Rubriche di
Patrizia Fontana Roca

CHE COSA E’ L’A.I.C.I.S.?

L’AICIS è l’Associazione, apolitica e senza fini di lucro, che raccoglie appassionati cultori, studiosi, collezionisti e quanti si interessano di immaginette sotto ogni profilo: storico, folkloristico, culturale, artistico, religioso

PERCHE’ ISCRIVERSI ALL’AICIS?

Perché l’unione fa la forza. Per essere informati, attraverso la Circolare mensile, di quanto interessa il settore e poter effettuare lo scambio del materiale fra i soci. Per partecipare alle mostre o anche conoscere ove si svolgono mostre di immaginette. Per partecipare a conferenze. Per avere notizie su pubblicazioni specialistiche, per avere le nuove immaginette, per conoscere i nuovi Venerabili, Beati e Santi, per avere altri ragguagli su santi e santuari.

 

COME ISCRIVERSI ALL’A.I.C.I.S.

Telefonando alla Segreteria (tel.06-7049.1619) e richiedendo l'apposito modulo da compilare. L’importo da versare sul conto corrente postale nr. 39389069 dell'’A.I.C.I.S è di euro 3,00 per la sola iscrizione all’Associazione, mentre la quota annuale 2005 è di euro 25,00 per le persone fisiche e di euro 34,00 per le Associazioni e gli Enti.

L’anno sociale decorre dal 1° gennaio al 31 dicembre

DIRITTI DEI SOCI:

- ricevere le Circolari Informative, con immaginette omaggio;

- partecipare alle mostre ed alle iniziative sociali;

- partecipare alle riunioni di scambio fra soci;

- effettuare scambi fra soci per corrispondenza;

- fare inserzioni gratuite di offerta o di richiesta di immaginette nelle Circolari Informative.

Gli incontri si tengono nella Sede dell'Ass.ne, in P.za Campitelli 9, in una sala interna al cortile adiacente la
Chiesa di S.ta Maria in Portico, ogni primo martedì del mese, eccetto agosto, e salvo variazioni che di volta in volta verranno rese note.

Informazioni: Contattare Renzo Manfè - Vice Presidente
Tel.06-7049.1619 e-mail: aicis_rm@yahoo.it

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VITA ASSOCIATIVA




LA SOCIA ROSANNA NAVA CI HA LASCIATO

 

Il 12 settembre u.s. ci ha lasciato la socia Rosanna Nava. La Santa Messa in suo suffragio verrà celebrata il 12 novembre 2007 alle ore 7.00 nella Basilica di Sant’Antonio in Via Merulana 127.
Il Consiglio direttivo, addolorato per questa perdita, ringrazia Dio per la vita di Rosanna che lascia un’orma incancellabile e invita gli associati ad unirsi spiritualmente per pregare per lei e per i suoi familiari.
Nel ricordarLa con vero affetto ripetiamo qui un messaggio che ha lasciato...utile a tutti:
"Nei momenti difficili appoggio la mia fronte al Crocifisso e questo mi dà forza, fiducia, e lo invito quando rallento il passo ad aspettarmi con amore."
Aggiungiamo qui appresso un breve profilo tracciato dalle due figlie: “Mamma è stata ed è un fulgido esempio nei fatti, ancor prima che nelle parole, della assoluta disponibilità e dedizione agli altri, vicini e lontani, amici e non, prestate con vera compassione e spirito di carità.
Aiutava tutti coloro che poteva e in particolare gli ammalati, sia nel corpo che nello spirito.
Ha affrontato sette lunghi anni di malattia lottando e combattendo, attaccata alla vita che amava molto, mentre offriva le Sue sofferenze per la guarigione dei malati e le intenzioni di Gesù e Maria.
La sua Fede vissuta l'ha accompagnata e sorretta sino alla fine e Le ha permesso, sino all'ultimo, di essere "luce" per tutti coloro che hanno avuto il privilegio di incontrarla prima e di ricordarla oggi. Lei non ci ha abbandonati, ci ha solo preceduti nella Luce del Signore e, ne siamo certi, da lassù continua a vegliare su di noi e sugli ammalati così come ha già fatto in vita”.


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10 DICEMBRE: SANTA MESSA ANNUALE PER I DEFUNTI AICIS E FAMILIARI


Il 10 dicembre 2007, alle ore 18.30, nella Basilica di Sant’Antonio in Via Merulana 127, verrà celebrata l’annuale Santa Messa in suffragio dei nostri soci deceduti e dei loro familiari defunti. Uniamo in questa devota intenzione i proprietari defunti delle immaginette che ora fanno parte della nostra raccolta.
Molti santini in nostro possesso hanno fatto parte della vita e devozione di persone decedute a noi sconosciute e che forse hanno ancora necessità della nostra preghiera di suffragio per vedere finalmente il volto di Dio. La Santa Messa del 10 dicembre, pertanto, vuol essere una perfetta preghiera al cospetto dell’Altissimo oltre che per i nostri morti anche per loro. Invitiamo gli associati ad essere uniti in quel giorno alla preghiera di coloro che sono presenti nella Basilica di Sant’Antonio a Roma: sarà un grande significativo atto di carità verso tutti questi nostri fratelli.


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PADRE MICHELE MARIA GIULIANO: VARIAZIONE DI INDIRIZZO

Padre Michele M.Giuliano desidera informare i soci e i propri corrispondenti che il suo nuovo indirizzo è il seguente: Frati Minori – Convento San Vito – C.so Vittorio Emanuele nr.236 – 80034 MARIGLIANO NA –


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LA QUOTA AICIS 2008, SEMPRE DI 25,00 EURO, VA CORRISPOSTA DA GENNAIO P.V.


Con il Notiziario di Gennaio-Febbraio 2008, come ogni anno, verrà allegato il bollettino postale con il nr. di ccp AICIS e la relativa causale “Quota associativa 2008”.
Si partecipa che la quota sociale per il prossimo anno, come confermato dal Consiglio Direttivo, rimarrà di 25,00 euro. I soci sono invitati a non anticipare nel 2007 tale versamento, ma attendere l’inizio di gennaio del prossimo anno sociale.

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2 OTTOBRE: NELLA SEDE DI PIAZZA CAMPITELLI CONFERENZA DI EDMONDO BARCAROLI SUL CARDINALE MARCO ANTONIO BARBARIGO, VENERABILE DAL 6 LUGLIO 2007


Edmondo Barcaroli ha partecipato con Gino Arestivo, provenienti da Tarquinia VT, alla riunione dei soci a Piazza Campitelli – Roma, lo scorso 2 ottobre, primo martedì del mese.
Barcaroli ha tenuto una conferenza sul card. Marco Antonio Barbarigo (cfr. nel presente Notiziario) e ha consegnato al Presidente l’ultimo santino del cardinale come Servo di Dio, stampato dai soci di Tarquinia, oltre una significativa quantità di gruppi di immaginette per il Fondo Sociale.


IL VENERABILE MARCO ANTONIO BARBARIGO
FONDATORE E PADRE DELLE MAESTRE PIE FILIPPINI

Il socio EDMONDO BARCAROLI di Tarquinia il 2 ottobre u.s. ha tenuto, nella sede di riunione di Piazza Campitelli in Roma, la seguente conferenza sul neo Venerabile Antonio Barbarigo.
Con l’occasione, insieme al socio GINO ARESTIVO che lo ha accompagnato a Roma, ha consegnato al Presidente Gian Lodovico Masetti Zannini, per la campagna “Un santino per ogni socio” l’immaginetta fatta stampare dal gruppo dei soci di Tarquinia, di concerto con le Maestre Pie Filippini della Casa Natale di Santa Lucia Filippini.
Tale immaginetta possiamo affermare essere l’ultima come Servo di Dio, poiché il 6 luglio u.s. Marco Antonio Barbarigo è stato dichiarato Venerabile.

Dalla giovinezza al suo ministero
Marco Antonio Barbarigo nasce a Venezia il 6 marzo 1640. La sua è una fanciullezza serena, nutrita dall’amore dei genitori e dall’educazione dei maestri, i quali contribuiscono in modo determinante alla formazione della sua futura personalità.
La sua vita si snoda attraverso tappe davvero provvidenziali anche se, apparentemente, tutto sembra rientrare nella normalità degli eventi.
A venticinque anni indossa la toga dei patrizi ed entra di diritto a far parte del Gran Consiglio della Repubblica Veneta.
Tuttavia, il segno esteriore della sua nobiltà non lo fa sentire diverso dagli altri, nè lo distoglie dai suoi impegni religiosi e dal servizio della carità. Il giovane Marco Antonio si lascia condurre dalla mano paterna di Dio; “cresce lungo il cammino il suo vigore” mentre gli si apre in chiarità di luce l’orizzonte della vita.
Vediamo così passare il giovane Marco Antonio come una meteora dalla brillante carriera politica nella Repubblica Veneta al “ministero sacerdotale”.
Alla scuola di San Gregorio Barbarigo, - Vescovo e Cardinale, grande riformatore della vita culturale e pastorale a Padova – che lo vuole suo collaboratore, Marco Antonio consolida le sue scelte, rafforza i suoi principi, cresce nella carità pastorale ed acquisisce una larga esperienza nel settore catechetico.
I due si stringono insieme nella più bella e costruttiva amicizia: ciascuno è per l’altro, quel l’amico che la Bibbia definisce Tesoro, tetto fedele, balsamo della vita. Gregorio non indugia a riconoscere nel giovane la ricchezza interiore ed a presagirne un futuro promettente.
A Padova Marco Antonio segue spesso il Cardinale Gregorio nelle visite pastorali; insieme danno vita a numerose scuole della Dottrina Cristiana al fine di liberare l’uomo dall’ignoranza religiosa. Attratto dalla personalità e dalla testimonianza di vita del Santo, Marco Antonio ne fa lo specchio della propria vita, il modello ideale. Ne ricalca le orme nel servizio della carità e nello spirito di orazione.
Nel 1678 viene nominato Arcivescovo di Corfù da Papa Innocenzo XI; Marco Antonio Barbarigo è ormai pronto per esercitare un’efficace attività apostolica. Si prepara alla consacrazione episcopale in clima di intensa preghiera, nel corso della quale stila un nuovo ed impegnativo itinerario spirituale mettendo al primo posto la santità della propria vita, quella dei sacerdoti e quella del popolo cristiano “come misura della vita cristiana ordinaria”.
Quando accetta la nuova sede di Corfù, al Barbarigo si apre un campo di lavoro vasto e complesso dovuto all’estensione dell’isola ionica ed alla presenza in essa del pluralismo religioso – culturale. Qui l’attività di Marco Antonio è superiore alle attese: egli rivolge le cure di pastore alla formazione del clero ed all’insegnamento della Dottrina Cristiana.
La sua sensibilità lo spinge a prodigarsi con i più deboli, i poveri, i carcerati e gli ammalati, ai quali offre assistenza materiale e spirituale.
Successivamente, spiacevoli controversie storiche, generate dall’ambizione dei governi, segneranno per lui l’ora della croce.
Costretto ad abbandonare Corfù e rifiutato persino dalla sua patria, la Repubblica Veneta, Marco Antonio sa prontamente e con dignità accettare l’obbedienza che lo chiama a stabilirsi nella Curia Romana. Ciò significa il duro distacco dal suo popolo e la dolorosa rinuncia all’intensa attività apostolica.
Papa Innocenzo XI ammirando la fortezza e la rettitudine di questo suo prelato che, per la difesa delle “cose di Dio” non ha esitato né temuto di incorrere nelle ire dei governanti, il 2 settembre 1686 lo eleva alla Porpora Cardinalizia con il possesso del titolo di Santa Susanna.
Le diocesi di Montefiascone e Corneto, ultime sedi di Marco Antonio Barbarigo, sono le nuove terre destinate a ricevere largamente il dono della ricca esperienza accumulata negli anni vissuti a Padova e nell’isola di Corfù.
I biografi del Barbarigo, nell’attestarne la multiforme attività, danno la dimensione della pastoralità eccezionale di questo uomo, in cui sono inscritte l’umanità di un cuore aperto alle miserie umane, la sollecitudine di un Padre che non si concede sosta, il coraggio del profeta che, spezzando gli schemi convenzionali, denuncia le piaghe morali della società del suo tempo, nonché tutto il dinamismo e l’impazienza dell’uomo di Dio.
Con l’ingresso nella Diocesi falisca, avvenuto in ottobre 1687, il Cardinale Marco Antonio Barbarigo, profondamente consapevole della responsabilità affidatagli scrive:”la Chiesa di Cristo non è un giardino di riposo ma una vigna di lavoro” ed è la piena consapevolezza del ministero pastorale che lo accompagnerà fino all’estremo delle forze, e non gli consentirà di pagare il pedaggio della stanchezza, e tanto meno di mettere il freno all’audacia dello Spirito che lo spinge al “largo”, verso l’inedito che si rivela sempre solo all’approdo di un cammino sofferto, ma fedele.
La diffusa corruzione dei costumi del tempo non lascia riposo al Barbarigo: attraverso un preciso programma pastorale e con l’ausilio delle “Missioni Popolari”, egli trasforma la diocesi in una “vigna deliziosa”, feconda di frutti di conversione e carità.
Terminate le Missioni al popolo, nella città di Montefiascone, l’instancabile Cardinale Marco Antonio Barbarigo si dedica alla cura dei sui sacerdoti che, in buona parte, influenzati dalla vita gaudente della Corte dei Farnese trascurano gli impegni del proprio ministero. In fedeltà al Concilio di Trento che impone alle Diocesi l’opera dei “seminari quali vivai idonei a formare dei sacerdoti validi”, il Cardinale ne fa costruire uno, ampio e funzionale. Per questa opera mette in gioco tutte le sue forze e le sue risorse, imponendosi grossi sacrifici, la sua mente moderna, aperta agli orizzonti dello spirito, nonché l’amore per la cultura, lo porta ad accogliere nel seminario anche i giovani laici, molti dei quali diventeranno uomini insigni, e daranno lustro a quel seminario che sarà apprezzato in tutta Europa.
Un altro grande sogno del Cardinale Marco Antonio Barbarigo è quello di aprire nella sua Diocesi le Scuole della “Dottrina Cristiana” per istruire le fanciulle del popolo che vivono nell’abbandono e nella più assoluta miseria. Nel realizzare questa Opera delle Scuole Pie, il Barbarigo porta a compimento un progetto celato agli occhi dell’uomo, ma scritto da sempre sull’agenda di Dio.

L’incontro con Lucia Filippini
Nel gennaio 1688 il Cardinale Marco Antonio Barbarigo, in occasione di una sua visita pastorale a Corneto (attuale Tarquinia) incontra la giovane Lucia Filippini. Dotato di intuito profetico percepisce che potrà contare sulla giovane per realizzare i suoi molteplici progetti apostolici, per cui la invita a completare la formazione presso il monastero di Santa Chiara in Montefiascone. Il Barbarigo scoprirà in Lucia la discepola fedele, la Figlia prediletta, la Maestra per le sue Scuole, la pietra d’angolo su cui poggiare le fondamenta di una nuova istituzione per la Chiesa.
Le Scuole della “prima ora” (1692) vedono protagonista, assieme al Cardinale Barbarigo, Rosa Venerini, la quale agisce “sotto l’indirizzo e secondo le idee dello stesso Cardinale.
Non va però dimenticato, per non perdere di vista il filo misterioso della Provvidenza, che Lucia Filippini allora è appena ventenne e vive il tormento della scelta di vita nel Monastero di santa Chiara.
Storicamente è certo che il Barbarigo, avendo ideato le Scuole, ha anche pensato di dar vita ad una Famiglia di Maestre, di cui Lucia Filippini, partecipando al suo carisma di fondazione, sarebbe stata poi Madre e formatrice. Ne sarebbe potuto essere altrimenti, dal momento che Rosa Venerini, previa intesa con il Cardinale avrebbe fatto ritorno alla sua Scuola di Viterbo.
I risultati ottenuti con la Scuola di Montefiascone da subito si rivelarono entusiasmanti e per questo motivo il Cardinale pensa di aprirne altre, nei vari paesi delle sue Diocesi. Per fare ciò si rende necessario fondare una congregazione di Maestre Pie. Il carisma di ogni fondatore è sempre carico del dono della profezia. Il cardinale Marco Antonio Barbarigo, infatti, fu l’uomo dall’occhio penetrante, capace di scrutare il piano di Dio in maturazione della storia.

Scuola Maestra di vita
In un contesto sociale, nel quale la donna del popolo è emarginata, il Barbarigo riapre le pagine più belle della storia della Chiesa, con le sue insigni figure di Vergini dedite ad una multiforme attività caritativa ed apostolica, sognando così le sue future Maestre.
Questa convinzione profonda lo spinge ad inventare il nuovo, e cioè, una forma di vita attiva nella Chiesa, un Istituto di consacrate apostole.
La fiducia che il Cardinale ripone in Lucia Filippini è illimitata. Marco Antonio Barbarigo sa bene che per condurre ad una vita degna le numerose giovani allo sbando nella miseria e nell’abbandono, ha bisogno della carismatica parola e dall’alto esempio di virtù che Lucia è capace di offrire. Proprio perché dotato del carisma di fondatore il Cardinale ha un cuore di padre.
Egli è Padre nel senso più vero del termine; è guida nel cammino di spirito, assolvendo così ad uno ad uno dei compiti prioritari nel suo ministero pastorale. La sua paternità abbraccia la persona delle sue figlie non solo nella dimensione spirituale, ma anche umana.
Se i poveri sono “i suoi signori”, le Scuole sono “la pupilla dei suoi occhi”. L’opera delle Scuole Pie si rivela motivo di grande soddisfazione per il Barbarigo, il quale riconosce sempre in Lucia Filippini il perno fondamentale delle Scuole da lui fondate. Con vero senso anticipatore dei tempi, egli vede la Scuola come ambiente di vita, palestra di formazione di valori autentici, strumento di promozione umana e cristiana.
Marco Antonio Barbarigo esalta la dignità della donna emarginata riconoscendole un ruolo attivo nella comunità cristiana.
Egli avverte che la presenza e la collaborazione della donna contribuisce maggiormente alla fecondità della Chiesa.
Proprio questa convinzione sollecita il Cardinale a dare vita ad una famiglia di Maestre Consacrate.
Nella mente di Marco Antonio la santità della vita abilita le sue Maestre alla Missione; ogni altra qualifica ha innegabile valore solo se illuminata dalla sua bellezza.
Marco Antonio Barbarigo, suole significare con una immagine biblica, ciò che le Maestre Pie Filippini devono essere: “nuvole cariche di acqua per poterla riversare sulle anime della diocesi”. Per questa società la Maestra Pia deve farsi “nube” che rende visibile la presenza nascosta di Dio, “acqua” limpida che feconda e purifica, disseta e ristora.
Il Cardinale contro i mali del suo tempo, si muove con l’impeto dei grandi, coraggioso operatore che non conosce ostacoli Progetta continui interventi ed opere per i suoi fedeli, attento a non lasciarsi sfuggire la benché minima frangia di emarginazione. La passione di riformare e rinnovare è sempre finalizzata a far sentire la presenza e la sollecitudine della Chiesa.
Marco Antonio Barbarigo si spegne in concetto di santità il 26 maggio 1706. Avendo distribuito, secondo le varie esigenze e circostanze quanto gli era venuto per mano, senza trattenere nulla per se, muore povero e senza denaro per le esequie. Egli rimane un testimone di tutti i tempi: di ieri, di oggi e di domani; esempio luminoso di amore, grazia e carità nella dedizione della propria esistenza al servizio dei bisognosi.
Per ricordare il 3° centenario della morte del Cardinale Marco Antonio Barbarigo, dal 27 maggio 2006 al 2 giugno 2007 è stato indetto un ciclo di manifestazioni culturali e pastorali che si sono svolte a Tarquinia, Montefiascone e Roma.
Con decreto di SS. Papa Benedetto XVI datato 6 luglio 2007, il Cardinale Marco Antonio Barbarigo è stato dichiarato “Venerabile”.

Edmondo Barcaroli


- Bibliografia
Giovanni Marangoni, “Card. Marco Antonio Barbarigo”, Montefiascone 1930
Mafaldina Rocca. “Cardinale Marco Antonio Barbarigo”, Roma 1989


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MOSTRE DI IMMAGINETTE SACRE

 

LOVERE (BG),13-20 Maggio 2007 – Mostra “LA SANTITA’ RAFFIGURATA NEI SECOLI –
Stampe e santini dal XV al XX secolo”.


