Rubriche di
Patrizia Fontana Roca

COLLABORAZIONI

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MARTIRI DELLA REAL CASA DI FRANCIA
VITTIME DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE

 

 

In ordine di tempo elenchiamo i 5 membri della Famiglia Reale di Francia che al tempo della Rivoluzione subirono il martirio.

MARIA TERESA LUISA DI SAVOIA
Principessa di Lamballe


Torino, 8 settembre 1749 – Parigi, 3 settembre 1792

Nel 1929 papa Pio XI la dichiarò Venerabile e Martire.

 

LUIGI XVI DI BORBONE
Re di Francia


Versailles, 23 agosto 1754 – Parigi, 21 gennaio 1793

Il 17 giugno 1793 papa Pio VI con il breve “Quare lacrymae” dichiarò martirio in odio alla fede cattolica la fine perpetrata al cristianissimo sovrano.

 

MARIA ANTONIETTA D'ASBURGO-LORENA
Regina di Francia, moglie di Luigi XVI


Vienna, 2 novembre 1755 – Parigi, 16 ottobre 1793

 

ELISABETTA DI BORBONE
Principessa reale, sorella di Luigi XVI

 

 


Versailles, 3 maggio 1764 – Parigi, 10 maggio 1794
Nel 1929 papa Pio XI la dichiarò Venerabile e Martire.

 

LUIGI XVII DI BORBONE
Re di Francia, figlio di Luigi XVI

 


Versailles, 27 marzo 1785 – Parigi, 8 giugno 1795

 

QUARE LACRYMAE
Papa Pio VI – 17 giugno 1793

Monumento funebre di Re Luigi XVI e della Regina Maria Antonietta

 

Venerabili Fratelli.

1. Come mai le lacrime e i gemiti non soffocano le Nostre parole? Non Ci conviene piuttosto esprimere con i gemiti anziché con le parole quell’immenso dolore dell’animo che Vi dobbiamo manifestare, mentre Vi esponiamo quanto è successo a Parigi il 21 gennaio del corrente anno? Spettacolo orrendo di crudeltà e di barbarie!

2. Per la cospirazione di uomini empi è stato condannato a morte il cristianissimo re Luigi XVI e la condanna è stata subito eseguita. Ma quale processo, e con quale modalità ciò sia stato compiuto, brevemente Vi riferiremo: la cosa è stata condotta a termine dall’Assemblea Nazionale senza alcuna autorità e senza alcun diritto. Infatti, abolita la più prestigiosa forma di governo, quella monarchica, essa aveva trasmesso ogni pubblico potere al popolo, il quale non si lascia guidare né dalla ragione, né dal consiglio; non fa distinzione fra il giusto e l’ingiusto; apprezza e stima poche cose secondo verità, molte invece secondo l’opinione corrente; è incostante, facile ad essere ingannato e condotto a tutti gli eccessi; è ingrato, arrogante, crudele.
Gode nel vedere il sangue umano, la strage, i lutti e lo strazio dei morenti, come si vedeva negli antichi anfiteatri, e se ne pasce voluttuosamente. La parte più feroce di questo popolo, non contenta di aver degradato la maestà del suo Re, volendogli togliere anche la vita, comandò che fungessero da giudici i suoi stessi accusatori che gli si erano dichiarati nemici. Questi, durante lo svolgimento del processo, vollero repentinamente chiamarne altri peggiori, affinché il numero dei giudici favorevoli alla condanna prevalesse sugli altri. Tuttavia non riuscirono ad aumentarne il numero, in modo che il Re fu condannato con un numero di voti inferiore a quello richiesto dalla legge. E da tanti giudici iniqui e perversi, da tanti voti estorti, che cosa ci si doveva aspettare e temere se non un risultato triste, orribile, esecrato per tutti i secoli? Tuttavia, poiché l’orrore per tanta scelleratezza aveva fatto indietreggiare molti, essendo sorta una grande disputa fra i votanti, si decise di ripetere ancora la votazione, il cui esito, sebbene fosse soltanto espressione dei congiurati, fu dichiarato legittimo.
Passiamo qui sotto silenzio altri atti illegittimi, certamente nulli e irriti, che si possono leggere nella dignitosa difesa degli avvocati e qua e là nei pubblici giornali. Tralasciamo anche tutto quello che il Re fu costretto a subire e soffrire prima della pena capitale: la sua lunga detenzione in varie prigioni, dalle quali veniva prelevato talvolta per essere tradotto davanti alle sbarre della Convenzione; l’assassinio del suo confessore; la segregazione dalla sua carissima regale famiglia, e tanti altri generi di tribolazioni per aumentargli la pena e l’ignominia. Davanti ad esse, ognuno che abbia qualche sentimento di umanità non può provare altro che orrore, poiché era ben nota a tutti l’indole soave, benefica, clemente, paziente di Luigi XVI, amante del suo popolo, alieno da rigore e severità, cordiale e indulgente verso tutti.
Fu per questo che ci s’indusse a convocare le Assemblee del regno che venivano insistentemente richieste, e che risultarono poi contro la sua regia autorità e infine contro la sua persona.

