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RECENSIONE DELLA MOSTRA "GESU' E IL
MONDO DEL LAVORO"
– Piombino, 28 luglio - 25 Agosto 2007 -

Si è riproposto a Piombino l’evento che da
anni vede in mostra le stampe devozionali, un percorso a
tema attraverso le immaginette della pietà popolare.
Alla sua IX sessione, la Biennale di Arte Sacra offre ai
suoi visitatori una selezione di stampe su “Gesù
e il mondo del lavoro”, titolo della Mostra e della
pubblicazione presentata al pubblico, nel corso dell’inaugurazione.
Nel chiostro di S. Antimo, suggestiva cornice quattrocentesca
in cui l’esposizione è stata allestita, il
Sindaco, i Presidenti del Consiglio Comunale e Circoscrizionale,
l’Assessore al Decentramento, hanno espresso il loro
apprezzamento per l’iniziativa e l’operato degli
organizzatori e collaboratori tutti, particolarmente il
gruppo di volontari che hanno permesso di concretizzare
un progetto ambizioso; ci si riconosce pienamente –
si è detto – nella volontà di recuperare
i legami con una cultura del lavoro, che qui a Piombino
ha connotato profondamente lo sviluppo del territorio. Occorre
sapere da dove veniamo, e trasmettere il patrimonio di cui
siamo eredi, ripercorrendo il vissuto, l’oggettività
che vi si legge, come pure l’idealità, le domande
e le aspettative che vi si rispecchiano. Possiamo così
riconoscere, nelle forme espressive del sentimento popolare,
il messaggio universale di valori e principi al di là
del tempo, testimoniati da un’ iconografia talvolta
ingenua, arcaica e reiterativa, tuttavia efficace nella
sua sorprendente varietà di linguaggi.
Il prof. Arnaldo Nesti, presentando l’iniziativa,
ha svolto alcune riflessioni sull’importanza della
religiosità popolare, che questi materiali rappresentano
visivamente; ciò che documentano, dunque, ha un carattere
nazionale, denota un modo di sentire della gente.
Il santino, inoltre, è stato un segno identitario
per generazioni di emigranti, che l’hanno portato
con sé in terre molto lontane; in questo senso è
un documento storico del sentire diffuso.
Il Vescovo Mons. Santucci ha avuto parole di adesione profonda
al progetto museale, esprimendo il proprio interesse per
quest’arte semplice e familiare, come fatto di costume,
in cui diviene protagonista anche l’umile figurazione
della “Sacra Famiglia nella bottega”, e affermando
inoltre che quest’arte ci appartiene, coglie un aspetto
comune a tutti noi: chi non ha un santino, a cui orientare
le proprie domande interiori?
Il tema del lavoro, ha poi continuato Mons. Santucci, può
esser letto come liberante solo attraverso alcuni principi
di lettura: nel Vangelo, dove tutti sono fratelli, uguali
davanti a Dio, si rovesciano i rapporti di forza del mondo;
le categorie del perdono e del servizio aprono alla dimensione
innovativa del cristianesimo.
E il lavoro va poi considerato come riscatto, laboriosità
in opposizione all’accattonaggio. Ma può snaturare
i rapporti umani, familiari; pensiamo alla questione attuale
delle famiglie che poco prestano attenzione ai propri membri,
prese come sono dalla molteplicità delle incombenze
pratiche….
Al termine del suo intervento, il Vescovo ha letto un messaggio
del Santo Padre, di apprezzamento per questa Mostra di arte,
attenta alla religiosità.
Infine la prof. Gulli Grigioni, studiosa di oggetti e documenti
figurativi legati alla tradizione popolare e religiosa,
ha innanzitutto rilevato la particolare significatività
della Biennale d’Arte Sacra, unica per la sua longevità.