A Lovere si è chiusa il 20 maggio u.s. la bella mostra del socio ENNIO BELOTTI, che l’ha allestita con proprio materiale, nell’Aula Capitanio presso l’Istituto delle Suore di Maria Bambina. L’esposizione, inaugurata il 13 maggio 2007, aveva come tema:
“La santità raffigurata nei secoli – Stampe e santini dal XV al XX secolo”.
Riportiamo un articolo di Luisa Cantamessa della pubblicazione “Alto Sebino” del maggio scorso:

I SANTI FESTEGGIANO LE SANTE

Lovere: nel conventino, in mostra la collezione di santini di Ennio Belotti. Alcuni sono del ‘700.
Ennio Belotti è sicuramente già noto a molti loveresi. Persona mite e gentile, persino un po’ naif, Ennio trasmette un sorprendente entusiasmo e cultura per l’arte. Oltre ad aver accompagnato tanti turisti in visita alla Basilica di Santa Maria, da qualche anno ha un’altra grande passione: è collezionista di stampe e santini antichi.
Come è nata la tua passione per l’iconografia sacra?
La passione nacque dodici anni fa, dopo essere rimasto in coma in seguito ad un incidente.
Al risveglio ho visto le cose sotto un’altra luce e da quel momento, cioè dal ’95, ho iniziato a visitare Assisi, Roma e altri luoghi significativi dal punto di vista della fede: qui vedevo queste immaginette e la gente che le collezionava. E così mi sono appassionato anch’io”.
Ha già allestito delle mostre?
“Sì. Una nel 2000 a Lovere al Convitto Cesare Battisti e, più recentemente, dall’1 all’8 gennaio 2006, alla chiesa di Pescarlo, sopra Cemmo, dove ho registrato quasi 400 persone di presenze. Per questa mostra hanno pubblicato un articolo sulla Circolare Informativa dell’AICIS. Dal 13 al 20 maggio si terrà, dalle Suore del Conventino di Santa Maria Bambina, una mostra di mie incisioni, stampe e santini dal XV al XX secolo dal titolo “La santità raffigurata nei secoli”. Una sezione sarà dedicata alle Sante di Lovere, visto che quest’anno ci sarà il duecentenario della nascita di Santa Bartolomea Capitanio”.
Come e dove te le procuri?
“Ne avevo già alcune a casa, erano di mia mamma. Ho iniziato ad andare sempre a Messa dopo l’incidente e tanti santini e stampe sacre me li regalavano qui.
Ne ho raccolti a migliaia, soprattutto grazie ai frati e alle suore. Inoltre sono iscritto all’A.I.C.I.S. (Associazione Italiana Cultori Immaginette Sacre), un’associazione senza scopo di lucro, con sede a Roma, nata nel 1983 grazie a Gennaro Angiolino.
Ho molte corrispondenze: se io li ho doppi li invio ad altri e ci scambiamo le immagini, così arricchisco la mia collezione. E’ uno scambio di cultura tra persone di ogni età che non costa cara e dà molta soddisfazione personale”.
Quanti ne hai collezionati?
“Per quel che riguarda i santini, ne possiedo ventimila pezzi che vanno dal 1700 al 1900.
E tra stampe ed incisioni ne ho cinquecentottanta, con nomi di grandi incisori del Cinquecento e del Seicento come Marcantonio Raimondi e Giovanni Battista Piranesi. Quest’ultimo era uno dei più grandi artisti del Settecento, era incisore, architetto, scultore, e realizzò originali serie di incisioni caratterizzate da una ricchezza di effetti chiaroscurali; tra le sue opere più famose ricordiamo “Carceri d’invenzione” nel 1760 e “Vedute di Roma” nel 1748-75, che raffigura il periodo aureo della capitale. Nella mia collezione vi sono pezzi di grande livello artistico”.
Quali sono le caratteristiche del santino?
“L’origine della stampa risale al 1454; da quella data anche la stampa sacra si sviluppa notevolmente. Per la Chiesa l’immagine era uno strumento fondamentale per avvicinare il popolo a Dio e al suo messaggio di fede. Nel 1600-1700 nascono i “canivet”: immaginette intagliate a mano con temperino (canif). Sono santini fatti a mano, traforati con le foglie oro, realizzati su carta o su pergamena. Più tardi comparvero i santini a punzone, sempre traforati, che nacquero in Germania, ma ebbero la loro massima espansione in Francia”.
E delle stampe?
“L’incisione a stampa si distingue, a seconda della tecnica utilizzata, in tre tipi: in rilievo, in cui l’inchiostro viene trasferito sulla carta dalle parti rilevate dalla matrice incisa (a questo tipo appartiene la xilografia); in cavo, in cui l’inchiostro viene trasferito sulla carta dai solchi della matrice di metallo (a questo tipo appartengono l’incisione a bulino, la puntasecca, l’acquaforte e l’acquatinta); la stampa, infine, può avvenire mediante il torchio calcografico che, esercitando una fortissima pressione, spinge la carta nei solchi inchiostrati”
Quali sono le tue immagini preferite?
“La stampa a bulino, che nasce nel Cinquecento, è a mio parere la tecnica più bella dal punto di vista estetico, e i santini traforati a punzone mi colpiscono molto. Sono santini devozionali che erano molto in uso nell’Ottocento per le funzioni della Chiesa (cresime e comunioni); era un’arte povera alla portata di tutti. Ho molte persone a cui dire “grazie”, in primis quelle che mi hanno dato la possibilità di condividere con altri la bellezza di questi piccoli capolavori. Credo che la passione non sia un punto d’arrivo ma sempre un punto di partenza per ogni progetto, grande o piccolo, si voglia realizzare”.


Luisa Cantalamessa

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CISLAGO (VA), 17 Giugno 2007 – Mostra “LE DONNE SANTE –
LA DEVOZIONE AL FEMMINILE”


Grande successo ha riscosso a Cislago l’esposizione di immaginette devozionali rimasta aperta un sol giorno: il 17 giugno scorso.
Il giornale locale: “Il NOTIZIARIO” del 22 giugno u.s. così ha commentato la mostra allestita da “Il Grappolo” e dal socio LUCIANO GALBUSERA:

BOOM DI VISITE PER LA MOSTRA SULLE DONNE SANTE
“Cislago – Nuovo successo dell’Associazione “Il Grappolo” che domenica scorsa ha allestito nel sottopalestra della scuola elementare la mostra di santini “Le donne sante – La devozione al femminile”.
Un’esposizione senza precedenti, che comprendeva un migliaio di immaginette sacre di donne sante dal 1600 al 1800, oltre a foto storiche e a due bacheche con crocifissi di Luciano Galbusera, un’altra bacheca con antichi messali collezionati da Carlo e Olga Mazzella e quadri di santi.
Si potevano visionare anche foto d’epoca di una processione religiosa tenuta al Santuario di Saronno nel 1925, messe a disposizione dalla Società Storica Saronnese e dall’Archivio del Santuario di Saronno. “Siamo molto soddisfatti dell’affluenza dei cislaghesi – commenta Luciano Galbusera. Il boom di visite c’è stato nel pomeriggio, quando sono avvenuti scambi tra collezionisti”.
Hanno esposto: Roberto De Santis, Enrica Graziani, Marcello Vendemmiati, Silvana Raimondi, Sergio Aglietti e Vito Liboni.
Un ringraziamento particolare a Francesco Lanzani, Renato Caironi e Abbondanzio Rimoldi”.

 

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RIVARA (MN), 7-9 e 14-15 Settembre – 5^ MOSTRA DEL“SANTINO”


Siamo venuti a conoscenza, tramite internet, che nei giorni 7-9 e 14-15 settembre u.s. dalle ore 21 alle 23, mentre domenica 9 dalle 9 alle 12 e dalle ore 16 alle 23, era possibile visitare la 5^ Mostra del Santino a Rivara in Piemonte, in provincia di Torino.
La mostra è stata allestita in un locale sito in Via degli Estensi 2070 nell’ambito delle manifestazioni relative alla “Sagra di Rivara 2007”.
Siamo lieti che tale dell’esposizione di immaginette sacre sia giunta alla quinta edizione: un segnale positivo anche questo, tra i tanti sparsi in tante piccole realtà della nostra Italia.


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ALBARE’ (VR), 8-9 Settembre 2007: Mostra di santini:
“LA SANTA CROCE – LA MADONNA NEL MONDO – SAN GIOVANNI BOSCO”


Buon successo ha avuto la mostra di 800 santini che, in occasione della festa dell’Esaltazione della Santa Croce (14 settembre), il nostro socio GIOVANNI ZENI di Caprino Veronese ha allestito per i giorni sabato 8 e domenica 9 settembre presso la Casa Salesiana “Istituto Sacro Cuore” di Albarè (Verona).
La croce è il segno della signoria di Cristo su coloro che nel Battesimo sono configurati a lui nella morte e nella gloria. Nella tradizione dei Padri la croce è il segno del figlio dell'uomo che comparirà alla fine dei tempi. La festa dell'esaltazione della croce in Oriente è paragonata a quella della Pasqua.
L’esposizione ha contemplato tre tematiche: -La Santa Croce - La Madonna nel mondo – San Giovanni Bosco”.


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BASSANO DEL GRAPPA (VI), 15 Settembre 200 7- 20 Gennaio 2008
Mostra “I SANTI DEI REMONDINI. Immagini devozionali della famosa famiglia di stampatori attiva a Bassano del Grappa dalla metà del ‘600 all’800”.

A Palazzo Sturm di Bassano del Grappa, è stata inaugurata il 15 settembre scorso (cfr. Circolare nr.285) la mostra sul tema “I santi dei Remondini”: immagini devozionali della famosa famiglia di stampatori attiva a Bassano del Grappa dalla metà del ‘600 all’800”.
Il Palazzo Sturm è il nuovo MUSEO REMONDINI, sede del Museo della Ceramica: raccolta cronologica della produzione bassanese. E’ una elegante dimora patrizia del '700, in riva al Brenta con vista sul Ponte Vecchio. Gli interni hanno stucchi e affreschi di G. Anselmi.

Riportiamo qui appresso il COMUNICATO STAMPA diramato in occasione della Mostra Temporanea.

“E’ naturale che la prima mostra temporanea del nuovo Museo Remondini sia dedicata ai “Santi”.
Le immagini devozionali furono una costante del catalogo remondiniano, dal Seicento e sino al 1861 quando l’impresa si spense.
Un “prodotto”, i Santi appunto, richiestissimo su tutti i mercati e non solo in quelli di tradizione e iconografia cattolica. Elementi di devozione, certo, ma anche parti di una precisa strategia educativa e comunicativa era alla base di questo fondamentale “ramo” dell’azienda bassanese. Sullo sfondo le ferree regole della Controriforma e la strategia dei Gesuiti, potentissimi assistenti-alleati-clienti dei Remondini in questo specifico settore.
Anche quando la Compagnia di Gesù venne cacciata dalla Spagna, i Remondini decisero di continuare a seguirne dettami, strategie, canali, certi di un suo ritorno in campo. Ovviamente i Remondini non ebbero il monopolio delle riproduzione dei Santi, pratica già vivace nel ‘400 e che ebbe il suo boom con l’affermarsi dell’arte della stampa. Rispetto ad altre Case, però, potevano contare su una produzione di differente formato, dai 12x8 al 60x80 cm e di conseguenza di differente valore, destinata a tutte le tasche e soprattutto sulla più estesa, fedele rete commerciale del mondo, venditori capaci di offrire immagini religiose a chiunque ne avesse necessità reale o suggerita. Immagini popolari, dai modelli aulici resi in tratti sommari ed abbelliti dai colori, ma che avevano il valore immenso della Fede.
I fogli dei Santi, per molti, avevano effetto taumaturgico e infatti vengono, con puntualità, registrate guarigioni miracolose dovute o favorite dall’imposizione di questo o quel Santo di remondiniana fattura. Episodi che riportati porta a porta da Tesini e Shiavoni avevano il loro effetto visto che i Santi trovarono acquirenti ovunque, compresi i territori di religione ortodossa.
Accanto alle diverse rappresentazioni della Vergine (diverse in relazione all’iconografia dei singoli Santuari di riferimento), i Santi più richiesti erano quelli tradizionalmente assunti a protettori: San Giuseppe, patrono dei falegnami nonché preclaro esempio di perfetto padre di famiglia, San Bovo e Sant’Antonio Abate, che non potevano mancare in ogni stalla o porticato di fattoria, San Giovanni Nepomuceno, che l’imagerie barocca associava ai ponti ed ai pericoli del fiume, che Bassano, in balia delle famose “brentane”, conosceva fin troppo bene. Ma soprattutto il “Grande Taumaturgo”, ovvero Sant’Antonio di Padova, patrono delle cose (e delle cause) perse, ovvero delle più difficili, comprese le malattie incurabili o più prosaicamente quella di garantire marito a fanciulle che inutilmente lo inseguivano da troppo tempo.
Popolari erano poi San Rocco, la cui devozione era associata al pericolo della peste e San Bartolomeo, più popolarmente San Bortolo, l’apostolo martirizzato attraverso l’atroce strappo di ogni lembo di pelle.
Ogni Santo veniva raffigurato con i suoi attributi di riferimento, elementi indispensabili di riconoscibilità: il gigli, il Bambino o il Libro per S. Antonio, il lungo bastone con il campanellino e il porcello per l’altro S.Antonio, l’Abate, e così via. Elementi che rendevano queste figure riconoscibili ovunque, al di là della raffigurazione del volto e al di là anche del nome e dell’invocazione che, benché scritta sull’incisione, nessuno o quasi sapeva comunque leggere.
Come ricorda Luigi Meneghello nel suo “Libera nos a Malo”, “la devozione prende naturalmente le forme della personalità.
I santini colorati con i fregi in oro, i libretti di preghiere, l’obolo per l’acquisto dell’anima di un negretto, la coroncina nell’astuccio d’argento, il velo nero ricamato: di queste cose era fatta la religione della zia Nina.
La mostra espone il vastissimo patrimonio di proprietà del Museo e alcune lastre in rame con i fogli realizzati. 46 di questi, di grande formato, sono esposti sui tavoli, altri (137) saranno all’interno di cassetti estraibili che il pubblico potrà azionare manualmente e da solo scegliendo i soggetti che più lo interessano. Il sistema consente al visitatore di evitare la sequenzialità noiosa di numerosissime immagini e di apprendere indirettamente le ragioni per le quali il patrimonio su carta non è esposto continuamente nei musei”.

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BOLOGNA, 15-16 Settembre 2007 – Mostra di immaginette devozionali:
“IL SANTO BAMBINO E LA VERGINE MARIA”


A Bologna, nell’ambito delle Celebrazioni all’Osservanza della terza domenica di settembre, è stata quest’anno ripetuta la mostra organizzata a Natale dall’Opera Pia “Il Pane di Sant’Antonio” diretta dalla socia Dr.ssa Mara Andreotti con la collaborazione del C.E.I.S. – Collezionisti Emiliani di Immaginette Sacre di Bologna - sul tema “Il Santo Bambino e la Vergine Maria” (cfr.Circolare Informativa nr.281, pag.47).
Nel giorno inaugurale, un ciclostilato a firma della dr.ssa Zita Zanardi, della Soprintendenza per i Beni librari e documentari della Regione Emilia-Romagna, diretto ai visitatori recita: “Il Santino è un significativo documento delle tradizioni e degli usi del passato e come tale mantiene il diritto di diffusione e conservazione che ancora oggi dimostra di possedere, considerando che è a tutti gli effetti un vero e proprio ‘oggetto di antiquariato’. Ma oltre a questo, non è affatto secondario – anzi – il suo valore di bene culturale, per i vari aspetti artistici che riunisce, dalla qualità della carta a quella delle tecniche di incisione adottate per la sua esecuzione.
Tant’è che, se è vero che le raccolte più ricche e preziose di santini e immaginette devozionali, sono quelle di collezionisti ed enti privati, è altrettanto vero che anche istituzioni pubbliche, come musei e biblioteche, ne possiedono in notevole quantità.
Essi rientrano nella categoria di quel materiale a lungo e a torto definito ‘minore’ e sta riacquistando ora il suo giusto valore, con la conseguente necessità di venire ordinato e catalogato, per poter essere poi meglio conservato e anche messo a disposizione di chi, per studio o per semplice passione, intende esaminarlo e/o possederlo.
L’interessante mostra che si inaugura oggi, nell’ambito delle celebrazioni dell’Osservanza, permetterà di ammirare alcuni degli affascinanti esemplari raccolti nel corso degli anni da Padre Sebastiano Pazzini e che oggi costituiscono uno dei preziosi tesori – insieme con libri, oggetti e arredi – dell’Ordine francescano della Provincia minoritica di Cristo Re, custoditi nella storica e suggestiva sede del Convento di San Paolo in Monte dell’Osservanza.
Ad essi si aggiungono eccezionalmente alcuni pregevoli pezzi (già ammirati in occasione della mostra organizzata lo scorso Natale presso la Chiesa del Ss.Salvatore di proprietà di Alberto Bizzocchi e Filippo Briccoli.
Questa occasione espositiva concorrerà sicuramente ad attirare ulteriormente l’attenzione su questo prezioso e significativo materiale e a raggiungere l’obiettivo di valorizzarlo e conservarlo al meglio, come esso sicuramente merita.

Zita Zanardi

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CANNETO SULL’OGLIO (MN), 30 Settembre - 14 Ottobre 2007 –
Mostra “Ss. Fabiano e Sebastiano, S. Francesco e S. Luigi Gonzaga


Il socio FRANCO BISLENGHI di Canneto sull’Oglio (Mantova) ha allestito dal 30 settembre al 14 ottobre una mostra di immaginette religiose presso la Palestra della Casa di Riposo in Piazza Gramsci sul tema: “I Santi Patroni Fabiano e Sebastiano, San Francesco e San Luigi Gonzaga”.
Hanno partecipato all’esposizione oltre FRANCO BISLENGHI con il proprio materiale collezionistico anche la Dr.ssa FRANCESCA CAMPOGALLIANI CANTARELLI di Mantova e RENZO MANFE’ di Roma.
I visitatori hanno apprezzato e sottolineato l’interessante materiale esposto.


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BOLOGNA, 28/31 Ottobre 2007– Mostra di immaginette:
“Una catechesi sul Battesimo attraverso i ‘santini’”.


Il 31 ottobre scorso, a Bologna, ha chiuso una bella esposizione di immaginette sacre di Ersilia Corsini e Duilio Gennari, nel Chiostro della basilica di santo Stefano.
Riportiamo a commento l’articolo di Stefano Andrini su “Avvenire” del 27.X.2007.

Bologna, catechesi con i «santini»


Una catechesi sul Battesimo attraverso i «santini». È questa la proposta della mostra, promossa dal Centro studi per la cultura popolare e dai monaci benedettini olivetani che domani alle 16.30 apre i battenti nel chiostro della basilica di Santo Stefano a Bologna.
L’originale esposizione, realizzata da Ersilia Corsini e Duilio Gennari, accende i riflettori sulle piccole immagini devozionali, un tempo diffusissime in tutte le chiese ed oggi oggetto di appassionato collezionismo.
«Il nostro obiettivo – spiegano Fernando e Gioia Lanzi del Centro studi per la cultura popolare – è di richiamare la funzione originaria delle immaginette. Che è quella di fare compagnia alle nostre preghiere, offrire modelli di vita che il cuore desidera seguire.
Semplici e solenni insieme, i santini si presentano, se letti con attenzione, come sintesi della vita stessa dei santi, identificati attraverso i simboli e i segni che li distinguono, poiché raccontano il loro martirio, le loro virtù, il loro carisma».
«Con questo allestimento – proseguono i due studiosi – vogliamo illustrare gli effetti del dono del Battesimo attraverso i suoi frutti nei santi, in coloro cioè che da Gesù si sono lasciati coinvolgere.
Ne viene presentata una serie esemplare che va dagli apostoli ed evangelisti a Maria Goretti, Pier Giorgio Frassati, Riccardo Pampuri: vediamo alcuni fra i martiri, i fondatori di Ordini, i sovrani, gli uomini e le donne della carità, dell’assistenza, della società».
Tutti, aggiungono «sono dimostrazione persuasiva della vita nuova che nasce dal Battesimo e che, sviluppandosi e dispiegandosi, abbandonandosi a Dio, conduce ad un destino il cui orizzonte è la santità, in cui le varie umane capacità si esprimono, centuplicate e rese efficaci dalla Grazia».
I «santini» esposti, raccolti non solo grazie a collezionisti ma anche ad un passaparola tra chi ha visitato la mostra nelle passate edizioni, sono circa 150. Tra le curiosità un sant’Ignazio di Loyola che arriva direttamente dagli Stati Uniti, la serie completa degli apostoli e delle frasi del Credo abbinate a ciascuno di loro e un’immaginetta di Stefano d’Ungheria. Per i curatori c’è anche un rimpianto: non aver trovato il santino di Olaf di Norvegia. Due le finalità della mostra (che rimarrà aperta fino al 31 ottobre dalle 9 alle 12 e dalle 15.30 alle 18): sostenere l’intervento chirurgico di una ragazza albanese gravemente ammalata e il monastero benedettino olivetano in Ghana.
(Fonte: Avvenire, Sabato 27.X.2007)

Stefano Andrini

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MILANO, 18 Novembre 2007 – Mostra di santini sul tema:
“LA RELIGIOSITA’ DEL MONDO CONTADINO”


Domenica 18 Novembre 2007, alle ore 16.00, in Milano, presso la Cascina LINTERNO – Via Fratelli Zoia, 194 il socio LORENZO PERRONE di Milano presenterà una Mostra di Immaginette sacre sul tema “LA RELIGIOSITA’ DEL MONDO CONTADINO”.
La Cascina, attuale sede dell’Associazione culturale “Amici della Cascina Linterno” - prototipo di un’antica “corte chiusa” lombarda del 1700 con i suoi terreni agricoli originari che ancora conserva - bene si ambienta ad una Mostra che, attraverso l’iconografia di Immaginette sacre, vuole ricordare all’uomo moderno come la religiosità popolare del mondo agricolo, seppure, talvolta, frammista alla superstizione, è stata un veicolo di trasmissione orale delle tradizioni cristiane legate ad una fede naturale sentita come un bisogno materiale di prima necessità.
A titolo informativo, la Cascina Linterno è anche un reperto storico perché risulta che sia stata la casa di campagna di Francesco PETRARCA dove, nei suoi soggiorni milanesi, si rifugiava alla ricerca della quiete nella sua “ diletta solitudine”.

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OLGIA DI RE (VB) 16 Dicembre 2007-31 Gennaio 2008
Tema: “PULIZIA DEI CUORI - Natale 2007, il simbolo – “Dove vai con vil granata (o mio Gesù)?


Il socio LUIGI PATRITTI di Olgia di Re (Verbania) inaugurerà il 16 dicembre nella locale Chiesa una mostra di immaginette devozionali del periodo 1700-1900 sul tema indicato sopra.
La mostra chiuderà ai visitatori il 31 gennaio 2008.