Non possiamo tuttavia passare sotto silenzio tutte le virtù che risultano dal suo testamento scritto di suo pugno, che svela l’intimo del suo animo, e che è stato poi divulgato dovunque a mezzo stampa.
Quanta virtù in lui; quanto zelo e amore per la Religione cattolica! Quale testimonianza di vera pietà verso Dio! Quanto dolore, quanto pentimento per aver dovuto apporre la sua firma sotto gli atti contrari alla disciplina e alla vera Fede della Chiesa! Venendo quasi sommerso sotto le onde di tante avversità ogni giorno sempre più pressanti, poteva ripetere le parole del re d’Inghilterra Giacomo I: "che egli veniva calunniato in tutte le assemblee popolari non perché avesse commesso qualche crimine, ma soltanto perché era il Re; il che era ritenuto il peggiore di tutti i crimini".
Ma tralasciamo un po’ di parlare di Luigi, per portare dalla storia un esempio che si addice pienamente al Nostro argomento e che è provato dalla testimonianza luminosa di onesti scrittori.

3. Maria Stuarda, regina di Scozia, figlia di Giacomo V re di Scozia, e vedova di Francesco II re di Francia, avendo assunto i titoli e le insegne dei re d’Inghilterra, che gl’Inglesi avevano già attribuito ad Elisabetta, come narrano molti storici, quante avversità dovette affrontare da questa sua rivale e dai facinorosi Calvinisti, che le portarono insidie e violenze! Spesso incarcerata, spesso soggetta agli interrogatori dei giudici, rifiutò di rispondere, dicendo che una regina deve rendere conto della sua vita solo a Dio.
Vessata continuamente e in tutti i modi, rispose, dimostrò l’infondatezza dei crimini che le erano stati attribuiti e provò la propria innocenza. Ma non per questo, tuttavia, i giudici si astennero dal compiere l’ingiustizia già premeditata e pronunciarono contro di lei la condanna a morte, come fosse irrefutabilmente rea e quella testa regale fu troncata sul palco.

4. Benedetto XIV nel terzo libro sulla Beatificazione dei Servi di Dio, cap. 13, n. 10, ragiona così su questo evento: "Se si dovesse istituire un processo sul martirio di questa Regina, processo che finora non è mai stato disposto, risalterebbe subito un’obiezione evidente contro il suo martirio, desunta dalla sentenza del processo e da tutte le calunnie che contro di lei hanno farneticato gli eretici, specialmente Giorgio Buchanan in quell’infame libello che ha per titolo: "Maria smascherata".
Ma se si esamina la vera causa della sua morte, che si riassume nell’odio contro la Religione Cattolica che ella sola, unica superstite, professava in Inghilterra; se si esamina l’invitta costanza con la quale respinse le proposte di abiurare la Religione Cattolica; se si osserva la forza ammirevole con cui sostenne la morte; se si tien conto, come si dovrebbe, che ella protestò prima della decapitazione, e nell’esecuzione stessa, che era sempre vissuta da cattolica e che moriva volentieri per la fede cattolica; se non si omettono, come non devono essere omesse, le evidentissime ragioni dalle quali emerge non solo la falsità dei crimini attribuiti alla regina Maria dai suoi oppositori, ma anche l’ingiusta sentenza di morte, fondata su calunnie ispirate dall’odio contro la Religione Cattolica, perché restassero immutabili i dogmi ereticali nel regno d’Inghilterra; allora si comprenderà che non manca nessuna condizione necessaria per affermare che il suo fu un vero martirio".

5. Sappiamo da Sant’Agostino che "non è il supplizio che fa il martire, ma la causa". Per questa ragione Benedetto XIV si dichiarò propenso a ritenere vero martirio l’uccisione di Maria Stuarda. Egli si chiese "se per il martirio è sufficiente dimostrare che il tiranno fu mosso dall’odio contro la Fede di Cristo, anche se si attribuisce l’occasione della morte ad un’altra causa che non riguarda la Fede di Cristo o vi appartiene soltanto accidentalmente". Risolse il caso affermativamente, indotto dalla ragione che un atto desume la sua specifica natura non da un’occasione o da altra causa impulsiva, ma dalla causa fondamentale. Pertanto per dichiarare un vero martirio è sufficiente che il persecutore, per procurare la morte, sia mosso dall’odio contro la Fede, anche se l’occasione della morte provenisse da altri motivi, che, a causa delle circostanze, non appartengono alla fede.