Il lavoro progettuale - ha riferito- si è articolato
distinguendo le tipologie di santini, tra ‘600 e ‘900,
sulla base del tema previsto; realizzati tra XVII e XIX
sec. prevalentemente con finalità didattiche, la
loro radice va ricercata, oltre che nella letteratura biblica,
nelle direttive postridentine, nell’ideologia gesuitica
regista di simboli e allegorie, nella ricchezza dell’immaginario
barocco alimentata dalle figure retoriche della predicazione,
della letteratura, della scenografia teatrale, della passione
per gli strumenti scientifici. Le immagini del Novecento,
poi, riflettono l’attenzione alla “questione
sociale”, l’attività di Leone XIII e
la sua fondamentale enciclica Rerum Novarum, in cui si affronta
la questione operaia, sollecitando la nascita di iniziative
e di associazioni a tutela dei lavoratori.
Sarebbe opportuno, ha affermato la studiosa, raccogliere
ed esaminare gli opuscoli devozionali dedicati agli operai,
indagare le forme di una pietà operaia che trovava
espressione ancora negli anni del dopoguerra, tempo di ricostruzione,
e ricerca di nuovo ordine sociale.
Nel corso degli interventi è stato più volte
espresso l’auspicio e la sollecitazione a progettare
la prossima esposizione, la X Biennale d’Arte Sacra,
nella prospettiva di farne un’occasione particolarmente
qualificata: non solo una Mostra di santini, ma una iniziativa
di arricchimento culturale, più articolata sul piano
dei contenuti e dei materiali documentari, nell’attenzione
alle tematiche legate al territorio, e all’interesse
di quanti, in questi anni di attività culturale,
non hanno fatto mancare incoraggiamento, stima e collaborazione,
permettendo così la crescita e la continuità
dell’evento stesso. Gli organizzatori nell’insieme
sono stati dunque investiti di questo segnale propositivo,
a cui dedicare la loro riflessione nei mesi a venire, nello
spirito di una armonica cooperazione fra tutte le componenti
rappresentative della città.
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L’APPRENDISTA GESU' NELLA BOTTEGA
DI NAZARETH - TIPOLOGIE ICONOGRAFICHE
Le fonti testuali e iconografiche relative all’infanzia,
fanciullezza e giovinezza di Gesù hanno tramandato,
per secoli (1), episodi e tematiche ricchi di elementi fantasiosi
e poetici, insieme a quelli che potremmo definire ufficiali,
cioè riconosciuti e legittimati dai decreti conciliari
in materia di arte sacra (2).
I numerosi testi evangelici, canonici e non, ispirarono
una quantità di leggende, di credenze, devozioni
e culti di cui nel tempo si è ridotta la pratica
e la memoria, ma non le tracce, presenti in quelle forme
espressive della cultura religiosa, il linguaggio figurativo
e la tradizione orale, in cui sono parzialmente sopravvissute.
L’età della Controriforma ha poi segnato una
svolta determinante, introducendo una codificazione dell’immagine
sacra a scapito dell’inventiva artistica, e a vantaggio
di un’aderenza rigorosa ai temi biblici; nell’intento
di disciplinare gli aspetti della cultura cattolica, la
Chiesa volle improntare ogni forma di espressione religiosa
a questi nuovi dettami, e inquadrare in un’ottica
intenzionalmente catechetica la produzione artistica e testuale.
L’azione di controllo, fortemente censoria, che da
allora si esercitò, ebbe l’effetto di modificare,
in buona parte, gli schemi tradizionali antecedenti, in
quanto segnò la scomparsa parziale o totale, o a
volte la trasformazione, di elementi extracanonici, di derivazione
apocrifa, stigmatizzati e condannati dal Concilio di Trento.
La religiosità conobbe, in questo periodo, nuove
pratiche devozionali e forme di pietà; e il nuovo
si sovrappose all’antico, generando testimonianze
in cui leggiamo la stratificazione di tipi, simbologie,
stili e caratteri, eredità di un tempo lontano, e
insieme troviamo pure l’evidenziazione di sentimenti
forti e profondi, resi con realismo scenografico.
Dove affondava le radici questa variegata tradizione, destinata
solo in parte a scomparire?