 

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ANNIVERSARI


3 OTTOBRE: BEATO DOMENICO SPADAFORA

NEL GIORNO DELLA FESTA LITURGICA DEL 3 OTTOBRE
LA FAMIGLIA DOMENICANA DI SICILIA RICORDA IL BEATO SPADAFORA


A Venetico Superiore, in provincia ed Arcidiocesi di Messina, mercoledì 3 ottobre, la Famiglia Domenicana di Sicilia e le comunità ecclesiali e civili di Randazzo e Maletto (Catania), di Spadafora (Messina) guidate dai rispettivi parroci e sindaci hanno reso grazie al Padre per aver donato all’Ordine Domenicano, alla Chiesa e alla Sicilia l’esempio di vita cristiana del Beato Domenico Spadafora nel giorno della festa liturgica siciliana.
Il pellegrinaggio regionale è stato organizzato da fra’ Giovanni Calcara op, responsabile del Laicato domenicano nell’Isola, che ha presieduto la Santa Messa di ringraziamento in onore del Beato con i confratelli domenicani e i sacerdoti del Vicariato di Venetico, nella cui matrice si trova la cappella gentilizia dedicata al Beato Domenico, vissuto nel secolo XV e figlio del barone Giovanni di Maletto appartenente ad una nobile famiglia bizantina trasferitasi da Costantinopoli a Venezia e successivamente in Sicilia.
Alle celebrazioni curate dall’arciprete padre Nino Merlino ha partecipato il sacerdote polacco padre Cristoforo Bialowas, nativo della Metropolia di Varsavia e formatosi alla vita francescana e al sacerdozio in quella di Cracovia, parroco in Sassofeltrio e già parroco in Montecerignone di Pesaro - nel cui convento domenicano annesso alla chiesa “S. Maria delle Grazie” visse fino alla morte il santo frate predicatore taumaturgo- e postulatore della Diocesi di San Marino Mon tefeltro della causa di canonizzazione del Beato del quale, al termine della Santa Messa, è stato benedetto un busto opera degli scultori Vincenzo e Nicola Abate di Roccavaldina.
Dopo l’apertura del processo di canonizzazione si è creato un rapporto tra la città di Randaz zo, dove il Beato nacque nel 1450, Montecerignone e l’Ordine dei Frati Predicatori di Sicilia: ogni anno, nella seconda domenica di settembre, parte un pellegrinaggio dalla Sicilia – in modo particolare dai comuni di Randazzo, Maletto, Spadafora e Venetico che sono legati per la loro storia alla famiglia Spadafora e a vario titolo al culto del Beato - al la volta della cittadina marchigiana per partecipare ai festeggia -menti in suo onore. Ogni anno le quattro comunità civili del Val Demone dell’area catanese e messinese, il 3 ottobre, compiono un pellegrinaggio itinerante per onorare la memoria del Beato nei luoghi dove nacque e operò la sua famiglia diffondendone il culto.
All’omelìa della solenne Concelebrazione Eucaristica padre Calcara ha tratteggiato la figura del Beato, esaltando l’esigenza della santità, cioè di scoprire l’identità cristiana come vocazione naturale alla santità, poiché i santi, come dice la “Lumen gentium” sono segni luminosi per guidare il popolo di Dio alla piena coscienza della sua missione sacerdotale, profetica, regale.
Il Beato, educato dai Frati Domenicani, si recò a Palermo per proseguire gli studi e vestire l’abito religioso nel convento di Santa Zita, lasciando il suo stato sociale aristocratico per abbracciare l’ideale domenicano proposto dal Beato Pietro Geremia, maestro dei novizi che accolse come suoi allievi altri due beati siciliani: Giovanni Liccio da Caccamo (Palermo) e Bernardo Sciammacca da Catania. Per la vivacità della mente e per l’impegno nella vita monastica venne inviato a Perugia e poi a Padova.
Nel 1479, venne ordinato presbitero e ottenne il titolo di baccelliere. Partecipò a Venezia al Capitolo generale e divenne maestro di Teologia. Il Padre Generale, Gioacchino Torriani, lo scelse come collaboratore e lo associò alla riforma dell’Ordine. Nel 1491, il Vescovo di Montetefeltro Celso Mellini e Montecerignone richiesero una comunità di frati per l’educazione della gioventù. Padre Domenico, insieme ai compagni, arrivò in località Fontebuona dove esisteva una collinetta dedicata alla Madonna delle Grazie ed iniziò la costruzione della chiesa.
La vita di Domenico era molto intensa: preghiera, digiuno, studio e Messa cantata ogni giorno, così per 30 anni. Quando sentì vicina la sua ora, celebrò con somma devozione la S. Messa, radunò il Capitolo e tenne ai confrati un lungo discorso per esortarli allo studio, alla mutua carità, alla regolare osservanza, alla pratica delle virtù.
Chiese i sacramenti e mentre i frati cantavano la “Salve Regina”, al tramonto del 21 dicembre 1521, come aveva predetto, la sua anima volò in cielo.

Antonino Blandini
(ARTICOLO de L’Osservatore Romano di sabato 13 ottobre 2007 pag. 4)


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10 DICEMBRE: FESTA DELLA MADONNA DI LORETO


Confermata l’autenticità della Traslazione della Santa Casa
Nella notte dal 9 al 10 dicembre 1294, la Santa Casa sarebbe traslata dagli Angeli a Loreto, nelle Marche, dalla Croazia dove era improvvisamente comparsa tre anni prima, nel 1291.
Una iscrizione in merito è stata ritrovata dipinta sopra una antichissima tavoletta posta nella S. Casa. Essa viene riportata e citata dal Beato Giovanni Spagnoli, Carmelitano, nella Relazione che egli pubblica nel 1479.
Nella tavoletta, apparentemente posta nella S. Casa nel 1329 dal Vescovo di Macerata, Moluzio, è descritta la storia della traslazione e si afferma che la stessa Vergine, nel 1296, ha rivelato a un santo Eremita che la umile casa comparsa dal nulla a Loreto altro non è che l’abitazione della S. Famiglia di Nazareth.
Il Teramano nella sua "Relazione" pubblicata verso il 1464 dà le medesime notizie.
Ma altri documenti del 1300 parlano della Chiesa di S. Maria di Loreto, meta di pellegrinaggi da tutta Europa. Una bolla di Papa Clemente V, del 1310; una sentenza del Giudice di Macerata, del 1315, con i depredatori della S. Casa e dei pellegrini che ad essa si recavano. Ciò indica che la Casa era considerata come un Santuario venerato e famoso. E una causa, un fatto nuovo doveva avere richiamato le folle dei pellegrini.
Difficilmente i fedeli potevano essere attirati da quattro rozze pareti e da una statua che avrebbero potuto trovare in qualsiasi altro luogo, se della loro origine e storia non avessero avuto notizie precise ed attendibili.
Nel "Rosarium" di Santa Caterina da Bologna (1413-1463), un testo redatto dalla santa nel 1440 (circa trenta anni prima della narrazione della “Translatio miraculosa” riportata dal Beato Giovanni Spagnuoli e da Pier Giorgio di Tolomei, detto il Teramano), viene riportato "per rivelazione soprannaturale del Signore" la vicenda storica della “miracolosa traslazione” della Santa Casa di Nazareth. Santa Caterina da Bologna in quel testo mostra di colloquiare direttamente con Gesù, apparsogli “per grazia”; ella infatti scrive: “In questo giorno (il 25 marzo 1440), tu, o Signore, hai rivelato a me, apparendomi per grazia… ”.
Poi, dopo aver riportato “la rivelazione” che fra quelle Sacre Pareti di Loreto la Vergine Maria fu “concepita” Immacolata ed ivi “nacque”, descrive sinteticamente le varie successioni del “trasporto angelico” della Santa Casa di Nazareth, secondo come “rivelatogli” da Gesù durante l’apparizione.
“Qui gli Angeli innalzarono il Santo Albergo, - che già Maria col santo Figlio accolse, - e il portar sovra i nembi e sovra l'acque. - Miracol grande a cui sollevo ed ergo - La mente che altro obbietto a terra volse, - mentre dai suoi pensier oppressa giacque. - Questo è quel monte che onorar ti piacque - delle tue sante mura, - Vergine casta e pura - del Re dei regi... ».
Questi versi, modesti di fattura e che però testimoniano una sincera partecipazione d'animo, sono stati dettati da Torquato Tasso, in occasione di un suo pellegrinaggio alla Santa Casa di Loreto. Il grande poeta epico, autore della Gerusalemme Liberata, è stato uno dei mille e mille pellegrini che hanno voluto rendere omaggio a quella che reiterate testimonianze hanno considerato la dimora terrena della B. Vergine, e perciò il luogo in cui, con l'annuncio dell'Angelo, avvenne il prodigio dell'Incarnazione del Verbo.
Un altro poeta, ben più modesto, il monaco vallombrosano Bartolomeo, verso la fine del 1400 aveva redatto i versi seguenti:«Com'io vi dico, questa chiesa santa - camera fu della Vergin beata - sì come la scriptura aperto canta, dov'ella nacque e fu annunciata - in quella con Gesù sua dolce pianta - fin ch'ebbe dodici anni accompagnata - con lui in quella si posò e stette - nella città che è detta Nazarette ».
A conferma, ancora, della “veridicità storica” delle “miracolose traslazioni” della Santa Casa vi sono, poi, anche altri Santi che hanno dato la stessa importantissima testimonianza, sempre “per rivelazione soprannaturale”: come, ad esempio, la mistica tedesca Beata Anna Caterina Emmerich (1774-1824), che con le sue “descrizioni minuziose”, e tutte - nel riscontro - corrispondenti al vero, di “luoghi” in cui mai si era recata, fece ritrovare (dopo secoli di dimenticanza) anche la casa di Efeso ove la Vergine Maria trascorse gli ultimi anni di vita e ove morì e fu assunta in cielo anima e corpo.

Il Sommo Pontefice Benedetto XV, con Decreto del 24 marzo 1920, vigilia dell'Annunciazione del Signore, ha proclamato la Madonna di Loreto Patrona dell’Aeronautica Militare Italiana.

All’interno del Santuario di Loreto, nel rivestimento marmoreo della Santa Casa possiamo leggere questa iscrizione di Papa Clemente VIII:
"Ospite cristiano che qui venisti o per devozione o per voto, ammira la S. Casa Loretana venerabile in tutto il mondo per i misteri divini e per i miracoli. Qui nacque Maria SS. Madre di Dio, qui fu salutata dall’Angelo, qui s’incarnò l’eterno Verbo di Dio. Questa gli Angeli trasferirono dalla Palestina la prima volta in Dalmazia, a Tersatto, nell’anno 1291 sotto il pontificato di Nicolò IV.
Tre anni dopo, nel principio del Pontificato di Bonifacio VIII, fu trasportata nel Piceno, vicino alla città di Recanati, in una selva, per lo stesso mistero angelico, ove, nello spazio di un anno, cambiato posto tre volte, qui ultimamente fissò la sede già da 300 anni. Da quel tempo commossi i popoli vicini di sì stupenda novità ed in seguito per la fama dei miracoli largamente divulgata, questa S. Casa ebbe grande venerazione presso tutte le genti, le cui mura senza fondamenta, dopo tanti secoli, rimangono stabili e intere. Fu cinta da marmoreo ornato da Clemente VII l’anno 1534. Clemente VIII P.M. ordinò che in questo marmo fosse descritta una breve storia dell’ammirabile Traslazione dell’anno 1595.
Antonio M. Gallo Cardinale, Vescovo di Osimo e Protettore di S. Casa, la fece eseguire.
Tu, o pio pellegrino, venera con devoto affetto la Regina degli Angeli e la Madre delle grazie, affinché per i suoi meriti e preghiere, dal Figliolo dolcissimo, autor della vita, ti ottenga perdono delle tue colpe, la santità corporale e le gioie della eternità".

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14 dicembre 1927-2007: 80° Anniversario del decreto di
SANTA TERESA DEL BAMBINO GESU’, patrona delle missioni


Quest’anno ricorre una circostanza particolare: gli 80 anni dalla pubblicazione del decreto che ha dichiarato Santa Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo “Patrona delle Missioni”.
Il 14 dicembre 1927, infatti, la Congregazione dei Riti ha pubblicato il decreto con il quale, per decisione di Papa Pio XI, si dichiara “S. Teresina patrona speciale dei missionari, uomini e donne, esistenti nel mondo”.
Le si conferiva questo titolo “come era stato conferito a S. Francesco Saverio, con tutti i diritti e i privilegi che questo titolo comporta”, diritti e privilegi riguardanti il culto liturgico.
Il 1° ottobre u.s., nella Cappella del Palazzo di Propaganda Fide, il Segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, Sua Ecc. Mons. Robert Sarah, ha presieduto la Concelebrazione Eucaristica cui hanno partecipato sacerdoti, religiosi, religiose e laici della Congregazione e dei Segretariati internazionali delle Pontificie Opere Missionarie.
“Oggi siamo lieti di celebrare la festa di Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, Patrona delle Missioni e pienamente missionaria anche nella sua vita di clausura” ha detto Mons.Sarah nell’omelia. “Tutta la vita di S. Teresa di Lisieux è piena di Dio e del suo Amore, e ci spinge ad apprezzare la bellezza dell’unione intima con Dio, con Cristo, vissuta in una vita di preghiera contemplativa e di amore. Con S.ta Teresa impariamo non soltanto a camminare verso la nostra conversione, per diventare come bambini, ma impariamo soprattutto a mettere in rilievo il primato dell’Amore di Dio e la necessità della nostra risposta, personale e generosa, nella preghiera quotidiana e nella consacrazione totale del nostro essere a Dio”.
Santa Teresa viene, inoltre, proclamata da Pio XI “Protettrice della Russia” nel 1932, e Pio XII nel 1944 la affianca a Santa Giovanna d’Arco quale “Protettrice della Francia”.
Giovanni Paolo II nel 1997 a Parigi la addita come esempio a tutti i giovani del mondo nella XII Giornata Mondiale della Gioventù e il 19 ottobre dello stesso anno la proclama “dottore della Chiesa”.
Teresa Martin è una Santa cattolica amata e venerata anche da ortodossi e protestanti e onorata perfino nel mondo arabo. Un privilegio che condivide solo con S. Francesco d'Assisi.

Renzo Manfè


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SANTA MARIA DI FOLLINA

“Fino dagli inizi dei Cistercensi a Follina l’immagine della Beata Vergine era venerata nella chiesa dell’abbazia con grande culto ed affluenza di popolo ed era onorata con molti doni e tabelle votive”. Di eccezionale valore storico sono queste dichiarazioni degli “Annales Camaldulenses” riguardo alla Madonna di Follina ed al moto di fede e di devozione attorno a questa veneranda immagine.
Bisogna tener presente che San Bernardo aveva fermentato di amore e di devozione alla Madonna monaci e monasteri cistercensi in modo tale che ogni monastero veniva consacrato alla Beata Vergine, divenendo come “feudo” suo, ed ogni cistercense veniva classificato come il “monaco della Madre del Signore”.
Fu infatti San Bernardo da Chiaravalle a rendere popolarissimo il titolo dato alla Madonna come “Domina” e, cioè, Signora. Questo cantore e cavaliere di Maria scrisse molto, e pregò molto più ancora e la sua influenza nella devozione mariana si prolungò attraverso la storia della teologia e della spiritualità; specialmente i secoli XII e XIII sono tributari per l’amore alla Madonna di questo grande abate cistercense. Siamo quindi nel vero storicamente quando affermiamo che la fondazione di Follina è una fondazione pienamente “mariana” perché fondazione cistercense vuol dire fondazione mariana: per questo venne fondata nel nome di Maria, e battezzata subito, col nome di “Santa Maria di Follina”.
Di quale spirito mariano vibrasse allora la Comunità di Follina lo possono provare i diversi Codici Mariani che, a fine trecento, con oltre una settantina di altri Codici spirituali-culturali, facevano ricca la Biblioteca della Abbazia. Il monastero poi aveva, in sacrestia, un “Quinternus in bergomino”, in cui erano scritte le Messe Votive della Beata Vergine ed una forma lignea pro facendo figuras Beate Virginis.
Già dal secolo XI sul colle a sud-est del paese, nel luogo che ancor oggi si chiama Roncavezzai, una rozza edicola ospitava questa immagine della Madonna. La tradizione dice che mentre alcuni devoti stavano costruendo lassù una cappellina più degna della povera edicola, l’immagine della Madonna scomparve. Il mattino seguente venne trovata alla parte opposta del paese, ai piedi del monte, dove poi sorse il complesso abbaziale.
Riportata a Roncavezzai una seconda e una terza volta la si ritrovò ai piedi del monte che sovrastava il paese.
Fu dunque persuasione comune che la Madonna volesse avere la sua dimora in quel luogo, e non più lassù, sul prato di Roncavezzai, dove dal 1888 una lapide ricorda il miracoloso evento.
Quanta venerazione riscuotesse questa immagine della B. Vergine in quel luogo, prima ancora venissero i monaci, lo si può raccogliere dalla documentazione che il Cornaro riporta nel suo volume sulle “Apparizioni e celebri immagini della B. Vergine nella città e nel dominio di Venezia”, stampato a Venezia nel 1760.
Rifacendosi agli inizi della miracolosa immagine di Follina, egli afferma: ”innumerevoli erano i benefici e le guarigioni di ammalati, che accorrevano numerosi a pregare la Vergine Santa.”
L’immagine della Madonna di Follina è una statua in pietra grigia, l’iconografia si richiama alle espressioni bizantine e siriache. La Vergine è seduta ed il Bambino posa sul ginocchio: Lei porge con la sinistra una piccola ciotola, in cui il Piccolo vi intinge la mano.
Testimonianza d’una devozione ininterrotta nel corso dei secoli, sono i pellegrinaggi che risalgono a tempi antichissimi e che giungono da ogni parte di quelle plaghe, dalla Valmarenia, Quartier del Piave, Alpago-Lago di Santa Croce, Pedemontana del Friuli, Aviano.
L’epoca più movimentata di questi pellegrinaggi è quella di Pentecoste e questo per lunga tradizione di secoli. Non solo le parrocchie circonvicine, ma anche le più lontane della diocesi di Vittorio Veneto, Belluno, Treviso, Udine, sciolgono il loro voto annuale. Eccezionale rimane sempre nella storia del santuario di Follina, per folclore e per pietà, il Pellegrinaggio della regione dell’Alpago.
Si sa che i monaci Cistercensi tenevano in venerazione l’immagine della Madonna nel Coro, e che invece i Camaldolesi nel 1578 la trasferirono nella cappella laterale, a sinistra, detta di San Bernardo. La collocazione del benedetto simulacro sull’altar maggiore avvenne nel giugno 1918, per un voto emesso da tutto il paese. Ai primi di quel giugno 1918 i preparativi delle truppe austriache per passare al di là del Piave e sfociare nella pianura trevigiana andavano addensando sul popolo e sul paese di Follina ansie e timori di cose ancora peggiori.
Fu in questi momenti di trepidazione che il popolo di Follina volle affidare alla sua Madonna il suo avvenire con il solenne trasporto della immagine e con un voto, che fu sottoscritto dalle autorità e da tutti i capifamiglia. La battaglia della seconda metà di giugno sul Piave e sul Montello ebbe il valore di una battaglia decisiva e l’importanza di questa vittoria italiana segnò la data risolutiva nella storia di quella guerra mondiale. E la Vergine Santa di Follina salvò allora il suo popolo ed il suo paese. Non un morto, né un ferito provocarono difatti le 264 granate che caddero su Follina e tra le spose del paese non ci fu vedova alcuna, che tutte ebbero la grazia di veder ritornare dalla guerra il loro consorte.
Nel 1882 il vescovo di Ceneda, aveva chiesto ed ottenuto dal Capitolo Vaticano il decreto per l’incoronazione della Madonna di Follina, che non potè poi avvenire per impreviste circostanze.
La gioia di sì fausta incoronazione doveva essere riservata ai Servi di Maria, dal 1915 fedeli custodi di questo Santuario mariano. Con un altro decreto del 10 agosto 1921 il papa Benedetto XV elevava questo santuario mariano alla dignità ed al titolo di “Basilica”.
La solenne incoronazione della Vergine avvenne il 25.9.1921*,a conclusione di un ciclo di feste celebrate a compimento di quei restauri che, con un lavoro di tre anni, ridonarono all’insigne basilica trecentesca il suo splendore. Quella domenica il patriarca di Venezia, il card. Pietro La Fontane, con l’intervento di diversi vescovi ed alla presenza di una folla eccezionale, dopo solenne pontificale, alle ore 12 cingeva la fronte dell’antica immagine con la preziosa corona.

MARIO TASCA


(Errata corrige - Nel Notiziario 285, a pag.86, il titolo annuncia: “25.9.2007: 25° Ann.rio dell’Incoronazione” mentre invece quest’anno ricorre l’86° Ann.rio di tale Incoronazione).


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1907-2007: Serva di Dio TERESINA DI GESU’ OBBEDIENTE
nel 1° centenario della nascita

Quest’anno ricorre il 1° centenario della nascita di Sr. Teresina di Gesù Obbediente (al secolo Teresa Calvino), nata a Polla, in provincia di Salerno il 14.6.1907. A 11 mesi, il 12 maggio 1908, secondo la prassi del tempo, riceve la Cresima da Mons.Camillo Tiberio vescovo di Teggiano. Ha quasi otto anni quando, il 16,5.1915, si accosta all'Eucaristia, decidendo di: "farmi santa per stare più vicina a Te". E a 14 anni, il 4.6.1921, entra tra le "Figlie di Maria". "Sono figlia di Maria, il mio sposo è solo Gesù". L'8.XII. 1922, a 15 anni, emette il voto vittimale nelle mani del suo confessore, P. Parlato.
Due anni dopo: il 16 Ottobre 1924, parte da Polla per la clausura benedettina di Eboli, dove resterà per tre anni, maturando il suo itinerario religioso di silenzio e di nascondimento. Ma presto la sofferenza irrompe nella vitalità della sua esuberante giovinezza, distendendola sulla croce nuda dell'immolazione, tanto che il medico del monastero, sconsiglia a Teresina la vita di clausura.
A 20 anni, e suo malgrado, torna a casa mantenendo il suo contatto con il monastero, dove incontra Madre Teresa Quaranta e Suor Antonietta Galletta, Superiore delle Suore Missionarie del Sacro Costato, che la invitano ad entrare nella loro Comunità di vita attiva a Gravina di Puglia. Inizia il Noviziato il 14.X.1930 con il nome di Suor Teresina di Gesù Obbediente, e il 14 Ottobre 1931 viene ammessa ai voti. Dal 1930 al 1935 svolge il delicato compito di Maestra delle Novizie. Il 14.IX.1933 entra nel Noviziato Suor Liliana del Paradiso: un incontro determinante nella vita di Teresina, si apre davanti a lei l’orizzonte sconvolgente di una Nuova Opera.
Docile alla volontà di Dio, Teresina segue M. Liliana del Paradiso, fondamento di una nuova Opera nel mistico Corpo di Cristo: la Compagnia della Regina dei Gigli al Servizio della Chiesa, il cui carisma è la Purezza. In un contesto di fede e di silenzio ha inizio la Nuova Opera: 7 Febbraio 1935. A sigillo della sua mistica unione con Dio, il Signore permetterà che Teresina non abbia a vedere nulla, a raccogliere nulla: "Come dovrà essere luminosa l'Opera che Gesù vuole attuare per il trionfo della Sua Mamma. La vedo dispiegare le sue materne ali su tutta l'umanità... La vedo fiorire dovunque in una esplosione di luce e di amore" (Suor Teresina di G.O.).
A Napoli Teresina si aggrava e nel dicembre 1937 viene ricoverata all'ospedale "Elena d'Aosta", povera tra i poveri, in una corsia di sofferenza e di oblio. Dall'Agosto 1939 al Marzo 1940, Teresina è distesa sull'altare dell'immolazione quotidiana, martire di dolore e di amore, in un'offerta silenziosa e nascosta.
Dopo vari attacchi della malattia, dietro consiglio del medico, fa ritorno alla natìa Polla: è il 20 Febbraio 1940. Qui, assistita dalla sua mamma, muore piamente il 5 Marzo 1940, a 33 anni, come ella stessa, varie volte aveva predetto.
Sr.Teresina di Gesù Obbediente è il primo membro della Compagnia della Regina dei Gigli al Servizio della Chiesa, l’Opera fondata da Madre Liliana del Paradiso che ha come scopo la ricristianizzazione del mondo e il rinnovamento della Società attraverso la Bianca Regina dei Gigli e il suo Messaggio di Purezza.
Sepolta nel cimitero locale, viene esumata il 5.5.1947, su autorizzazione del Vescovo di Teggiano (Sa) Mons.Caldarola, e trasferita nel cimitero di San Giorgio a Cremano (Na); da qui i resti mortali vengono traslati nella parte inferiore del nuovo Tempio della "Regina dei Gigli" il 16.2.968. E il mattino dopo il Servo di Dio, Card.Giuseppe Beran, Arcivescovo di Praga, dopo una solenne concelebrazione, ne benedisse le spoglie verginali prima della deposizione con tumulazione privilegiata nella bianca urna, all'inizio della navata destra del Tempio.
Il 13.6.1992, conclusa felicemente la fase del Processo di beatificazione nella Diocesi di Teggiano, l'intera documentazione è stata depositata presso la Congregazione delle Cause dei Santi a Roma.
Il 22.4.1993 è stato deposto, presso la stessa Congregazione, anche il processo su un presunto miracolo attribuito all'intercessione di Sr.Teresina ed esaminato con esito positivo presso la Curia vescovile di Verona. (Fonte: www.operareginaliliorum.org)