La testa di Re Luigi XVI ghigliottinato viene presentata al popolo

6. Ritorniamo ora al re Luigi XVI. Se è grande l’autorità del papa Benedetto XIV, e si deve dare molto peso alla sua opinione quando propende a definire martirio l’uccisione della regina Stuarda, perché anche Noi non dovremmo considerare martirio la morte del re Luigi ? Anche in questo caso vi furono lo stesso attaccamento alla Religione, lo stesso proposito e la stessa ferocia. Deve essere quindi riconosciuto lo stesso merito. E chi mai potrebbe mettere in dubbio che quel Re fu messo a morte per odio contro la Fede e oltraggio ai dogmi del Cattolicesimo?
Già da tempo i Calvinisti avevano cercato di abbattere in Francia la Religione Cattolica; ma bisognava prima preparare gli animi. Il popolo doveva essere indottrinato con empie ideologie che essi non desistevano di spargere fra il volgo per mezzo di libelli riboccanti di perfidie ed eccitanti alla rivolta; e per realizzare il loro intento utilizzavano l’opera di perversi filosofi.
L’Assemblea generale del Clero Gallicano nell’anno 1745 aveva già condannato questa perniciosa scelleratezza degli artefici di inique dottrine. Noi stessi, all’inizio del Nostro Pontificato, abbiamo denunciato a mezzo di una lettera enciclica indirizzata a tutti i Vescovi della Chiesa Cattolica la manovra detestabile dei perfidi uomini e il gravissimo pericolo sovrastante, allorché li abbiamo esortati con queste parole: "Togliete di mezzo a Voi il male, cioè, con grande energia e sollecitudine cercate di far sparire dal Vostro gregge tutti questi libri avvelenati".
Se avessero avuto esito le Nostre esortazioni e i Nostri ammonimenti, oggi non avremmo a dolerci del progresso di questa congiura contro i re, e della rovina dei regni. Quando questi uomini depravati hanno notato l’esito favorevole della loro opera, e che era già giunto il momento di mettere in esecuzione i loro disegni, cominciarono a sostenere apertamente in quel libro pubblicato nell’anno 1787 che questa affermazione di Ugo Rosario, a meno che non sia qualcun altro l’autore del libro: "È cosa lodevole togliere di mezzo il principe che non vuole aderire alla religione riformata e non vuole partecipare alla difesa della religione dei protestanti".

7. A seguito dell’iniqua affermazione sopra riportata, risulta chiaro a tutti quale sia stata l’origine delle penose sventure alle quali Luigi andò incontro: si è dovuto riscontrare che tali frutti derivavano in Francia dai malvagi libri, come da un albero velenoso.
È stato scritto nella Vita dell’infame Voltaire che il genere umano gli doveva essere eternamente grato per essere stato il primo sostenitore della rivoluzione generale, avendo eccitato i popoli a riconoscere le proprie rivendicazioni di libertà e ad usare le proprie forze per abbattere il formidabile bastione del dispotismo, cioè il potere religioso e sacerdotale, sopravvivendo il quale – dicevano – il giogo della tirannide non sarebbe mai stato sconfitto poiché l’una e l’altra autorità sono talmente legate fra loro, che una volta abbattuto l’uno, l’altro doveva necessariamente cadere.
E costoro, cantando già vittoria per la fine del regno e per l’abbattimento della Religione, esaltano il nome glorioso di questi empi scrittori, come se fossero i comandanti di schiere vittoriose. E così è accaduto che, con queste arti, hanno attirato dalla loro parte una grande moltitudine di popolo, allettandola sempre più, o meglio illudendola con grandi promesse; hanno percorso tutte le regioni della Francia, servendosi del nome specioso di libertà onde chiamare tutti a raccogliersi sotto queste spiegate insegne e queste bandiere.
Questa dunque è quella libertà filosofica che mira al risultato di corrompere gli animi, depravare i costumi, sovvertire l’ordine delle leggi e di tutte le istituzioni. Tale falsa libertà fu condannata dall’Assemblea del Clero Francese quando già serpeggiava fra il popolo con queste fallaci opinioni; Noi stessi nella già ricordata lettera enciclica [Inscrutabile divinae del 25 dicembre 1775] l’abbiamo caratterizzata e definita con queste parole: "Questi perversi filosofi cercano oltretutto di far sì che gli uomini sciolgano tutti quei legami dai quali sono uniti fra di loro e ai loro sovrani con il vincolo del loro dovere; essi proclamano fino alla nausea che l’uomo nasce libero e non è soggetto a nessuno. Quindi la società è una folla di uomini inetti, la stupidità dei quali si prosterna davanti ai sacerdoti (dai quali sono ingannati) e davanti ai re (dai quali sono oppressi), tanto è vero che l’accordo fra il sacerdozio e l’impero non è altro che un’immane congiura contro la naturale libertà dell’uomo".

