega di 
                    rivendita, mentre a Moncalieri trovò in Don Filiberto 
                    Marucchi, parroco di Sant’Egidio, la sua guida alla 
                    santità. L’umile ciabattino stava piegato sul 
                    piccolo deschetto per mantenere i figli e la moglie spendacciona, 
                    ma anche per confezionare zoccoli per i poveri. Sopra la sua 
                    testa teneva un cartello: “Chi opera qualcosa che non 
                    sia fatto per puro e netto amor di Dio è un ingrato 
                    e non merita di vivere”. Era solito salutare tutti dicendo 
                    “Sia lodato Gesù Cristo”.
 Questi suoi atteggiamenti, ritenuti da qualcuno eccessivi, 
                    scatenarono nei suoi confronti sarcasmo e violenza, ma la 
                    sua costanza fu premiata dalla santa morte della moglie nel 
                    1780, mentre la sua fama di santità dilagava ormai 
                    anche fuori Moncalieri. La Venerabile Maria Clotilde, regina 
                    di Sardegna, che nutriva nei suoi confronti una profonda venerazione, 
                    lo mandava achiamare per ottenere da lui saggi consigli, mentre 
                    la principessa Maria Carolina di Savoia si prese cura di Maddalena, 
                    figlia del Panighetti. Il santo ciabattino passava di villa 
                    in villa, richesto dal Cardinal Vittorio Amedeo delle Lanze, 
                    dal marchese di Cravanzana, dalla contessa Salmatoris e molti 
                    altri.
 Operai laboriosissimo, distribuiva i suoi guadagni tra la 
                    famigli ed i poveri, santificava la festa assistendo a tutte 
                    le funzioni parrocchiali e praticando altre forme devozionali. 
                    La sua bottege era ornata di immagini sacre e vi risuonavano 
                    continue preghiere, ma tra le sue devozioni la più 
                    amata era la compassione a Gesù Crocifisso, che gli 
                    faceva versare copiose lacrime nelle frequenti Vie Crucis 
                    e nel venerare la Sindone durante l’ostensione del 1775. 
                    In questa occasione, la folla vide riverberarsi nei geniti 
                    e nelle preghiere di quest’umile operaio la Passione 
                    del Signore. Ma se il popolo già lo considerava santo, 
                    egli non si riconosceva che peccatore ed infliggeva al suo 
                    corpo aspre penitenze.
 Il 1° ottobre 1783, rincasando dai suoi giri, Giovanni 
                    Antonio fu colto da un violento temporale: fu dunque costretto 
                    a letto e, dopo oltre un anno di sofferenze, spirò 
                    in pace il 18 febbraio 1785. Il cordoglio fu generale, nelle 
                    esequie si manifestò la gratitudine di tutti coloro 
                    che avevano beneficiato della sua bontà ed il defunto 
                    fu ricoperto dalla coltre funebre che già era servita 
                    per il sovrano Carlo Emanuele III di Savoia.
 Il “ciabattino santo di Moncalieri”, come ormai 
                    era comunemente conosciuto, fu sepolto in Sant’Egidio 
                    nella tomba della famiglia Salmatoris, ove ancora oggi è 
                    oggetto di venerazione. Varzo, suo paese natale, con un pò 
                    di sano campalinismo ne rivendica le origini e per tramandarne 
                    la memoria gli ha dedicato la piazza antistante la chiesa 
                    parrocchiale. Il suo ultimo discendente, ormai ottuagenario, 
                    viveva ancora in valle Anzasca nel 1999, con una somiglianza 
                    straordinaria ai ritratti conosciuti. Il Vaudagnotti testimoniò 
                    in una sua opera: “Anche a Varzo, almeno nella frazione 
                    Durogna, le famiglie ne serbano in capo al letto l’incisione 
                    e lo chiamano tutt’ora “il beato Panighetti”.
 In realtà il titolo di “beato” non è 
                    ancora stato ufficialmente confermato dalla Chiesa, nonostante 
                    gli venga tributato da tempo immemorabile, ma ben lo meriterebbe 
                    soprattutto oggi che la società tende a dissociare 
                    i valori cristiani dal mondo del lavoro, dimenticando invece 
                    l’universalità della chiamata di Cristo alla 
                    santità.
 ******
 
 
 
 
DOMENICA ACTIS ALESINA, LAICA
 Vallo di Caluso, Torino, 1 novembre 1856 – 29 ottobre 
                    1917
 