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1807-2007: SAN BENEDETTO IL MORO
Nel 200° Anniversario di CanonizzazioneZZAZIONE

Il prof. ANTONINO BLANDINI di Catania ci ha inviato un suo articolo pubblicato da L’Osservatore Romano il 4-5 giugno u.s., sul santo laico francescano.
La comunità ecclesiale di San Fratello - in provincia di Messina e in diocesi di Patti - ha solennemente celebrato il bicentenario della canonizzazione del patrono san Benedetto il Moro, avvenuta per opera di Pio VII nel 1807, 64 anni dopo la beatificazione voluta da Benedetto XIV.
La solenne Concelebrazione Eucaristica è stata presieduta dal Vescovo Ignazio Zambito – che nell’occasione ha iniziato la visita pastorale al paese nebroideo - con la partecipazione di numerosi fedeli e dei sindaci dei comuni circostanti.
Durante la celebrazione la chiesa madre “Maria Santissima Assunta in cielo”- che custodisce insigni reliquie del "santo moro" - è stata elevata alla dignità di Santuario diocesano di San Benedetto il Moro.
San Fratello – cittadina collinare d’origine lombarda, fondata nel secolo XI da Adelaide di Monferrato, moglie del conte di Sicilia Ruggero I il Normanno - prende il nome da uno dei tre celebri fratelli martiri lentinesi, San Filadelfo, per averne a lungo custodito le reliquie.
Al Convegno ecclesiale di Verona, S. Benedetto, che è pure patrono della cittadina di Acquedolci - la marina di San Fratello - è stato inserito nelle litanie dei santi italiani per conto della Diocesi di Patti.
In occasione delle celebrazioni in onore di S.Benedetto di San Fratello, la città natale ricorda questo suo figlio illustre, con diverse manifestazioni: è stata allestita nel chiostro dell’ex convento dei Frati Minori anche una mostra iconografica dedicata a Benedetto, il santo discendente da famiglia etiope che è stato il primo "nero" ad essere iscritto nel canone dei santi, all’indomani dell’istituzione della S. Congregazione dei Riti secondo le norme canoniche più restrittive stabilite dal Concilio di Trento. E’ anche l’ultimo santo della Diocesi di Patti ad essere fiorito in uno dei 42 comuni del territorio diocesano.
Egli nacque nel 1526 a San Filadelfio, oggi San Fratello, primogenito di Cristoforo Manassari e Diana Larcari, discendenti da negri cristiani venduti schiavi in Sicilia e che dal loro padrone avevano preso il cognome.
Affrancato ed educato nell’amore di Dio e nella pietà cristiana, durante l’adolescenza fece il pastore e per le sue virtù fin d’allora venne chiamato il "santo moro".
A 21 anni, dopo aver venduto l’unico paio di buoi necessari al suo lavoro e donato il ricavato ai poveri, entrò in una comunità di eremiti penitenti, simile a quella degli antichi monaci della Tebaide, fondata da un giovane signore del luogo, Geronimo Lanza, nel feudo di Santa Domenica a Caronia e che avevano adottato la regola di san Francesco con l’approvazione di Giulio II.
Con indosso solo un abito fatto con foglie di palma, seguì costoro quando si trasferirono a Raffadali, nella vallata di Nazara, poi in contrada La Mancusa nei pressi di Carini e infine, a Palermo, sul monte Pellegrino, già santificato dall’eremitaggio di santa Rosalia, per vivere da asceti in maggior solitudine la spiritualità eremitica.
Alla morte del Lanza fu eletto dai confratelli superiore della sua comunità.
Quando, nel 1562, Pio IV ritirò l’approvazione e invitò gli eremiti ad entrare in un Ordine di loro scelta, Benedetto si aggregò come semplice fratello laico ai Frati Minori Riformati di San Francesco d’Assisi, entrando nel convento di Santa Maria di Gesù a Palermo, fondato dal beato Matteo di Agrigento.
Fu mandato nel convento di Sant’Anna a Giuliana, ma alcuni anni dopo fu richiamato nella capitale del Regno di Sicilia dove rimase fino alla morte..
Fin da vivo gli furono attribuiti molti strepitosi miracoli e sembrava che il cielo gli avesse dato ogni potere sulla vita e sulla morte; guarì ammalati affetti da gravi infermità e fu universalmente stimato per l’umiltà, la povertà e la carità tanto che, nel 1578, Benedetto, semplice laico privo d’istruzione e addetto alla cucina, guidato dallo Spirito Santo ebbe il dono della scienza infusa e fu costretto per obbedienza ad accettare la nomina di guardiano del convento che per 3 anni guidò con saggezza e prudenza.
Molto severo con se stesso, Benedetto fu benevolo verso i confratelli e condiscendente verso i novizi, amato ed ubbidito senza che nessuno fosse tentato di abusare del suo spirito di umiltà. Al capitolo provinciale di Agrigento, diffusasi la sua fama di santità, fu accolto con calorose manifestazioni e grande tripudio di folla.
Si dava incessantemente alla preghiera e alla meditazione, aveva il dono di scrutare i cuori e allo scadere del mandato di guardiano fu nominato vicario e maestro dei novizi.
Anche quando ritornò all’originaria mansione di cuoco, tanti devoti andavano da lui per consultarlo, fra i quali sacerdoti e teologi e persino il vicerè. Benedetto non si inorgoglì e rimase sempre umile e ritirato, una guida sicura, un consigliere illuminato, un padre pieno di tenerezza, sottoponendosi a durissime penitenze corporali.
Nel suo grande spirito di mortificazione fu sempre fedele alle sette quaresime annuali, sull’esempio del Poverello. Il tempo che gli rimaneva libero, e buona parte della notte, lo impiegava a pregare per le necessità della Chiesa e per la conversione dei peccatori.
All’inizio della sua missione era stato deriso ed ingiuriato per il colore della sua pelle, ma le sue virtù fecero ricredere quanti lo disprezzavano, rimanendo "sempre allegro, amorevole e piatuso” dicono di lui le fonti.
Nel febbraio 1589 il santo cadde gravemente ammalato e Dio gli rivelò che si avvicinava il termine della vita terrena; morì il successivo 4 aprile e il suo culto, promosso da re Filippo III, sull’onda delle missioni nel Nuovo Mondo, dopo essersi diffuso anche in Spagna e nel resto d’Europa giunse, con le sue reliquie, anche nell’America meridionale, dove divenne il protettore delle popolazioni nere.
Sulla sua tomba avvennero guarigioni miracolose. Il senato di Palermo con decreto del 1713 lo acclamò compatrono della città, mentre nel 1652 lo stesso senato civico lo aveva dichiarato "patrono ed intercessore" accanto alla nobile ed eremita santa Rosalia, stabilendo l’uso di assistere alla Messa e offrire "4 torce di cera bianca di due rotoli ciascuna" nel giorno della sua ricorrenza.
Donna Alfonsa Alarcon baronessa di S. Fratello e moglie di Giovanni Soto, segretario del vincitore di Lepanto don Giovanni d’Austria, nel 1616 finanziò, per devozione al santo moro, la costruzione del nuovo convento di S. Maria di Gesù, nella cui chiesa si custodiscono ancor oggi le sue reliquie in un’urna d’argento, meta di tanta devozione popolare.
La devozione verso il taumaturgo è vivissima anche in Brasile, dove massiccia è la presenza delle etnie africane. Prima della scoperta dell’America, i Domenicani e i Francescani avevano promosso la conversione degli schiavi di Spagna e Portogallo attraverso le “hermandades”, le confraternite; successivamente, nel secolo XVIII, quelle chiamate “del Rosario e degli uomini neri” e di “San Benedetto” (Irmandades de Sao Benedito) si diffusero ad opera dei Frati Minori e dei terziari francescani.

ANTONINO BLANDINI

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CURIOSANDO TRA LIBRI E SANTINI

 


ICONOGRAFIA E SEGNI DI PROTEZIONE CELESTE - 3


Don GIOVANNI DESIO, che ringraziamo, Direttore del Settimanale diocesano di Ravenna, “IL RISVEGLIO” ci ha autorizzato a riportare sul nostro Notiziario una serie di articoli che la socia Prof.sa ELISABETTA GULLI GRIGIONI ha pubblicato.

NELL’ORO DELLA CROCE HANNO ORIGINE LE VIRTU’


I due precedenti articoli sono stati dedicati all’iconografia delle tre Virtù Teologali nella realizzazione simbolico-oggettuale della croce, dell’àncora e del cuore (specialmente dedicata alla protezione individuale fin dalla nascita e dal momento del battesimo) e nella realizzazione figurativa di personificazione di tre fanciulle o giovani donne identificate da attributi e da atteggiamenti simbolici (specialmente adatta alla meditazione e all’esercizio spirituale).
Ad esse, in occasione della mostra Schola Cordis da me allestita nell’Anno Giubilare 2000 presso la Chiesa di San Domenico a Ravenna, avevo dedicato una grande vetrina nella quale erano collocati esemplari oggettuali e figurativi che, per numero e varietà di funzioni, davano una chiara visione di quanto profondamente le Tre Virtù avessero permeato la vita ottocentesca, in differenti ambienti sociali e in situazioni legate al tempo quotidiano o festivo, sia collettivo che individuale.
Le Tre Virtù Teologali fanno parte però di un sistema più ampio accanto alle Quattro Virtù Cardinali. Come “sette sorelle” e come “sette stelle del firmamento morale” esse sono indicate in un recente articolo di Gianfranco Ravasi (“Messaggero di Sant’Antonio”, gennaio 2007) che già ne aveva considerato la storia, la sostanza teologico-spirituale e un’auspicabile attuale riproposizione, in Ritorno alle Virtù, pubblicato da Arnoldo Mondatori nel 2005.
Il sottotitolo del libro, La riscoperta di uno stile di vita, contiene già un invito discreto al recupero, nell’esistenza religiosa e – come si diceva un tempo per indicare l’appartenenza al secolo – mondana, di dimensioni virtuose che sembrano tendere oggi a una pericolosa sclerotizzazione, recupero al quale l’Autore offre nei vari capitoli una guida ricca di sapienza umana e morale nonché di fascino bibliografico.
L’immagine che propongo oggi per una piccola lettura viene da un santino francese a stampa cromolitografia, edito a Poitiers dall’Editore Bonamy nella seconda metà dell’Ottocento.
A prima vista sembra trattarsi di una composizione floreale appoggiata su una croce dorata, ma il testo scritto, C’est sur la Croix que les vertus ont pris naissance, svela nella grande Croce una mistica aiuola in cui le Virtù hanno avuto origine e induce a ricordare legami tra fiori e virtù che un tempo erano patrimonio di moralità e di cultura fin dall’infanzia.
Si può pensare ai giardini della mistica bolognese santa Caterina Vigri (1413-1463), in cui fioriscono i gigli “di rinnovamento” o “le rose” vermiglie di infiammazione” approfondendo la meditazione con il libro I Dodici Giardini, pubblicato nel 1999 a Bologna da Inchiostri Associati Editore, con testo originale a fronte; oppure si può cercare qualche libretto devozionale contemporaneo alla bella immaginetta per meglio gustare i significati spirituali dei fiori.
Ho sotto gli occhi L’orticello di Maria, tradotto in italiano da un’operetta latina del Padre Francesco Lacroix e pubblicato a Torino nel 1865, dove le viole (non è precisato ma credo si debba pensare alle viole mammole, simbolo di umiltà, raffigurate nella nostra immaginetta accanto alle viole del pensiero, simbolo di memoria), collocate nella prima aiuola dell’orto mariano, sono “simbolo dei vari esercizi di riverenza e di umile sommissione verso la santissima Vergine”.
L’oro, elemento solare, divino e regale, immette la Croce in un’araldica di nobili virtù, promettente, in unione alla botanica virtuosa, paradisiache certezze.
La giocosità del colore e dell’oro (ma per una sorta di sinestesia sembra di percepire idealmente, attraverso la vista, anche il profumo della virtù), compensa il pensiero della fatica, del sacrificio o addirittura del dolore che l’esercizio delle Virtù può comportare.
Mi sembra che in qualche modo, per lo spirito complessivo, l’immaginetta possa corrispondere, pur nel suo ottocentesco linguaggio, a quanto Gianfranco Ravasi dice verso la conclusione dell’opera sopra citata quando afferma che “in realtà le virtù non indolenziscono l’anima ma la mettono in esercizio dandole vivacità e vitalità”, e consegna al lettore, assieme al suggerimento di nuove Virtù in linea con mutate condizioni sociali o con nuove frontiere del progresso scientifico, “serie di variazioni libere sul tema della virtù” e una “piccola antologia di motti e considerazioni provenienti dalle fonti culturali più disparate. (continua)


ELISABETTA GULLI GRIGIONI

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L’IMMAGINE SACRA
NEL COSIDDETTO COLLEZIONISMO MINORE

Il tema dell’immagine sacra nel collezionismo minore è presente anche nei CALENDARIETTI
Uno dei mestieri più belli ed antichi è senz’altro quello del barbiere. Questi “factotum della città” che fino all’800 erano quasi medici, infatti estraevano denti, curavano piccole ferite etc. sono diventati poi nel corso del ‘900 fino ai nostri giorni dei veri professionisti del taglio di capelli e barba.
Le loro botteghe, i cosiddetti “saloni”, erano e sono tutt’ora, per i clienti in attesa, dei veri e propri salotti culturali dove si parla e sparla di tutto e di tutti.
Per tutti i clienti alla fine di ogni anno il “maestro” riservava fino agli anni sessanta un piccolo omaggio molto gradito: un profumatissimo calendarietto, il più delle volte molto frivolo e audace per quei tempi, fatto di donnine a seminude. Altre volte pubblicizzavano prodotti da toilette, dive e divi del cinema o dello sport.

Pochissimi erano i calendarietti a soggetto religioso. Nella mia collezione ne ho uno del 1962:
“SALONE EUGENIO AUGURA BUONE FESTE AI SIGG. CLIENTI – VIA CAVOUR, 80 – NETTUNO” in cui sono raffigurati alcuni tra i più bei e famosi Santuari Italiani :MADONNA D’OROPA - MADONNA DI LORETO – S.ta ROSALIA di PALERMO – San FRANCESCO D’ASSISI – MADONNA DI MONTE BERICO DI VICENZA – MADONNA DI BONARIA DI CAGLIARI - MADONNA DI POMPEI.
Bibliografia
-Collezionismo Italiano 4 voll.– Rizzoli Editore–Milano – 1979.
-Catalogo delle lamette da barba italiane - di Alfonso Toz zi – 1990
Musei
-Museo storico della Figurina “Panini” - Modena.
-Museo “Achille Bertarelli” –“Civica raccolta delle stampe” Castello Sforzesco – Milano.


GIANCARLO GUALTIERI

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“LO SCAUTISMO IN VENTIDUE PAROLE” di ATTILIO GARDINI – LUIGI RICEPUTI – Editore Valbonesi


Il movimento scout fondato da Baden-Powell, compie 100 anni. Per chi volesse sapere di più sulla funzione educativa del movimento giovanile – il maggiore del mondo con 520 associazioni sparse in 250 paesi - può leggere il libro uscito un mese fa ‘Lo scautismo in ventidue parole’ scritto dai forlivesi Attilio Gardini e Luigi Riceputi e stampato a Forlì da Valbonesi. Si tratta di quasi 70 pagine dove il lettore troverà, per ogni lettera dell’alfabeto, una parola ‘chiave’ del fenomeno dello scautismo.
Il libro è non un semplice manuale (vedi le parole Ambientazione, San Giorgio, Hebertismo, Jamboree, Buona Azione, Uscita, Esplorare…fino a Zampa tenera), ma un testo in cui ogni voce è analizzata nel suo significato più profondo e specifico per scoprire a fondo il senso dell’esperienza educativa scout. Non mancano citazioni di testi, riferimenti all’attualità, analisi linguistica delle parole più comunemente usate dagli scout, riflessioni di carattere morale e religioso.
‘Un libro nuovo, originale, che mancava’, scrive don Erio Castellucci nella prefazione. Il libro si conclude con un breve ma intenso ricordo di don Giovanni Minzoni, ucciso a bastonate nel 1923 ad Argenta, dai fascisti che si opponevano alla attività del suo Reparto.


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“LE PRECHERE TE LU ELLANU” a cura di CARLO VINCENZO GRECO


Un libro nuovo, diverso, anche se in vernacolo salentino. Un libro di preghiere e poesia, la poesia delle nostre campagne, del nostro duro lavoro, delle quotidiane fatiche, dei pescatori in costante pericolo di vita; una poesia in cui trovano sicuro rifugio, nella propria significativa interezza, gli usi, i costumi, il folklore delle nostre contrade con la loro storia, i loro bisogni, la loro indole, le aspirazioni morali e gli aneliti spirituali.
Il Ministro Provinciale ofm, padre Agostino Buccoliero ha commentato: “Restiamo piacevolmente sorpresi e incantati dallo scorrere armonico, cadenzato, a volte solenne e lapidario, ma sempre familiare delle poesie, delle preghiere, delle giaculatorie, in vernacolo leccese, composte o raccolte dall’amico Carlo Vincenzo Greco. Questi versi parlano della vita, ritmata dallo scorrere del tempo e scandito da feste, solennità, appuntamenti,attesi con ansia e vissuti ancor più intensamente. Ed esprimono l’affettuosa relazione con il Santo venerato, con Maria, con il Divino, tradotta in preghiere, invocazioni, implorazioni. I contenuti della fede sono così rivisitati alla luce della sensibilità dell’animo salentino”.
Chi desidera il volume arricchito dalla riproduzione di 350 immaginette (pagg.253) contatti l’autore:

Prof.CARLO VINCENZO GRECO – Via Salandra, 21/A 73100 LECCE LE.


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SCRITTORI, SANTI E SANTINI
A cura di e.emme

ALTARINO E SANTINI, UN GIUOCO DA RAGAZZI

Tratto da
“LE PARROCCHIE DI REGALPETRA” di Leonardo Sciascia,
cronaca saggistico-narrativa pubblicata da Laterza nel 1956.[…]


”Prima in seminario ci andavano quei ragazzi che veramente avevano vocazione, quelli che giocavano con le immaginette e gli altarini, servivano messa e facevano i chierichetti nelle processioni, a chi chiedeva loro cosa avrebbero fatto da grandi rispondevano – il prete – e andavano in seminario e ci restavano; spesso per il ragazzo che si voleva far prete nascevano conflitti tra padre e madre, ora non c’è pericolo che la pace familiare sia turbata da una infantile vocazione dalla madre sostenuta e dal padre fieramente avversata.
Nella fantasia dei ragazzi c’era prima il carabiniere o il prete, ora c’è l’ingegnere costruttore di astronavi e il giuocatore di calcio, se vanno in seminario sanno già da prima che ne usciranno in ragionevole età. Perciò a Regalpetra molte chiese sono destinate a restare senza il prete titolare, a meno che non si ricorra all’importazione.” […]

Leonardo Sciascia (Racalmuto, Agrigento, 1921-1989)
Scrittore, saggista, polemista, la cui produzione letteraria rivela un accentuato impegno pubblico.
Nel libro “Le Parrocchie di Regalpetra” (Premio Crotone) [questa opera, divisa in parti a seconda dell'argomento trattato, è la cronaca sulla vita di un paese qualunque della Sicilia: in realtà, Regalpetra non esiste, ma prende nome da una fusione tra Racalmuto, borgo natio dell'autore anticamente anche Regalmuto, e dal libro di Nino Savarese intitolato Fatti di Petra] gli spunti di cronaca siciliana e le personali esperienze scolastiche, pur assumendo forme decisamente narrative, evidenziano l’interesse politico-antropologico dell’autore.
Spirito anticonformista, ha voluto come epitaffio sulla sua tomba questa frase di Rouget de l’Isle Adam: “Ce ne ricorderemo di questo nostro pianeta”

 

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NOTIZIE SU SANTI E SANTUARI

IL SANTO BAMBINO DI PRAGA



Nel quartiere Mala Strana (Piccolo Quartiere) di Praga, nella chiesa barocca di S.Maria della Vittoria, in un altare laterale, inserita in un trionfo di elaborate decorazioni in oro e argento, ho potuto ammirare la piccola statua di cera (alta circa 47 cm), famosa in tutto il mondo, il Bambinello di Praga, venerato come dispensatore di miracoli e soggetto di numerose e diffusissime immaginette sacre. L’altare esprime il duplice significato simbolico del Bambino, divino ed umano. Al di sopra di Esso è raffigurato lo Spirito Santo e sopra ancora Dio Padre: la SS. Trinità. A sinistra e a destra del Bambino sono Maria e Giuseppe: la Sacra Famiglia.
I santini che ho trovato a luglio del 2007 nella chiesa, in moltissime lingue e stampati a Praga, sono per iconografia identici a quelli reperibili in Italia.
L’origine della statua è in parte avvolta nel mistero, tra la storia e la leggenda ed è affascinante...