8. I suddetti agitati difensori del genere umano hanno aggiunto a questo falso e bugiardo nome di libertà l’altro nome parimenti falso di uguaglianza: cioè uguaglianza fra uomini che si costituiscono in società civile, quantunque siano di opinioni diverse, procedano verso direzioni diverse, ciascuno spinto dal proprio arbitrio, e non ci debba essere nessuno che prevalga per autorità e forza, comandi, moderi e richiami dall’agire perverso sulla strada dei doveri, affinché la società stessa, sotto la spinta contrastante di tante fazioni, non cada nell’anarchia e si dissolva, come qualsiasi armonia che si compone dell’accordo di tanti suoni, e se non ottiene un idoneo equilibrio fra strumenti e suoni degenera in rumori confusi e del tutto stonati. Essendosi poi proclamati riformatori degli stessi comandamenti, anzi arbitri della Religione, mentre, secondo l’espressione di Sant’Ilario di Poitiers, la Religione esige il dovere dell’obbedienza, cominciarono essi stessi ad emanare norme e inauditi statuti sulla Chiesa stessa. Da questo laboratorio è uscita quella sacrilega Costituzione che Noi abbiamo rifiutato nella Nostra risposta del 10 marzo 1791 sottoscritta da trenta Vescovi. E qui si può giustamente adattare al caso ciò che scrisse San Cipriano: "Come è possibile che siano gli eretici a giudicare i cristiani, gli ammalati ad occuparsi dei sani, i feriti di chi è rimasto incolume, i peccatori del santo, i rei dei giudici e i sacrileghi del sacerdote?". Che resta ormai alla Chiesa, se non cedere a un insensato?
Coloro che nelle diverse classi dei cittadini rimanevano ancora fedeli al loro credo e costantemente ricusavano di sottomettersi con giuramento alla nuova Costituzione, venivano subito fatti oggetto di malversazioni e destinati alla morte. Si è osato perfino di massacrarli indistintamente; si è infierito barbaramente contro moltissimi uomini di chiesa; sono stati soppressi dei Vescovi, i quali dovrebbero essere circondati di devozione e riverenza, come ha insegnato col suo esempio Cristo Signore che, come dice San Cipriano, "fino al giorno della sua passione rispettò i pontefici e i sacerdoti ebrei, nonostante essi non avessero il timore santo di Dio, né riconoscessero in Lui il Messia".
Una moltitudine di uomini di ogni ceto fu in questo modo soppressa. La pena meno grave fu di cacciarli in esilio in regioni straniere, senza distinzione di età, di sesso, di condizione. Per la verità era stato decretato che ognuno potesse liberamente professare la religione che voleva, come se ogni religione fosse vera e portasse all’eterna salvezza. In realtà era invece proibita la sola Religione Cattolica, e per estirparla si faceva scorrere il sangue per le piazze e le case, come se ogni credente fosse da colpire con pena capitale. Non potevano essere difesi e sicuri coloro che si erano rifugiati nelle regioni d’esilio, perché in quei luoghi venivano arrestati e, ingannati perfidamente, venivano soppressi. Questa è la caratteristica di tutte le eresie, questo il costume degli eretici fin dai primi secoli della storia della Chiesa; e questo è pure confermato dalla tirannica condotta dei Calvinisti, specialmente in Francia, dove con minacce e violenze cercano d’indurre tutti ad accettare la loro confessione.

9. Da questa serie ininterrotta di empie violenze iniziate in Francia, emerge evidente che lo scopo principale di queste macchinazioni era di sfogare l’odio contro la Religione Cattolica; oggi tutta l’Europa ne è agitata e sconvolta e nessuno può negare che questa è stata la causa della morte inflitta al re Luigi. Contro di lui si sforzarono di approntare un cumulo di accuse ispirate da motivi politici, e fra esse spicca tuttavia la principale ragione, cioè quella sua fermezza d’animo con la quale si rifiutò di approvare e sancire il decreto di esiliare i preti cattolici, come pure l’affermazione contenuta nella lettera inviata al Vescovo di Clermont, di voler ristabilire in Francia il culto cattolico appena fosse stato possibile. Forse che tutto questo non vale e non è sufficiente per affermare e stabilire che Luigi è stato un martire? Anche la sentenza capitale contro Maria Stuarda cercava di appoggiarsi su pretese macchinazioni, crimini e congiure contro lo Stato, facendo appena menzione della Religione. Tuttavia Benedetto XIV, disdegnate le menzogne espresse nella sentenza, indicò quale era realmente la principale causa all’origine della condanna, cioè l’odio contro la Religione Cattolica; pertanto esisteva il motivo del martirio.