 
Il Concilio Vaticano II ed il recente Convegno Ecclesiale 
                    di Verona hanno rivalutato il ruolo dei fedeli laici nella 
                    vita della Chiesa ed in tale direzione si colloca l’apertura 
                    di numerose cause di canonizzazione relative a significative 
                    figure del mondo laicale come la Serva di Dio oggetto della 
                    presente.Domenica Actis Alesina, chiamata in piemontese Minchin, nacque 
                    a Vallo di Caluso, nel Canavese, il 1° novembre 1856 da 
                    una famiglia di poveri contadini. Sin dalla più tenera 
                    età si rivelo una bambina piissima e crebbe sana ed 
                    operosa sino all’età di diciott’anni. Fu 
                    poi colta da un male isterioso, terribile e ribelle ad ogni 
                    cura tentata, iniziando così un lungo e dolorosissimo 
                    calvario che si protrasse per ben quarantatrè anni, 
                    sino alla morte avvenuta nel suo paese natale il 29 ottobre 
                    1917.
 In mezzo alle indicibili sofferenze fisiche e morali che la 
                    straziarono senza tregua, essa non si lasciò mai sfuggire 
                    un lamento o attegiamenti di impazienza, trovando addirittura 
                    la forza di mostrarsi sempre a tutti sorridente e confortare 
                    le pene altrui. San Giovanni Bosco, che la visitò agli 
                    inizi della sua malattia, commentò: “Questa inferma 
                    sta diventando una gran santa”.
 La sua vita fu dunque una continua “preghiera” 
                    che la unì a Dio ed un’incessante “sofferenza” 
                    con cui poté immolarsi per la conversione dei peccatori, 
                    conformemente al desiderio espresso dalla Madonna nelle celebri 
                    apparizzioni nella grotta di Lourdes.
 Schiere innumerevoli di persone di ogni condizione sociale 
                    giunsero pellegrine anche da lontano per incontrare la santina 
                    di Vallo nella sua casa, gremendo il cortile in lunghe ore 
                    di attesa per attendere il proprio turno. Questi fedeli speravano, 
                    non invano, di rivevere da Minchin parole di consiglio e di 
                    conforto, nonché preghiera fautrice di miracoli.
 Era solita non accettare offerte, se non dopo parecchie insistenze 
                    e comunque solo per servirsene in soccorso delle molte miserie 
                    che le venivano confidate. Minchin infatti visse e morì 
                    poverissima. I suoi funerali furono un trionfo indescrivibile 
                    e numerose persone giunsero da lontano per parteciparvi. La 
                    sua tomba a Vallo di Caluso è tutt’ora meta di 
                    devoti pellegrinaggi e luogo di ffiduciose preghiere.
PREGHIERA PER LA BEATIFICAZIONE:O Signore, umilmente prostrati dinnanzi alla Tua Divina Maestà,
 noi Ti eleviamo la nostra ardente invocazione,
 perchè voglia concedere alla tua Serva fedele
 Actis Alesina Domenica l’aureola dei Beati.
 La glorificazione sua renderà ancor più splendente
 il volto della tua mistica Sposa la Chiesa
 e sarà per molti monito e incitamento a praticare la 
                    virtù.
 Signore, esaudisci la nostra preghiera.
 - Per maggiori informazioni:Parrocchia San Grato Vescovo
 Vallo di Caluso (TO)
  ******
 
 
 
ROSA GOVONE TERZIARIA DOMENICANA
 Mondovì, 26 novembre 1716 - Torino, 28 febbraio 1776
 
 
Filantropa. Donna piemontese nota per il suo animo molto 
                    generoso, nel 1742 aprì la sua casa ad alcune ragazze 
                    orfane o di famiglie molto povere e ad alcune ragazze di strada 
                    e le istruì al lavoro avviandole alla fede cristiana. 
                    Dopo il suo trasferimento a Torino, con l'aiuto di Carlo Emanuele 
                    III, fondò un istituto molto importante (1755) in quella 
                    città e poi altri nei dintorni. Le ragazze che decidevano 
                    di unirsi alla comunità erano dette le "rosine", 
                    dal nome della fondatrice, non erano tenute a fare voti religiosi 
                    ed erano completamente libere. ******

 
 MARIA BRUNERI, RIFORMATRICE DELLE ORSOLINE DI TORINO, STIGMATIZZATA
 Torino, 5 settembre 1881 – 14 gennaio 1948
 