LEGGENDA

In epoca molto remota, quattro monaci Carmelitani, sopravvissuti alla conquista e distruzione da parte dei mori del loro antico monastero, situato presso Siviglia nella penisola Iberica, erano impegnati nella lenta e difficile opera di ricostruzione tra le rovine rimaste nel luogo.
Uno di essi ebbe una luminosa visione: un bambino che lo invitava alla preghiera e sorridendo affermava di essere Gesù. Egli estasiato pregò in adorazione, cercando di imprimere nella memoria le sembianze del bambino, che presto scomparve. In seguito, terminata la costruzione del monastero, che risorse grazie all’arrivo di nuovi giovani monaci, egli si dedicò molte volte alla realizzazione di statue di cera somiglianti a quella immagine bellissima, senza mai riuscire nell’intento. Finché, essendo già molto anziano, fu gratificato da una nuova apparizione del Bambino, che gli permise, in sua presenza, il completamento della statuina, resa così somigliante all’originale: appena finito il lavoro morì, lasciando accanto a sé la piccola deliziosa statua perfettamente plasmata.

STORIA: LA STATUA DALLA SPAGNA A PRAGA

All’inizio del XVII secolo la statuina di cera fu donata al convento dei Padri Carmelitani Scalzi, annesso alla chiesa di S.Maria della Vittoria di Praga, dalla nobile Polyxena de Lara, vedova dopo 25 anni di matrimonio del potente nobile ceco Wilelm di Rozmberk (sposato nel 1587) e allora moglie del cancelliere supremo del regno di Boemia Zdenek Vojtech De Lobkowicz da cui ebbe, in età avanzata, un solo figlio maschio. La donna aveva ricevuto in dono di nozze la statuina dalla madre, donna Maria Maximiliana Manriquez de Lara y Mendoza, appartenente ad una delle più famose nobili famiglie di Aragona e Castiglia. Donna Maria, quando nella nativa Spagna, giovanissima, andò in sposa al nobile boemo Lord Vratislav di Pernstejn e dovette partire per la lontana e per lei sconosciuta Boemia, lasciando tutti i suoi affetti, ricevette in dono dalla propria madre la statua del Bambino Gesù, che ella aveva a sua volta ricevuto da S.Teresa d’Avila (Avila, Spagna 1515 - Alba de Tormes 1582).
La nobile Polixena, non avendo figlie femmine, decise di donare la statuina al convento, come detto.
Il Bambino di Praga in seguito fu posto nella chiesa di S. Maria della Vittoria. Attualmente l’altare di fronte é dedicato proprio alla santa Teresa d’Avila. Ecco che la statua appartiene ed unisce due regioni, la Spagna e la Boemia: diverrà nei secoli messaggio per il mondo intero:

You as Prague’s precious gem do shine
Tu come gemma preziosa di Praga risplendi
The gateway to bliss so pure
Via di accesso alla beatitudine così pura
Pour joy into our hearts that pine
Riversa gioia nei nostri cuori che anelano
Of comfort we can be sure!
Del conforto noi possiamo essere sicuri! Versi tratti da (1),

Nel 1631 Praga fu invasa dai Sassoni, che infierirono anche sugli edifici dei conventi, distruggendo quello dei Carmelitani. La statua fu ritrovata tra le macerie con le manine danneggiate.
Nel 1637 giunse a Praga da Monaco di Baviera Padre Cirillo, che si dedicò con passione al recupero e restauro della statua, che ridivenne oggetto di culto. Il Bambinello acquisì l’attributo di “gratiosus” ovvero miracoloso. Fu portato in processione per la città nel 1651. Nel 1657 il Vescovo di Praga pose sul capo del Bambinello una corona d’oro, finemente elaborata dal nobile Bernardo Ignatio della importante famiglia Martinic.
Una seconda corona d’oro fu predisposta tra il 1810 e il1820.

MIRACOLI

I primi miracoli furono riferiti ai monaci Carmelitani dalla popolazione di Praga, in particolare quella del Piccolo Quartiere (Mala Strana), durante la guerra dei trent’anni, la più crudele e lunga guerra che sconvolse la regione Boema.
Così il Bambino di Praga divenne famoso. Notizie di miracoli sono state tramandate nei secoli passati, ma anche ai nostri giorni se ne conoscono. Intorno all’altare che accoglie la statua sono disposti moltissimi “ex voto” a testimonianza dei miracoli attribuiti al Bambino Gesù di Praga, invocato dai numerosi fedeli alla presenza del simulacro della suggestiva immagine scolpita.

MUSEO

La statua esternamente è ricoperta di cera, ma ha un nucleo di legno rivestito di tessuto. E’ poggiata su un piedistallo alto circa 20 cm. Nella accurata vestizione il Bambino è dapprima avvolto in una cotta bianca, poi rivestito da una tunica bianca, con sopra un abito in velluto, broccato o seta ricamato e mantellina di seta, infine abbellito con collarini di pizzo.
L’abbigliamento è ispirato a camice, dalmatica e pluviale dei sacerdoti. La corona d’oro è posta leggermente al di sopra del capo per non danneggiare la cera. Si occupano della vestizione le suore Carmelitane del Bambino Gesù.
Nel museo annesso alla chiesa sono esposti in vetrine i numerosi (più di 100) abitini antichi e recenti, tutti molto riccamente decorati, ricamati in oro su tessuti di diversi colori, ma prevalentemente rossi. Uno in velluto verde del 1700 proviene dall’imperatrice Maria Teresa; altri, moderni, sono giunti dalla Sicilia, dalla Polonia e dalle Filippine. Inoltre foto della statua variamente vestita sono esposte sulle pareti.
Gli abiti seguono gli stili della moda d’epoca, dalla magnificenza barocca e poi secondo l’evoluzione del gusto.
C’è ancora oggi l’uso di cambiare l’abito secondo il colore della liturgia nei vari periodi dell’anno; nella festività del Ss. Nome di Gesù l’abito è quello donato da Maria Teresa d’Austria. L’abito muta ma la devozione dei fedeli è la stessa nei secoli!

PREGHIERE

Sulla balaustra marmorea antistante l’altare sono posti, ad uso dei pellegrini, alcuni album plastificati, contenenti in ogni pagina la stessa preghiera-invocazione, composta dal Padre Cirillo nel diciassettesimo secolo, con richiesta di grazie, nelle differenti lingue
La stessa preghiera è riportata sul “verso” di alcuni santini, peraltro facilmente reperibili.


SANTUARIO IN ITALIA

Nel 1889 ad Arenzano in Liguria fu fondato un convento dei Padri Carmelitani Scalzi, dedicato a Santa Teresa, da Padre Leopoldo Beccaro.
Nel 1900 fu posto nel la chiesa del convento un quadro raffigurante il Gesù Bambino di Praga, presto sostituito da una statua lignea, opera dello scultore Domenico Artesiani, copia della statua originale e dono di una nobildonna ligure: simbolica affermazione del valore della famiglia attraverso l’immagine del figlio bambino.
Come l’originale tiene con la mano sinistra il globo terrestre sormontato da una croce (simbolo della potenza divina) e benedice con la destra. E’ vestito con un manto rosso ricamato in oro.
Successivamente nacque la Confraternita del Bambino di Praga, approvata da Pio X nel 1903.
La statua fu incoronata solennemente dal cardinale Merry del Val, con la benedizione di papa Pio XI, nel 1924.
In una immaginetta, inviata dalla socia di Scafati (SA) Lucrezia Donnarumma, trovo raffigurato il Miracoloso S.Bambino di Praga, che si venera nella Parrocchia di S. Maria della Stella, in Chianciano Terme. Sarebbe interessante avere notizia di altre chiese o santuari dedicati al Bambino di Praga.
La tradizione continua anche in Italia…

(1) - M. Santini – The Holy Infant of Prague, Transl. by Norah Hronkova, Martin, Czech Republic, 1995 (libro reperibile in libreria a Praga). Sito web : www,pragjesu.it


MARIA GABRIELLA ALESSANDRONI

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LA PUGLIA DEI TESORI:
La storia della Madonna dei Martiri a Molfetta

In navigazione - aerea o marittima che sia - i così detti punti cospicui costituiscono non solo un tangibile punto di sicuro riferimento, ma soprattutto una valida guida per l'orientamento; e per i molfettesi, che in quanto a navigazione non sono storicamente secondi ad alcuno, l'antico complesso della Madonna dei Martiri con annesso Ospedale dei Crociati, viene a pieno titolo considerato come un punto cospicuo per la propria vita spirituale e pietà devozionale popolare.
E tanto, ormai da tempo immemorabile, costituisce una prerogativa non solamente per i cittadini della ridente ed operosa Città di Molfetta.
I motivi che stanno a solido fondamento del culto devozionale popolare in parola, si perdono nella notte dei tempi, dove non è più chiaramente distinguibile il limite del confine tra fede, storia e leggenda.
Parlare della Madonna dei Martiri e del complesso strutturale del Santuario dedicatole a Molfetta, non è un'impresa abbastanza facile, sia perché molti documenti sono ormai introvabili e sia perché la devozione per la Madonna occupa un posto troppo importante nel cuore di tutti i cittadini molfettesi; anche in coloro che per varie vicissitudini della vita personale si sono dovuti accasare in altri paesi, nazioni o continenti. E sono molti i valenti figli di Molfetta sparsi nel mondo.
Per queste ed altre considerazioni non ci si addentrerà in uno studio approfondito del complesso logistico-devozionale del Santuario ma, semplicemente, si tenterà di portare alla luce quello che forse ben pochi fedeli in genere hanno avuto la fortuna di vedere o di conoscere, con la speranza di suscitare un qualche interesse che spinga molti ad andare a conoscere o rivedere con diversa valenza il Santuario molfettese, comunque tangibile ed inossidabile testimone del patrimonio storico tesaurizzato dalla nostra Terra.
Il nostro excursus prenderà le mosse mutuando le circostanziate notizie che corredano i testi storico-documentali redatti da Damiano Camporeale per il sito ufficiale web del Santuario.
"Il primo documento scritto che ne attesti la presenza in quella zona di una cappella con un annesso hospitio che curava i viandanti pellegrini, o che ne ospitava i corpi dei defunti, da e per la Terrasanta è datato 1162. Alcuni storici affermano che la stessa era stata eretta su una precedente cappella. Addirittura si ipotizza la presenza sul posto di un antico tempio pagano, cosa non strana vista la presenza in zona di fonti sorgive e di buoni punti d'approdo. Sicuramente la facilità d'approdo ha consentito a Molfetta di essere inserita negli itinerari dei pellegrini che non sapevano certo di essere crociati, infatti, questa è una denominazione cui si e fatto ricorso parecchi secoli dopo per identificare gli avvenimenti di quel periodo. Ciò che invece, non divide nessuno, è l'enorme catena di miracoli e prodigi che la Madonna ha costruito sul Suo passato e direi... sul presente. Tale produzione ha alimentato una fede inossidabile nei suoi confronti e nel suo operare a favore dei deboli o chi è in difficoltà. Uno sguardo nel piccolo e fornitissimo museo allestito dai Frati attesta quanto affermiamo".
Riprendendo il discorso su quanto costituisce il bagaglio storico-documentale dell'accorsato Santuario molfettese, si apprende, sempre dalla citata fonte che "nell'anno 1011 si ebbe un gran risveglio del monachesimo. A Molfetta un gruppo di monaci dipendenti dall'abbazia di Banzi costituì una piccola comunità per volontà del Principe Roberto il Guiscardo.
Nel 1095 il principe Ruggiero, duca di Puglia e fratello di Boemondo, fece a sue spese costruire, per i militi che andavano a imbarcarsi a Brindisi, il grande Ospizio di Molfetta, provvisto di un ospedale per coloro che si ammalavano durante il viaggio, o che tornavano feriti dalla guerra, e d'un cimitero con la sua cappella per quelli che vi morivano. Ai Padri Benedettini fu anche affidata la Carnaria che era il luogo di sepoltura dei martiri".
L'Estensore delle sintetiche, ma sufficientemente esaustive note storiche conoscitive, prosegue così.
"Si narra che dai luoghi santi fu portato dai crociati, costretti ad abbandonare la Palestina il 2 ottobre 1188, dopo la sconfitta di Hattin, un quadro bizantino al quale fu dato il titolo di Madonna dei Martiri. La tavola, secondo alcuni di cipresso e secondo altri di cedro, misura 100x66 cm. e rappresenta la Vergine Maria a mezzo busto che regge sul braccio sinistro Gesù bambino il quale la abbraccia e la bacia teneramente. Agli angoli superiori troviamo due angeli i quali, secondo alcuni, anticamente reggevano due piccoli manti. Collocata in una nicchia in pietra leccese voluta da G.B. Cibo, successivamente ebbe la sua collocazione nell'attuale splendida edicola in marmo voluta dal vescovo G.Bovio.
La terza traslazione si ebbe quando Mons. Salemi fece costruire un altare di marmi pregiati ed ivi vi fece collocare l'edicola in marmo con il quadro della Vergine. Di altre traslazioni si parla nel 1620 allorquando per le incursioni dei turchi sulle nostre coste, Mons. Bovio la mandò nel monastero delle Vergini di Bitonto. Infine durante la seconda guerra mondiale fu custodito a Castel del Monte per paura di incursioni aeree. Oltre alle traslazioni, diversi sono stati i restauri il primo dei quali risale a1 1412 sotto il vescovado di Alessio Celidonio. A documento di siffatto restauro il Celidonio vi fece apporre due targhe d'argento: l'una rappresenta il vescovo in ginocchio che prega, l'altra reca la seguente iscrizione: 'Recipe sacratissima virgo/veri dei atque nominis pareus/instaurationem et ornatum/huius tuae venerandae imaginis/A servo tuo indiguo licet / Alexio Chelidonio Lacedemonio/Episcopo Melphicti'.
Di altri restauri si parla nel 1905, nel l978 e nel 1998. Lo zelo dei vescovi, tuttavia, non si limita solo della tutela della Sacra Icona. Il Vescovo Simone Alopa (1385-1401) ottenne il 24 aprile 1399 dal re Ladislao di Napoli un diploma col quale fu concessa la fiera di otto giorni, 08/15 Settembre, nella festa della natività della Vergine sapendo che il giorno 8 di settembre si festeggiava la Madonna dei Martiri protettrice di Molfetta".
Proseguendo il cammino storico opportunamente confortato da relativi documenti si apprende che: "nel conclave del 24 agosto 1484 Giambattista Cibo (Vescovo di Molfetta) viene nominato Papa col nome di Innocenzo VIII; con bolla ponti-ficia del I Giugno 1485 indice indulgenze a favore del culto della Madonna dei Martiri nella domenica in albis e nella festa dell'8 settembre. Divenuto papa, Innocenzo VII non dimentica di essere stato vescovo della città, né, tantomeno, la devozione che il popolo portava nei confronti del Santuario; per questo era assegnata l'indulgenza plenaria per chiunque visitasse la chiesa il giorno della nascita di Maria e del lunedì in albis.
Tale privilegio fu confermato da papa Gregorio XIII nel 1576. Risale al 17 marzo 1570 la fondazione della confraternita della Madonna del Rosario ad opera del vescovo Malo-rano, successivamente la confraternita si trasferirà nella chiesa di S.Domenico (15 maggio 1640)". Un passaggio di rilievo è costituito dall'11 maggio 1560, allorquando "un terribile terremoto distrusse molte città della Puglia lasciando illesa Molfetta. In quella circostanza l'Università di Molfetta deliberò l'apposizione dell'Immagine della Madonna dei Martiri sullo stemma civico della città facendo voto che Capitolo, Università e popolo dovevano recarsi in pellegrinaggio al santuario l'11 Maggio di ogni anno. Questa ricorrenza che tuttora si ripete va sotto il nome di 'La Medonne du Tremelizze' (Madonna del Terremoto)". Infine, giungendo nei pressi di tempi più contemporanei, in cui la storia viene sostituita dalla cronaca, non si può omettere di rimarcare con la giusta valenza che, come i cittadini di Molfetta più avanti negli anni,
"Nel 1950 la Madonna dei Martiri fu eletta compatrona , ma fu un riconoscimento solo formale. Ella, di fatto, lo era sem pre stata. Nel 1987, per mano di papa Paolo VI, era elevata a Basilica Pontificia Minore".
A tal proposito va aggiunto poi, per dovere di cronaca, che l'attuale configurazione architettonica della Basilica risale alla prima metà del secolo scorso, poiché questo edificio adibito a luogo di culto, ha subito nel corso del tempo diversi rifacimenti e ristrutturazioni, non sempre privi di discutibilità architettonica da parte del senso critico dei fedeli, i quali hanno avuto modo di contestare la circostanza che a volte non ci si è accorti del rispetto che tale Tempio merita.
In una piccola cripta del Santuario molfettese è possibile anche vedere la riproduzione in scala reale del Santo Sepol-cro di Gerusalemme, vivendo un'esperienza spiritualmente molto toccante per tutti, come racconta molto realisticamen te anche la penna di Michele Loconsole nel suo ultimo libro Puglia d'Oriente (Levante editori - Bari 2006).


(Dal quotidiano ‘Barisera’) Saverio Zuccarino

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CAMPAGNA "UN SANTINO PER OGNI SOCIO"


26 giugno: Santi CLAUDIANO, VIGILIO e MAGORIANO
SANTI FRATELLI DELLA CHIESA DI TRENTO (IV – V sec.)


DON DAMIANO MARCO GRENCI ha fatto stampare e inviato per i soci ai fini della campagna “Un santino per ogni socio” un'immaginetta e le seguenti notizie.
Il nome Vigilio deriva dal latino Vigilius – vigilante. Non si conosce il nome del padre, mentre la madre si chiamava Massenzia e i suoi fratelli Claudiano e Magoriano, che divennero anch’essi santi. Vigilio si trasferì presto con i suoi genitori da Roma (possibile città natale) a Trento, ma completò la sua formazione filosofico-teologica prima ad Atene, dove fece amicizia con San Giovanni Crisostomo e poi a Roma.
Nel 380 circa tornò a Trento, dove si fece ammirare per la sua formazione culturale, ma anche per la sua umiltà, e della cui città venne nominato Vescovo intorno al 385.
Vigilio fu attivo come missionario ai tempi di Papa Silicio, quando ancora molte zone del Trentino dovevano essere evangelizzate. Operò soprattutto nella valle dell’Adige e nella zona di Trento. Grazie all’interessamento dello stesso vescovo di Milano riuscì a far arrivare nelle valli di Non e di Sole i missionari Sisinnio, Martirio e Alessandro, che là furono in seguito trucidati.
Vigilio fu molto attivo nel combattere l’idolatria e questa azione causò il suo martirio: accompagnato dai fratelli e da un altro missionario si recò in Val Rendeva dove celebrò la Messa e gettò nel fiume Sarca una statua di Saturno. Questo gesto scatenò l’ira dei pagani che lo uccisero, secondo la leggenda, usando bastoni e zoccoli di legno.
I suoi resti furono poi portati a Trento per essere seppelliti nel Duomo che lui stesso aveva fatto costruire e dove si trovano ancora oggi.
Vigilio è uno dei patroni del Trentino e dell’Alto Adige, delle miniere e dei minatori (vedi anche Santa Barbara, v.m.) e della Arcidiocesi di Trento. La ricorrenza liturgica si festeggia il 26 giugno, presunta data del suo martirio.

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L’immaginetta di Gesù Bambino di Praga, inserita in questo Notiziario per l’iniziativa “Un santino per ogni socio”, è offerta dai nostri associati Padre MICHELE GIULIANO, Don DAMIANO MARCO GRENCI, GIULIANA FARAGLIA e UGO AMICI

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9 ottobre: FESTA DI SAN GIOVANNI LEONARDI



Padre Lucio Migliaccio OMD, cofondatore e primo assistente ecclesiastico dell’AICIS, il 9 ottobre u.s., a nome del proprio Ordine e al termine dei festeggiamenti del Fondatore OMD San Giovanni Leonardi, ha consegnato al Vice presidente Renzo Manfè un congruo quantitativo di immaginette della nuova icona (benedetta lo scorso anno in Piazza San Pietro dal Pontefice Benedetto XVI), per la campagna sociale “Un santino per ogni socio”.
Il Vice Presidente ha partecipato, per devozione personale, ma anche quale rappresentante degli associati AICIS, al triduo che ha preceduto la grande festa in onore di San Giovanni Leonardi.
Infatti, dette celebrazioni si situano nel cammino verso un importante evento: «Siamo nel triennio, cominciato nel 2007, che conduce verso il 4° centenario della morte di San Giovanni Leonardi, nel 2009 – come ha detto il parroco di Santa Maria in Campitelli, padre Tommaso Galasso al settimanale “Roma Sette”.
“Quest’anno abbiamo scelto il tema della missionarietà che fu per lui centrale, essendo stato cofondatore anche del Collegio Urbano di Propaganda Fide per le missioni».
Numerose sono state le presenze del Collegio alla celebrazione. A cominciare da monsignor Massimo Cenci, sottosegretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, che ha presieduto il rito e ha ricordato così, durante l’omelia, la figura di San Giovanni Leonardi: «La sua attualità è straordinaria. La sua idea è quella di formare degli uomini per offrire una risposta, un’illuminazione ai cuori soffocati dagli affanni terreni. Si tratta di un concetto attualissimo,perché questo consumarsi per Cristo, questo rendere visibile la sua presenza in noi è compito d’ogni momento e d’ogni luogo, possibile a tutti, anzi, richiesto a ciascun cristiano».

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29 SETTEMBRE: SAN MICHELE ARCANGELO


Padre MICHELE GIULIANO ha fatto stampare l’unita immaginetta del Capo delle Milizie celesti e ne ha inviato in redazione un congruo quantitativo per la campagna “Un santino per ogni socio”.
Michele è uno dei 3 arcangeli della Bibbia. Oltre all'Ebraismo e al Cristianesimo, anche l'Islam ne fa oggetto di venerazione.
Il nome Michele deriva dall'espressione "Mika-El" che significa "chi è come Dio?". L'arcangelo Michele è ricordato per aver difeso la fede in Dio contro le orde di Satana.
Nel calendario liturgico cristiano si festeggia il 29 set-tembre con l'Arcangelo Gabriele e l'Arcangelo Raffaele.