10. Ma, come si sente dire, contro questo martirio di Luigi c’è chi obietta che egli aveva approvato la Costituzione che era stata da Noi respinta nella Nostra risposta ai Vescovi già citata. Invece parecchie persone ritengono che le cose si siano svolte diversamente e asseriscono che, quando fu presentata al re la Costituzione per essere firmata, egli esitò, raccolto nei suoi pensieri; poi ricusò di firmarla, temendo che quella firma avesse valore di approvazione. Ma quando da uno dei suoi ministri (e se ne fa anche il nome) sul quale egli aveva posto tanta fiducia, gli disse che la sottoscrizione significava soltanto che quello scritto era il vero e autentico testo della Costituzione, affinché Noi, a cui il testo era indirizzato, non avessimo nessun sospetto sulla sua autenticità, per questa semplice ragione fu indotto a sottoscrivere, e ciò confermò nel suo testamento quando scrisse di aver firmato contro la propria volontà. E infatti non sarebbe stato conseguente con se stesso, se avesse poi rigettato costantemente ciò che aveva approvato, non avendo mai voluto firmare il decreto col quale venivano cacciati in esilio quei preti che avevano rifiutato il giuramento; né avrebbe dichiarato al Vescovo di Clermont che egli era deciso a ristabilire il culto cattolico in Francia. Ma in qualunque modo siano avvenuti i fatti (in proposito Noi non assumiamo alcuna responsabilità) anche se concediamo che Luigi abbia approvato con la sua firma la Costituzione o per inganno, o per errore, o per leggerezza, dovremmo variare il Nostro giudizio sul suo martirio? Ce lo vieta quella certa e solenne ritrattazione del Re che ne seguì, e inoltre il fatto – come sopra abbiamo dimostrato – che la morte gli fu inferta in odio alla Religione Cattolica. E questo nulla toglie al Re dell’onore e della gloria del martirio. Analogamente per San Cipriano, che a proposito del Battesimo degli eretici aveva espresso principi contrari alla verità; Sant’Agostino più volte con parole e scritti afferma che Dio lo aveva purificato con la falce del martirio, come si pota un ramo che porta frutta.

Luigi XVII prigioniero nel Tempio

11. Non molto diversa la questione sollevata nella Congregazione dei Riti, se era di ostacolo a riconoscere il martirio del gesuita Giovanni de Britto, il fatto che nella missione di Madura aveva usato i cosiddetti riti Cinesi che erano stati proibiti. Gli elettori non esitarono ad esprimersi in senso negativo: cioè il fatto non era per nulla di ostacolo, dato che il servo di Dio nel successivo martirio aveva ritrattato col sangue l’uso di tali riti. Ma i Cardinali si trovarono poi divisi nell’esprimere un decreto favorevole, affinché non si prendesse l’occasione per propugnare in seguito che si vuole recedere dalla proibizione di questi riti. Ma Benedetto XIV rimosse ogni difficoltà, affermando che dalla proclamazione di quel decreto non si poteva dedurre che la Santa Sede intendesse recedere dai decreti dei suoi predecessori, che avevano proibito i riti suddetti. Nello stesso tempo approvava la ritrattazione emessa dal venerabile Giovanni non con l’inchiostro ma col sangue, e dichiarava che l’eccezione che si era posta nella causa di beatificazione del venerabile servo di Dio Giovanni de Britto non doveva ostacolare oltre la discussione sulla vera causa del martirio e ancor più sulla veracità dei segni e dei miracoli che erano stati compiuti con la sua intercessione. Si doveva discutere secondo il decreto emanato e pubblicato il 2 luglio 1741.
Noi, incoraggiati da tale decreto, riconoscendo che la ritrattazione di Luigi era vera e ampiamente provata, scritta non soltanto con l’inchiostro, ma col suo sangue generoso, crediamo di non essere lontani dal parere del Papa Benedetto non per emettere un simile decreto ma per restare nell’opinione che Ci siamo formati sul martirio del Re Luigi, nonostante ci fosse stata – se pure c’è stata – un’approvazione della Costituzione civile del clero.

12. Ahi Francia, ahi Francia! Chiamata dai Nostri predecessori "specchio di tutta la Cristianità e sicura colonna della Fede", tu che nel fervore della Fede cristiana e nella devozione alla Sede Apostolica non hai mai seguito le altre Nazioni, ma le hai sempre precedute! Quanto sei lontana da Noi oggi, con codesto animo così ostile verso la vera Religione: sei diventata la più implacabile nemica fra tutti gli avversari della Fede che mai siano esistiti!
Eppure non puoi ignorare, anche se lo volessi, che la Religione della Fede cristiana è il sostegno più solido dei regni, poiché reprime l’abuso dei potenti e la licenza dei sudditi. Per questa ragione gl’invidiosi nemici del potere dei re, per toglierlo di mezzo, aspirano a sovvertire la Fede cattolica.

13. Ahi Francia, ancora una volta! Tu che hai chiesto di avere un re cattolico, poiché le leggi fondamentali del regno non esigono nessun altro re se non cattolico, proprio perché era cattolico lo hai ucciso !