Le generazioni dei primi secoli dettero vita a narrazioni
estranee alla tradizione apostolica, e quindi si determinò
la diffusione di una letteratura di ispirazione popolare,
intrisa di elementi immaginifici, in cui il prodigio e i
sentimenti primordiali trovavano largo spazio; accanto alle
fonti dei testimoni autentici della vita terrena di Gesù,
circolavano quindi leggende e narrazioni stravaganti, su
cui più volte l’autorità ecclesiastica
si espresse, senza per questo cancellarne le tracce, che
hanno continuato a sopravvivere.
Del resto il bisogno di visività aveva sollecitato
narrazioni descrittive delle vicissitudini della Sacra Famiglia,
per conoscere in dettaglio quanto era accaduto a Nazareth
e a Betlemme…
E’ opportuno qui ripercorrere sinteticamente l’iconografia
di Gesù nel contesto del ciclo dell’infanzia,
che nell’antichità prevedeva una sequenza codificata
(Nascita, Presentazione al Tempio, Fuga in Egitto, Gesù
al Tempio fra i Dottori); solo dopo il Rinascimento si avrà
interesse a sviluppare temi e motivi latenti, cioè
noti ma estranei agli schemi usuali.
All’inizio del IV sec. comparvero le prime testimonianze
iconografiche di s. Giuseppe faber lignarius; il
Testini afferma che ciò sembra “sottintendere
implicitamente la volontà di proporre l’immagine
del pater familias nella quotidiana operosità
degli umili, schietto nell’aspetto come nella semplicità
del suo animo. E’ dunque un tipo carico di realismo
e perciò coerente con lo spirito della società
occidentale, la quale, come ad esempio preferì vedere
il martire non nella ieratica trascendenza dell’arte
orientale ma nella realtà della sua sofferenza e
conseguentemente lo raffigurò con gli strumenti della
sua passione, allo stesso modo volle vedere Giuseppe in
una dimensione tutta umana, uomo dunque tra gli uomini,
non diverso dagli altri solo perché eletto a rendere
testimonianza del grande avvenimento dell’incarnazione”
(3).
Ci sono pervenuti due avori, databili al quinto secolo,
significativi in tal senso, ambedue provenienti dall’Italia
settentrionale: il primo (4) mostra il Bambino nella mangiatoia
tra Maria, e Giuseppe, il quale appoggia la destra sulla
roccia, mentre con la sinistra impugna un arnese dall’apparenza
di una sega. Il secondo è un dittico conservato nel
Tesoro del Duomo di Milano: qui l’attributo è
chiaramente identificabile come una sega dalla lama a filo
dentato.
Una figurazione affine compare nel riquadro di seta sargia,
appartenente al tesoro del Sancta Sanctorum al
Laterano in Roma, risalente al sesto secolo: Maria e Giuseppe
sono descritti frontalmente come negli avori anzidetti.
Ma cosa ha originato questa iconografia?
Negli evangeli si fa cenno al mestiere di Giuseppe solo
nell’episodio riportato da Matteo: “Non è
costui il figlio del falegname?” si chiede di Lui.
E ancora: “Non è costui il falegname, il figlio
di Maria ?” (5).
Il termine usato dagli evangelisti (téktôn),
tradotto con “falegname”, può assumere
il significato di “carpentiere” e “fabbro”.
L’apologista Giustino nel Dialogo con l’ebreo
Trifone, composto intorno al 155, dice espressamente
che Gesù faceva aratri di legno e gioghi (6). E nell’apocrifo
dello Pseudo-Matteo e nella Storia di Giuseppe
falegname si dice espressamente che Giuseppe “era
ben istruito nella saggezza e nell’arte della falegnameria”
(7).
Le figurazioni precedentemente considerate, attribuite a
maestranze del nord-Italia, non erano frutto del caso; una
corrente dottrinale, infatti, ha inteso vedere in lui, che
lavora per fabbricare oggetti utili, l’immagine del
Padre celeste, artefice di tutte le cose, o anche lo Spirito
santo, santificatore.
E Massimo il Confessore († 662): “Esercitava
il mestiere di carpentiere, esperto nell’arte più
di tutti gli altri carpentieri: infatti doveva essere al
servizio del vero architetto, il creatore e carpentiere
di tutte le creature” (8). Si trattava, in definitiva,
di un discorso esegetico che leggeva in chiave simbologica
(tipo/anti-tipo) il personaggio e il suo mestiere, ponendolo
in stretta relazione con la divinità e la sua opera
salvifica: Adamo-Eva = Giuseppe-Maria = Cristo-Chiesa; Dio
artefice del creato = Giuseppe artigiano di manufatti.