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6 dicembre: SAN NICOLA DI BARI


La socia PAOLA ZUCCO di Lavinio ha trasmesso l’ immaginetta di San Nicola di Bari (Serie “ED G MI – 60 BIS”) per la campagna “Un santino per ogni socio”.
Nicola proveniva da una famiglia nobile. Fu eletto vescovo per le sue doti di pietà e di carità. Durante la persecuzione di Diocleziano, pare sia stato imprigionato fino all’epoca dell’Editto di Costantino. Fu nominato patrono di Bari, e la basilica che porta il suo nome è tuttora meta di parecchi pellegrinaggi. Egli è il leggendario Santa Claus dei paesi anglosassoni, e il NiKolaus della Germania che a Natale porta i doni a bambini. Muore il 6 dicembre di un anno incerto e il suo culto si diffonde dapprima in Asia Minore (25 chiese dedicate a lui a Costantinopoli nel VI secolo).
Ci sono pellegrinaggi alla sua tomba, posta fuori dell’abitato di Mira. Moltissimi scritti in greco e in latino lo fanno via via conosce re nel mondo bizantino-slavo e in Occidente, cominciando da Roma e dal Sud d’Italia, soggetto a Bisanzio.
Ma oltre sette secoli dopo la sua morte, quando in Puglia è subentrato il dominio normanno, “Nicola di Mira” diventa “Nicola di Bari”.
62 marinai baresi, sbarcati nell’Asia Minore già soggetta ai Turchi, arrivano al sepolcro di Nicola e s’impadroniscono dei suoi resti, che il 9 maggio 1087 giungono a Bari accolti in trionfo.
Le reliquie hanno collocazione provvisoria in una chiesa cittadina e il 29.IX.1089 esse trovano sistemazione definitiva nella cripta, già pronta, della basilica che si sta innalzando in suo onore. E’ il Papa in persona, Urbano II, a deporle sotto l’altare.
Nel 1098 lo stesso Urbano II presiede nella basilica un concilio di vescovi, tra i quali alcuni “greci” dell’Italia settentrionale: c’è già stato lo scisma d’Oriente.

 

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Molfetta: LUGLIO E LA SOLENNITA’ DI SAN CORRADO


Il socio CORRADO de GENNARO di Molfetta ha trasmesso l' immaginetta di San Corrado nell’ambito dell’iniziativa “Un santino per ogni socio” e le unite notizie.
Corrado nasce molto probabilmente a Ravensburg (nell’Alta Svevia) nel 1105 dalla nobile famiglia dei Welf (Gulfi) da Enrico il Nero, poi duca di Baviera, e da Wulfide di Sassonia. Essendo Corrado il terzo di tre figli non aveva diritto al Ducato, quindi Enrico pensa bene di inviarlo a Colonia da suo cugino arcivescovo, affinché questi lo educhi e lo indirizzi alla carriera ecclesiastica. Corrado, giovane intelligente e molto pio, qualche tempo dopo, nell’ascoltare la predicazione di Arnoldo, abate cistercense di Morimond, che cercava proseliti per recarsi un Terra Santa per fondarvi un nuovo monastero, si infervora a tal punto da lasciare la scuola arcivescovile e unirsi ad Arnoldo facendosi monaco (non sarà mai prete).
Ma i progetti di Arnoldo inerenti la Terra Santa suscitano la disapprovazione dei Superiori dell’ordine, in particolare di Bernardo di Clairvaux, per il quale in Tèrra Santa c’è bisogno di soldati pronti a combattere gli infedeli, piuttosto che monaci in preghiera, lontani dai loro monasteri.
Nel giro di un anno (1124-25) il tentativo di Arnoldo fallisce, senza neppure che il gruppo sia riuscito a partire. Sicchè ì monaci fanno ritorno nei monasteri di provenienza e Arnoldo, si ritira nelle Fiandre dove muore di lì a poco.
Il giovane Corrado, appena ventenne, intraprende ugualmente il cammino verso Gerusalemme. Varca le Alpi, raggiunge la Puglia per imbarcarsi alla volta della Terra Santa. Si ha motivo di ritenere che non abbia mai raggiunto la meta, bensì abbia condiviso la sorte di tanti pellegrini, ammalatisi e poi morti durante il viaggio, come quelli naufragati al largo di Molfetta e poi sepolti poco lontano dal porto di cala San Giacomo, dove è stata poi costruita sulle loro tombe la Chiesa di Santa Maria dei Martiri, così come erano chiamati anche i pellegrini.
Corrado viene accolto dai monaci di Santa Maria ad cryptam nei pressi di Modugno dove muore l’anno successivo, intorno al 1126. Riceve una sepoltura con l’attribuzione di tutti gli onori. La fama di questo nobile giovane, monaco, straniero e pellegrino, venuto a morire in Puglia, deve essersi tramandata fino ai primi decenni del Trecento, quando, abbandonata dai monaci la dimora di Modugno, i molfettesi prelevarono il corpo lì sepolto di Corrado e lo trasportarono nella Cattedrale della città, l’attuale Duomo, per eleggerlo patrono della città. Era un 9 febbraio. Non si conosce l’anno.
Le reliquie di San Corrado (le ossa del corpo sono conservate in una teca di cristallo e argento di manifattura napoletana, mentre il cranio è custodito nel busto argenteo, riprodotto nell’immaginetta che si invia a tutti i soci AICIS) restarono nel Duomo fino al 10 luglio 1785.
In tale data viene effettuato il trasferimento della sede episcopale dall’antica alla nuova Catte drale e il trasporto delle reliquie del Santo patrono. Pertanto, il mese di luglio rimane il periodo più importante e rappresentativo non solo per la città di Molfetta, ma per tutta la diocesi; infatti san Corrado è anche protettore della diocesi di Mofetta, Giovinazzo, Ruvo di Puglia e Terlizzi. (Fonte: Novena in onore di San Corrado)


Corrado de Gennaro – Vincenzino Monaco

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SAN SIRO VESCOVO (III-IV SECOLO)

La socia ANNA VALLANA di Roma, a devozione della propria famiglia, ha fatto stampare l’ immaginetta che, nell’ambito dell’iniziativa “Un santino per ogni socio” invia a tutti gli associati AICIS con gli auguri di Buon Natale.
Siro era nato a Struppa, Genova, nel III-IV secolo. Nominato Vescovo della sua città, si dedicò con grande zelo alla cura delle anime.
Nel periodo del suo servizio pastorale, collocabile approssimativamente tra il 349 ed il 381, la vita cristiana progredì a tal punto che i suoi contemporanei e i posteri ricordarono il nome di Siro come quello di un pastore santo e vigilante.
Visse fino a età avanzata e in fama di santità. Morì a Genova il 29 giugno del 381.
Fu sepolto nella basilica dei Dodici Apostoli, che in seguito prese il suo nome ed è ricordata da san Gregorio Magno.
A Genova la sua festa si celebra il 7 luglio a ricordo della traslazione delle sue reliquie nella Chiesa cattedrale ad opera del vescovo Landolfo. Il martirologio romano, che ricorda i santi ed i beati nell’anniversario della loro nascita al cielo, ha invece optato per il 29 giugno.
San Siro di Genova è anche detto San Siro di San Remo, dove era stato mandato in missione per evangelizzare quella zona della riviera di ponente, quando era ancora Diacono, e dove tornò spesso anche durante il suo mandato episcopale in Genova.
A San Remo gli venne dedicata un'antica chiesa romanica, la Basilica Cattedrale di San Siro (XII sec.)
Infatti, nella Piazza di San Siro a Sanremo, si ammira la basilica-concattedrale di San Siro, costruita appunto nel secolo XII in stile romanico-gotico sul modello del duomo di San Michele di Albenga.
Ristrutturata in epoca barocca, la chiesa venne riportata, fra Ottocento e Novecento, alle sue forme originarie, eccezione fatta però per il campanile che, mozzato dai Genovesi nel 1753, venne ricostruito in stile pseudo barocco.
Il bassorilievo, che orna il portale laterale di sinistra, è l'elemento più antico del complesso. Rappresenta un agnello pasquale tra due palme e risale forse al secolo XI.
All'interno della basilica, sovrasta l'altare maggiore il grande Crocifisso ligneo, settecentesco, opera di Anton Maria Maragliano.
Nella cappella di destra, del Ss.mo Sacramento, una importante opera di scultura rinascimentale, della scuola di Gaggini, il tabernacolo marmoreo, murale e nella cappella di sinistra, la stupenda statua della Madonna del Rosario del Maragliano. Lungo la navata destra il Crocifisso nero, di autore ignoto, sostegno nei secoli della comunità sanremese nei momenti avversi.
Il Battistero di San Giovanni, accanto alla basilica, risale al periodo barocco ( 1688) e conserva la "Comunione della Maddalena" di Orazio de Ferrari.

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SCOUT E SANTITA'

LA SANTITA’ VISSUTA IN COPPIA NEL SERVIZIO SCOUT:


Beati Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi


Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi, un uomo e una donna che si sono voluti bene, due sposi che si sono gioiosamente e con pienezza aiutati reciprocamente nella strada verso la felicità, nella strada del Signore. Un babbo ed una mamma che hanno cresciuto figli cercando per loro le cose migliori, non le più facili ma le più grandi, perché anche questi figli potessero gustare la gioia del Signore.
Il 21 Ottobre 2001 Luigi e Maria sono stati proclamati beati: una festa grande per due persone, e per i loro figli, che hanno vissuto le cose ordinarie della vita in modo straordinario. È la prima volta in assoluto che nella storia della Chiesa una coppia è innalzata all’onore degli altari per le sue virtù coniugali e familiari. Si tratta dei primi beati Scout italiani: Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi, ed in modo specialissimo Luigi, furono assai legati allo scautismo fin dagli inizi. Negli anni in cui l’Associazione Scoutistica Cattolica Italiana (ASCI, 1916 - 1974) muoveva i primi passi in Italia, i coniugi Beltrame Quattrocchi vollero collaborare agli sviluppi educativi del metodo scout e si impegnarono molto anche per diffonderlo e farlo crescere.
Lo scautismo cattolico italiano è riconoscente a Luigi e Maria per la esemplare testimonianza che è proseguita in modo fruttuoso attraverso il servizio di assistente ecclesiastico reso nell’Asci prima, e nell’Agesci poi, dal figlio, don Tarcisio, noto come “don Tar - Aquila Azzurra”, autore del testo della canzone: “Al cader della giornata”.
Il servizio scout iniziò per l’avvocato Luigi in coincidenza con l’iscrizione al Reparto Roma 5 ( 1916), appena fondato dal padre Gianfranceschi S. J. , dei due figli maschi, Filippo e Cesare. Entrò a far parte del Consiglio Direttivo; ne divenne primo Presidente e rappresentante all’Assemblea Generale del 1918, che lo nominò membro del Commissariato Centrale ASCI. Luigi frequentava con assiduità le riunioni settimanali del Commissariato Centrale ASCI, a fianco del primo Presidente italiano, il Conte Mario di Carpegna, dell’illustre scienziato gesuita padre Gianfranceschi (che poi, volò con Umberto Nobile sul Polo Nord), Mario Cingolani, Mario Mazza, Cesare Ossicini, Paolo Cassinis, Salvatore Salvatori, Salvatore Parisi.
Nel 1919 Luigi Beltrame, colpito dalla situazione di abbandono dei ragazzi di strada del rione popolare della Suburra, fondò e diresse alla basilica di S. Pudenziana, un oratorio festivo che in breve si popolò di ragazzi da evangelizzare. In seguito, Luigi decise di fondare tra quei ragazzi un nuovo Reparto di scouts, convinto che il metodo scout potesse essere un valido strumento per attirare alla Chiesa tanti ragazzi, sbandati e a rischio.
Nel 1919 nacque il Reparto Roma 20, che Luigi diresse fino al 1923.


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Venerabile Egidio Bollesi (1905-1929)

UN OPERAIO CHE HA POSTO LA SUA COMPETENZA A SERVIZIO DEL PROSSIMO
Apostolo tra i ragazzi di Azione Cattolica e Scout, giovane laico del Terz’Ordine francescano scrive: “Posso esclamare: ecco, la mia vita segue una stella; tutto il mondo, così, mi pare più bello”. Egidio Bullesi
Nasce a Pola nel 1905, terzo di nove fratelli in una famiglia di modeste condizioni e allo scoppio della guerra è già profugo con la famiglia. Torna nel 1918 a Pola, dove fa l’apprendista in un cantiere navale, impegnandosi in un opera di apostolato nel difficile ambiente di lavoro. In occasione di uno sciopero, nel 1920, innalza il tricolore sulle gru più alte. Con due fratelli, dà vita all’Associazione Cattolica della Parrocchia, e diventa animatore dei giovani Aspiranti di Azione Cattolica, ma dopo aver partecipato a Roma nel 1921 al Congresso Nazionale per il 50° di fondazione dell’Azione Cattolica torna carico di entusiasmo per lo Scautismo ed è tra i promotori del Reparto Scout di Pola.
A pochi giorni dalla festa del Corpus Domini, Egidio freme desiderando che, in quella grande solennità, i Giovani Esploratori cattolici possano prender parte anch’essi alla processione, e in uniforme, anche per poter essere conosciuti dalla cittadinanza. Sotto le mani volenterose di signore e ragazze, con l’aiuto dello stesso Egidio in un paio di giorni le uniformi scout sono pronte. Purtroppo, dopo cinque anni, il Decreto di scioglimento dello scautismo distrusse presto quella gioia, e di fronte alla prepotenza del governo fascista gli Esploratori dovettero riporre le loro uniformi.
Così il 9 febbraio 1927 Egidio scrive al fratello Giovanni (da La Spezia): “Puoi immaginare quale impressione mi fece la notizia dello scioglimento degli Esploratori. Ammirabile la vostra fortezza d’animo e la devozione al Vicario di Cristo, con la quale accoglieste sì dolorosa deliberazione. Ora, Giovanni, conservando uniti gli Esploratori, sarà bene costituire un Circolo e federarlo alla Gioventù Cattolica, poi mantenere intatto lo spirito scoutistico, evitando solo quello che può essere contrario alle intenzioni del Papa. E del resto continuare l’identica attività. Cercare quindi di tradurre in fatto il proverbio: l’abito non fa il monaco. ”.
Pur soffrendo profondamente per la chiusura del Reparto scout, Egidio continua a tenere “istruzioni”, ad animare giochi, a svolgere attività educativa… I ragazzi si sentivano felici con lui, e a lui ricorrevano per un consiglio, per un aiuto.
Presta il servizio militare dal ‘25 al ‘27, come marinaio, svolgendo una vivace opera di apostolato tra i commilitoni. Dopo il congedo, lavora come disegnatore nel cantiere navale di Monfalcone, ma presto la malattia lo obbliga a continue cure. Per tubercolosi, il 29 Agosto 1928 si ricovera all’ospedale di Pola, dando, durante la lunga malattia, esempio di forza d’animo e serenità francescana, arrivando anche ad offrire la sua vita per i missionari. A 23 anni Egidio Bullesi “torna alla Casa del Padre” il 25 Aprile 1929.
Nel 1997 la Chiesa lo riconosce come Venerabile. La Causa di Beatificazione è ora all’esame a Roma.
Piace pensare che, forse, nella sua adesione allo Scautismo vi è anche l’intuizione di una “strada” provvidenziale, capace di portare gioiosamente i giovani al Padre...Sembrano infatti rivolte anche ai Capi dello Scautismo queste parole di Egidio: “Si tratta di salvare molte anime di fanciulli: si tratta di orientarle per tutta la vita verso Nostro Signore, verso il suo Cuore. Si tratta di dare all’Italia nostra la giovinezza di domani, forte e pura, colta e pia, si tratta di popolare il Cielo di Santi”

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Don Giovanni Minzioni (1885-1923)
UN EROICO MARTIRE DEL FASCISMO


Don Giovanni Minzoni, insieme ad altre opere sociali e giovanili, aveva lanciato nella parrocchia di Argenta (Ravenna) tre mesi prima della morte, gli Esploratori: una grande novità nell’Italia di allora. Fu uno dei primi Assistenti Scout. A qualcuno dispiaceva l’operato di don Giovanni.
Non mancarono le minacce, più o meno violente: tentarono perfino d’incendiargli il circolo cattolico. Di notte, a più riprese, i fascisti argentani andarono a cantargli il “Requiem” e il “De profundis” sotto le finestre della canonica, ma egli continuò deciso il suo lavoro apostolico.
Nel luglio 1923, un mese prima della morte, l’Assistente Regionale degli Scout fu chiamato ad Argenta per tenere una conferenza pubblica nel teatro del circolo cattolico. Monsignor Emilio Faggioli era stato chiamato apposta da Bologna da Don Minzoni, per parlare degli Esploratori. Don Giovanni lo presentò al pubblico che gremiva la sala e gli diede la parola. Monsignor Faggioli spiegò le finalità dello scautismo: “Attraverso questo tirocinio e disciplina della volontà e del corpo - disse fra l’altro l’oratore - noi intendiamo formare degli uomini di carattere...”.
Dalla galleria una voce interruppe per dire: “C’è già Mussolini!”.
L’interruzione minacciosa creò subito una fenditura nell’ambien-te mentre don Minzoni, alzatosi da mezzo il pubblico, si sentì istintivamente portato dalla sua irruenza romagnola verso il luogo donde era uscita la voce. Mons.Faggioli intanto rispondeva che lo scautismo agisce al di sopra e all’infuori della fazione politica e continuava la relazione tra la compatta unanimità degli ascoltatori, specie giovani, che reagivano battendogli calorosamente le mani.
“Vedrete da oggi - terminò l’oratore - lungo le vostre strade i giovani esploratori col largo cappello in testa ed il giglio sul cuore.
Guardate con simpatia questi ragazzi che percorreranno cantando la larga piazza d’Argenta...”. “In piazza non verranno” - interruppe di nuovo la voce del segretario del fascio locale dalla galleria. Ma questa volta rispose d. Minzoni stesso: “Finché c’è don Giovanni, verranno anche in piazza!”. L’applauso immenso dei suoi giovani troncò il dialogo.
Poco più di un mese dopo, il 23 agosto 1923, due sicari lo sorpresero per le vie di Argenta di sera, insieme ad un giovane del suo gruppo. Gli fracassarono il cranio a randellate.
Morì un’ora dopo. Aveva scritto nel suo diario: “A cuore aperto, con la preghiera che spero non si spegnerà sul mio labbro per i miei persecutori, attendo la bufera, la persecuzione, forse la morte per il trionfo della causa di Cristo… la religione non ammette servilismi, ma il martirio”.
Un articolista [nel 1973] è riuscito a rintracciare anche Enrico Bondanelli, il giovane che venne aggredito insieme a don Minzoni e si salvò la vita solo perché le legnate furono attutite dalla paglietta che portava in testa. Interrogato sulle cause dell’aggressione a Don Minzoni ha dato queste spiegazioni: “...Per me l’arciprete era solo un uomo che detestava la violenza da qualunque parte venisse e che non tollerava le imposizioni nemmeno dai fascisti. La causa della sua tragica morte è stata il contrasto insanabile sorto con i fascisti sulla educazione della gioventù d’Argenta.
Il partito fascista aveva fondato in quegli anni l’Opera Balilla ma i ragazzi ed i giovani d’Argenta preferivano iscriversi all’associazione degli Esploratori e al Circolo cattolico istituiti da don Minzoni.
Lo smacco provocò il risentimento dei fascisti argentani e poiché l’arciprete non intendeva cedere, decisero di impartirgli una lezione, secondo il loro costume. La lezione fu tale che lo mandarono all’altro mondo”.

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Beato MARCEL CALLO (1921-1945)
UN MARTIRE VINCITORE DELLA FOLLIA NAZISTA


Il 4.X.1987 molti giornali in tutto il mondo portano la fotografia di un giovane in divisa scout. Quel giorno infatti Giovanni Paolo II lo colloca nell’elenco dei Beati. Da quel giorno nelle chiese si possono fare altari dedicati a lui, come si fanno a S.Francesco o a S. Antonio.
Chi era questo capo squadriglia? Si chiamava Marcel Callo ed era francese: fece la sua promessa nel 1934 ed era molto fiero di essere scout. Nello stesso anno Marcel cominciò a lavorare come apprendista tipografo e nel 1936 diventò capo della squadriglia Pantere, che era composta di ragazzi lavoratori come lui.
Marcel è un ragazzo che mantiene la sua Promessa scout e cerca di lasciare il mondo un po’ migliore di come lo ha trovato, impegnandosi anche nella Gioventù operaia cattolica (JOC), in cui passò allo scoppio della seconda guerra mondiale.
Nel 1943 Marcel riceve l’ordine di andare a lavorare in Germania, lui ci va seguendo le indicazioni del suo vescovo, perché bisognava tenere alto il morale di tanti ragazzi lavoratori.
Per lui si tratta di aiutare il prossimo in una circostanza precisa. Ma i Tedeschi prendono di mira i gruppi di giovani cristiani che aiutano gli altri.
Marcel viene arrestato per propaganda antinazista e perché è “troppo cattolico”; viene condannato ed inviato nel lager di Mauthausen, dove muore il 19 marzo 1945.


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Beato don Stefan Wincenty Frelichowski (1913-1945)
MARTIRE DELLA FOLLIA NAZISTA


Giovanni Paolo II ha affidato gli Scouts ad un ulteriore Patrono. Si tratta del beato don Stefan Wincenty Frelichowski, beatificato il 7 giugno 1999 a Torun (P). Don Stefan, nato il 22 gennaio 1913 a Chelmza, entrò negli scout nel 1927 e dello Scautismo fece suoi i principi fondamentali che applicò alla sua vita quotidiana e sacerdotale, mettendosi al servizio degli altri, di Dio e della sua Patria. Sullo Scautismo disse: “Io credo fortemente che il paese di cui tutti i cittadini fossero scout, sarebbe il più potente di tutti, perché lo scautismo forma, attraverso la sua scuola, un tipo di uomo di cui la nostra società ha bisogno”.
Entrò in seminario, con il proposito di seguire Cristo, sviluppando una devozione speciale per il Sacro Cuore di Gesù, a cui sì affidava nei momenti di debolezza, cosciente di dover lavorare sulle sue mancanze, combattendo contro le tentazioni del mondo. Venne ordinato sacerdote nel marzo del 1937 e nel 1938 venne destinato, come vicario, nella parrocchia di Torun, applicandosi subito all’attività pastorale, come assistente spirituale degli scouts. Quando i tedeschi occuparono la città, venne arrestato insieme agli altri sacerdoti della parrocchia e lui solo verrà deportato in vari campi di concentramento, di cui l’ultimo sarà Dachau.
Tuttavia, la gran fede lo accompagnerà e lo sosterrà durante la prigionia, dandogli la forza di resistere, non solo, ma di portare una parola di speranza, di forza e di fede in quei luoghi dove dominava la morte e la sopraffazione, cercando, pur tra i pericoli, di svolgere la sua attività sacerdotale ed assistendo gli ammalati di tifo che, a causa delle condizioni disperate in cui vivevano, avevano poche possibilità di sopravvivenza. Egli non ebbe paura del contagio e non esitò a prendersi cura di loro, cosicché si ammalò e morì, il 23 febbraio del 1945, a due mesi dall’arrivo dei primi americani.
Dopo la sua morte accadde qualcosa di straordinario, che non era mai accaduto prima. Le autorità naziste del campo, prima che il corpo fosse cremato, diedero il permesso che a don Stefan fosse dato l’estremo saluto da tutti i suoi compagni di prigionia. Un testimone oculare ricorda: “In silenzio e in solenne concentrazione di preghiera la folla dei prigionieri si muoveva nell’ossario. Passavano giovani e vecchi, Polacchi e stranieri. Lo conoscevano tutti. In quel momento tante intense preghiere erano rivolte al Creatore per lui, tante lacrime si versavano sulle guance.
Se ne è andato da sacerdote amato e santo. Era morto un uomo che aveva depositato la sua vita sull’altare dell’amore e della misericordia verso il prossimo”.
Fu allora che uno studente di medicina compagno di don Stefan, riuscì a tagliare un pezzetto di dito dal corpo del sacerdote prima dell’ingresso nel forno crematorio. Aveva intuito che di don Stefan si sarebbe continuato a parlare a lungo. Questo stesso studente sopravvissuto all’olocausto, oggi anziano e infermo, ha consegnato personalmente al Papa nel giorno della beatificazione di don Stefan, in un momento di grande commozione, l’unica reliquia del sacerdote di Torun.