14. Fu tanto il tuo furore contro il Re, che non ti sei acquietata e saziata neppure con la sua decapitazione. Hai voluto infierire anche sul cadavere; hai voluto che il suo corpo venisse immediatamente sotterrato, senz’alcuna onorata sepoltura. Invece a Maria Stuarda, già estinta, si tributò l’onore dovuto alla sua regale dignità. La sua salma fu portata nella cittadella, imbalsamata e riposta in un loculo già predisposto per la sepoltura. Fu ingiunto ai suoi servi e ai suoi ministri di restare presso di lei con le livree e le insegne della loro dignità, senza cederle a nessuno, finché non si fosse trovata una sepoltura onorevole.
Che cosa hai guadagnato, tu, con tutto il tuo inestinguibile odio, se non disonore e infamia, e da parte dei re e dei principi un’avversione, un disgusto, un odio e un’indignazione ancora maggiori di quelli che arsero contro Elisabetta d’Inghilterra?

15. Oh giorno trionfale per Luigi! Dio gli ha dato la pazienza nella persecuzione, la vittoria nel supplizio! Noi abbiamo la ferma fiducia che tu hai felicemente cambiato una caduca corona regale e i gigli, che in breve sfioriscono, con un’altra corona perenne, intessuta dagli Angeli con gigli immortali.

16. Quello che ora Noi dobbiamo fare secondo il Nostro dovere apostolico, lo desumiamo dalla lettera di San Bernardo al suo discepolo, il Papa Eugenio IV, quando lo esortava "ad adoperarsi con tutte le sue energie perché gl’increduli si convertissero alla Fede, i convertiti non si allontanassero più, e i lontani ritornassero". Abbiamo inoltre davanti agli occhi l’esempio del Nostro predecessore Clemente VI che non cessò di perseguire il crimine dell’assassinio del re di Sicilia, Andrea, infliggendo gravissime pene spirituali contro i cospiratori e gli assassini, come si legge nella sua lettera. Ma che cosa possiamo ottenere da un popolo che non solo disprezzò i Nostri ammonimenti, ma Ci ha insultato con gravissime offese, abusi, ingiurie e calunnie, ed è giunto a un punto tale di audacia e di pazzia da scrivere false lettere con il Nostro nome, nelle quali ha inserito i propri errori? Lasciamo dunque nella sua miseranda depravazione chi vuole perseverare nella sua pertinacia; confidiamo che il sangue innocente di Luigi gridi in qualche modo e interceda affinché il popolo francese riconosca e detesti la propria ostinazione nell’accumulare delitti e consideri le varie e acerbissime pene che Dio, giusto vindice delle scelleratezze, è solito infliggere ai popoli per delitti molto meno gravi.

17. Abbiamo voluto fare queste considerazioni con Voi per averne un po’ di sollievo in una così orribile catastrofe.
Poniamo fine al Nostro discorso invitandovi a celebrare con Noi le solenni esequie per il defunto Re, secondo la consuetudine, anche se i Nostri uffici funebri di suffragio sembrano inutili, avendo egli conseguito, come si crede, il nome di martire. Sant’Agostino afferma che "la Chiesa non prega per i martiri ma piuttosto si raccomanda alle loro preghiere"; tuttavia l’affermazione del Santo si deve applicare non a colui che per giudizio umano è stato ritenuto martire, ma come tale è stato dichiarato dalla Sede Apostolica.
Pertanto, nel giorno che Vi verrà notificato, insieme con Voi, Venerabili Fratelli, celebreremo le pubbliche esequie nella Nostra pontificia cappella per il cristianissimo re Luigi XVI.

La Regina Maria Antonietta si avvia fieramente al patibolo

 

TESTAMENTO DI RE LUIGI XVI (25 dicembre 1792)