 
Maria Bruneri nacque a Torino il 5 settembre 1881 in una 
                    famiglia profondamente cristiana. Nella sua giovinezza si 
                    distinse per le croci che dovette portare, ma anche per la 
                    traboccante grazia che la animò, sempre tutta tesa 
                    verso Dio. Giovanissima consacrò il suo cuore al Signore 
                    con il voto di castità. Ciò fu per lei nient’altro 
                    che una sorta di preparazione all’opera cui Dio l’aveva 
                    chiamata: la fondazione in Torino della Compagnia di Santa 
                    Orsola, figlie di Sant’Angela Merici. Maria divenne 
                    così madre di uno stuolo di vergini consacrate e grazie 
                    al suo mirabile impegno la famiglia religiosa si organizzò 
                    e si espanse nell’archidiocesi torinese.Parlò, insegnò, spronò al bene dando 
                    sempre in prima persona il buon esempio con costanza, convinzione 
                    e trascinando il prosimo nella sua fede. Si spense infine 
                    nel capoluogo piemontese il 14 gennaio 1948, serbando in cuore 
                    la pace dei giusti e con la gioia di aver posto la sua vita 
                    al servizio del prossimo. I sacri resti di Madre Maria Bruneri 
                    vennero tumulati nella cappella di Casa Sant’Angela 
                    in Torino, ove ancora oggi riposano circondati dall’affetto 
                    e dalla venerazione delle sue figlie spirituali, nell’attesa 
                    che un giorno la Serva di Dio possa essere proposta quale 
                    modello dalla Chiesa.
 Degni di nota sono i brevi versi riportati dal santino realizzato 
                    per promuovere il suo ricordo: Anima fiammante, intelligente, 
                    affabile, generosa, unile, accettò con spirito di fede 
                    e di amore “come dono di Dio” responsabilità, 
                    dolore, lavoro. Bruciò silenziosamente nell’ombra, 
                    consumandosi in un lungo “Amen” di adorazione 
                    e di olocausto per la Chiesa e per le anime nella scia di 
                    Sant’Angela Merici.
 
 
 SUOI PENSIERI
 
 - “Nella croce è la mia gioia”.
 - “Il Buon Dio mi nasconde nell’umiliazione: è 
                    il tesoro più grande che abbia ricevuto”.
 - “Signore, dammi la volontà del sorriso a oltranza!”.
 - “Signore, non ho più cuore: me lo hai rubato 
                    Tu!”.
Per maggiori informazioni rivolgersi a:Figlie Di Sant’Angela Merici
 Via Casalis Goffredo, 36
 10143 Torino (TO)
 Tel. 0117495419
 ******
   
 
MARGHERITA TUNINETTI. SOSTITUTA ORSOLINA
 Polonghera, Torino, 26 maggio 1881 – 6 settembre 1933
 
 
 
Margherita Tuninetti nacque a Polonghera, nel torinese, il 
                    26 maggio 1881. Figlia dei campi, si rivelò però 
                    tersa quanto l’azzurro dei suoi splendidi cieli. Grazie 
                    alla fondatrice, Madre Maria Bruneri, conobbe la Compagnia 
                    di Santa Orsola, le Figlie di Sant’Angela Merici, e 
                    vi entrò il 28 novembre 1920, sentendosi quanto mai 
                    impegnata nell’apostolato per correre così sulla 
                    via del Cristo. La superiora e le consorelle la lasciavano 
                    agire abbastanza autonomamente, in quanto la loro Regola era 
                    improntata principalmente sullo “spingere” piuttosto 
                    che sul “trattenere”.La sua vita fu intessuta di assiduo lavoro e di intensa preghiera, 
                    tutto ciò sempre in silenzio ed accompagnato da un 
                    amabile sorriso. La sua attività non doveva essere 
                    encomiata che dal suo Signore. Questi infatti dimostrò 
                    alla sua serva la sua benedizione, chiamandola ad un’intensa 
                    vita di unione, di fusione con il suo Sacratissimo Cuore che 
                    a lei parlò e si rivelò come già aveva 
                    fatto con Santa Margherita Alacoque. La religiosa morì 
                    infine il 6 settembre 1933, ancor prima della fondatrice, 
                    prima santa della sua comunità religiosa.
 I sacri resti di Margherita Tuninetti vennero tumulati nella 
                    cappella di Casa Sant’Angela in Torino, ove ancora oggi 
                    riposano circondati dall’affetto e dalla venerazione 
                    delle sue consorelle, nell’attesa che un giorno la Serva 
                    di Dio possa essere proposta quale modello dalla Chiesa.
 Degni di nota sono i brevi versi riportati dal santino realizzato 
                    per promuovere il suo ricordo: Il Concilio Ecumenico Vaticano 
                    II, animato da volontà di rinnovamento interiore, servizio 
                    di carità apostolica in mezzo al mondo, approva in 
                    lei interiorità e testimonianza di fede che spira preghiera, 
                    grazia che fiorisce in virtù, zelo amichevole che diventa 
                    dialogo efficace all’insegna di Sant’Angela Merici.
 