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Venerabile Joël Anglès d’Auriac (1922-1944)
MARTIRE DELLA FOLLIA NAZISTA


Joël Anglès d’Auriac, 22 anni, scout di Tolone, cristiano militante, inviato al Servizio di Lavoro Obbligatorio in Germania, decapitato a Dresda il 6.XII,1944. La sua causa di beatificazione è stata introdotta a Roma. “Ecco l’ultimo messaggio del vostro amico Joël. Io muoio sorridendo perchè il Signore è con me, e non dimentico che un rover che non è capace di morire non è buono a nulla… Addio, fratelli rover; la mia ultima parola: non lasciate lo scautismo. Addio”.
Joël Yves Marie Angles d’Auriac pronunciò la sua Promessa Scout il 23 marzo 1941 nel Clan Saint Martin di Toulon. Lo scautismo, a cui era arrivato da grande, fu per lui una magnifica scoperta che affrontò con l’ardore del neofita e con spirito di servizio. Prese la Partenza il 16 maggio 1943.
Scrisse in quell’occasione: “Raramente, potrei forse dire mai, ho conosciuto tanta felicità e tanta gioia quasi soprannaturale”.
Nel luglio del 1943 fu costretto dai tedeschi a partire per lavorare in Germania. Qui, subito riunì altri Routiers (così si chiamavano i rover francesi) e formò una equipe che intitolò a Nostra Signora della Speranza.
Era di una dirittura esigente e rigorosa e si dedicò sempre a fare opera di servizio tra i suoi compatrioti.
Fu arrestato il 10 marzo 1944 con l’accusa di attività antitedesca, resistenza al lavoro e riunioni clandestine.
Il 20 ottobre fu giudicato per alto tradimento e condannato a morte. L’esecuzione avvenne a Dresda il 9.XII.1944.
Joël visse a fondo e con grande entusiasmo i suoi ideali scout che gli avevano permesso di scoprire lo splendore del cristianesimo, la carità e la fraternità. Prima della deportazione, desideroso di partecipare agli altri la propria scoperta, egli andava frequentemente nei giardini pubblici della città a far giocare i ragazzi e a indirizzarli nello scautismo.
In Germania, noncurante dei rischi, giocò a fondo per i suoi ideali cristiani e francesi; la sua morte era prevista e accettata. La vigilia della sua esecuzione egli scrisse il suo ultimo messaggio: “Io muoio sorridendo perché il Signore è con me e non dimentico che un Routier se non sa affrontare anche la morte non è buono a nulla. Fratelli Routiers, siate ricompensati della gioia che mi avete donato. Grazie a voi io vado a morire con gioia: il Signore mi è vicino.
Non siate tristi e abbiate la certezza che accetto la prova con gioia e la offro per tutti voi. Perdono i responsabili della mia morte”. Joël fu per tutti un esempio di lealtà, di abnegazione e di spirito scout, cristiano e francese.
Nel suo Carnet de Route fu ritrovato: “È duro qualche volta rimanere fedele agli ideali della Partenza ma per il momento è il Signore che lotta per me… L’ideale del servizio è male applicato se si brontola durante l’impegno col pretesto che gli altri non fanno nulla”.Joël ci ha lasciato un grande esempio, tanto più valido oggi in cui è difficile parlare di educazione allo spirito di sacrificio. D’altra parte Joël conferma quanto è stato più volte ripetuto da Baden-Powell: la felicità è frutto di una buona coscienza e di un impegno di servizio al prossimo.


ATTILIO GARDINI

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NOTIZIE DAL VATICANO


LE FIGURE DEI SANTI PRESENTATE DA BENEDETTO XVI


San Giovanni Crisostomo

 


Nell’udienza in Piazza San Pietro del 26 settembre u.s. il Papa si è soffermato ancora su San Giovanni Crisostomo.
"Cari fratelli e sorelle! Continuiamo oggi la nostra riflessione su san Giovanni Crisostomo. Dopo il periodo passato ad Antiochia, nel 397 egli fu nominato Vescovo di Costantinopoli, la capitale dell'Impero romano d'Oriente.
Fin dall’inizio, Giovanni progettò la riforma della sua Chiesa: l'austerità del palazzo episcopale doveva essere di esempio per tutti - clero, vedove, monaci, persone della corte e ricchi. Purtroppo, non pochi di essi, toccati dai suoi giudizi, si allontanarono da lui. Sollecito per i poveri, Giovanni fu chiamato anche "l'Elemosiniere". Da attento amministratore, infatti, era riuscito a creare istituzioni caritative molto apprezzate. La sua intraprendenza nei vari campi ne fece per alcuni un pericoloso rivale. Egli, tuttavia, come vero Pastore, trattava tutti in modo cordiale e paterno. In particolare, riservava accenti sempre teneri per la donna e cure speciali per il matrimonio e la famiglia. Invitava i fedeli a partecipare alla vita liturgica, da lui resa splendida e attraente con geniale creatività.
Nonostante il cuore buono, non ebbe una vita tranquilla. Pastore della capitale dell’Impero, si trovò coinvolto spesso in questioni e intrighi politici, a motivo dei suoi continui rapporti con le autorità e le istituzioni civili. Sul piano ecclesiastico, poi, avendo deposto in Asia nel 401 sei Vescovi indegnamente eletti, fu accusato di aver varcato i confini della propria giurisdizione, e diventò così bersaglio di facili accuse. Un altro pretesto contro di lui fu la presenza di alcuni monaci egiziani, scomunicati dal patriarca Teofilo di Alessandria e rifugiatisi a Costantinopoli. Una vivace polemica fu poi originata dalle critiche mosse dal Crisostomo all'imperatrice Eudossia e alle sue cortigiane, che reagirono gettando su di lui discredito e insulti. Si giunse così alla sua deposizione, nel sinodo organizzato dallo stesso patriarca Teofilo nel 403, con la conseguente condanna al primo breve esilio.
Dopo il suo rientro, l’ostilità suscitata contro di lui dalla protesta contro le feste in onore dell’imperatrice – che il Ve-scovo considerava come feste pagane, lussuose –, e la cacciata dei presbiteri incaricati dei Battesimi nella Veglia pasquale del 404 segnarono l'inizio della persecuzione di Crisostomo e dei suoi seguaci, i cosiddetti "Giovanniti".
Allora Giovanni denunciò per lettera i fatti al Vescovo di Roma, Innocenzo I. Ma era ormai troppo tardi.
Nell’anno 406 dovette di nuovo recarsi in esilio, questa volta a Cucusa, in Armenia. Il Papa era convinto della sua innocenza, ma non aveva il potere di aiutarlo. Un Concilio, voluto da Roma per una pacificazione tra le due parti dell'Impero e tra le loro Chiese, non poté avere luogo. Lo spostamento logorante da Cucusa verso Pytius, mèta mai raggiunta, doveva impedire le visite dei fedeli e spezzare la resistenza dell'esule sfinito: la condanna all'esilio fu una vera condanna a morte! Sono commoventi le numerose lettere dall'esilio, in cui Giovanni manifesta le sue preoccupazioni pastorali con accenti di partecipazione e di dolore per le persecuzioni contro i suoi. La marcia verso la morte si arrestò a Comana nel Ponto. Qui Giovanni moribondo fu portato nella cappella del martire san Basilisco, dove esalò lo spirito a Dio e fu sepolto, martire accanto al martire (Palladio, Vita 119). Era il 14 settembre 407, festa dell’Esaltazione della santa Croce.
La riabilitazione ebbe luogo nel 438 con Teodosio II. Le reliquie del santo Vescovo, deposte nella chiesa degli Apostoli a Costantinopoli, furono poi trasportate nel 1204 a Roma, nella primitiva Basilica costantiniana, e giacciono ora nella cappella del Coro dei Canonici della Basilica di San Pietro. Il 24 agosto 2004 una parte cospicua di esse fu donata dal Papa Giovanni Paolo II al Patriarca Bartolomeo I di Costantinopoli. La memoria liturgica del santo si celebra il 13 settembre. Il beato Giovanni XXIII lo proclamò patrono del Concilio Vaticano II.
Di Giovanni Crisostomo si disse che, quando fu assiso sul trono della Nuova Roma, cioè di Costantinopoli, Dio fece vedere in lui un secondo Paolo, un dottore dell'Universo. In realtà, nel Crisostomo c'è un'unità sostanziale di pensiero e di azione ad Antiochia come a Costantinopoli. Cambiano solo il ruolo e le situazioni. Meditando sulle otto opere compiute da Dio nella sequenza dei sei giorni nel commento della Genesi, il Crisostomo vuole riportare i fedeli dalla creazione al Creatore: "È un gran bene", dice, "conoscere ciò che è la creatura e ciò che è il Creatore". Ci mostra la bellezza della creazione e la trasparenza di Dio nella sua creazione, la quale diventa così quasi una "scala" per salire a Dio, per conoscerlo. Ma a questo primo passo se ne aggiunge un secondo: questo Dio creatore è anche il Dio della condiscendenza (synkatabasis). Noi siamo deboli nel "salire", i nostri occhi sono deboli. E così Dio diventa il Dio della condiscendenza, che invia all'uomo caduto e straniero una lettera, la Sacra Scrittura, cosicché creazione e Scrittura si completano. Nella luce della Scrittura, della lettera che Dio ci ha dato, possiamo decifrare la creazione.
Dio è chiamato "padre tenero" (philostorgios) (ibid.), medico delle anime (Omelia 40,3 sulla Genesi), madre (ibid.) e amico affettuoso (Sulla provvidenza 8,11-12). Ma a questo secondo passo — prima la creazione come "scala" verso Dio e poi la condiscendenza di Dio tramite una lettera che ci ha dato, la Sacra Scrittura — si aggiunge un terzo passo.
Dio non solo ci trasmette una lettera: in definitiva, scende Lui stesso, si incarna, diventa realmente "Dio con noi", nostro fratello fino alla morte sulla Croce. E a questi tre passi — Dio è visibile nella creazione, Dio ci dà una sua lettera, Dio scende e diventa uno di noi — si aggiunge alla fine un quarto passo. All'interno della vita e dell'azione del cristiano, il principio vitale e dinamico è lo Spirito Santo (Pneuma), che trasforma le realtà del mondo. Dio entra nella nostra stessa esistenza tramite lo Spirito Santo e ci trasforma dall'interno del nostro cuore.
Su questo sfondo, proprio a Costantinopoli Giovanni, nel commento continuato degli Atti degli Apostoli, propone il modello della Chiesa primitiva (At 4,32-37) come modello per la società, sviluppando un’ "utopia" sociale (quasi una "città ideale"). Si trattava infatti di dare un'anima e un volto cristiano alla città. In altre parole,
Crisostomo ha capito che non è sufficiente fare elemosina, aiutare i poveri di volta in volta, ma è necessario creare una nuova struttura, un nuovo modello di società; un modello basato sulla prospettiva del Nuovo Testamento.
È la nuova società che si rivela nella Chiesa nascente. Quindi Giovanni Crisostomo diventa realmente così uno dei grandi Padri della Dottrina Sociale della Chiesa: la vecchia idea della "polis" greca va sostituita da una nuova idea di città ispirata alla fede cristiana. Crisostomo sosteneva con Paolo (cfr 1 Cor 8, 11) il primato del singolo cristiano, della persona in quanto tale, anche dello schiavo e del povero. Il suo progetto corregge così la tradizionale visione greca della "polis", della città, in cui larghi strati della popolazione erano esclusi dai diritti di cittadinanza, mentre nella città cristiana tutti sono fratelli e sorelle con uguali diritti. Il primato della persona è anche la conseguenza del fatto che realmente partendo da essa si costruisce la città, mentre nella "polis" greca la patria era al di sopra del singolo, il quale era totalmente subordinato alla città nel suo insieme. Così con Crisostomo comincia la visione di una società costruita dalla coscienza cristiana. Ed egli ci dice che la nostra "polis" è un'altra, "la nostra patria è nei cieli" (Fil 3, 20) e questa nostra patria anche in questa terra ci rende tutti uguali, fratelli e sorelle, e ci obbliga alla solidarietà.
Al termine della sua vita, dall'esilio ai confini dell'Armenia, "il luogo più remoto del mondo",
Giovanni, ricongiungendosi alla sua prima predicazione del 386, riprese il tema a lui caro del piano che Dio persegue nei confronti dell'umanità: è un piano "indicibile e incomprensibile", ma sicuramente guidato da Lui con amore (cfr Sulla provvidenza 2,6). Questa è la nostra certezza. Anche se non possiamo decifrare i dettagli della storia personale e collettiva, sappiamo che il piano di Dio è sempre ispirato dal suo amore. Così, nonostante le sue sofferenze, il Crisostomo riaffermava la scoperta che Dio ama ognuno di noi con un amore infinito, e perciò vuole la salvezza di tutti.
Da parte sua, il santo Vescovo cooperò a questa salvezza generosamente, senza risparmiarsi, lungo tutta la sua vita.
Considerava infatti ultimo fine della sua esistenza quella gloria di Dio, che – ormai morente – lasciò come estremo testamento: "Gloria a Dio per tutto!" (Palladio, Vita 11).

BENEDETTO XVI

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Sant'Ilario di Poitiers


Il Santo Padre Benedetto XVI ha dedicato a Sant'Ilario di Poitiers, Dottore della Chiesa, la catechesi per l'Udienza Generale del 10 ottobre u.s., tenutasi in Piazza San Pietro, con la partecipazione di 23.000 persone.
Città del Vaticano (Agenzia Fides) - “Nel confronto con gli ariani, che consideravano il Figlio di Dio Gesù una creatura, sia pure eccellente, ma solo creatura, Ilario ha consacrato tutta la sua vita alla difesa della fede nella divinità di Gesù Cristo, Figlio di Dio e Dio come il Padre, che lo ha generato fin dall'eternità”.
Lo ha affermato il Santo Padre Benedetto XVI durante l’udienza generale di mercoledì 10 ottobre: la catechesi è stata infatti dedicata a presentare uno dei grandi Padri della Chiesa di Occidente, Sant'Ilario di Poitiers, vissuto nel IV secolo.
Pur non disponendo di dati sicuri per la maggior parte della sua vita, dalle fonti antiche si apprende che Ilario nacque a Poitiers verso l'anno 310, in una famiglia agiata, che gli fece impartire una solida formazione letteraria. Probabilmente non crebbe in un ambiente cristiano.
Battezzato verso il 345, fu eletto Vescovo della sua città natale intorno al 353-354.
Negli anni successivi Ilario scrisse la sua prima opera, il “Commento al Vangelo di Matteo”, il più antico commento in lingua latina che ci sia pervenuto di questo Vangelo.
Nel 356 Ilario assiste come Vescovo al sinodo di Béziers, nel sud della Francia, dominato dai vescovi filoariani che negavano la divinità di Gesù Cristo. Questi "falsi apostoli" chiesero all'imperatore Costanzo la condanna all'esilio del Vescovo di Poitiers. Così Ilario fu costretto a lasciare la Gallia durante l'estate del 356. Esiliato in Frigia, l'attuale Turchia, Ilario si trovò in un contesto religioso totalmente dominato dall'arianesimo. “Anche lì la sua sollecitudine di Pastore lo spinse a lavorare strenuamente per il ristabilimento dell'unità della Chiesa - ha sottolineato Papa Benedetto XVI -, sulla base della retta fede formulata dal Concilio di Nicea.
A questo scopo egli avviò la stesura della sua opera dogmatica più importante e conosciuta: il “De Trinitate” (Sulla Trinità). In essa Ilario espone il suo personale cammino verso la conoscenza di Dio e si preoccupa di mostrare che la Scrittura attesta chiaramente la divinità del Figlio e la sua uguaglianza con il Padre non soltanto nel Nuovo Testamento, ma anche in molte pagine dell'Antico, in cui già appare il mistero di Cristo. Di fronte agli ariani egli insiste sulla verità dei nomi di Padre e di Figlio e sviluppa tutta la sua teologia trinitaria partendo dalla formula del Battesimo donataci dal Signore stesso". Negli anni del suo esilio Ilario scrisse anche il “Libro dei Sinodi”, nel quale commenta per i suoi confratelli Vescovi della Gallia le confessioni di fede e altri documenti dei sinodi riuniti in Oriente intorno alla metà del IV secolo. “Sempre fermo nell'opposizione agli ariani radicali, sant'Ilario mostra uno spirito conciliante - ha messo in luce il Papa -, che cerca di comprendere quelli che ancora non sono arrivati e li aiuta, con grande intelligenza teologica, a giungere alla piena fede nella divinità vera del Signore Gesù Cristo.”
Tornato in patria nel 360 o nel 361, Ilario riprese l'attività pastorale nella sua Chiesa, mostrando sempre “fortezza nella fede e mansuetudine nel rapporto interpersonale”.
Negli ultimi anni di vita egli compose i Trattati sui Salmi, un commento a cinquantotto Salmi in cui vede “la trasparenza del mistero di Cristo e del suo Corpo che è la Chiesa”.
Ilario morì nel 367 e nel 1851 il beato Pio IX lo proclamò Dottore della Chiesa.
Riassumendo l’elemento fondamentale della sua dottrina, il Santo Padre ha sottolineato che “Ilario trova il punto di partenza della sua riflessione teologica nella fede battesimale”.
Alla fine del suo trattato sulla Trinità, chiede a Dio di potersi mantenere sempre fedele alla fede del battesimo: “E’ una caratteristica di questo libro: la riflessione si trasforma in preghiera e la preghiera ritorna riflessione. Tutto il libro è un dialogo con Dio”. (S.L.)

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CERIMONIE DI BEATIFICAZIONE


LA BEATIFICAZIONE PIU’ NUMEROSA DELLA STORIA A PIAZZA S.PIETRO

28 OTTOBRE 2007:
DI 498 MARTIRI DELLA PERSECUZIONE RELIGIOSA IN SPAGNA (1934-1939)


Domenica 28 ottobre u.s. la Chiesa ha celebrato in piazza San Pietro la beatificazione più numerosa della storia, elevando alla gloria degli altari quasi 500 martiri della persecuzione religiosa che ebbe luogo in Spagna negli anni trenta del secolo scorso. Ha presieduto la cerimonia il card. Jose Saraiva Martins, prefetto della S.Congregazione dei Santi.
Secondo quanto ha spiegato P. Juan Antonio Martínez Camino, portavoce della Conferenza Episcopale spagnola, durante un atto accademico celebrato lo scorso 5 ottobre a Roma presso il Pontificio Istituto Agustinianum, promosso dalla Conferenza Episcopale Spagnola con il titolo "Il secolo dei martiri e la persecuzione religiosa in Spagna (1934-1939)", questa beaificazione costituisce un "avvenimento straordinario che contribuirà a non far dimenticare il grande segno di speranza che costituisce la testimonianza dei martiri”. P. Martínez Camino ha sottolineato i tre motivi che fanno di questa celebrazione un avvenimento straordinario: il numero dei beati, dato che “non sono stati mai beatificati tanti servi di Dio in una sola volta: è la beatificazione più numerosa della storia"; l'organizzazione, poiché è la prima esperienza di lavoro fatto insieme da varie postulazioni, tra loro e con l'Ufficio per le Cause dei Santi; dal punto di vista pastorale, perché "sono praticamente tutte le diocesi spagnole che, per motivo di nascita, di vita apostolica o di martirio dei nuovi beati, sono protagoniste di questa grande festa della fede e della santità".
Pur essendo la beatificazione più numerosa della storia della Chiesa, ogni caso è stato comunque studiato singolarmente e con tutta la cura dovuta.
Con questi nuovi beati sono 977 i martiri spagnoli riconosciuti dalla Chiesa, dei quali 11 sono già Santi. "Ed è prevedibile che si continui proponendo molti altri casi" ha affermato il portavoce della Conferenza Episcopale, perché furono circa 10.000 i martiri della Spagna in quell'epoca.
Di circa 2 mila sono già cominciati i processi di beatificazione.
All'atto accademico hanno partecipato anche il prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, e Vicente Cárcel Ortí, studioso della Storia della Chiesa in Spagna, che ha affermato che la persecuzione religiosa di quell'epoca "è stata la maggiore conosciuta nella storia della Spagna e forse in tutta la storia della Chiesa cattolica". Ha ricordato inoltre che "Papa Pio XI, nell'enciclica Dilectissima nobis del 3 giugno 1933, denunciò davanti al mondo la situazione di autentica persecuzione religiosa che viveva la Chiesa in Spagna". (Fonte: Agenzia Fides).