"Nel nome della Santissima Trinità, Padre, Figliuolo, e Spirito Santo. Oggi 25 Dicembre 1792. Io Luigi XVI di nome, Re di Francia, chiuso da più di quattro mesi colla mia Famiglia nel Tempio a Parigi da coloro ch'eran miei sudditi, privo di ogni comunicazione qualunque, e dagli undici in qua del corrente fino colla mia stessa Famiglia, implicato di più in un processo, di cui è impossibile prevederne l'uscita a motivo delle passioni degli Uomini, e di cui non si trova né pretesto, né mezzi di alcuna legge esistente, non avendo che Dio per testimonio dè miei pensieri, a cui possa rivolgermi: Io dichiaro qui in sua presenza le mie ultime volontà, e sentimenti.
Lascio la mia Anima a Dio mio Creatore, pregandolo ad accoglierla nella sua misericordia, di non giudicarla secondo i suoi meriti, ma da quelli bensì del nostro Signor Gesù Cristo che si è offerto in sacrifizio a Dio suo Padre per noi altri Uomini, benché ne fossimo indegni, ed io più di tutti.
Muojo nell'unione della nostra Santa Madre la Chiesa Cattolica, Apostolica, e Romana, che ha la sua Podestà per una successione non mai interrotta dopo S. Pietro, a cui Gesù Cristo l'ha confidata.
Credo fermamente e confesso quanto è contenuto nel Simbolo, i Comandamenti di Dio, e della Chiesa, i Sacramenti, e i Misterj come la Chiesa Cattolica gli insegna, e gli ha sempre insegnati. Non ho mai preteso di farmi Giudice nelle differenti maniere di spiegare i dogmi, che dividon la Chiesa di Gesù Cristo, ma sonomi riportato, e mi riporterò sempre se Dio mi dà vita alla decisioni che i Superiori Ecclesiastici uniti alla Santa Chiesa Cattolica danno, e daranno conformemente alla Disciplina della Chiesa costante da Gesù Cristo in poi.
Compiango di tutto cuore i nostri fratelli, che potessero essere in errore, ma non pretendo però giudicarli, e non gli amo tutti per questo di meno in Gesù Cristo, secondo che la Carità Cristiana ci insegna. Prego Dio a perdonarmi tutti i miei peccati: ho cercato scrupolosamente a conoscerli, a detestarli, e ad umiliarmi in sua presenza. Non potendo servirmi del ministero di un Sacerdote Cattolico, prego Dio di ricevere la confessione che gli ho fatta, e soprattutto il pentimento profondo che ho di aver messo il mio nome (benché ciò fosse contro mia voglia) ad atti che possan esser contrarj alla disciplina, ed alla credenza della Chiesa Cattolica, alla quale sono sempre rimasto sinceramente unito di cuore. Prego Dio di ricevere la ferma risoluzione in cui sono, se mi dà vita, di servirmi tosto che il possa del Ministero di un Prete Cattolico per accusarmi di tutti i miei peccati, e ricevere il Sagramento della Penitenza.
Prego tutti coloro che potessi aver offesi per inavvertenza (poiché non mi ricordo di aver mai fatto scientemente offesa a veruno) o quelli a cui potessi aver dato cattivi esempj, o scandali di perdonarmi il male che credono possa loro aver fatto. Prego tutti coloro che han carità di unire le loro colle mie preghiere per ottenere da Dio il perdono dè miei peccati.
Perdono con tutto il mio cuore a coloro che si son fatti miei nimici, senza ch'io n'abbia loro dato motivo, e prego Dio di perdonare ad essi, come pure a coloro che per un falso zelo, o per un zelo malinteso mi hanno fatto assai male.
Raccomando a Dio mia Moglie, e i miei Figli, la mia Sorella, le mie Zie, e i miei Fratelli, e tutti coloro che mi sono uniti per vincolo di sangue, o per qualunque altro modo possa ciò essere. Prego Dio particolarmente a volgere un occhio di misericordia sopra la mia Moglie, i miei Figli, e mia Sorella che soffrono da lungo tempo con me, di sostenerli colla sua grazia se venissero a perdermi, e fino a tanto che resteranno in questo mondo peribile.
Raccomando i miei Figli a mia Moglie. Non ho mai dubitato della sua materna tenerezza per essi; le raccomando sopra tutto di farli buoni Cristiani, ed onest'Uomini, di non far loro riguardar le grandezze di questo mondo (se saran condannati a provarle) che come beni pericolosi, e transitorj, e di voltare i sguardi verso la sola Gloria solida, e durevole dell'Eternità: prego mia Sorella a voler continuare la sua tenerezza à miei Figli, e di tener loro luogo di Madre se mai avessero la disgrazia di perder la propria.
Prego mia Moglie a voler perdonarmi tutti i mali che soffre in grazia mia, e i dispiaceri che potrei averle recati nel corso della nostra unione, com'Ella può esser sicura che nulla ho contro di Lei, dov'ella credesse aver qualche cosa a rimproverarsi.
Raccomando vivissimamente à miei Figli dopo quel che devono a Dio che deve andare innanzi di tutto, di essere uniti sempre fra loro, sommessi, ed ubbidienti alla lor Madre, e grati a tutte le cure, e travagli, ch'ella si prende per essi, e per mia memoria. Li prego a riguardar mia Sorella come un'altra lor Madre.
Raccomando a mio Figlio, se avesse mai la disgrazia di esser Re, di pensare che deve tutto se stesso alla felicità dè suoi concittadini, che deve dimenticarsi d'ogni risentimento, d'ogni odio, e segnatamente di quanto ha rapporto alle disgrazie, ed ai dispiaceri che provo, che non potrà fare giammai il bene dei Popoli, fuorché regnando secondo le leggi; ma al tempo stesso che un Re non può far rispettarle, né fare il ben che vorrebbe se non è rivestito dell'autorità necessaria, e che altrimenti legato nelle sue operazioni, e non ispirando alcun rispetto farà più di danno, che di vantaggio.
Raccomando a mio Figlio di aver cura di tutte le Persone che m'erano attaccate quanto le circostanze in cui si troverà gli permetteranno di fare: di pensare ch'è un debito sacrosanto da me contratto verso i Figli, o i Genitori di quelli che son periti in grazia mia, e poscia di coloro che in grazia mia si trovano in uno stato infelice.
So che tra quelli che m'erano attaccati ve ne son molti, che non si sono condotti a mio riguardo, come doveano, e che mi hanno fino mostrata dell'ingratitudine; ma io perdono loro (spesso in momento di agitazione, e di effervescenza non si è padron di se stessi) e prego mio Figlio se ne ha l'occasione a non ricordarsi della loro disgrazia.
Vorrei poter qui attestare la mia riconoscenza a coloro, che mi hanno mostrato un vero attaccamento senza alcun interesse; se da un canto sono stato commosso sensibilmente alla slealtà, e sconoscenza di alcuni, a cui mai non avea dimostrato che bontà, ed essi personalmente, o ai loro parenti, o amici, sono stato dall'alto consolatissimo in vedere l'attaccamento, e l'interesse gratuito da molte persone mostratomi; li prego tutti a gradire i miei ringraziamenti. Nella situazione in cui tuttavia sono le cose temerei comprometterli se mai parlassi più chiaro; ma raccomando specialmente a mio Figlio di indagar le occasioni per poter riconoscerli.
Crederei calunniare ciò non ostante i sentimenti della Nazione se non raccomandassi apertamente a mio Figlio MM. de Chamilly e Huë che il vero loro attaccamento alla mia persona avea portato a richiudersi meco in questo tristo soggiorno, e che hanno creduto di divenire le vittime disgraziate. Gli raccomando ancora Cléry, delle attenzioni del quale ho avuto tutto il motivo di lodarmi dacché trovasi meco, essendo quegli che è restato con me sin alla fine: Prego i Signori della Comune di consegnargli i miei panni, i miei libri, il mio oriuolo, la mia borsa e gli altri piccoli effetti depositati ai Consiglio della Comune.
Perdono ancora volontierissimo a coloro che mi hanno fatta la sentinella i cattivi trattamenti, e malattie con cui han creduto dover usar meco. Ho ritrovato alcune anime sensibili, e compassionevoli; possano esse godere nel loro animo di quella tranquillità che il loro modo di pensare deve ad essi accordare.
Prego i Signori di Melesherbes, Tronchet, e de Séze a qui tutti ricevere i miei ringraziamenti, e l'espressione della mia sensibilità per tutte le cure, e fastidj che si son dati per me.
Finisco con dichiarare innanzi a Dio, e pronto a comparire alla sua presenza, ch'io non mi rimprovero alcun dei delitti che mi si sono opposti.
Dalla Torre del Tempio, li venticinque dicembre dell'anno mille settecento novanta due.
Luigi"