L’iconografia trasmette sporadicamente questo aspetto
di s. Giuseppe faber lignarius: si segnalano due
miniature, del XII-XIII sec., relative alla scena del ritorno
di Giuseppe dai cantieri, in cui si evidenzia nella prima.
una sega (9), e nell’altra un’ascia (10) nelle
sue mani.
Sul piano testuale, le fonti d’ispirazione
nel medioevo furono principalmente due: la Legenda Aurea
(11) del domenicano Jacopo da Varazze, enciclopedica raccolta
di vite dei santi a uso dei predicatori, a cui attinsero
ampiamente anche gli artisti, e le Meditationes
dello Pseudo-Bonaventura (12), opera mistica di ambito francescano,
in cui nel capitolo sulla permanenza in Egitto si legge:
“trovano una casetta e vi restano per sette anni…
Ho letto da qualche parte che la Signora procurava il necessario
alla vita per sé e per suo figlio tessendo e cucendo…
In più, c’era quel santo vecchietto di Giuseppe
che, come falegname, si dava da fare” (13).
Dunque si perpetuava la memoria di una famiglia operosa,
in cui i genitori svolgevano lavori manuali.
Tra il XIII e XVI sec. si sviluppò l’interesse
per la figura di s. Giuseppe, da parte dei Serviti e dei
Francescani, che presero a celebrarne la festa liturgica;
è noto, del resto, il ruolo svolto in questo periodo
dagli ordini mendicanti, attivi promotori di una pietà
essenzialmente cristocentrica, di cui l’arte doveva
farsi interprete, traducendo figurativamente gli aspetti
di umanità del Dio Bambino.
Si determinò un incremento del culto di s. Giuseppe,
figura di testimone e rappresentativo della discendenza
davidica, che trovava nell’operosità della
bottega evidenziazione e valorizzazione, nel ruolo esemplare
di padre e di lavoratore, in cui potevano rispecchiarsi
gli artigiani e i capofamiglia (14).
Nel Quattrocento la figura del falegname inizia la sua ascesa,
per così dire, comparendo anche isolatamente, svincolata
dalle scene di genere, codificate nel tempo. Nella pittura
nordica compaiono le prime raffigurazioni: ciò si
spiega con l’espansione produttiva del Nord Europa,
che lo prese a modello in quanto congeniale allo spirito
fattivo e imprenditoriale. E’ sintomatico che Giuseppe,
talvolta, veste l’abito della confraternita committente
(15).
L’impianto iconografico delle scene dell’infanzia
di Cristo conobbe inoltre una considerevole innovazione,
nei contenuti e nel linguaggio figurativo, a seguito delle
Revelationes di s. Brigida (16) che influenzarono
l’operato degli artisti: la religiosa fu destinataria
di molte rivelazioni su alcuni episodi della storia sacra,
e le nuove figurazioni si imposero sulle precedenti.
S. Giuseppe – da allora - venne raffigurato intento
a rifornire di fieno la mangiatoia, di fascine e fuoco l’ambiente
comune, coadiuvando i suoi. Seguirà una gamma di
rielaborazioni pittoriche, in cui stende, asciuga i panni,
cucina e si adopera umanamente.
All’inizio del Cinquecento si ebbero le prime rappresentazioni
della bottega del falegname, pittoriche, incisorie, sculture
lignee; ricordiamo il Dürer , che nella celebre Sacra
Famiglia nel cortile (17) descrive così la scena:
Giuseppe è intento a scavare un tronco, Maria cuce
accanto alla culla col Bambino, e intorno si muovono angioletti
operosi (18).