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BEATI MARTIRI SPAGNOLI

Il 28 ottobre, in Piazza San Pietro sono stati beatificati 498 martiri della persecuzione religiosa in Spagna.
Polemiche, interrogativi e malintesi hanno accompagnato il processo di beatificazione dei cosiddetti “martiri della guerra spagnola”.
È necessario perciò chiarire bene le idee, per evitare equivoci, solo così si potrà capire con esattezza quello che è capitato nella Spagna durante gli anni dal 1931 al 1939.
Primo equivoco: legare i nuovi martiri alla vicenda della guerra spagnola è una manipolazione che falsa la realtà, perché già molto prima della guerra, scoppiata il 18 luglio 1936, ci furono dei martiri.
Nell’ottobre del ’34, ad esempio, furono uccisi a Turón 9 religiosi, Fratelli delle Scuole Cristiane, e un Passionista, tutti canonizzati il 21 novembre 1999; prima ancora, nel 1933, Pio XI con l’enciclica “Dilectissima nobis”, denunciava e condannava la persecuzione religiosa in Spagna. E’ da notare che mancavano tre anni all’inizio della guerra civile.
Inoltre, se è vero che per molti dei martiri fu la guerra civile il contesto in cui avvenne la loro morte, è altrettanto sacrosanto che nessuno di loro aveva niente a che vedere con la guerra.
Erano persone pacifiche che stavano nei loro conventi, case, parrocchie o comunità, e che furono ammazzati gratuitamente, solo per il fatto di esser sacerdoti, religiosi, o gente di fede.
Quelli invece che morirono in guerra sono stati vittime della violenza bellica, ma la loro morte ha poco a che vedere con il martirio.
Persecuzione ci fu.
Innegabile è inoltre il fatto che in Spagna c’è stata una vera e propria persecuzione religiosa.
Per provarlo bastano alcuni dati: l’11 maggio 1931, a un mese scarso dall’inizio della II Repubblica, proclamata il 14 aprile, furono bruciate chiese (anche dei salesiani) a Madrid, Valencia, Sevilla, Malaga, Alicante, ecc.; il 24 gennaio 1932 fu decretato lo scioglimento dei gesuiti; il 17 maggio del ’33 fu pubblicata la cosiddetta “Legge delle Confessioni e Congregazioni religiose” che proibiva ai membri di praticare l’insegnamento e ogni attività commerciale e consentiva la nazionalizzazione dei loro beni. Vennero fondate Editrici specializzate nella produzione e diffusione di pubblicazioni popolari contro Dio e la Chiesa. Le pressioni contro Chiesa e religione non rimasero a livello ideologico, ma dal ’31 al ’36 furono incarcerati e ammazzati numerosi preti e religiosi. La situazione peggiorò ancora nel febbraio 1936, quando il “Fronte Popolare”, formato da socialisti, comunisti e altri gruppi radicali, vinse le elezioni.
Scoppiò allora un’ondata di fobia anticlericale e anticristiana che ebbe conseguenze disastrose: incendio di chiese, assalti e saccheggi a monasteri e conventi, distruzioni di croci e crocefissi, proscrizione di parroci, proibizione di cerimonie pubbliche e un odio feroce verso le persone e le cose sacre: la statua del Sacro Cuore di Gesù, sita nel centro geografico della Spagna, fu letteralmente “fucilata” il 7 agosto 1936; furono profanate reliquie, esumate mummie dalle chiese e oltraggiate per le vie, ecc. Stampa e radio lanciavano continuamente messaggi di odio incitando a ciò che chiamavano “depurazione religiosa”.
L’intento dichiarato era quello di annientare la Chiesa e la religione cristiana. I risultati? Così riferiva al suo governo il ministro repubblicano, Manuel de Irujo: “Tutti gli altari, immagini e oggetti di culto, salvo contate eccezioni sono stati distrutti; tutte le chiese chiuse al culto… nelle chiese sono stati installati depositi di ogni sorta, mercati, garage, stalle, rifugi… sacerdoti e religiosi sono stati imprigionati e fucilati a migliaia… senz’altro motivo conosciuto che il loro carattere di sacerdoti e religiosi…”.
Davanti a questa situazione, lo storico A. Montero scrive: “Chi distrugge immagini della Madonna, brucia altari o calpesta corporali, non può portare come pretesto del suo operato rivendicazioni classiste o imperativi di guerra…. Nelle migliaia di templi distrutti, cristi mutilati e parodie sacrileghe si mostra plasticamente più che con la morte delle persone, ciò che abbiamo chiamato persecuzione religiosa. Certo, perché nella feroce devastazione di oggetti sacri risalta allo stato puro l’odio contro ciò che queste cose rappresentano, cioè Dio, la Chiesa, la fede. Il bilancio è tragico: 13 vescovi, 4184 sacerdoti e seminaristi, 2648 tra religiosi e religiose, alcune migliaia di laici. In tutto quasi diecimila martiri”.

Martiri e non martiri


Spesso si sente dire che anche “dall’altra parte” ci furono odio, fanatismo, vendette e numerose persone innocenti uccise, come anche grandi atti di eroismo. Bisogna riconoscere che è vero. Ma allora, perché beatificare solo gli uccisi dai “rossi”? La risposta è semplice: perché gli uni furono martiri e gli altri no, cioè alcuni morirono per odio alla fede e altri per motivi umani.
Seguendo questo criterio, risulta chiaro il perché non tutti gli uccisi sono stati beatificati, ma solo quelli di cui è assolutamente provato che morirono in ragione della loro fede cristiana.
Molti altri sacerdoti e religiosi (anche salesiani) morirono difendendo come soldati la Repubblica o prestando il servizio negli ospedali o nelle istituzioni assistenziali della zona “rossa”, ma furono, come tanti altri, innocenti vittime della assurda violenza della guerra e non si può provare che morissero per la fede. E questo è decisivo. Un caso su tutti.
A Malaga furono ammazzati 9 salesiani.
Uno di essi è stato depennato. Il motivo?
Un’ombra di dubbio sul motivo della morte. Era in prigione con gli altri salesiani; quella notte l’aviazione franchista bombardò la città. Come rappresaglia, i repubblicani ammazzarono alcuni carcerati tra cui don Vicente Reyes. Il motivo della sua morte fu l’odio alla fede o solo una rappresaglia bellica? È bastato questo dubbio per bloccarne la causa.
È indubbio che non pochi di quelli che finirono assassinati tra i repubblicani furono veri eroi e come tali meritano di essere riconosciuti (a non pochi di essi sono stati dedicati statue, monumenti, piazze, vie, parchi…) ma non sono martiri.
La Chiesa beatifica o canonizza solo i martiri cattolici, anche se ammira alcuni non cattolici e rispetta tutti i morti di quella immensa tragedia.

J. GRACILIANO GONZALEZ
(Fonte: www.sdb.org)

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CAUSE DI BEATIFICAZIONE E CANONIZZAZIONE IN CORSO



José Álvarez Fernández. O.P.


A Lima il 6 settembre u.s., con una cerimonia presieduta dall’Arcivescovo di Lima, Card. Juan Luis Cipriani Thorne, ha avuto inizio il processo di canonizzazione del sacerdote domenicano, P. José Álvarez Fernández giunto dalla Spagna ad inizi del secolo scorso per lavorare come missionario nella selva peruviana. "In un tempo in cui si parla poco di santità, ci riempie di speranza e ci entusiasma molto vedere questo sogno di tutti, di come un fratello domenicano goda della presenza di Dio", ha detto il Porporato durante l'installazione del Tribunale che discuterà la causa prima di essere inviata alla Santa Sede.
Anche il Cardinale Cipriani ha sottolineato l'amore e sacrificio del missionario spagnolo, che si è guadagnato tra i nativi della selva il soprannome di Apaktone (Papá anziano). "per questo motivo bisogna verificare tutto quello che ha fatto e come abbia risposto al Signore", ha detto.
Il P. José Álvarez Fernández nacque a Grotte, Belmonte di Miranda (Asturie), il 16 maggio di 1890. Venne oprdinato sacerdote il 26.7.1916, il 24 dicembre successivo partì per il Perù, dove giunse il 21 di gennaio 1917. Visse nella selva peruviana per 53 anni, realizzando centinaia di spedizioni lungo i fiumi e moltissime comunità del dipartimento della Madre di Dio. Un vero padre per tutti, vero sacerdote e missionario, apprezzato ed amato dagli abitanti del luogo che lo piansero quando morì a Lima il 19 di ottobre di 1970. I suoi resti riposano nella cripta della Basilica di Santa Rosa. La sua causa era stata introdotta il 1 agosto 2000.

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François-Xavier Nguyên Van Thuân


CITTA' DEL VATICANO, 17 SET. 2007 (VIS). Questa mattina il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto gli ufficiali e collaboratori del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace in occasione del 5° anniversario della morte del Cardinale François-Xavier Nguyên Van Thuân, del quale prende avvio in questi giorni la Causa di beatificazione. All'udienza erano presenti i membri della Fondazione San Matteo e dell'Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân creato per la diffusione della dottrina sociale della Chiesa.
Del Cardinale vietnamita Van Thuân, che fu Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e che avviò la pubblicazione del "Compendio della dottrina sociale della Chiesa" - pubblicato nell'ottobre 2004 - il Papa ha sottolineato la "immediata cordialità", "la capacità (...) di dialogare e di farsi prossimo di tutti; (...) il suo fervoroso impegno per la diffusione della dottrina sociale della Chiesa tra i poveri del mondo, l'anelito per l'evangelizzazione nel suo Continente, l'Asia, la capacità che aveva di coordinare le attività di carità e di promozione umana che promuoveva e sosteneva nei posti più reconditi della terra".
Benedetto XVI ha detto ancora: "Il Cardinale Van Thuân era un uomo di speranza, viveva di speranza e la diffondeva tra tutti coloro che incontrava. Fu grazie a quest'energia spirituale che resistette a tutte le difficoltà fisiche e morali.
La speranza lo sostenne come Vescovo isolato per 13 anni dalla sua comunità diocesana; la speranza lo aiutò a intravedere nell'assurdità degli eventi capitatigli - non fu mai processato durante la sua lunga detenzione - un disegno provvidenziale di Dio".
"Amava ripetere il Cardinale Van Thuân che il cristiano è l'uomo dell'ora, dell'adesso, del momento presente da accogliere e vivere con l'amore di Cristo.
In questa capacità di vivere l'ora presente traspare l'intimo suo abbandono nelle mani di Dio e la semplicità evangelica che tutti abbiamo ammirato in lui".
"Cari fratelli e sorelle" - ha concluso il Pontefice - "ho accolto con intima gioia la notizia che prende avvio la Causa di beatificazione di questo singolare profeta della speranza cristiana".

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Monsignor ORESTE MARENGO (1906-1998)
25/9/2007 - Vaticano - Un nuovo Servo di Dio nella Famiglia Salesiana



(ANS - Città del Vaticano) – È giunta la notizia ufficiale che in data 9 luglio 2007 la Congregazione delle Cause dei Santi ha inviato al Vescovo di Tura (India), mons. George Mamalassery, il decreto di “Nihil obstat” per l`introduzione dell`Inchiesta diocesana, in vista della beatificazione e della canonizzazione di mons. Oreste Marengo, sdb (Diano d`Alba, 1906 – Tura, 1998). Nel frattempo, il 12 aprile scorso, il Vescovo di Tura aveva insediato il Tribunale diocesano e introdotto ufficialmente la Causa.
Il nuovo Servo di Dio, il novantunesimo nella lista ufficiale della nostra Famiglia, frequentò il ginnasio a Valdocco, e nel 1923 iniziò a Foglizzo l`anno di noviziato. Ma già nel mese di dicembre partiva missionario per l’Assam, dove terminò il suo noviziato a Shillong sotto la guida del Servo di Dio Stefano Ferrando.
Nel 1951, a Torino, fu ordinato vescovo della nuova Diocesi di Dibrugarh. Da qui nel 1964 venne trasferito a Tezpur, e finalmente concluse il suo ministero episcopale a Tura, dove fu Amministratore Apostolico dal 1972 al 1979.
Fino alla conclusione della sua lunga vita mons. Marengo fu un missionario eroico, icona vivente del buon Pastore che dà la vita per le sue pecore.
Appartiene a quella schiera gloriosa di missionari salesiani, come don Francesco Convertini, mons. Stefano Ferrando, don Costantino Vendrame, tutti Servi di Dio, come ora mons. Marengo, che hanno impiantato la Chiesa e il carisma di Don Bosco nel Nord-Est dell`India. Vice-postulatore della Causa è stato nominato don Joseph Puthenpurakal.

(Fonte: ANS 25/09/2007)

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Manuel Lozano Garrido (1920-1971)
Lolo, giornalista paralitico e cieco, verso gli altari


Passo decisivo per la causa di beatificazione di Manuel Lozano Garrido
Il 3 ottobre u.s. la Congregazione dei Cardinali e Vescovi membri della Congregazione per le Cause dei Santi ha dato parere favorevole, in modo unanime, allo studio sulla “vita e virtù eroiche” di Manuel Lozano Garrido (Lolo), giornalista paralitico e cieco.
Secondo quanto ha reso noto il postulatore della causa, Rafael Higueras, i Cardinali e i Vescovi hano analizzato lo studio previo favorevole realizzato dalla Commissione di teologi, formata da nove membri, che nei mesi scorsi ha redatto la cosiddetta “Relatio et vota”.
Dopo l’approvazione, manca solo la conferma da parte del Santo Padre con la firma del Decreto di Virtù Eroiche, che permetterebbe di proclamare “Lolo” “Venerabile”.
Per la beatificazione è necessaria l’approvazione di un miracolo dovuto alla sua intercessione.
In alcune dichiarazioni a ZENIT, Rafael Higueras sottolinea l’opportunità della beatificazione del giornalista, rimarcando la sua “integrità professionale” e il suo desiderio che i giornalisti conoscano questa figura e “sentano Lolo”.
In un momento in cui regna la minaccia dell’eutanasia, Higueras ha dato particolare importanza all’esperienza di sofferenza di Lolo, testimone in prima persona del “valore della vita” (rimase paralizzato a 23 anni e cieco a 42).
Higueras ha anche sottolineato che “senza le basi dell’Azione Cattolica” – alla quale Lolo apparteneva fin da giovane – la sua “vita eroica” non sarebbe stata possibile.
Della vita spirituale di Lolo, Higueras ha messo in rilievo la sua “devozione eucaristica e il suo amore per la Madonna”.
I Gruppi Sinai di preghiera per la Stampa, fondati da Lolo, sono costituiti attualmente da venti Monasteri di religiose in Spagna e due all’estero.
Ciascuno dei gruppi ha affidato il compito di pregare per il mezzo di comunicazione assegnato, tra i quali il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, la “Radio Vaticana”, le Agenzie ZENIT e Veritas, Popular TV, Alfa y Omega, Vida Nueva, la UCIPE o la Commissione Episcopale di Mezzi di Comunicazione Sociale, in base alle informazioni fornite dall’Associazione Amici di Lolo.
Manuel Lozano Garrido, detto “Lolo”, nacque a Linares (Jaén) il 9 agosto 1920 e morì nella stessa città il 3 novembre 1971. Entrò tra gli aspiranti membri dell’Azione Cattolica a undici anni, acquisendo al suo interno una profonda formazione spirituale che gli fece vivere con serenità la sua malattia. Nei lunghi anni in cui fu malato, ricevette quotidianamente l’Eucaristia, al quale era profondamente devoto. Durante la Guerra Civile Spagnola, quando era ancora adolescente, distribuiva la Comunione a persone incarcerate. Fu arrestato anche lui per i suoi ideali cristiani. Accentuò la sua devozione alla Madonna, per la quale recitava quotidianamente il Rosario e a cui dedicò alcuni dei suoi scritti.
Iniziò a svolgere il suo lavoro come giornalista nei mezzi di comunicazione come il quotidiano “Ya”, “Telva”, “Vida Nueva”, l’agenzia “Prensa Asociada”, “Signo”. Si ammalò nel 1942 e appena un anno dopo era già completamente invalido. Nel 1962 perse la vista. Nonostante la sua malattia, ricevette importanti riconoscimento professionali in Spagna, come il “Premio Bravo”.
Nel 1956 fondò la rivista “Sinai” per malati. Alcune delle sue opere, come “El sillón de ruedas” (primo libro scritto nel 1961), “Las estrellas se ven de noche” (opera postuma) o “Cuentos en ‘la’ sostenido”, sono stati pubblicati da Edibesa.
Dal 1994 al 1996 ha avuto luogo la fase diocesana del suo processo di beatificazione. E’ quindi iniziata la fase romana.

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CERIMONIE DI BEATIFICAZIONE

 

NOVEMBRE 2007 - 1-Domenica, 11 novembre

BEATIFICAZIONE DEL SERVO DI DIO: Zeffirino Namuncurá


Circa 38 mila fedeli hanno partecipato domenica 26 agosto al pellegrinaggio in onore di Zeffirino Namuncurá, il giovane mapuche che sarà beatificato nel prossimo mese di novembre.
Nonostante l’inclemenza del tempo, i pellegrini hanno percorso il cammino che conduce a V, paese nella provincia argentina di Río Negro dove nacque il futuro beato.
Il pellegrinaggio, che si rinnova ogni anno in occasione dell’anniversario della nascita del giovane, è stato caratterizzato da un clima di festa per la prossima tanto attesa beatificazione di Zeffirino. Vissuto come espressione della devozione popolare, il pellegrinaggio è culminato con la celebrazione dell’Eucaristia presieduta da mons. Esteban Laxague, salesiano, vescovo di Viedma, che nel corso della sua omelia ha indicato Zeffirino come “esempio di ciò che dice il Vangelo: i più svantaggiati e discriminati, gli ultimi in ordine sociale, saranno i primi nel regno dei cieli”.
La celebrazione della beatificazione, che avrà luogo a Chimpay (Viedma – Argentina) il prossimo 11 novembre alle ore 10.00, è stata quindi preceduta dal pellegrinaggio annuale al luogo di nascita del futuro beato, sul tema “Con Zeffirino, onesti sulla terra per giungere al cielo”.
Prevista anche una campagna nazionale in preparazione all’avvenimento di novembre, caratterizzata dallo slogan “Zeffirino, figlio di Dio e fratello di tutti”, che prevede una serie di iniziative a carattere religioso e culturale.
L’avvenimento sta suscitando un vivo interesse da parte degli argentini, a motivo del fatto che Zeffirino Namuncurà, giovane mapuche, è il primo rappresentante dei popoli dell’America del Sud ad essere beatificato. A questo si aggiunge che la sua sarà anche la prima beatificazione ad essere celebrata in Argentina.
La celebrazione, che sarà presieduta dal card.Tarcisio Bertone, Segretario dello Stato del Vaticano, avrà luogo all’aperto presso il santuario “Zeferino Namuncurá”, evidenziando il legame con la terra, tratto caratteristico del popolo mapuche.
Per informazioni: www.ceferino.dbp.org.ar.

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2 – Domenica, 18 novembre:
BEATIFICAZIONE DEL SERVO DI DIO: Antonio Rosmini.


Alle ore 15.00, nel Palazzetto dello Sport di Novara , il card. Josè Saraiva Martins, quale rappresentante del Santo Padre, presiederà il rito di Beatificazione del Servo di Dio Antonio Rosmini.
Secondogenito di Pier Modesto e di Giovanna dei Conti Formenti di Biacesa del Garda, della sua nascita, avvenuta il 24 marzo, Rosmini renderà sempre grazie a Dio poiché «Egli la fece coincidere con la vigilia della Beata Maria Vergine Annunziata».
Viveva con sua sorella maggiore Margherita, entrata nelle Suore di Canossa, e con suo fratello più piccolo, Giuseppe.
Rosmini compì gli studi giuridici e teologici presso l'Università di Padova dove ricevette, il 21.IV.1821 l'ordinazione sacerdotale. Iniziò a mostrare una profonda inclinazione per gli studi filosofici, incoraggiato in tal senso dal Papa Pio VII.
Dal 1826 si trasferì a Milano dove strinse un profondo rapporto d'amicizia con Alessandro Manzoni che di lui ebbe a dire: «è una delle sei o sette intelligenze che più onorano l'umanità».
Manzoni assistì Rosmini sul letto di morte, da cui trasse il testamento spirituale "Adorare, Tacere, Gioire". Gli scritti di Antonio Rosmini destarono l'ammirazione, tra gli altri, anche di Niccolò Tommaseo e Vincenzo Gioberti dei quali pure divenne amico.
Nel 1830 fondò al Sacro Monte Calvario di Domodossola la congregazione religiosa dell'Istituto della Carità, detta dei "rosminiani".
Le Costituzioni della nuova famiglia religiosa, contenute in un libro che curò per tutta la vita, furono approvate da Gregorio XVI nel 1839.
Il 1° giugno 2007 il Santo Padre Benedetto XVI aveva autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il Decreto sul miracolo della guarigione di Suor Ludovica Noè attribuito all'intercessione del Venerabile Servo di Dio Antonio Rosmini, Sacerdote Fondatore dell'Istituto della Carità e delle Suore della Provvidenza.
E’ giunto così a termine il lungo percorso di alterne, complesse e spesso dolorose vicende che dalla morte nel 1855 lo hanno portato alla soglia della beatificazione.
Egli ha lasciato un esempio luminosissimo di perfezione morale, sacerdotale, pubblica e privata sul quale vale la pena di riflettere e pregare, in attesa della celebrazione solenne del Rito di Beatificazione.

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DICEMBRE 2007


2 DICEMBRE: BEATIFICAZIONE DELLA SERVA DI DIO
Lindalva Justo de Oliveira


Il 2 dicembre, 1^ domenica di Avvento, alle ore 16.00, nello Stadio do Barradão, São Salvador da Bahia (Brasile), il card.Josè Saraiva Martins, quale rappresentante del Santo Padre, presiederà il rito di Beatificazione della Serva di Dio Lindalva Justo de Oliveira.
Lindalva nacque il 20 ottobre 1953 nel piccolo centro di Sítio Malhada da Areia, nel municipio di Açu, nel Rio Grande do Norte. Sesta figlia della coppia formata da João Justo da Fé e Maria Lúcia da Fé, fin da piccola dimostrava una grande attitudine per i compiti religiosi.
Era molto sensibile con i poveri. Quando si trasferì nella città di Natal, studiava e lavorava per mantenersi e aiutare la famiglia.
Dopo aver concluso il secondo ciclo, si prese cura del padre, anziano e malato, con affetto e pazienza. Quando questi morì, Lindalva, di 33 anni, entrò nella Società delle Figlie della Carità di San Vincenzo de Pauli.
Voleva servire Cristo nei poveri. Terminato il periodo di noviziato, venne inviata all’internato Dom Pedro II, a Salvador, Bahia, ricevendo il compito di coordinare un’infermeria con 40 anziani, essendo responsabile dell’ala del padiglione maschile.
La mattina del 9 aprile 1993, Venerdì Santo, partecipò alla Via Crucis con i fedeli della parrocchia di Boa Viagem, in compagnia delle sorelle della Comunità dell’internato. Di ritorno, servì la colazione agli anziani.
Non aveva neanche iniziato il servizio che venne brutalmente assassinata con 44 coltellate da Augusto Peixoto, di 46 anni, uno dei pazienti.
Basandosi sul racconto delle persone che avevano convissuto con la suora, monsignor Lucas Moreira Neves ha scritto: “Era convinta di aver indovinato la sua vocazione; era nata per dedicarsi a Dio nella persona dei poveri e degli anziani, e non desiderava altro se non vivere questa dedizione in modo totale e con un grande amore”.
Il processo di beatificazione e il riconoscimento del martirio della Serva di Dio Lindalva Justo de Oliveira è iniziato il 17 gennaio 2000.
E’ stato chiuso solennemente il 3 marzo 2001 nella Cattedrale di Salvador dal Cardinale-Arcivescovo Geraldo Majella Agnelo. (Fonte: Zenit)

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