Cuore di Re Luigi XVII conservato nell'Abbazia di Saint Denis a Parigi

 

 

 

 

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ANCHE IL PAPA MORI' MARTIRE

Morte di S.S. Papa Pio VI avvenuta nella cittadina di Valence, Francia,

il dì 28 agosto 1799 in età di 82 anni, mesi 8, giorni 5

e del suo Pontificato 24 anni, mesi 6, giorni 14

 

A seguito dell'avanzata napoleonica nello Stato Pontificio, il Papa Pio VI fu costretto ad accettare un armistizio a Bologna, città che dovette cedere assieme a Ferrara ed Ancona, unitamente ad una cospicua somma e a varie opere di grandi artisti italiani.

Il Papa si schierò con l'Austria che intanto stava complottando contro Bonaparte, mentre il Re Ferdinando I, cambiando strategia, si pose a fianco di Napoleone, invadendo i possedimenti papali esistenti nel Regno di Napoli, mentre i francesi occupavano il Santuario dedicato alla Madonna di Loreto. Pio Vi firmò il Trattato di Tolentino nel 1797, cedendo ancora altro patrimonio.

Pio VI in abito corale

 

Ordine del Direttorio esecutivo di Parigi presentato a S.S. Pio VI

dal generale francese dopo l'invasione delle truppe in Roma - 15 febbraio 1798

 

Papa Pio VI in vesti liturgiche

A seguito di ulteriori scontri e alll'uccisione di un generale dell'armata francese, alla fine dell'anno venne effettuata l'occupazione di Roma che portò morte, disastri, saccheggi di opere d'arte persino nel Vaticano stesso.
Il Papa venne deposto dalla sua funzione di capo temporale il 15 febbraio 1798 e a Roma venne proclamata la Repubblica, mentre il Pontefice veniva portato prigioniero a Siena dove rimase per pochi mesi. Successivamente venne trasferito in un convento fiorentino e, dopo un anno, a seguito dello scoppio del conflitto tra Francia e Toscana, venne tradotto a Bologna dove, contariamente a quanto ci si attendeva, venne acclamato dal popolo.

Qualche tempo più tardi venne portato a Grenoble ed in seguito in Francia a Valence. Il Papa ormai sfibrato dai patimenti psicologici e fisici morì poco dopo, il 29 agosto.

 

Funzione mortuaria per la G. M. di S.S. Pio VI ordinata dal P. Cons. Bonaparte

Valencia il 29 gennaio 1800

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