Il soggetto è, in qualche modo, un capostipite, giacché
in quegli anni prese avvio questo tipo iconografico, di
ispirazione fiamminga, che conobbe particolare fortuna sia
in Italia che in Spagna, Francia, Nord Europa. Pittori di
fama vennero chiamati a eseguire il tema devozionale, legato
da una parte alla crescente devozione al Bambino Gesù
e alla Sacra Famiglia, dall’altro al moltiplicarsi
delle Confraternite dei Falegnami nelle varie città.
Determinante era stata la pubblicazione nel 1522 della Summa
de donis sancti Joseph del domenicano Isidoro Isolani
(19); fece conoscere una storia di Giuseppe che altro non
era che la Storia di Giuseppe falegname (20).
Nelle Rivelazioni di Caterina Emmerich (1774-1824), un testo
che rispecchia tradizioni e credenze diffuse nel Centro-Europa,
si parla del precoce apprendistato di Giuseppe, prima dei
vent’anni: “In quei paraggi "Betlemme"
— si dice — viveva un vecchio falegname. Giuseppe
cominciò a frequentarne il laboratorio e così
imparò il mestiere; progrediva perché conosceva
la geometria e il disegno, già appresi dal precettore”
(21).
L’impulso che il culto conobbe nel secolo scorso,
dovuto anche ad iniziative pontificie (22), sollecitò
la diffusione dell’iconografia di Giuseppe falegname
all’interno della Sacra Famiglia, oggetto di riproposte
del tema sia nelle opere “colte”, che nella
produzione a diffusione popolare, particolarmente nota attraverso
i “santini”.
Sulla scorta di questi elementi narrativi, veicolati da
una tradizione secolare, di cui nel tempo si andava tuttavia
perdendo cognizione, possiamo enucleare le tipologie iconografiche
relative a Gesù apprendista nella bottega di Nazareth,
rappresentazioni che lo vedono impegnato nel lavoro artigianale,
escludendo quegli aspetti di operosità correlati
alla Madre, benché affini per ispirazione.
L’apprendista Gesù presenta queste tipologie:
- collabora alla misurazione e all’esecuzione del
lavoro ( A )
- opera prodigi in aiuto del padre ( B )
- fa luce ( C )
- spazza i trucioli ( D )
- lavorante operoso, esecutore di manufatti e di croci (
E )
- con gli strumenti-attributi in funzione simbolica ( F
)
A - La prima tipologia rimanda a quelle
opere d’arte, le “Sacra Famiglia della bottega”,
che vedono protagonisti Giuseppe, Maria e il Bambino Gesù:
i due genitori compaiono parimenti impegnati nel loro operato
ai lati della scena, quando addirittura non è Giuseppe
a sopravanzare.
Queste immaginette ebbero larghissima diffusione tramite
le pubblicazioni devozionali di ambito giuseppino (23).
Il primo santino è copia del quadro di Giovanni Gagliardi
del 1890 che si trova nella chiesa del Gesù a Roma.
In seguito i pittori Murillo, Rembrant, De Ribera sono stati
i modelli di riferimento più diffusi per quanti hanno
curato la diffusione della stampa devota.
Conviene soffermare l’attenzione su un dettaglio dell’ultima
immagine (fig. 4), in cui si nota l’aratro, eseguito
dall’apprendista Gesù, proprio come esprimeva
l’apocrifo “Giuseppe, che era falegname e nient’altro,
fabbricava con il legno se non gioghi per i buoi, e aratri
e arnesi per rivoltare la terra o adatti alla coltivazione,
e faceva anche giacigli di legno” (24).
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B - Figg. 1 - 2 |
B - Per la seconda tipologia,
si prenderà in esame l’episodio dell’asse
allungata, narrata nei vangeli dell’Infanzia: “Giuseppe
ordinò di tagliare il legno con una sega di ferro,
secondo la misura che egli gli aveva date. Ma costui non
rispettò il modello che gli era stato dato e fece
un asse più corto dell’altro. E Giuseppe, tutto
agitato, si mise a pensare che cosa poteva fare a quel riguardo.