 SUOI PENSIERI
 
 - “Come sono belli e cari, o Gesù, i tuoi segreti 
                    con le anime che vengono a chiederti amore!”.
 - “Lavoro sempre conversando con Gesù. Così 
                    le ore del giorno e della notte trascorrono veloci e sereni, 
                    pieni di luce, coraggio, amore”.
Per maggiori informazioni rivolgersi a:Figlie Di Sant’Angela Merici
 Via Casalis Goffredo, 36
 10143 Torino (TO)
 Tel. 0117495419
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 VENERABILE GIOVANI BATTISTA RUBINO,FONDATORE DELLE SUORE OBLATE DI SAN LUIGI GONZAGA
 
Giovanni Battista Rubino nacque a La Morra,                     in provincia di Cuneo, il 12 febbraio 1776. Frequentò le                     scuole prima del paese di cui il padre era sindaco e poi al                     Real Collegio di Alba. Proprio ad Alba entrò in seminario ma i                     suoi studi furono più volte interrotti. Visse infatti                     anch’egli i tempi dolorosi del dominio napoleonico in Italia,                     che provocò la persecuzione contro la Chiesa e l’arresto di                     Papa Pio VII, con un conseguente momentaneo sbandamento del                     clero e dei fedeli. In tale contesto, a causa dei                     rivoluzionari francesi il seminario fu chiuso per ben cinque                     volte, ma pur in mezzo alle molteplici prove il Rubino poté                     essere ordinato sacerdote il 9 Marzo 1799.
 Dotato di fede                     solida e profonda, il novello presbitero costituì un saldo                     punto di riferimento per molti in questo periodo di degrado                     morale e spirituale. Si dedicò particolarmente alla formazione                     dei giovani. Intuendo la necessità di un’azione diretta, scese                     in campo affiancandosi al Venerabile Pio Brunone Lanteri, con                     il quale si adoperò per la liberazione del pontefice Pio VII,                     prigionieri dei francesi, ed a lui portarono aiuti in Liguria.                     I due santi sacerdoti piemontesi si attivarono inoltre per la                     rianimazione del clero, arginando e combattendo le idee                     eretiche dilaganti a quel tempo.
 
 Nel 1814, tornata la pace,                     mentre il Congresso di Vienna si stabiliva un nuovo ordine                     politico per le nazioni europee sconvolte da anni di                     rivoluzioni, Don Rubino fece ritorno al suo paese natale per                     proseguire la sua missione. Maestro insegnò nelle scuole,                     sacerdote condusse le anime sulle strade di Dio. Intenzionato                     inoltre a fondare un ordine di suore avente l’unico scopo                     della preghiera continua per la pace, nel 1815 fondò le Suore                     Oblate di San Luigi Gonzaga con il particolare scopo di                     educare la gioventù abbandonata, curare gli infermi ed                     ottenere da Dio con le loro opere e sacrifici la pace per                     tutti i popoli, tutto ciò in piena obbedienza alla Chiesa ed                     in comunione con il Papa, i Vescovi ed i Parroci.
 Per tutta                     la sua vita ebbe sempre grande influenza su di lui il rapporto                     di profonda amicizia spirituale con il suddetto Padre Pio                     Brunone Lanteri, fondatore degli Oblati di Maria Vergine ed                     anch’egli originario della cosiddetta “Provincia Granda”.
 
 Giovanni Battista Rubino morì nel paese natio l’11 febbraio                     1853, senza poter certamente immaginare che la sua opera si                     sarebbe diffusa, seppur nella sua piccolezza, fuori della                     Diocesi di Alba ed addirittura all’estero. Due cose gli furono                     però ben certe, come recita anche il santino in suo ricordo:                     “che l’ideale più cattolico è promuovere la gloria di Dio                     mediante la salvezza delle anime e che nell’essere minimi si                     attira su di sè il sorriso dell’Onnipotente. Le sue spoglie                     mortali furono traslate nel 1953 nella casa delle Luigine                     presso La Morra. Papa Giovanni Paolo II lo dichiarò                     “venerabile” il 13 giugno 1992.
  FOTO DA http://www.inchiostrofresco.it/blog/2015/02/12/bicentenario-suore-oblate-di-san-luigi-gonzaga/   - dello stesso Autore:    ******Per altre notizie su Rosina Ferro vedere    |  |