Gesù, come lo vide così turbato nelle sue
meditazioni, perché lo sbaglio commesso gli sembrava
irrimediabile, si rivolse a lui con voce di conforto, dicendo:
“ – Vieni: prendiamo le estremità dei
due assi, e accostiamoli capo a capo ed uguagliamoli tra
di loro; poi li tiriamo verso di noi, perché così
potremo renderli uguali. Giuseppe seguì il suo consiglio,
poiché sapeva che egli poteva fare qualunque cosa
volesse, e prese i capi degli assi, e li appoggiò
al muro, vicino a sé, mentre Gesù teneva i
capi opposti degli assi e tirava verso se stesso l’asse
più corto, fino ad uguagliarlo a quello più
lungo” (25).
La scena è narrata con la stessa ingenua freschezza
nell’Evangelica Historia (fig. 1),
opera trecentesca di ambito lombardo: “Quando Gesù
aveva otto anni, Giuseppe faceva il falegname e lavorava
col legno. Un giorno un uomo ricco lo pregò dicendo:
Signor Giuseppe, vi prego che mi facciate un letto ottimo
e bello, e gli fornì il legno per l’opera.
Giuseppe preso il legno cominciò a misurarlo: non
andava bene però per fare quel mobile, perché
l’aveva tagliato (male). Si angustiava Giuseppe, perché
non riusciva a fare come voleva.
Il fanciullo Gesù vedendo Giuseppe rattristarsi,
gli disse: non angustiarti, ma prendi il legno da un capo
e io lo prenderò dall’altro, e lo tirerò
quanto possiamo. Fatto questo, Giuseppe si accinse di nuovo
a misurare il legno e lo trovò ottimo per quel lavoro.
Visto quello che aveva fatto Gesù, Giuseppe lo abbracciò
dicendo: Sono felice che Dio mi ha dato un tale fanciullo”
(26).
Dello stesso episodio, una rappresentazione identica si
può vedere in una xilografia cinquecentesca (27);
ma più sorprendente è cogliere l’atto
di tensione del falegname, intento a misurare l’asse,
coadiuvato dal Bambino imprevedibilmente provvido, in due
raffigurazioni ottocentesche, tra loro simili: Giuseppe,
consapevole dell’errore, tende il braccio verso il
Figlio, con cui è impegnato nella misurazione dell’asse,
per sopperire all’inconveniente (figg.2 e
3). Le due raffigurazioni sono ispirate al quadro
del Carracci (28).

B - Fig. 3
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C - Il pregevole santino
con Gesù portalampada del XIXsec. trova riscontri
in alcune personalissime soluzioni figurative di Georges
de La Tour e di Gherardo delle Notti, dense di messaggi
(fig. 1, 2, 3).
Il santino merita, a nostro avviso, un’osservazione
attenta: l’asse che viene lavorata ha forma di croce.
Sembra che l’artigiano la stia incidendo, proprio
nel centro, nel punto d’intersezione dei due bracci.

Fig. C - 3
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D – Nelle figurazioni della “Sacra
Famiglia”, vediamo spesso attivi gli angeli (29),
in atto di lavorare, spazzare, rassettare, servire il cibo,
oltre che suonare strumenti musicali. Già il Dürer
li aveva inseriti nella scena ( v. supra, n. 17 ), e dopo
di lui molti altri; il fenomeno riguarda numerosi soggetti
sacri, evidenziando una linea di tendenza dell’epoca.
L’angelo, in presenza del suo Creatore fattosi uomo,
assolve compiti terreni, assumendo un ruolo imprevisto,
e altrimenti inesprimibile.
Nel volgere di pochi decenni, questo ruolo, svolto da un
garzone di bottega, viene affidato a Gesù, come si
può vedere in numerose opere artistiche di cui si
citano due esempi, pertinenti due “Sacra Famiglia
della bottega” (30) , posti a raffronto col santino
ottocentesco che mostra Gesù, privo del contesto
di riferimento; tale modalità rappresentativa conferma
una linea di tendenza che mira ad emblematizzare un tipo
iconografico, ad uso devozionale (31).
E – Le immagini raffigurano l’apprendista
Gesù al lavoro, intento a incidere ( figg. 1- 2 )
una tavola; colto in un momento di sospensione del lavoro,
ma con le mani sull’attrezzatura ( fig. 3 ), e in
ultimo è impegnato nella lettura del libro, che simbolicamente
nel linguaggio iconografico rimanda all’Evangelo,
quindi alla storia salvifica: accanto, una vistosa sega,
che richiama alla mente la sua attività artigianale
secondo la tradizione apocrifa ( fig. 4 ).
Un dettaglio sintomatico: l’abbigliamento dell’apprendista
si conforma progressivamente a quello di s. Giuseppe, il
quale, dichiarato dalla Chiesa Patrono dei lavoratori, indossa
un grembiule da lavoro marrone, riscontrabile nelle immaginette
ottocentesche ( fig. A2 ), e che vediamo indossato pure
dal Figlio ( figg. 2 - 3), per un processo di omogeneizzazione
del tipo iconografico.
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E - Figg. 1 - 2 - 3 -4 |
F - L’ultimo tipo
iconografico, che si prende in esame, è quello che
mostra l’apprendista Gesù con gli strumenti
da lavoro in funzione simbolica: gli strumenti sono pienamente
realistici, nell’aspetto descrittivo e funzionale,
ma hanno un preciso significato allusivo alla Crocifissione,
dunque presagio della Passione.
L’apprendista contempla le piccole croci; sul bancone,
il martello e il compasso sovrapposto descrivono una croce,
e dietro l’aureola, la trave di sostegno si divarica
in due braccia allusive alla crocifissione.
Il ragazzo figura da solo; è un emblema al di là
del contesto figurativo: sullo sfondo, attrezzi e tavole
ripropongono l’attività artigianale, ma ogni
dettaglio, con insistenza studiata, trasmette l’unicità
del simbolo, e coinvolge l’osservatore, il devoto,
in un dialogo intimo ed emozionale.
A conclusione del nostro percorso iconografico,
si è pensato di corredare il testo con brani di cultura
orale, che riecheggiano in modo sorprendente, e poetico,
gli spunti precedentemente trattati: si è creduto
di far cosa opportuna, utilizzando fonti inusuali, che tuttavia
risultano funzionali alla lettura e comprensione del processo
trasformativo e, in parte, conservativo, che qui si è
preso in esame.
La figura del falegname e dell’apprendista Gesù
non hanno cessato di trasmettere, a distanza di generazioni,
nei linguaggi propri delle diverse culture, il messaggio
profondo di cui erano portatori. Queste sopravvivenze lo
provano, con la medesima vivezza delle immagini.
Si legge in un testo siciliano:
San Giusippuzzu si susiu matinu
Ppi fari lu servuzzu a manu a manu;
si pigghia l’ascia, la serra e lu filu
A Gesuzzu si pigghia ppi la manu (32)
In uno napoletano:
………….
Benché facci il falegname patirete dela fame
Poiché coteste genti, il valor vonno per niente.
Una cosa vi viene in paro, ch’ho in ordine un telaro
E l’ascio e un scarpello, una serra un martello.
Un chianozzo, e scalpellini per voi poveri pellegrini
E così potete campare anco con tessere, e filare
(33)
In un testo calabrese:
E san Giuseppe si levau matinu
Ch’avia di jiri a na parti luntana,
si pigghiau l’ascia, li ferra e lu filu
e puru a lu bambineju di la manu.
Quando arriraru abbasciu a ‘nu jardinu,
si misaru a serrari nta ‘nu chianu.
Nci dissi San Giuseppi a lu Bambinu:
Tira, ch’è curtu, allongami sta travu (34)
In un altro testo siciliano:
Lu signuruzzu, quannu iddu jucava,
suliddu a ‘n’agnunieddu si mintia
tutti i pizzuddi ‘i lignu sca trovava,
tutti ‘n forma di cruci li mintia (35)
Infine in un canto laziale:
Nella pace familiare
La Madonna tesse e prega:
sta Giuseppe a lavorare
con l’accetta e con la sega:
il divino giovinetto
è lì pronto ad obbedir:
sotto quel modesto tetto
c’è una pace da non dir.
Una volta il bambinello
Prese un’asta piccoletta
Prese un altro bastoncello
E ne fece una crocetta (36)
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